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Autore: armadilla    16/09/2013    0 recensioni
Song-Fic della canzone "La mia ragazza mena" degli Articolo 31.
Sara e Davide sono una coppia fuori dal normale, perché Sara è una ragazza fuori dal normale, un vero maschiaccio.
Lui romantico e passionale, lei sregolata e un po' matta.
Niente smancerie e sdolcinatezze, solamente il piccolo racconto di due persone che si amano fuori dall' ordinario.
Ps. La storia è divisa in due capitoli che pubblicherò a breve distanza di tempo l' uno dall' altro.
Pps. Recensite in tanti!
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Parte Prima.



La mia ragazza si crede un fuscello, una piuma
Ma fa paura, quanto è dura e forte
Ha una cintura nera con le borchie



Ricontrollai nuovamente l’ orario, impaziente di rivederla. Cinque ore furono davvero estenuanti, questa volta, senza la sua presenza, senza la sensazione di imbarazzo causata dall’ inquietante consapevolezza che mi faceva rabbrividire ormai per la maggior parte della mia giornata: i suoi occhi di ghiaccio che studiavano attentamente ogni mia mossa. Adoravo quei brividi e adoravo sentirmi osservato da lei. Quasi come se ne sentissi il bisogno prorompente. Probabilmente lei non era della stessa mia convinzione, o almeno non lo dimostrava. E come avrebbe potuto dimostrarlo con il caratterino che si ritrovava? Mi ero adeguato all’ habitat naturale che mi creava intorno quando mi stava vicino; mi ero abituato ai suoi comportamenti e di certo esternare emozioni da normale essere umano, invece che da muflone imbestialito, non rientrava fra questi. Finalmente quella benedetta campanella tintinnò all’ impazzata segnando la fine delle sue lezioni. Fui inevitabilmente sopraffatto da una massa incontenibile di studenti, paragonabili ad una mandria di gnu. Ricevetti una marea di gomitate e colpi volontari. Mi sembrò di essere un avversario della Juventus nel bel mezzo di una qualsiasi loro partita. Un ragazzo mingherlino fu spintonato proprio su di me. L’ impatto fu così violento che nonostante la mia stazza mi fece sbilanciare, per poco non caddi a terra. Mi chiese scusa ripetutamente, anche se continuavo a ripetergli di non preoccuparsi, che non era colpa sua. Temei per l’ incolumità di quel povero disgraziato, quando notai che proprio dietro di lui si nascondeva la mia Sara. Non aveva di certo l’ aria di una pulzella bisognosa d’ aiuto, con quelle mani sui fianchi e quell’ espressione furiosa che dilaniava il suo visino dai lineamenti femminili. Diedi un’ occhiata preoccupata al ragazzo: sembrava essersi irrigidito, anzi era proprio una statua di sale... Ecco, l’ istinto di sopravvivenza stava sopraggiungendo su di lui. Avrei voluto urlargli di scappare a gambe levate e correre fino a che non si fosse ritrovato in Siberia, ma non ne ebbi il tempo.
“Tu. Come. Hai. Osato. Sfiorarlo.”
Quella frase non aveva l’ aria di una domanda. Bensì dal tono raccapricciante con cui aveva pronunciato le parole, sembrava più una di quelle minacce che i palestrati protagonisti dei film d’ azione fanno ai cattivi che uccidono una persona a loro cara. Fossi stato nei panni di quel povero malcapitato mi sarei cagato addosso... Lo sconosciuto si voltò lentamente e appena scorse l’ espressione agghiacciante di Sara, gettò un urlo di terrore e fuggì più in fretta che poté. La preda che tenta di salvarsi dal cacciatore. Appena la figura del ragazzo si dileguò, potei ammirare il mio splendido angelo che con delicatezza inesistente gli sbraitava contro su una possibile vendetta imminente. Prima non mi ero accorto che avesse in mano la sua cinta borchiata, da far paura al più virile dei wrestler. Dio, se era bella... Con i capelli biondo cenere spettinati e arruffati sulle spalle, con i vestiti leggermente sgualciti, con gli occhi trasparenti che brillavano d’ ira furente... Rimasi imbambolato a osservarla sfogarsi al vento, incantato, finché dopo un po’ non si ricompose. Sbuffò scocciata, imprecò una miriade di volte e poi si volse a guardarmi in faccia. La sua espressione mutò completamente. Invece di addolcirsi come ogni stereotipo di adolescente di fronte al proprio ragazzo, mi regalò il solito ghigno spavaldo. Mi saltò letteralmente addosso, aggrappandosi al mio collo che già mi doleva. Riuscii a non farla cadere per miracolo, prendendola in braccio come una principessa. Mi fece male, ma ovviamente non lo diedi a vedere. Un ragazzo mollaccione non avrebbe mai avuto il diritto di stare al fianco di uno splendore come lei. Non pesava quasi niente, ma l’ irruenza con cui si avventava poteva nuocere gravemente a muscoli e ossa. Iniziammo a dirigerci al parcheggio dell’ istituto.
“Era ora che queste merde di lezioni mi dessero una tregua!”
“Sei stanca?”
“Mai abbastanza per rinunciare ad un pomeriggio di lotta insieme al mio uomo preferito!”

Sentenziò, sempre con il suo linguaggio da drogata del ghetto che mi faceva impazzire...
“Allora che aspettiamo?”
“Nulla, coglioncello, dai monta e chiudi quella fogna!”

Rise, porgendomi, se si può usare questo termine, con goffaggine il secondo casco della sua fiammante Kawasaki ER6N.


E non mi chiede la fede, un castello, la luna
Lei balla tutta notte, poi la mattina morde
Si mette i miei boxer
E offre cene precotte, bibite bollenti
Bottiglie a cui toglie tappi con i denti
Non m'inganna mai Non va a nanna mai
Mangia panna spray



“Quando hai detto che ritornano i tuoi?”
Biascicai ancora mezzo addormentato, stringendo più forte il cuscino.
“Cazzo ne so... Non mi ricordo nemmeno se hanno detto che tornavano...”
Sentii il letto che si alleggeriva del suo peso. Incuriosito aprii con fatica un occhio e la vidi balzare in piedi e mettersi il primo indumento capitatogli a tiro: le mie mutande. Ebbe per la prima volta la decenza di mettersi anche il reggiseno. Non era proprio una decenza che mi interessava avesse, ma... Tanto era bellissima sia nuda che vestita. La vidi scomparire dietro la porta sgangherata della camera. Con il restante briciolo di lucidità che mi rimaneva in corpo, mi assalì un timore infondato...
“Non dovrebbero lasciarti sola così, senza dirti nemmeno quando torneranno. Non che tu non possa cavartela da sola, ci mancherebbe altro, ma sei pur sempre minorenne. Se non ci fossi io che sto con te cucinando e riordinando un po’, finiresti come una di quelle balenottere americane incinte che invadono il palinsesto di MTV rammaricandosi e piangendosi addosso per l’ unico errore che hanno commesso nella loro perfetta vita da Miss Universo Distorto...”
La vidi ritornare e sedersi, se si può descrivere con questa parola l’ atto di lasciar andare il proprio peso tutto in un solo punto per provocare un tonfo sordo, con una bottiglia di Heineken. Non mi scandalizzai quando riuscì a togliere il tappo della birra con la sola forza della mascella. Ormai non mi scandalizzava più niente. Non parlò, con molte probabilità non mi aveva nemmeno ascoltato, e mi porse un sacchetto con dentro ali di pollo ancora crude.
“Lo sai che queste si cuociono, vero?”
Fece spallucce, da menefreghista quale era.
“Assaggiale, sono buone anche così. Sono come i wurstel.”
Mi abbandonai ad una risata sarcastica. Mi disgustava un po’ il pensiero che avesse davvero il coraggio di mangiare cruda quella carne scadente, però mi sembrava la persona più tenera del mondo in quel momento. Poggiò la bottiglia ormai vuota sul comodino e esasperata disse:
“Ma quanti problemi hai? Adesso ti metti a ridere da solo come un coglione?”
Non le risposi, gettando via quella schifezza di cibo e attirandola a me per un braccio e baciandola con passione. In un primo momento si lasciò andare, ricambiandomi e facendo aderire i nostri corpi. Per un attimo sperai che potessimo riprendere il discorso di quella notte. I miei desideri si frantumarono quando riprese coscienza di quello che stava succedendo. Non mi aspettavo minimamente che stesse al gioco, infatti mi morse il labbro inferiore. Cominciai a perdere qualche goccia di sangue. Dimostravo di essere masochista quando mi veniva in mente di prenderla di sorpresa.
“Non ti azzardare più, brutto idiota. Altrimenti il sangue te lo faccio uscire da qualche altra parte”
Nonostante il dolore, continuai a ridere di gusto. Dio, se era bella...
“Io c’ho fame! Se non vuoi mangiarti quelle, non mangi.”
Si congedò per un paio di minuti con quella frecciatina stizzita. Cercai nel cassetto del comodino un fazzoletto per tamponare il taglio. Al posto dei denti aveva dei rasoi, però niente da dire sulla lingua... Anzi... Mi misi un braccio sugli occhi tentando di riappisolarmi, ma non feci in tempo a sbadigliare che la vidi ritornare in stanza con una bomboletta di panna spry. Sembrò un gorilla quando se la spruzzò tutta direttamente in bocca. Un delizioso, bellissimo gorilla.


La mia ragazza e' strana,
Non dice che mi ama
Ma beve birra e fuma
Ha un tattoo sulla schiena
La mia ragazza mena



“Più forte! Ancora! Ancora! Bene così! Con rabbia!”
Tentai con tutte le mie forza di non sbilanciarmi, mentre tirava l’ ennesimo potentissimo pugno al sacco da boxe. Era una scheggia, in un secondo riusciva a tirare almeno un gancio destro e un calcio assestato. Mi veniva difficile seguire i suoi movimenti. Facevo una fatica assurda a tenere fermo il sacco, pur pesando venti chili in più di lei e sovrastarla di almeno venticinque centimetri. Dal basso del suo metro e sessanta era in grado di mettere K.O. un peso piuma uomo senza alcun problema. I suoi cinquanta chili li portava semplicemente grazie a una massa muscolare finemente allenata.
“Va bene, gli ultimi colpi e poi cinque minuti di pausa”
Ansimai, più stremato di lei. Era una forza della natura. Tutti gli uomini del mondo avrebbero voluto una ragazza come lei. Alcuni pensavano che averla come fidanzata era come stare insieme ad un maschio, che forse era meglio averla semplicemente come amico. Quanto si sbagliavano. Ci si può baciare con un amico maschio? Beh in effetti si può, ma solo se si è gay. Lei era diversa dalla solita frivolezza dei quartieri alti con le treccine, la borsa griffata e ti tacchi a spillo. Di certo non era un maschio, quello potevo assicurarlo a chiunque. Impiegò tutta la forza che aveva in corpo e la concentrò nell’ ultimo pugno, tanto forte che mi sembrò di udire il sacco esalare il suo ultimo grido di dolore.
“Sei incredibile, Sara...”
“Che cazzo dici, ho ancora tantissimo allenamento da fare e le regionali sono tra un mese!”
“Hai una forza sovrumana, le vincerai anche quest’ anno!”

Sospirò e si lasciò cadere sul materassino, esausta. Nei suoi occhi leggevo per la rima volta una punta di incertezza. Mi sedetti accanto a lei e in quel preciso istante mi parve la creatura più splendete che avessi mai visto. Anzi, non mi parve, lo era. Il petto le si abbassava e alzava freneticamente, il top sportivo lasciava abbastanza spazio all’ immaginazione aderendo al suo seno sodo, il sudore l’ aveva ricoperta in gran parte del corpo, qualche ciocca di capelli sfuggita alla treccia bionda le ricadeva sul viso. Dio, se era bella... Si tolse i guantoni, chiuse gli occhi e tirò su col naso. Eccola, una lacrima piena d’ orgoglio.
“Non m-me la sento, c-cazzo. S-sono d-debole! Mi metto perfino a pia-piangere, adesso! Sto diventando più-più rincoglionita di te, è a-as-ssurdo... G-guardami!”
Parlò a tentoni tra un singhiozzo e l’ altro. Mi si spezzava il cuore a vederla così sconvolta, anche perché le sue erano sono insicurezze infondate. Ero perfettamente consapevole, parlando da esperto allenatore di Thai Boxe, che avrebbe sbaragliato tutte le sue avversarie alle prossime regionali. Se il regolamento lo avesse permesso, avrebbe persino potuto sconfiggere qualche uomo. Straziato da quella vista, mi sporsi su di lei e la strinsi più forte che potevo al mio petto. Un crollo emotivo a così poche settimane da una gara importante era più che naturale per un’ atleta. In particolare, se l’ atleta in questione aveva davvero del talento e portava sulle spalle il peso di cinque vittorie consecutive tra regionali e nazionali nella categoria giovani. Per quanto si ostinasse a rinnegarlo, Sara doveva ammettere che era una semplice diciassettenne con un animo forte. Ma anche le corazze più dure prima o poi si indeboliscono e si sgretolano.
“Shh... Calmati adesso... Sei la migliore atleta che abbia mai allenato...”
Le sussurrai, cullandola.
“Forse perché tu hai solo ventitré anni e alleni ancora i bambini di quinta elementare?”
Non ricordo di averla mai sentita comporre una frase senza inserire qualche parolaccia pesante. Doveva essere proprio sconvolta. La strinsi maggiormente e lei affondò ancor più il viso nel mio petto. Le sfiorai la schiena delicatamente, mi maledii di non essermi tolto le fasce. Indugiai più a lungo sulla scapola dove aveva tatuata la frase: live for yourself.
“Vincerai le regionali e le nazionali anche quest’ anno, ne sono certo.”
Sospirò e smise di tremare.
“Ti amo.”
Non pretesi una risposta, ero perfettamente consapevole che quelle due parole non sarebbero mai uscite dalle sue morbide labbra. Era però necessario che io le dimostrassi tutto il mio amore per lei, in parole e gesti. Mi scostai leggermente da lei per guardarla nei suoi enormi occhi celesti che mi facevano sempre accelerare il battito cardiaco, le sollevai il mento con due dita e la baciai dolcemente.
  
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