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Autore: livie    12/09/2013    3 recensioni
Erano la notte e il giorno, lo ying e lo yang, il sì e il no. Erano il contrario, l’uno dell’altra. E se il contrario esistesse? Se la notte fosse giorno, se il nero fosse bianco, se il vero fosse falso e se la vita fosse morte? In Ozlem e Dominic tutte queste ipotesi, dubbi e utopie sarebbero state fondate. Vive.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 Ad Alice,
per il suo primo giorno da liceale.



 

Ozlem stava seduta sul bordo del molo. La punta dei piedi che sfiorava l’acqua tiepida e calma, la testa piegata di lato, intenta ad osservare davanti a lei: un fitto boschetto di alberi comuni e floridi sul lato opposto del lago, qualche barca ancorata qui e là. Dietro di lei il pontile si allungava per alcuni metri, attraccato alla riva piena di ciottoli lucidi e tondi. Era nel bel mezzo del nulla, da sola. Il silenzio aleggiava intorno a lei, interrotto dal canto dei grilli nascosti tra l’erba e dagli stormi di rondini che volavano nel cielo. Pochi sapevano di quel posto, neanche lei sapeva come l’avesse scoperto, ma le piaceva stare lì. Riusciva a pensare liberamente, prima di qualche evento importante. Inspirò profondamente chiudendo gli occhi,  e mandò indietro la testa. Canticchiava una vecchia ninna nanna e si dondolava come una bambina, godendosi quell’attimo di pace.
Pensò a quanto sarebbe durato e il rombo potente di una moto le diede la risposta. Si girò di scatto e, notando l’Harley Davidson che aveva alzato una nube di polvere intorno a sé, non riuscì a non sorridere. I folti capelli biondi di Dominic sbucavano da sotto un pesante casco rosso. Ozlem ritornò nella sua posizione iniziale, ignorando la mano del ragazzo che la salutava con enfasi. Un leggero risolino soffocato si fece spazio sulla sua bocca, nell’attesa che lui le si avvicinasse.
“Ozlem!” esclamò una volta arrivato. Si piegò verso di lei e l’abbracciò da dietro, beandosi del profumo di mandorle e mandarini che emanava la ragazza. “Come hai fatto a trovarmi?” chiese lei. Dominic prese posto accanto a lei, sfilandosi i pesanti anfibi scuri con davvero poca grazia e gettandoli dietro di sé. “Non ti stavo cercando” rispose “ e lo sanno tutti che quando non cerchi qualcosa, la trovi subito” concluse, strizzando l’occhio. Ozlem si morse le labbra, confusa. Quel ragazzo era una continua contraddizione, la stava cercando oppure no? Si strinse nelle spalle, rassegnata. “Che ci fai qui?” le chiese, immergendo i piedi nell’acqua.
“Nulla”.
“Lo vedo”.
“E allora perché me l’hai chiesto?”.
“Mi piace sentirti parlare”.
Ozlem arrossì violentemente, e Dominic non riuscì a trattenere una risata. Poi scosse la testa e la ragazza gli tirò un leggero pugno sul braccio fasciato dalla giacca di pelle che si ostinava ad indossare nonostante l’aria tiepida della primavera che era già arrivata. Dominic aveva sempre freddo, era cosa che ricordava Ozlem. Avresti potuto abbracciare Dominic anche se ci fossero stati quaranta gradi e lui ti avrebbe stretto ancora più forte. Insieme, tornarono a guardare di fronte a loro, mentre gli ultimi raggi di sole coloravano le nuvole di un rosa che a Dominic parve quello che le guance di Ozlem avevano assunto poco fa.
Sollevò leggermente le natiche, e dalla tasca posteriore dei jeans sfilò un pacchetto di Chesterfield Black. Lo poggiò sulle gambe nude della ragazza. Ozlem se lo rigirò tra le mani, poi schioccò un bacio sulla guancia del ragazzo. Dominic sentì le punte delle sue orecchie diventare rosse per l’imbarazzo e quella volte fu Ozlem a ridere. Se ne accese una e, insieme, la fumarono. In silenzio.  
Era questa la cosa bella di Ozlem, pensò Dominic. Anche in silenzio riusciva a comunicare, molto più che con le parole. C’era una specie di legame tra loro, lui sentiva a riuscire le vibrazioni di lei, proprio come i gatti.  I loro gesti involontari, i loro pensieri e le loro anime comunicavano attraverso un linguaggio nascosto a cui nessuno sapeva dare un nome. Si completavano. Eppure erano diversi, diamine! Bastava vederli lì vicini, seduti su quel pontile, per dire che tra di loro non c’era nulla in comune. Dominic e i suoi capelli biondi, la giacca di pelle nera, i jeans chiari consumati sulle ginocchia e la maglietta sformata degli AC/DC. Ozlem e i suoi capelli color mogano intrecciati in una treccia morbida, il caftano a fiori che le andava un po’ troppo lungo e il piccolo tatuaggio che raffigurava il simbolo della pace sul polso. Erano la notte e il giorno, lo ying e lo yang, il sì e il no. Erano il contrario, l’uno dell’altra. E se il contrario esistesse? Se la notte fosse giorno, se il nero fosse bianco, se il vero fosse falso e se la vita fosse morte? In Ozlem e Dominic tutte queste ipotesi, dubbi e utopie sarebbero state fondate. Vive.
Dominic strappò alcuni minuscoli fiorellini che crescevano tra le assi di legno e li incastrò nella treccia della ragazza. “Ora sei proprio una fata” annunciò soddisfatto del suo lavoro. “Le fate sono belle” lo apostrofò lei.
“Appunto”.
Ozlem scosse la testa, intuendo che Dominic non aveva intenzione di essere contraddetto. “E tu sei il folletto?” chiese poi, ironica.
“Io posso essere quello che vuoi” sospirò il ragazzo, spegnendo il mozzicone di sigaretta.
Ozlem lo imitò, riflettendo su quella strana risposta che, secondo lei, dietro lo scherzo nascondeva qualcosa di profondo . “Domani parto” enunciò.
Dominic spalancò gli occhi e sentì come la sensazione che un parte interna del suo petto si sgretolasse. Avvertì un dolore fisico. “E dove vai?”.
“Parto. Cioè, scappo” spiegò lei.
“Da cosa?”.
“Da qui, da tutti. Scappo”.
“E la tua famiglia? I tuoi amici? Io?” chiese Dominic, mentre il dolore cominciava ad espandersi.
“Nessuno sentirà la mia mancanza, credimi” sospirò.
“E dove andrai?”.
“Lontano, credo. Ho qualcosa da parte e credo di riuscire a cavarmela da sola. Prendo il primo treno che c’è, domani mattina. Qualsiasi destinazione andrà bene” concluse, mordendosi le labbra per essersi tradita, in quanto si era promessa di non dire niente a nessuno. Neanche a Dominic.
Una lunga pausa seguì le sue parole. Guardavano il tramonto che quella sera sembrava così nostalgico, l’acqua aveva preso una curiosa tonalità di viola e Dominic sentì che le lacrime gli pungevano gli occhi. “Vengo con te”.
Ozlem si voltò stupita. E in quello sguardo, dove gli occhi castani di lui tenevano incastrati quelli grigi di lei, Ozlem riuscì a capire tutto quello che fino ad allora le era sembrato incomprensibile. Quello sguardo era una promessa di vita, di speranza, di amore e di rimanere insieme. Per sempre. Quello sguardo valeva più di mille parole, di una poesia, di un bacio appassionato, di un abbraccio o di altro qualsiasi gesto. Perché quello guardo carico di emozioni e progetti era tutto quello che le serviva. Quello sguardo sarebbe stato la sua ancora di salvezza, la sua forza, la sua casa. Capì che solo Dominic poteva essere un futuro e sentì che Dominic poteva essere solo suo. Immaginò il suo futuro, con lui. E nel suo futuro c’era solo lui. Lui era vero, tangibile, sincero e duraturo. Poteva immaginarsi in mille contesti diversi, ma al suo fianco e dentro di lei, Dominic ci sarebbe sempre stato. Sempre.
 
   
 
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