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Autore: solosilenzio    12/09/2013    24 recensioni
Quattro volte in cui Isabelle ha cercato di dire "ti amo" a Simon (e una in cui c'è finalmente riuscita).
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«Non credevo sarebbe stato così difficile, sai? Sembra una frase fatta ma sembra tutto facile finché non provi. Poi lo fai e vorresti colpirti ripetutamente, senza sosta, perché non puoi essere così ingenuo. Diamo tutto per scontato. È incredibile.» Isabelle lo ascolta, la testa leggermente reclinata e uno sguardo indecifrabile. Lei no, non è un libro aperto.
Poi sospira e gli si fa più vicina, giusto per «Mi dispiace.» sussurrargli.
E dispiace anche a lui, non dovrebbe? La sua vita è un totale casino adesso e non sa, proprio non sa cosa dire.
«So di avere te.» dice soltanto. E forse questa frase non ha nemmeno un senso, risponde lo sguardo interrogativo di lei, ma non importa.
[Sizzy con accenni Malec/Clace ~ Spoiler CoLS; ambientata in un ipotetico CoHF]
Genere: Demenziale, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Izzy Lightwood, Simon Lewis
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore: solosilenzio
Fandom: Shadowhunters/The Mortal Instruments
Titolo: The simple answer is never what it seems.
Personaggi: Isabelle Lightwood; Simon Lewis  (Jordan Kyle, Alec Lightwood, Clary Fray, Jonathan C. Morgenstern/Sebastian, Maia Roberts, Magnus Bane, Jace Herondale/Lightwood)
Coppie: Isabelle/Simon; accenni Alec/Magnus – Clary/Jace
Tipologia: One-shot
Genere: Demenziale, Romantico, Fluff
Rating: Verde
Avvertimenti: Spoiler CoLS; ambientata in un ipotetico CoHF
Introduzione: Quattro volte in cui Isabelle ha cercato di dire "ti amo" a Simon (e una in cui c'è finalmente riuscita).
NdA: Premetto che questa idea è nata dal mio immane desiderio di vedere Isabelle dar retta a quello che tutti le hanno praticamente consigliato: perché non confessi i tuoi sentimenti a Simon? E, gente, se non si decide lei, ci penso io, no?
Può risultare a tratti demenziale, a tratti angst e i pov si alternano più dei fidanzati di Taylor Swift., ma non è solo una vostra impressione. E spero vivamente di non essere caduta nell’OOC.
(Il titolo è tratto da Search & Destroy dei 30 seconds to mars. E avevate dubbi?)
Le recensioni sarebbero gradite, sia negative sia positive.
Enjoy!
Disclaimer: I personaggi sono proprietà di Cassandra Clare, non ricavo un fico secco da questo scritto e… il resto lo sapete.

 
 
The simple answer is never what it seems.

 
#1. È’ un bussare frenetico quello che risveglia Jordan da uno dei sogni più tranquilli che probabilmente abbia mai fatto, eppure sembra non farci poi così caso quando, scocciato, apre la porta e lascia passare un’arrabbiata Isabelle dai capelli lisci e morbidi sulle spalle. Giusto il tempo di arrabbiarsi anche lui e di prendere coscienza del mondo, si intende.
«Okay, dimmi che non hai bisogno di tequila e conforto perché non sono proprio dell’umore, dato che, sì, potrei anche essere abituato a dormire un giorno no e l’altro pure, ma dubito di voler intraprendere una di quelle conversazioni da confidenze e treccine alle quat-» parole recise, è tutto quello che questa ragazza gli concede, prima di «Per l’angelo, vorresti stare zitto anche solo per un secondo?» replicare. Ed è una  richiesta semplice, secca, lineare o qualsivoglia, a quanto pare.
Bè, nemmeno Jordan ha voglia di perdersi in convenevoli, specialmente non quando le sue coperte lo attendono come il migliore degli abbracci. Non ne sente il bisogno, poi, anche perché «Non potevo di certo sfondare la porta, non è educato.» aggiunge quella con ovvietà. E, seriamente, lui non ha nemmeno capito di cosa stiano parlando, ma annuisce pure.
«Sai qual è la stanza allora.» ribatte ovvio. La sua presenza non è più richiesta, o sbaglia? Tanto meglio, pensa e trotterella felice fino alla sua stanza, giusto in tempo per udire un «Coglione» che non può certo dirsi sussurrato.
 
Isabelle, rimasta sola, si appoggia al tavolo della cucina e - non di certo in precario equilibrio come qualsiasi altro essere umano di sesso femminile o essere umano e basta - si sfila gli stivali a tacco alto che non farebbero che svegliare Simon, sicuramente intrappolato in uno di quei incu-sogni degni di una soap opera argentina. Non che lei sappia cosa effettivamente sia, una soap opera argentina, ma Simon ha cercato di spiegarglielo e questa constatazione suona dannatamente bene. Tutti i mondani sembrano dirlo in continuazione e chi è lei per non aggregarsi?
Ma perché sto pensando a queste scemenze? È davvero così stupida come Alec dice?
Alec. Ecco il motivo per cui ha deciso di lasciare l’Istituto in piena notte senza riflettere per più di un attimo. Suo fratello, proprio quello che in preda alla collera le aveva affibbiato tutte le sue parole più infime. No, quello non era lui.
«Sei così stupida da farti abbindolare dai tuoi stessi sentimenti, Isabelle.» Da quale pulpito, avrebbe tanto voluto rispondere, ma non lo aveva fatto. Aveva preferito digerire l’amaro e restarsene con quella spiacevole sensazione d’incompletezza. D’incoerenza, quasi.
Suo fratello non capisce quanto sia difficile amare, fidarsi, per lei. Non ha la minima idea di cosa significhi stringere i denti e credere che l’amore non sia l’incognita pronta a risolvere il problema di turno. Sarebbe tutto così facile, non è vero? Ma è il problema in sé, l’amore. E non sa come uscire da questa situazione, ha così tanta paura che ha dovuto mollare tutto, quella notte, perché anche solo una parola in più sarebbe stata in grado di distruggere la sua corazza.
Come poteva pensare che non avesse bisogno di lui? Simon.
Era questo che le aveva detto Jordan, dopotutto. E lei quasi non ci aveva creduto.
Eppure aveva sempre desiderato essere quella persona: ostacoli, strade interrotte, prove e sfide. Nessuna dipendenza o legame, perché amare è distruggere. E forse è questo che Simon sta facendo con lei: distruggerla. Ma non vuole crederci, è stanca. E i suoi pensieri sembrano somigliare ai fuochi d’artificio del 4 luglio, gli stessi che proprio lui le ha fatto vedere.
«È la giornata dell’indipendenza americana. » le aveva detto. «Una tra le feste mondane più significanti, non credi? È dove sta la libertà.» E lei si era lasciata cullare dai fuochi che sembravano decorare e spezzare allo stesso tempo il cielo ormai grigio, felice di assaporare questa libertà anche se solo sulla punta lingua.
Ed è ancora alla libertà che pensa quando apre la porta della stanza di lui; continua a viverle dentro anche quando, senza far rumore, si avvicina al suo letto e gli lascia un bacio lieve sulla tempia.
Sposta quasi impercettibilmente le coperte e vi si rifugia sotto, la spalla di Simon come un ancora più volte esplorata. E adesso sa cosa vorrebbe dirgli, ma lui sembra intercettare la sua presenza e niente sembra avere più senso se non quel piccolo cenno di vita che le avvolge la vita. E «Izz? Che ci fai qui?» le chiede quasi in un sussurro impercettibile, gli occhi semi-chiusi come a volersi proteggere da un eclissi che non aveva previsto.
«La mia camera stanotte non sembrava poi così comoda. Ti dispiace?» gli chiede titubante, come se non fosse poi così sicura delle sue azioni, adesso che è così vicina ad una risposta.
Ma «No, non mi dispiace affatto.» risponde lui ed è un’ondata di nonsabenecosa  che l’avvolge, un calore estraneo eppure così dannatamente familiare.
Ed adesso sarebbe così facile parlargli. Dirgli cosa prova: un ti amo senza più ritorno; un biglietto di sola andata. Lasciare andare tutto e non riprendersi nulla.
Ma Simon sta già dormendo e – forse – ha già perso il volo.
O almeno, stanotte.
 
#2. Uno squillo. Un altro ancora. «Perché diavolo non risponde?»
Clary. Clary, ti prego. Rispondimi. È una litania continua, ma non accenna a smettere.
«Simon, respira. Avrà il cellulare staccato, non per forza deve esserle successo qualcosa. Vedrai, ti chiamerà lei stessa.» è Isabelle, intenta ad accarezzargli il polso dove un tempo il suo battito si sarebbe fatto sentire, prepotente e irregolare. Eppure è come se il cuore gli stesse uscendo dal petto, lo sente. Non può accadere, ma è come se lo stesse effettivamente facendo e non sa se preoccuparsi o meno, ma in alternativa lo fa comunque.
Jace non è più all’Istituto, Luke e Jocelyn non hanno notizie di Clary dalla sera precedente e tutto sembra essere così dannatamente sbagliato che non ha nemmeno il coraggio di chiedersi se non lo sia anche lui.
Ha questo terribile presentimento, come se un filo invisibile fosse stato tagliato e- non crede di poter reggere a lungo con le mani in mano, ecco. Non può non fare nulla, è della sua migliore amica che si parla qui. La sua migliore amica che, viste le circostanze, potrebbe o non potrebbe essere in pericolo.
«Non è così, Isabelle. Non è così!» quasi urla. E se ne pente quasi simultaneamente perché che diritto ha lui di parlarle così? Sta solo cercando di tranquillizzarlo. Ma non è come sembra, lui sa. Lui lo sente. «Scusa, scusami.»
«La troveremo, okay? A tutti i costi.» intreccia le dita della mano destra con le sue e gli sfiora la guancia quasi impercettibilmente con l’altra, a raccogliere residui di lacrime che non sono più pure. Sangue. Sangue, ovunque.
«Io non riesco nemmeno a pensare all’eventualità che lei- che-» come ha fatto a non pensarci prima?
Un sospiro, perfettamente inutile, eppure è come se avesse già messo tutto in chiaro.
«Sebastian.» Quel figlio di puttana.
E «Sebastian.» ripete; in corpo la forza di mille demoni; rabbia indomabile. Corre come se non vi fosse più tempo a domare le lancette del suo orologio.
«Sim- Simon, aspetta!» e sa chi lo sta seguendo, è sempre lei. Chi altro? Dovrebbe ringraziarla, ma non ce la fa. Non riesce a fare nulla, se non a correre ancora più forte di prima.
«Dove stai andando?» non accenna a volerlo lasciare, lo segue senza fatica. Sono orme; orme parallele.
«Ad uccidere quel bastardo.» ed Isabelle avrà sicuramente capito che fa sul serio, che non intende lasciar correre.
La pagherà, una volta per tutte.
 
Qualche livido, ammaccatura  e ora – perché adesso il tempo sembra aver ripreso il suo corso - dopo, sono seduti sulle scale del Pandemonium, dove sapevano avrebbero trovato un po’ di pace. Il pub è chiuso e nessun rumore sembra intervallare i respiri di Isabelle.
Simon, d’altra parte, fissa la strada dinanzi a sé, dove tutto ha avuto inizio; dove lui e Clary avrebbero detto per sempre addio alla tranquillità di una tazza di caffè e di un videogioco da quattro soldi sul divano di casa propria.
Ma lei adesso stava bene, era al sicuro con Jace, dove nessun altro avrebbe potuto farle del male. Forte come sempre, forse ancora scossa da qualcosa che credeva essere più grande di lei.
«Non credevo sarebbe stato così difficile, sai? Sembra una frase fatta ma sembra tutto facile finché non provi. Poi lo fai e vorresti colpirti ripetutamente, senza sosta, perché non puoi essere così ingenuo. Diamo tutto per scontato. È incredibile.» Isabelle lo ascolta, la testa leggermente reclinata e uno sguardo indecifrabile. Lei no, non è un libro aperto.
Poi sospira e gli si fa più vicina, giusto per «Mi dispiace.» sussurrargli.
E dispiace anche a lui, non dovrebbe? La sua vita è un totale casino adesso e non sa, proprio non sa cosa dire.
«So di avere te.» dice soltanto. E forse questa frase non ha nemmeno un senso, risponde lo sguardo interrogativo di lei, ma non importa.
Non ha mai creduto di poter amare un altro essere all’infuori di Clary, ma poi è entrato in quella cucina e questa ragazza lo ha colpito dritto al petto. Né con un pugno, né con tacchi a spillo. Lo ha fatto e basta. E niente è sembrato più giusto.
Forse gli ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma adesso lo sa: se accetta di essere quel che è – non senza alcuna difficoltà – è perché a lei va bene così.
Stavolta è lui ad avvicinarsi, poggia le labbra sulle sue solo per poco più di tre secondi e il messaggio è chiaro, lo legge nei suoi occhi. «Simon, io-» ma lui scuote la testa.
«Va bene così.»
E forse non ha capito un bel nulla.
 
#3. «No, adesso voglio capire se sei serio o se hai un deficit di natura mentale.»
«Maia, calm-» round 1, è il turno di Isabelle.
«Ah, io dovrei essere il malato di mente tra i due? Andiamo bene!» colpita e affondata.
«Jordan, non mi sembra il caso.» round 2, Simon. Aspetta il punteggio e-
«Sai cosa ti dico? Io me ne vado. E non provare a seguirmi perché giuro che ti ficco questo stivale su per il-» Isabelle, round 3, fa in tempo a coprirle la bocca.
Non sembrerebbe, ma questo, mezz’ora prima, era un semplice appuntamento a quattro. Non che gli appuntamenti siano mai stati facili, specialmente quando una delle due coppie è formata da lupi mannari in piena crisi ormonale. E, giusto per essere precisi, gli ormoni non sembrano essere a loro favore. Non proprio. Non stasera.
Il fatto è: hanno occupato con le migliori intenzioni un tavolo da Taki, hanno perfino preso in mano un menù a testa, niente di complicato, giusto? Ma poi- poi Jordan si è lasciato andare ad un commento piuttosto maschilista barra cliché come “perché non prendi quello che ti capita a tiro? voi donne siete così sofisticate anche nelle cose più semplici.” e boom, è scoppiata la guerra.
Gli altri due hanno anche provato a fermarli, ma il risultato non è stato dei migliori, tendono a notare. Specialmente quando Maia si libera dalla morsa di Isabelle con quella che non si può proprio definire leggiadria ed esce furiosa dal locale. Ottimo.
«Che cosa avrò mai detto di male?» sbuffa un Jordan particolarmente frustrato, prima di guadagnarsi anche lui l’uscita.
«E se lo chiede pure.»
 
Pagato il conto – di tutti e quattro, Simon preferisce specificare, grazie tante - a entrambi non resta che eleggere la serata come uno dei fiaschi più epocali della storia.
Non bisogna di certo dar loro torto, specialmente non quando si ritrovano a passeggiare per le vie di una Brooklyn senza meta, perlopiù attorniati da una spiacevole sensazione di imbarazzo che non accennava a disintegrarsi tra i camini delle innumerevoli case che sembravano fissarli critici.
Simon voleva prenderla per mano, baciarla magari, ma tutto sembrava essere fuori luogo, perfino il più superficiale dei gesti. Quindi si era arreso all’evidenza e aveva lasciato che tutto andasse come doveva andare. Ovvero male, particolarmente male.
Eppure Isabelle, ad un certo punto, si era fermata dinanzi ad una scuola abbandonata – non senza un pizzico di inquietudine da parte di Simon: come faceva a saperlo? – e aveva tirato fuori dalla sua borsetta il suo stilo, il quale le aveva permesso di aprire un portale e raggiungere Central Park tra un battito di ciglia e l’altro.
Avevano preso posto su una panchina particolarmente confortevole e si erano fermati ad osservare la natura circostante, un quadro ancora incompleto, ma dai colori perfettamente tiepidi e caldi, a contrasto con il clima autunnale che portò la ragazza a stringersi tra le proprie braccia.
Simon se ne accorse solo in seguito, attento com’era a catturare quel teatro di mille avventure che avevano visto lui e sua sorella come protagonisti. Ricordi d’infanzia. Di una vita che sembrava più non essere la sua.
Fu così che si sfilò la giacca e gliela sistemò sulle braccia, delicato. Un’eleganza innaturale a cui ancora non si era abituato che avvolgeva i suoi gesti come una patina.
«Grazie.» gli disse con un lieve sorriso a contornarle le labbra, piuttosto simile a quello che cercava di nascondere a casa di Magnus poco tempo prima come se non volesse essere scoperta.
«Figurati, sai che non soffro il freddo. Chiamala pure questione di stile.» e un po’ era vero, se non fosse che aveva precisamente pensato a questo ipotetico momento della serata, ma non giudicatelo.
Dopotutto era un mondano - un semplice mondano -  non si può cambiare tra capo e collo. E poi, è un romanticone senza speranza. È forse una colpa?
«Mi dispiace che la serata sia andata così. Quei due non sono perfettamente compatibili, eppure scommetto che siano già in procinto di fare pace. Meglio non pensarci.» affermò Isabelle con non poco disgusto.
«Oddio, non sul mio letto. Li uccido.»
«Sei sempre così fatalista. Al massimo dovrete cambiare divano, sii positivo.» ribatté lei. Espressione impagabile.
E lui proprio non voleva pensare a quella terrificante eventualità. Non voleva pensarci.
«È un vero peccato che tu non possa entrare in casa mia, comunque.» sussurrò suadente, intenta a riscuoterlo dai suoi pensieri.
 «Eh?» ecco, era decisamente andato.
«Dicevo che è un peccato che tu non possa entrare in casa mia, ma mi ascolti?» alzò gli occhi al cielo, ovvia e non poco divertita. Dopotutto stava solo scherzando prima, che imbecille!
«No, ma sto ascoltando adesso.» rispose avvicinandola a sé senza tante cerimonie.
Non era necessariamente un bacio innocente, anzi: non lo era per nulla, ma casto o sporco che fosse sentiva il cuore di Isabelle quasi sfondare la sua cassa toracica: una ninna nanna che avrebbe potuto svegliarlo e tranquillizzarlo allo stesso tempo.
Baciarla era un controsenso. Era calma e fretta, pioggia e fuoco.
Avrebbe voluto continuare così per ore, ma a differenza sua, Isabelle necessitava di riprendere fiato, così si stacco e, le accarezzò le braccia coperte di cicatrici, segni di una forza indomabile. «Sei bellissima.» le disse.
«Vuoi che ti risponda che ne sono consapevole o che arrossisca come quel film di Nicholas Sparks che mi hai fatto vedere il mese scorso? Perché non so se sono capace, sai.» replicò lei, sollevando un sopracciglio compiaciuta.
«Puoi anche stare zitta, se preferisci.» e riprese a baciarla, come se avesse tenuto a mente i secondi che lo separavano dalle sue labbra.
Stavolta è una chiamata ad interromperli. Clary, legge poco dopo sullo schermo del suo android.
«Ti disturbo?» le sente chiedergli.
«Oh, non affat- sì, decisamente. Che ti serve?» risponde, la risata felice di Isabelle a riempirgli le orecchie.
«Niente di urgente, mascalzone. Posso anche chiamare più tardi!»
«Esatto, “più tardi” è la soluzione!»
«Sei uno stronzo.» e non è nemmeno offesa quando riattacca, buon per lei.
«Particolarmente galante, eh?» gli chiede scettica Izzy.
 
«Impaziente è più appropriato.» fa per riprenderla tra le braccia, ma lei sembra essere più veloce di lui quando lo schiva con un movimento rapido e furbo. «Prima voglio dirti una cosa» gli dice.
«Dimmi. Sono tutto orecchi.» e lo è davvero. Che sia questo il momento?
Lei, in risposta, si fa solo più seria e lo imprigiona tra le sue braccia. Trascorre qualche minuto senza che lei abbia detto qualcosa, come a prendere tempo e «Puzzi da morire.» dice.
Ah.
 
#4. «Sean?» gli chiede un Magnus stanco e irritato. «Che ci fai a casa mia alle due del mattino?»
«Simon» ribatte irritato «mi chiamo Simon. E lo sai.»
«Come ti pare. In ogni caso, Isabelle sta dormendo, quindi non vedo l’utilità della tua visita. Se non ti dispiace» ma blocca la porta prima che Magnus possa rinchiuderla alla sua spalle e si intrufola dentro casa senza troppe cerimonie.
«Si chiama effrazione, questa. Diamine, che vuoi?» sospira lo stregone. Sembra non volergli nemmeno dare ascolto e, okay, forse non lo ha mai amato ma adesso sta esagerando.
È così che lo osserva circospetto e nota come a contornargli gli occhi vi siano delle terribili occhiaie, pozzi infiniti di pelle lontana. Persino lo sguardo non è dei più rassicuranti. Vacuo. Vuoto. Deve assolutamente esserci qualcosa che non va.
«È stata Isabelle a chiamarmi, sono venuto appena ho potuto.» ribatte. Cosa crede? È stanco anche lui, e di non certo non ha intenzione di tornarsene a casa propria così, senza aver resa nota la sua presenza a Isabelle. Isabelle che lo aveva chiamato. Isabelle che aveva bisogno di lui e di nessun’altro.
«Allora cosa aspetti?» gli chiede Magnus, disgustato. «Perché non vai dalla tua amata se è questo quello che vuoi?» scuote la testa. «Amore. Amore. Amore. A cosa diamine serve? Assolutamente a nulla[1], te lo dico io, ragazzo. Ti farà solo diventare più debole di quando tu non sia già. Quindi, fossi in te, me ne andrei. Correndo.»
«Parli come un disperato, lo sai?» e Simon potrebbe anche non credere in nulla nella sua vita, ma crederebbe comunque a quella frase.  Sa che Alec gli ha spezzato il cuore, lo sa, ma non riesce a capacitarsi del comportamento di quest’uomo. Centinaia e centinaia di anni, per cosa? Per ridursi così? Non lo avrebbe mai capito.
Pensava fosse abituato a tutto, e invece non era così. E se lo era, non lo dimostrava.
«Perché mi parli di amore se hai il cuore spezzato? Sei masochista o cosa? So che Alec non doveva decidere della tua vita, non gli competeva, ma cerca di comprendere anche solo un po’ le ragioni che lo hanno spinto ad una soluzione del genere. Voleva che tu fossi suo: è così terribile?» sospira. «Per la miseria, sembro uscito da un romanzo Harmony.»
«Non ho idea di cosa tu abbia appena detto, ma non sono affari tuoi. Apprezzerei anche l’interessamento, ma credo di non essere propenso. Adesso vai.»
«No, adesso ascolta: puoi anche credere di non amare più quello shadowhunter, ma tu stesso stai dimostrando il contrario. Adesso, per la precisione. Quindi cosa credi di fare? Nulla, per il resto della tua vita? Sei immortale. Esiste il perdono. Non commettere azioni delle quali potresti pentirti, fai la cosa giusta e basta. L’amore- amare non è facile. Non lo è per nessuno, ma è inevitabile. Si fanno scelte nella vita e tu devi fare la tua.»
«Non posso perdonarlo, non così.» si sistema sul divano e gli da le spalle come a confermare la fine della conversazione.
 
Isabelle non ha sonno. Non proprio.
Piuttosto, Isabelle non vuole più mettere piede nell’Istituto né tantomeno colloquiare con chi vi abita.
È per questo che, appena arrivata da Magnus – abbastanza restio a farla entrare in casa, specialmente dopo la rottura con Alec – non ha esitato a chiamare Simon.  Ha bisogno di qualcuno e per quanto la cosa sia rara non può farne a meno. Non della sua compagnia, perlomeno.
Così quando sente sbattere la porta di casa sa che lui è arrivato e magari non dovrebbe sentirsi così, forse non dovrebbe nemmeno esserne felice, ma lo è. Aspetta per quella che le sembra un’eternità ma lui non arriva. Deve essersi sbagliata.
Districa le coperte che la avvolgono come il più pesante dei mantelli e sguscia fuori dalla stanza, facendo attenzione a fare alcun rumore. Ma sente la sua voce, la voce di Simon. Simon che difende Alec, precisamente.
Non riesce a crederci. Si dà un pizzicotto sul braccio ma soffoca un Ouch tra le labbra. E’ più che sveglia, dannazione.
Così sveglia da dover focalizzare tutta la sua attenzione per non farsi scoprire così spudoratamente.
Si avvicina come meglio può al muro che la divide dal salone principale e fa pressione con un orecchio sulla parete ruvida e ricca di increspature. Riesce a distinguere senza fatica cosa stiano dicendo quei due e ad ogni parola, deve frenarsi sempre un po’ di più per non correre tra le sue braccia e ringraziarlo per quello che sta cercando di fare. Anche se non lo sa, anche se lo ha praticamente lasciato solo. Suo fratello.
Con una fitta al cuore si allontana e fa per ritornare in camera, una mano sulla pancia quasi a frenare i crampi che le investono il corpo come scosse di un terremoto interno.
Si accoccola tra le coperte e cerca di nascondere il viso tra di questo, quasi a mo’ di tenda. Così disgustosamente fragile.
Nemmeno sente il ragazzo entrare e avvicinarsi accanto a lei, sembra essere stata risucchiata da un universo parallelo. Un universo a cui l’accesso è stato distrutto.
Lui le scosta una ciocca di capelli per poi deporla dietro l’orecchio destro e può facilmente udire i suoi battiti irregolari scuoterla come un filo spezzato. La prende tra le braccia e aspetta che sia lei a parlare.
«Simon?» biascica.
«Sì?»
Vorrebbe dirgli tante cose, le solite. Quelle che si ritrova a pensare e poi a sopprimere: Grazie per essere venuto qui, da me. Grazie per non avermi abbandonata. Ti amo. Vorrebbe dirle tutte.
Ma «Stringimi più forte.» risponde.
 
#5. «Stiamo seriamente avendo questa conversazione?» chiede Isabelle, particolarmente fuori di sé e con i nervi a fior di pelle dato che vorrebbe - tranquillamente - sbranare Clary che, prepotente, le blocca il passaggio, forzandola a contare fino a novecento due fino alla fine dei suoi giorni. Così, giusto perché le va.
«Sì, stiamo seriamente avendo questa conversazione. Non riesco a soffrirvi, tu e quell’energumeno di dubbia specie. Sembrate dei conigli in prognosi riservata pronti a saltarsi addosso ad uno schiocco di dita. Raccapricciante.» mormora.
«Dio, adesso vuoi fare il consulente matrimoniale? Tu?»
«Ne sarei capace, ma no. Non è il mio obiettivo. Senti, Isabelle, per quanto mi dispiaccia dirlo, ho potuto testare a carne viva che i sentimenti non sono oggetti da collezione: non puoi disporli su una mensola e starli a guardare finché non sono impolverati da far schifo. Togli questa cavolo di polvere, parlagli e smettetela di fare i picci pucci pu frustrati. O giuro che mi acceco con una forchetta da bistecca.»
«Picci pucci che?»
«Dio, come sei antiquata.» alza gli occhi al cielo, esasperata, quasi a non voler credere alle sue parole.
«Clary, potresti farmi uscire?» prova.
«No.» Novecento un- «Non finché non ti arrendi.»
«Non lo farò mai.»
«Perfetto, lascia che te lo portino via sotto i tuoi stessi occhi. Continua così!» ribatte la rossa. Fa una piroetta particolarmente sgraziata e le lascia libera il passaggio. «Sappi però che io ti avevo avvertita.» canticchia prima di sparire in cucina.
Oh, al diavolo.
 
«Simon! Simon, apri. questa. dannatissima. porta.» urla quasi, sferzando cinque colpi al secondo sulla porta. Lei lo chiamo bussare, in ogni caso.
Sente la porta aprirsi e «Dannazione! Io ti amo, okay?» butta fuori prima che possa ritirarsi tutto e scappare su per le scale come il suo istinto primordiale le sta imponendo di fare.
«Isabelle, ma che cazz-»
Jordan.
«No, non è come pensi. Non parlavo con te, io non-»
«Dio, menomale. Stavo per sentirmi male.» sospira quasi ad evitare un infarto incombente.  «Proprio non avrei saputo come spiegarlo a Simon!»
«Spiegarmi cosa?» chiede il diretto interessato, un asciugamano ad avvolgergli la vita e un’altra tra le mani, a frizionare i capelli bagnati e freschi di shampoo.
«Che ti ama. Non me, te!» replica Jordan.
«Cosa?»
«Niente, credeva fossi-»
«Jordan.» sillaba Isabelle minacciosa, mentre il precedentemente minacciato si dilegua senza troppi convenevoli.
Adesso rimangono solo loro due, occhi negli occhi e un rossore particolarmente inteso a imperlare le gote di Isabelle. Maledizione, non doveva andare a così.
«Hai detto quello che credo?» chiede in un sussurro Simon, facendosi sempre più vicino. L’asciugamano che teneva tra le mani ridotto ad un informe gomitolo ai suoi piedi. Lo scalcia noncurante e fissa ancora di più lo sguardo nel suo. «Oppure sei follemente innamorata di Jordan ed io non lo sapevo?»
«Ti sembro così disperata?» constata ovvia.
«Quindi non saresti disperata se invece fossi innamorata di me?»
«Non più di tanto, no?»
«Farò finta di non aver sentito.»



[1] "love, love, love: what is it good for? absolutely nothing."
skins; episode 7 season 2.
   
 
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