Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: AlfiaH    12/09/2013    0 recensioni
// Ivan scoppiò in una sonora risata, accompagnata da quella di America, decisamente brillo. Nonostante la compagnia non fosse delle migliori – Russia era arrivato a NewYork il pomeriggio prima per discutere della sicurezza mondiale – e nemmeno il luogo fosse granchè – quel vicolo puzzava da morire -, in qualche modo, stranamente, si stava divertendo. Sperava soltanto che quello che sembrava essere diventato il suo compagno di bevute non ne approfittasse per puntargli una pistola alla tempia. In quel caso il divertimento sarebbe stato rovinato perché lui davvero di pistole non ne aveva portate, nonostante avesse sempre l’abitudine di girare armato.
[Dedicata a quella persona orribile del mio coglionastro
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Almost Friends

L’americano alzò gli occhi blu al cielo, aspettandosi, in cuor suo, di riuscire a rispecchiarli in un altro blu, magari più scuro e intenso, ricamato di piccole luci, grandi stelle lontane, quei pianteti che, seppur sconosciuti agli uomini, amava tanto, popolati – a sua detta – da strane e deformi creature dai più bizzarri aspetti e sembianze che la sua giovane mente – che tanto faceva vagare certe volte, fantasticando sugli più improbabili incontri extraterresti – avesse mai concepito.
Era in quei momenti che si accorgeva di odiare New York, la confusione, i cartelloni pubblicitari, lo smog, le insegne luminose che sembravano rendere il dì infinito e sminuire il Sole per importanza e potenza. E dire che era stato lui a prodigarsi tanto, poco amante del buio e degli spettri che vi abitano, per rendere il suo cuore luminoso, la notte meno spaventosa, e si, ne era terribilmente fiero, pensando arrogantemente di poter cambiare l’Essere dell’Universo, senza dipendere da esso e dalle sue leggi, sopravvalutando i suoi poteri e sentendosi immensamente grande per aver creato un suo proprio sole. Che Sole non fosse, ancora grezzo tra le mani degli uomini, non aveva importanza, giacchè ci stava ancora lavorando.
Aveva coperto le stelle, intanto, e la Luna che tanto gli era stata cara nelle notti d’autunno, quando si ritrovava a chiedersi dove fosse Inghilterra, sulla sua nave, tra i suoi mari, se stesse guardando quell’astro luminoso pensando a lui, e ora non poteva fare a meno di pentirsene amaramente, desiderando con tutto se stesso di spegnere tutto, di spegnere New York, arrestare l’energia, il suo sole artificiale.
Il vento si alzò appena, come faceva spesso agli inizi di Settembre,  sembrava risvegliarsi timidamente, senza il coraggio di tornare a soffiare che avrebbe acquistato poco a poco durante l’Autunno, per poi diventare implacabile con l’arrivo della fredda stagione.
Storse appena le labbra; quello era il periodo che meno gli piaceva. Pensare alle foglie che sarebbero ingiallite gli metteva angoscia, una sorta di depressione, provava quasi un senso di pena a doverle calpestare una volta cadute dagli alberi, in attesa di essere ricoperte dalla neve.
La neve, invece, non gli dispiaceva così tanto, specie appallottolata in palle da lanciare a qualche malcapitato visitatore, magari il giorno di Natale, tra risate di amici e passanti che bastavano a scaldare il gelo dell’Inverno e a scacciare la malinconia che ogni anno sembrava portargli.
Forse questa era l’unica cosa che lo accumunava all’uomo che aveva di fronte, dal sorriso di falsa speranza, quello delle  persone che attendono la Primavera con la consapevolezza che non arriverà mai, ma l’aspettano comunque, o si illudono di farlo, per consuetudine, forse, o solo per tenersi compagnia a vicenda, per avere un motivo in più per odiare.
Perché Alfred l’avrebbe vista la sua Primavera, avrebbe rivisto i suoi fiori sbocciare e se ne sarebbe rallegrato, abbandonandolo ancora nel suo Inverno, ad aspettare da solo col suo odio e la sua invidia, tramutati ancora in un sorriso al suo ritorno.
Ivan gli sventolò la bottiglia semi vuota davanti agli occhi, invitandolo a prenderla e a bere un sorso di quell’alcolico che tanto gli dava alla testa, certe volte, quando esagerava e alzava troppo il gomito; forse la Vodka era l’unica cosa che amava davvero.
Il ragazzo arricciò il naso e gli lanciò un’occhiata, cogliendo l’invito e attaccandosi alla bottiglia, sentendo la gola bruciare e le corde vocali vibrare al passaggio di quel liquido infuocato di cui Russia tanto decantava le qualità.
<< Meglio il bourbon, comunque >>, non si risparmiò un commento, America, che di alcolici ne aveva assaggiati tanti e vari, i più strani e complicati, e ancora non riusciva a capacitarsi di essere stato superato anche il quel campo, che le persone avessero preso a bere cereali e patate, preferendoli al suo mash.
Il russo però, addirittura più maturo dell’americano – cosa difficile, visto le loro numerose gare per contendersi la corona del re delle persone infantili -, sembrò non volersi imbarcare in quella discussione inutile, che tra l’altro avevano già affrontato numerose volte, e non colse la sfida, lasciando che il guanto lanciato scivolasse per terra e tornasse strisciando dal padrone.
<< In Siberia si vedono le stelle. Posso regalarti un altro biglietto di sola andata >>, sorrise con fare cortese mentre si riappropriava del tuo tesoro, avvicinandone il collo alle labbra.
<< Bel tentativo, Braginsky, ma non intendo mettere piede in Siberia! Piuttosto, penso che passerò un po’ di tempo in Texas, la prossima estate. Sperando che tu non mi procuri altri problemi! >>
<< Non sono stato io >>, arricciò il naso, offeso << E’ stata Siria. Ti fa ancora male? >>
America si portò istintivamente una mano sul braccio sul quale spiccava un lungo taglio, ancora rosso, come il sangue negli occhi di una nazione stanca, ribelle, disperata che non ricorda e non viene ricordata se non per la guerra, che l’aveva colpito, senza pensarci due volte, che lo odiava per quello che aveva deciso di fare.
<< Se non fosse stato per te, avrei già chiuso la questione da un pezzo. Adesso sarei ancora in vacanza da qualche parte, con Inghilterra. Inoltre sembra che non voglia appoggiarmi, non riesco nemmeno a parlargli come si deve e tu non fai altro che intrometterti >>, rispose velocemente la nazione statunitense, riappropriandosi della vodka e facendo spazio accanto a sé, in modo che anche l’altro potesse sedersi sul muretto.
<< Temo che il mantenimento della pace sia più importante dei tuoi problemi di cuore, Amerika >>
<< E da quand’in qua ti interessa il mantenimento della pace? >>
Alfred rise, decisamente divertito dall’affermazione del russo dal quale mai, mai si sarebbe aspettato una frase del genere, abbietto com’era a “giochi” non proprio delicati e a metodi non proprio ortodossi. Insomma, tra i due era sempre stato l’americano a preoccuparsi del mantenimento della pace, nonostante preferisse di gran lunga la guerra,  aveva pensato innumerevoli volte di affrontarlo faccia a faccia, impulsivamente, ritrovandosi poi a prediligere sistemi più sottili e subdoli per sfidare il nemico in un gioco da cui, per molto tempo, sembrava dipendere il destino del mondo.
<< Da quando tu hai deciso di voler portare la guerra >>
E a volte, profondamente, si era ritrovato a chiedersi chi dei due fosse l’eroe e chi il cattivo, se avesse fatto le scelte giuste, se davvero delle scelte giuste da fare ci fossero state, se ci avesse mai riflettuto, e alla fine, inevitabilmente, si era sempre accorto che tutto ciò che aveva fatto, in quegli anni e anche allora, tutto ciò che entrambi avevano fatto era stato opporsi all’altro, spinti dall’unico desiderio di farlo, senza moralità né senso di giustizia, trovandosi ogni volta nei panni del cattivo e nei panni dell’eroe, agli occhi del mondo, ai loro stessi occhi. Ogni volta, però, decideva di non pensarci, dopotutto lui era l’eroe, gli eroi vanno avanti ad ogni costo, conviti della loro giustizia, fedeli alle loro battaglie. E allora ignorava i sensi di colpa, rimetteva la sua bella maschera, ributtava in gioco le sue ragioni, reputandole più che legittime.
<< Io non ho deciso di portare la guerra! Non voglio che altra gente si faccia male! L’hai visto anche tu, il gas nervino non è uno scherzo! >>
<< Sappiamo entrambi che non sei un santo, farai una strage. Oh, è finita >>, commentò Ivan, inclinando le labbra all’ingiù, seriamente dispiaciuto nel vedere sgocciolare via l’ultima goccia del suo prezioso alcolico, decisamente più importante e degna di attenzioni di un attacco militare. Cominciò anche a preoccuparsi, cosa che gli accadeva raramente, quando America si chinò all’indietro per frugare nella sua borsa con un sorriso sulle labbra. Non prometteva nulla di buono e “nulla di buono” spesso significava qualche schifezza americana.
<< Dipende dalle persone con cui mi trovo! Non sono come te, non ho sempre la stessa faccia. E, oh, abbiamo del bourbon! >>
Appunto.
<< Non è la tua faccia il problema. La tua faccia mi piace, la evito sempre quando ti prendo a pugni. Net, spasibo >>
<< Quando mai mi hai preso a pugni? E poi non intendevo in quel senso, volevo dire che tu riesci a vedere solo il male che c’è in me, tutti i miei difetti e le cose brutte, o qualcosa del genere. Penso che tu non riesca a vedere la mia parte buona! >> Sentenziò infine il biondo, ritraendo la mano al “no, grazie” della nazione sovietica – che intanto aveva preso a fumare - e gustandosi finalmente la piacevole scoperta che aveva fatto cercando nella sua borsa.
<< Sei tu a non mostrarmi la tua “parte buona”. Ammesso che tu ne abbia una >>
<< Certo che ne ho una! Insomma, sono un eroe, gli eroi hanno tutte le parti buone! >>
Ivan scoppiò in una sonora risata, accompagnata da quella di America, decisamente brillo. Nonostante la compagnia non fosse delle migliori – Russia era arrivato a NewYork il pomeriggio prima per discutere della sicurezza mondiale – e nemmeno il luogo fosse granchè – quel vicolo puzzava da morire -, in qualche modo, stranamente, si stava divertendo. Sperava soltanto che quello che sembrava essere diventato il suo compagno di bevute non ne approfittasse per puntargli una pistola alla tempia. In quel caso il divertimento sarebbe stato rovinato perché lui davvero di pistole non ne aveva portate, nonostante avesse sempre l’abitudine di girare armato.
<< Temo di aver vinto anche stavolta, Amerika. Dovresti andare a casa >>, cantilenò il russo col suo sorrisetto stampato in faccia, mentre gettava a terra la miccia consumata e sottraeva, in un atto di coraggio e dignità, la bottiglia dalle mani del compagno, assaggiando un sorso di quel liquore, come a volergli dimostrare di non aver semplicemente vinto la loro sfida, ma di averla stravinta alla grande con un vantaggio di cinque bottiglie a quattro. Per quanto entrambi lo reggessero e per quanto il loro fegato fosse allenato, aveva sempre avuto un vantaggio sull’americano, oltre al fatto di essere russo e alcolista, quale l’esperienza di anni e anni, decisamente troppi per ricordarli, in quanto più “anziano”, seppur non così maturo, dell’avversario.
<< Non ancora! Sto alla grande, non mi faccio battere così facilmente! Inoltre… Domani sarà una giornata di merda. Quindi, almeno per stasera, vorrei riuscire a dimenticare. Che bisogno c’è di ricordarlo ogni anno? Io lo ricordo ogni giorno, come fosse ieri, sai, il panico e la frustrazione, e lo ricorderò per ancora tanti, tanti anni, perché, non so se te ne sei accorto, ma le nazioni non invecchiano. Come fosse ieri, davvero. Penso di essere troppo legato ai ricordi, anch’io, mi vedi una persona nostalgica? Che non riesce a dimenticare? Se lo facessi, smetterei di tormentarmi e sarebbe fantastico, ma sai cosa? Dovrebbe servirmi da lezione. E nemmeno serve! Ma cosa te lo dico a fare... Tu ci godi. E non ti biasimo, anche io lo farei, ti odio. E’ ovvio che lo farei >>
<< E’ vero >>, ammise, inclinando appena la testa e guadagnandosi un’occhiataccia,  << Mi piace vederti in questo stato pietoso. È anche vero che ti odio, in realtà. Ma sai, non mi pento di nulla. Solo di non averti ucciso prima, forse, ma adesso non potrei vederti straparlare come un ubriaco! >>
<< È la prima volta che ce lo diciamo così apertamente >>, constatò il ragazzo, accennando un sorriso pieno di tristezza malcelata. Dirlo ad alta voce faceva tutt’altro effetto. << In ogni caso, non dire nulla ad Inghilterra di stasera. Già pensa che lo tradisca con cani e sassi >>
<< Io lo sapevo già. Sei tu quello che faceva finta di non accorgersene. E penso che il tuo fidanzato sia isterico, mi sbraita sempre contro >>, disse assumendo un’espressione fintamente dispiaciuta e rammaricata, quella di chi viene accusato ingiustamente senza sapere perché. In effetti a volte si chiedeva perché tutti lo disprezzassero tanto.
<< Speravo potessimo diventare amici >>, ammise l’americano con un po’ di imbarazzo, assottigliando gli occhi e sollevandoli ancora al cielo, un sorriso più allegro sulle labbra. << Beh, tua sorella è pazza >>
<< Hey, è sempre mia sorella >>, rispose irritato, mettendo su un piccolo broncio.
Alfred alzò le spalle.
<< Sarà una cosa di famiglia, allora >>
Ivan saltò giù dal muretto e si sistemò la sciarpa pesante attorno al collo, sospirando appena.
<< Temo che non potremo mai essere amici, Fredka. A meno che tu non creda nella reincarnazione e nell’esistenza di una prossima vita >>
<< Reincarn-what? Quella non fa parte della religione dei terroristi? >>
<< I terroristi sono tutti buddisti? >>, domandò, sbattendo le palpebre, sinceramente confuso. In tutta risposta, l’altro storse le labbra, indeciso; quello non era senz’altro il suo campo.
<< Cosa vuoi che ne sappia? In ogni caso, no, non ci credo >>
<< Non ci credo nemmeno io >>
<< Però credo in un mondo parallelo! Scommetto che ce n’è sono un sacco! >>

Russia sorrise mentre America faceva dondolare le gambe, prima di saltare giù, barcollando un pochino.
<< Allora saremo amici in un mondo parallelo >>
<< Affare fatto! >>
<< Hmh, guarda, è tardi, mezzanotte è passata già da un po’… >>, cantilenò Ivan mentre il sorriso gli si allargava sulle labbra, più sadico e cupo, mentre gli poggiava una mano coperta dal guanto su una spalla, facendogli sgranare appena gli occhi.
<< Non osare! Giuro che il 26 Dicembre* verrò da te a farti i miei più sinceri auguri! >>, protestò, liberandosi dalla presa.
<< Tanti auguri e felice 11 Settembre, Amerika >>
 


#Angolo della disperazione
*Il 26 Dicembre è il giorno della dissoluzione dell'URSS
Almost Friends /quasi amici/ mi sembra un titolo bellissimo <3 *parla da sola (?)*
 Ecco. Non so esattamente come definire questa storia. Volevo scrivere qualcosa sull'11 Settembre ma ieri non ho avuto tempo, nonostante abbia passato la nottata a scrivere e l'abbia terminata questa mattina. E già. Vabbeh, è la stessa cosa (?) Ho sempre voluto scrivere un dialogo tra Russia e America e questa mi sembrava una buona occasione per farlo. Perdonate gli eventuali errori!
Un biscotto,
AlfiaH <3
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: AlfiaH