Ricordava che fuori il cielo era diventato di un grigio preoccupante, e che la pioggia avrebbe potuto bucare l’asfalto tanta era la sua forza. La camera era nel consueto disordine, ma c’era qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa che mancava. Forse la lampadina in mezzo al salotto? No, quella si era spenta un mese prima, proprio a ricordare che uno specchio incrinato non si può riaggiustare, e che il distruttore deve ricordarsi il danno che ha fatto.
Mancava l’odore di Nina, nella casa. L’odore dei maglioni appena lavati e di quelli chiusi nel sacchetto, di un profumo comprato ad una mercato di Londra che sapeva di lavanda, di capelli bagnati sotto un temporale.
Dov’era andata Nina? Era corsa sotto il temporale  con cuore spezzato e un’anima affranta, decisa a non farlo bagnare dalla pioggia (e dalle lacrime) più del dovuto. Era corsa via lasciando dietro di sé un sapore amaro che niente avrebbe portato via. Sarebbe servito rincorrerla? No, assolutamente.
Ed se l’era chiesto parecchie volte, e non faceva in tempo a rifletterci che la sua voce arrivava in testa, ricordandogli quanto dolore le avesse inflitto. Non l’avrebbe trovata alla fermata dell’autobus, e se l’avesse fatto, lei avrebbe rifiutato il suo ombrello in modo freddo.
Che ne sarebbe stato di Nina? Si era chiesto anche questo. Cosa gli avrebbe scritto, attraverso i testi? Odio? Amore? Delusione? Ma Ed si faceva troppe domande, troppi quesiti dovuti ai propri errori che non avrebbe risolto in una vita intera, se non di più. L’aveva rovinata, giocando involontariamente o meno con lei quando di gioco non c’era traccia.
La pioggia tornava più forte, cadendo obliqua, decisa ad entrare nelle crepe di vecchi muri e di vecchi cuori, pronta ad allagare qualche terrazzo e a bagnarle i capelli.

Le aveva tolto il sorriso, il brio che c’era nell’aria quando entrava nella stanza e gli toglieva il cappello in testa per infilarselo, e molto di più.
L’unica cosa che era rimasta di Nina in casa sua erano i suoi vecchi anfibi,
le Dr. Martens comprate in giorno di pioggia come quello. Nere, scurissime come le nuvole temporalesche, e opache come ciò che l’aveva fatta diventare.
Ed la immaginava sotto la pioggia, bagnata fradicia, con le lacrime che non solcavano la guance (ma direttamente il cuore) e che camminava diritta e senza espressione lungo il marciapiede.



Dicono che Nina Nesbitt sia sparita, che abbia girato l’angolo e preso il primo autobus verso qualunque luogo.
Dicono che Nina Nesbitt sia sparita, che si sia lasciata dietro i suoi anfibi preferiti e la parte migliore di sé.