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Autore: LaMicheCoria    14/09/2013    3 recensioni
La prima cosa che ti insegnano è che l’aldilà, allo S.H.I.E.L.D., ha le porte girevoli. Consiglierei loro di cambiare portiere, perché deve essere davvero sbronzo perso.
Io l’ho visto il cadavere di Coulson, all’obitorio.

[Post-Avengers] [Clint/Coulson] [Ad Alley]
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono
Ma sono di proprietà della Marvel ©
 

 

 

 

 

 

 

!Attenzione!

 

La storia contiene riferimenti e citazioni alla testata regolare di recente uscita (Tre numeri) dedicata ad HawkguyHawkeye, riconoscibili da codesto segnalino -> (*) (La canzone iniziale, ad esempio, fa parte della Soundtrack proposta per il numero di questo mese)
Se ve lo state chiedendo…Sì. E’ un obbligo cordiale invito a seguire quella serie.
Peace, arrow and love, people!

 

 

 

 

 

 

 

Alla mia fedele mogliaH Alley
Con tanto ammmmoreH.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Funky Miracle

Sottotitolo:
Come fu che Clint Barton comprese
 Che allo S.H.I.E.L.D. dovevano
Cambiare portiere.

 

 

 

 

 

Okay, si mette male. (*)
Mi chiedo come sia possibile che le mutande sul divano siano diventate tanto appariscenti e soprattutto quando la colazione di martedì scorso abbia messo le zampe.
…Aspetta, ma di quanti scorso sto parlando?
La persona sulla soglia di casa tossisce con fare molto educato, ricordandomi che forse non sono i peli di Freccia (*) sparsi un po’ dappertutto, né la muffa semovente che guarda Dog Cops(*) da un cartone di pizza più in là il problema, bensì la presenza di un redivivo Phil Coulson che si pulisce compitamente le scarpe sul tappetino d’entrata.
La prima cosa che ti insegnano è che l’aldilà, allo S.H.I.E.L.D., ha le porte girevoli. (1) Consiglierei loro di cambiare portiere, perché deve essere davvero sbronzo perso.

Io l’ho visto il cadavere di Coulson, all’obitorio.
Era tanto freddo da assomigliare a Capitan America nel suo peggior momento no, tanto rigido da essere più o meno come uno di quei cibi precotti che si ingurgitano davanti alla TV.
Mi sveglio ancora urlando, la notte, sudato anche nelle ossa, impregnato di gelida disperazione fin dentro il midollo.
«C’erano strani tipi dal citofono.» mi avverte Coulson, avanzando circospetto per evitare un osso di gomma smangiucchiato e sbavato –Ovviamente, io non gli ho detto di accomodarsi: è entrato basta, cordiale e gentile, ma ferreo, proprio come ha sempre fatto, in ogni occasione. Come ha fatto anche con la mia vita. «Mi hanno chiamato bro»
Un ghignetto mi sosta divertito all’angolo destro delle labbra: glielo indirizzo senza tante cerimonie e chiudo la porta con un cigolante clang, ignorando l’occhiata curiosa di Simone(*) dall’altra parte del corridoio.
«Quanti?» gli chiedo e nel mentre calcio via con innata grazia e superba eleganza una camicia spiegazzata, chiazzata di sangue rappreso e bile giallognola.
«Tre»
«Tre
«Sono fuori allenamento.»
«Colpa del rigor mortis
Naturalmente, non mi stavo riferendo al numero degli scagnozzetti di Ivan(*) appostati sul marciapiedi. Da qualche tempo me ne spedisce sempre e solo tre, sempre e solo vestiti di un’inguardabile tuta rossa, sempre e solo armati di una mazza da baseball –Meglio quelle di un M-16, eh.
La mia domanda era riferita al tempo impiegato per stenderli tutti col taser. Di solito Coulson ci mette la metà del tempo, ma perché di solito gli saltano addosso sempre e solo quando mancano cinque minuti all’inizio di Supertata.
Loki avrebbe dovuto informarsi meglio sul palinsesto terrestre, all’epoca. Magari le cose sarebbero andate diversamente e io non mi ritroverei qui, oggi, a guardare con occhi fessi il mio non più deceduto superiore lustro di lavanderia, giacca e pantaloni scuri, camicia bianca e cravatta blu metallizzato a strisce diagonali bianche bordate di nero; il cinturino dell’orologio mordicchia lucido la luce greve dell’appartamento, gli occhiali da sole sono rigorosamente tenuti in una tasca nascosta del completo.
E comunque…
Uno a zero, palla al centro per Clint Occhio di Falco Barton.
Il pubblico si alza in una standing ovation.
Freccia, acciambellato nella cuccia, solleva il muso e mi guarda, emettendo una sottospecie di sbuffo rantolante tra le gengive di carne ballonzolante.
Ti pareva che il cane non sarebbe stato subito dalla parte di Phil.
«E così…» Coulson intreccia le dita dietro alla schiena, il sacchetto di plastica che spenzola dalle falangi piegate e colpisce ripetutamente il retro delle ginocchia «Mi hanno detto che ti sei trasferito qui, da un paio di mesi.»
Il suo sguardo vaga sulle pareti sciancate, il pavimento graffiato, il divano, l’arco del paleolitico sopra di esso e il decoder collassato sul parquet, in un mastodontico groviglio di cavi che, ne sono sicuro, sfida qualsiasi legge fisica; poi c’è l’alta lampada col paralume quadrato, la libreria ingolfata di volumi smangiati dalle tarme e straripante di fascicolame in disordine, il telefono a fili, le tende bucherellate e il tintinnio delle stoviglie dall’angolo cucina.
Non ci sono fotografie. Da nessuna parte.
Di quelle non ne ho bisogno.
Rogers ne ha appese talmente tante nel proprio alloggio alla Tower da bastare anche per me. È un brav’uomo, ma non voglio finire come lui, inchiodato, crocifisso a ricordi istantanei in seppia o in bianco e nero.
«Come hai fatto a trovarmi?» gli domando e la stizzita curiosità con cui mi rivolgo a lui è più che lecita.
E’ da un anno e mezzo dalla sua oramai presunta dipartita che non mette più piede nel posto dove abito, auto-elevandosi alla carica di coinquilino ad ore alterne, nonché massaia e arredatore personale.
Forse per questo lo stile della mia nuova sistemazione fa tanto…Decadente senza ramazza.
«Non l’abbiamo mai persa, Barton.» un sorriso di circostanza e quel lei tra capo e collo non mi piace affatto.
Non è leale rientrare dalla porta di servizio nell’esistenza di qualcuno per poi barricarsi come un bambino cocciuto dietro la porta dello scantinato. Non vale erigere una barricata. Non è permesso. O mi affronti a viso aperto o---
«Ero a distanza. Ho…Agito quale Agente Fantasma per conto del Direttore Fury, “vegliando” su di lei perché non si mettesse in pericolo. Non troppo, almeno.»
---Oh.
Questa non me l’aspettavo.
Anche perché non l’ho mai perdonato per avermi lasciato solo, dopo l’affare Loki. Credo di averlo preso a pugni, anche, tartassando di ganci quel volto bombato dalla morte finché Natasha non è arrivata a tirarmi uno schiaffo nel silenzio, gelandomi con un solo sguardo.
Santa ragazza. Non so dove sarei senza il suo aiuto, ora.
O forse sì, ma le prospettive non erano allettanti neanche allora, quando la depressione era l’unica compagnia insieme ad una sessione quasi ininterrotta di allenamenti al poligono e le bende che Vedova mi avvolgeva senza parlare attorno al polso, i cerotti come tanti anelli sforacchiati intorno alle dita.
È rimasta con me durante la funzione. È rimasta con me quando, il giorno dopo, Capitan America mi ha consegnato le figurine vintage di Coulson –Trattenendo per sé quella incrostata di sangue, quale monito, sprone ed eterno senso di colpa.
È rimasta con me quando il mondo era troppo grande perché lo potessi affrontare con solo qualche freccia a disposizione, cocche spaiate e non segnate dentro una faretra straziata da mille e più missioni suicide, tutte richieste, agognate, pretese con la sola intenzione di non pensare più.
Phil mi osserva e non tradisce un’emozione che sia una, neanche l’aspettativa.
E’ la stolida e solida attesa marchio di fabbrica S.H.I.E.L.D, quella che ti fa stare ritto in piedi anche di fronte ad un patibolo o al nuovo sventra-budella del supegeniocriminaleipercattivo di turno –Anche se non ti aiuta ad affrontare l’ira funesta di Fury quando gli si versa il sale nel caffè. E se ve lo state chiedendo, sì, ne è valsa la pena.
Mi porto una mano alla nuca ed evito di guardarlo in faccia.
«Cosa vuoi?»
Il lato negativo di vedere ogni cosa è che non mi riesce in alcun modo di ignorare la maniera in cui Coulson serra le labbra, deglutendo pesante un nodo deluso di rassegnazione.
Vorrebbe che si tornasse ai vecchi metodi, lo so. Che si ricominciasse alla vecchia maniera.
Ma se avessi voluto i vecchi metodi o la vecchia maniera, se mi fosse stato possibile dimenticare il bagliore grigiastro della sua salma, la pelle incartapecorita, il cerchio violaceo dell’orbita…Allora sarei rimasto nel mio vecchio alloggio o mi sarei trasferito alla Stark Tower, accogliendo l’invito di Iron Man. Non avrei accettato il contratto da mastino offertomi da Ivan per questo locale a Bedford-Stuyvesant(*), dove la gente non poteva riconoscermi, dove il passato non poteva trovarmi –Dove non poteva raggiungermi nemmeno il rimpianto.
«Parlare, Barton»
Sta decidendo se continuare sulla falsa e professionale riga del lei oppure patteggiare per un tu meno distaccato, più accondiscendente.
Io, di certo, non intendo aiutarlo.
«Puoi parlarmi alla riunione, no? Fury ne starà già organizzando una. Saranno tutti commossi, probabilmente Capitan America sarà tanto fuori di sé da autografarti anche la biancheria intima se glielo chiedi, per cui---»
«Voglio parlare. Da solo. Con te.»
Okay. Si mette molto male.(*)
Freccia latra un Bark! che sa tanto di incoraggiamento a dargli una possibilità, un incentivo a non sbatterlo fuori di casa per poi abbandonarmi a gambe incrociate sotto la libreria, sfogliando e scartabellando rapporti di vecchi missioni fino a farmi sanguinare i polpastrelli, ricordando vecchi aneddoti e vecchie notti intessute di sussurri fino a farmi sanguinare gli occhi.
«Cosa ti fa credere che abbia voglia di ascoltarti?»
Phil Coulson fa quella cosa. Quella cosa che non è proprio un sorriso, più un divertito arricciolarsi della bocca, l’espressione di chi sa di averti in pugno, ma vuole comunque concederti l’illusione di una via di uscita.
Solleva il sacchetto di plastica e inarca saputo il sopracciglio.
«Ho portato dei biscotti al cocco e ananas.»(2)
Se avessi voluto i vecchi metodi o la vecchia maniera, se mi fosse stato possibile dimenticare il bagliore grigiastro della sua salma, la pelle incartapecorita, il cerchio violaceo dell’orbita…Allora sarei rimasto nel mio vecchio alloggio o mi sarei trasferito alla Stark Tower, accogliendo l’invito di Iron Man. Non avrei accettato il contratto da mastino offertomi da Ivan per questo locale a Bedford-Stuyvesant, dove la gente non poteva riconoscermi, dove il passato non poteva trovarmi –Dove non poteva raggiungermi nemmeno il rimpianto.
Gli regalo un accenno di sorriso.
Ma alla speranza ho sempre lasciato la porta aperta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note Finali

 

Okay. Si mette male è la battuta di apertura di ogni volume di Occhio di Falco. Battuta che costantemente si muta in un Okay. Si mette molto male. Perché Clint Barton e la fortuna vanno sempre d’accordo.
In questa testata Clint vive in un edificio situato nel quartiere di Bedford-Stuyvesant –Edificio poi comprato dallo stesso Clint per toglierlo dalle manacce di Ivan, tipo losco e russo, dedito all’uso improprio del termine “bro”, che faceva il bello e cattivo tempo con gli affittuari. Tra cui c’è una signora con figli a carico di nome Simone.
Nell’appartamento Clint vive da solo, tranne che per un cane ghiotto di pizza di nome Freccia -Di cui il nostro arciere ha deciso di prendersi cura dopo che si sono salvati la vita a vicenda- e Kate Bishop, alias Occhio di Falco, che gli fa da balia e buonsenso.
La descrizione dell’appartamento corrisponde a quanto per ora s’è visto nelle tavole del fumetto, Dog Cops una serie citata all’interno dello stesso.

 

(1)  “L’aldilà alla Marvel ha le porte girevoli” (Stan Lee)
(2) Biscotti offerti da Phil Coulson a Vedova Nera e Occhio di Falco all’interno di MarvelNow!Capitan America #4

 

 

 

 

 

 

 

Mi siete mancati, gente!

   
 
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