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Autore: MrMurkrow    12/09/2013    5 recensioni
In un mondo dove tutto è stato dimenticato. In un tempo malcelato alla polvere degli occhi. Solo una cosa è rilevante: Un Nome.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a Dio ho perso il senso dell’olfatto. Grazie a Dio. Sennò starei qua a vomitare di continuo tra questi cadaveri. Una pila molto alta di puzzo, putrefazione e morte.
Chissà che se ne fanno dei cadaveri.
Le Seppie dico.
Forse nulla, forse tutto. Sta di fatto che li accumulano in numerose pile e li lasciano a marcire. Alle volte invece i cumuli scompaiono all’improvviso. Così. Senza che nessuna nave sia sorvolata nei dintorni per passare al setaccio la zona.
Forse sono le Pustole a prenderli…o forse qualcosa di più molto più grosso.
Effettivamente alcune volte li ho visti mangiare, ma dubito che ne abbiano bisogno.
Scavo in mezzo alla fanghiglia di sangue e interiora. Magari son fortunato oggi e trovo qualcosa. Qualcuno di loro mi guarda ad occhi spalancati. Altri dimenano semplicemente la mascella in modo di disprezzo per quello che sto facendo.
“Scusate”, gli dico quasi in un sussurro, “Ma io sono ancora vivo a differenza vostra..e voglio continuare a esserlo” e riprendo a scavare.
Trovo una cosa interessante dietro al cadavere di un vecchio senza parte inferiore del corpo: una borsa. Giornata fortunata.
La tiro su. E’ pesante. Giornata molto fortunata. Tiro con più forza e quello che estraggo dal mucchio di morti lamentosi mi lascia paralizzato.
La borsa non è pesante per il suo contenuto…lo è perché c’è un bambino attaccato. E’ morto.
Avrà avuto cinque o sei anni..forse. Si è legato a quella borsa come il suo bene più prezioso. Le mosche si attaccano subito a lui. Non posso perdere altro tempo.
Lo stacco dal mio bottino cercando di non essere troppo brutale, ma, involontariamente, lo sono e le ossa di quel poveretto cedono emettendo un forte schiocco. Ricade sul cumulo e si riunisce a quell’orrore.
Dedico un attimo per chiedere scusa a quel bambino. Devo prendere la sua borsa. Mi serve. Senza morirò.
Guardo cosa c’è all’interno del mio tesoro. Un album di foto, un giocattolo di forma robotica e una penna. Apro subito l’album. E’ una potenziale miniera d’oro. Ci sono foto di tante persone all’interno. Nelle prime pagine quelle del bambino e della sua famiglia, nelle successive quelle di tante altre persone. E ci sono i nomi. Giornata terribile…ma molto fortunata.
Riprendo il bastone alla cui sommità ho incastrato la testa del bandito che ho ucciso poco fa. Mi servirà per allontanarmi dalla zona. Le Seppie intercettano i segnali mentali dei vivi tramite piccoli ricognitori, portando con se la testa di un morto e tenendola vicina è possibile evitare di essere scoperti.
Il mondo è cambiato. L’Universo è cambiato dopo l’arrivo delle Seppie. Loro sono ancora qui, ma nessuno sa il perché. Noi pochi rimasti non ricordiamo. Nati in un mondo dove conta solo sopravvivere e le cose più importanti sono i ricordi. I ricordi sono la chiave. I Drell e i Salarian sono ora diventati preziosi. Ricercati. Loro qualcosa ancora ricordano. La loro memoria eidetica li fa diventare biblioteche viventi a cui tutti vogliono attingere.
Una volta ho catturato un Drell. Voleva uccidermi, ma gli mancava un braccio per riuscirci. L’ho interrogato per diverso tempo. Non ci sono andato molto leggero. Mi ha rivelato un sacco di cose interessanti, altre invece già le conoscevo o le ricordavo. Poi l’ho ucciso. Vai a dire che non l’ho neanche ringraziato, ma agli errori di formalità quaggì non frega un cazzo a nessuno. A parte loro, ci sono anche alcune persone normali che ricordano. Non so il perché, ma ricordiamo. Siamo avvantaggiati in questo mondo.
Regola numero uno di questo mondo: Portare sempre un arma con se. Possibilmente carica.
Un Turian mi guarda torvo dall’alto di un cumulo di detriti di un palazzo, pensando che non l’abbia visto, e si getta su di me. Mi scanso di lato e l’imbecille si fracassa una gamba a terra. Mentre inveisce cose poco carine su mia madre e sputa sangue, gli punto la pistola alla testa.
“Ce l’hai un nome?”, gli chiedo. Non è prassi, è cortesia.
Quello mi guarda in cagnesco e sibila tristemente, “No…e tu?”;
“Io non ho bisogno di un nome, mi basta uno scopo” e sparo.
Continuo a camminare finchè non arrivo al punto di passare sotto a un ponte. E’ buio pesto li dentro.
Regola numero due: Mai andare in luoghi bui, specie da soli, come i ponti. Ci fanno le imboscate li. Ovviamente se siete me è tutta un’altra storia.
Ne spuntano sei. Armati. Belle corazze personalizzate con teschi e sangue. Mi piacerebbe avere anche quell’Avenger. Non mi intimano di arrendermi per avere salva la vita o cose del genere, pensano solo a squartarmi. Banditi, che maleducati! Così nemmeno io parlo o gli chiedo di darmi ciò che voglio. Me lo prendo e basta. Qualche urlo, qualche grido disperato, qualche zampillo di arteria che si stampa sulle rocce e qualche arto tagliato. Niente altro. Devo dire che ho perso quel tocco di perfezionista al quale ero tanto legato, ma, si sa, le persone cambiano.
Arrivo all’accampamento e vado dritto da Vakarian. Bravo armaiolo, ottimo cercatore. Mi fa sempre comodo passare da lui. Entro nel suo negozietto, costruito alla bene e meglio con legno e scarti di detriti, e lo saluto alla solita maniera: alzando la mano destra e guardandolo con espressione vuota.
“Giorno..”;
“Magari”, risponde lui pulendosi le mani con uno straccio che di pulito avrà avuto la parvenza forse decine di anni prima, “Se fosse come dici avrei visto il sole, invece ci sono ancora le stramaledette nuvole nere e tu continui a illudermi con i tuoi scialbi saluti”.
Gli poggio la mia borsa sul bancone. Lui la apre senza troppi complimenti.
“Che hai per me stavolta?”, fa scrutando l’interno della tracolla;
“Armi”, gli rispondo inespressivo.
“Di quelle ce ne più che di persone”, dice di rimando con acidità, “Ti posso dare ottanta più cinque foto”
“Mi serve la navetta”, continuo senza battere ciglio all’offerta che mi ha fatto.
Lui ride di gusto poi diventa serio e mi squadra con cattiveria, “Per quella voglio minimo il mio nome”;
“Lo sai che non ce l’ho. Se ce l’avessi te lo avrei detto”.
In realtà ce l’ho il tuo nome Garrus, ma mi serve che tu continui a scavare. L’ho detto: bravo cercatore. Se ti dessi il tuo nome tu non cercheresti più quello che mi serve. E ho ancora parecchio bisogno dei tuoi servigi.
Protesta e parecchio anche. Poi gli porgo una componente per la canna del suo Mantis e ammutolisce. Diventa triste e il volto viene scavato dalla fatica.
“Ti presto la navetta per un mese se ci aggiungi la sua foto…”, esprime alla fine.
Do un cenno di assenso, è un’offerta vantaggiosa. Lo spronerà a continuare. La estraggo dal taschino interno del giubbotto e gliela porgo.
Si nutre di quella visione come un bambino col latte della madre. Potesse credo che piangerebbe davanti a me, ma in questo mondo nessuno ha ormai più la forza di piangere. Le abbiamo già date tutte tempo fa.
Mi restituisce la foto con mano tremante.
“Puoi tenerla se vuoi”, continuo io senza emozione.
“No”, fa lui senza spiegare, piuttosto mi chiede: “Troverai mai il suo nome?”
“Chi lo sa?”, gli rispondo rimettendo la foto di Shepard nella tasca, “Il mondo è grande”
Riscuoto quanto mi ha promesso e me ne vado. Sento un singhiozzo mentre chiudo la porta alle mie spalle. Qualcuno potrebbe dire che sono una cattiva persona…e avrebbe ragione.
Da quando la Grande Onda si è abbattuta nella Galassia tutti hanno dimenticato. Alcuni di più, altri di meno. Nessuno tuttavia ha la conoscenza completa delle cose. Io ricordo un grande bagliore arancione sprizzare nel cielo e colpirmi in pieno. Quello che è successo prima è distorto e sconnesso ora. Nomi, date, luoghi, cose… tutto confuso o dimenticato. Una cosa che tutti perdono però è il proprio nome. Quello è nessuno riesce mai a ricordarselo. Non si sa perché. Ed è per questo che è così importante. Sapere il proprio nome può far affiorare i ricordi perduti. Può farti ricordare altri nomi di persone e così si può dare il via ad una catena forse inarrestabile.
E’ un mondo cattivo. Grande per noi e Piccolo per loro.
Faccio rotta verso est. La navetta vola veloce anche se un po’ acciaccata e io mi tengo ad una quota bassa per evitare di essere individuato.
Regola numero tre: Non viaggiate mai soli se potete e possibilmente armati. Se non lo siete pregate che non vi trovino e muovetevi silenziosamente.
Cinque banditi hanno catturato una Quarian sotto a un ponte. La stupreranno per tutto il tempo che il suo fisico regge, le ruberanno i pochi averi che ha e poi la lasceranno ai cumuli di cadaveri delle Seppie.
Non posso andare a salvarla. Ho un altro obbiettivo. Devo pensare a me.
Regola numero quattro: i ricordi sono importanti. I nomi sono importanti. E’ importante saper seguire gli indizi che ci danno.
Capisco chi è proprio quando stavo per passare oltre. Blocco l’auto sul posto e raggiungo i bastardi correndo. Non ci vado leggero visto chi è la loro vittima. Mi bastano due minuti e inoltre…è buio. Sono io il favorito.
E’ un po’ acciaccata. L’aiuto a rialzarsi e a uscire dall’ombra. Prendo anche le sue cose. Ci manca solo che passi qualche altro sciacallo.
“Grazie”, mi fa in tono gentile, ma provato.
“Non ringraziarmi. Nessuno lo fa mai”, gli rispondo mentre l’aiuto ad appoggiarsi su una roccia e a chiudere una breccia nella tuta.
“Invece devo”, continua lei con ancora più dolcezza nella voce, “Se non fosse stato per te sarei morta”
“Peggio”, dico in un soffio appena udibile;
“Come?”, chiede lei sporgendo in avanti la testa;
“Niente”, concludo scuotendo la testa in diniego.
Poi la guardo. Era lei, non c’erano dubbi. Sebbene il volto fosse celato dal casco avrei distinto i suoi occhi anche attraverso il più spesso dei vetri.
“Chi sei?”, mi chiede con curiosità e mentre fa una smorfia di dolore a causa del medigel che stavo applicando prima di richiudere la tuta.
Rispondo sempre senza tralasciare emozioni. Probabilmente le devo aver perse o dimenticate: “Un sognatore. Dove gli altri vedono morte e desolazione io vedo una possibilità”;
“Come gli avvoltoi”, afferma lei. Non è strano che li conosca. Bloccati sulla Terra da chissà quanto alcune cose si imparano.
La fisso per qualche secondo poi le chiedo titubante: “Ce l’hai un nome?”;
“Il nome è qualcosa di importante oggigiorno…Mi piacerebbe conoscerlo”, afferma con un velo di tristezza.
Prendo una foto dalla stessa tasca di quella dove ho riposto l’immagine sbiadita di Shepard e gliela porgo.
La guarda stupita. In quel piccolo pezzo di carta c’è lei con un braccio attorno alle spalle di una donna Umana e insieme fanno scontrare dei bicchieri in un brindisi. Sotto una scritta sbiadita dalla polvere: “A Rannoch riconquistato! Tienila tra i tuoi ricordi Tali. Con affetto, Shepard”;
“Buon compleanno”, affermo, come sempre, senza espressività.
Lei mi guarda stupefatta. Non riesce ad esprimermi la sua gratitudine.
Prendo le mie cose, gli do le spalle e inizio ad allontanarmi.
“Ehi…”, mi richiama lei mettendosi in piedi e nascondendo una piccola fitta di dolore.
Regola numero cinque: niente addii o arrivederci.
“Ricordati di me”, dice elargendomi un grande sorriso dietro al casco e salutandomi con una mano.
Ricordati di me.
E’ così che ci si saluta in questo mondo.
Un mondo diverso da quello che tutti voi conoscete.
Un mondo che avete dimenticato. Ma che vi seguirà sempre.
Come un'Ombra.
 
 
 
 
 
  
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