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Autore: biberon    16/09/2013    2 recensioni
"Signore e signori, benvenuti al secondo concerto ufficiale della band più amata del momento:
Alla voce, le splendide Courtney e Heather!
Alla chitarra il ribelle, Duncan!
Al basso, il folle Scott!
Alla chitarra accompagnamento, il romantico Trent!
E alla batteria la novità del gruppo, aggiunta solo qualche giorno fa:
Gwen la gotica!
Dal testo, capitolo 4
"Brutte notzie, ragazzi." disse Trent in modo grave.
"Avevamo chiesto ad alcune persone di prendere il posto del batterista nella nostra band, ma a quanto pare nessuno è disponibile. Dj non suona rock, Izzy è già in un'altra band, Geoff non suona più da tempo e Noah e Justin sono in vacanza ..."
"Ci sarebe un'unica opzione ..." disse Duncan con un filo di voce.
""Quale?" chiesi speranzosa.
"Ci sarebbe ... ci sarebbe ...." sembrava si fosse bloccato.
"Ci sarebbe Gwen." disse Alejandro.
"è una brava batterista, in più è carina e farebbe fare bella figura alla band ..." disse Trent.
Il respiro mi si fece affannoso, sentii un sapore amaro salirmi su per la gola e invadermi la lingua, il cuore prese a battere a mille, i pugni si strinsero.
Solo dopo qualche secondo riuscii a riprendermi e a urlare, con quanto fiato avevo in corpo: "CHE COOOOOSA?!"
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Duncan, Gwen, Heather | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Lo feci.
Sì, ok, era una cosa strana e priva di senso, imbarazzante, che solo un pazzoide farebbe.
Ma io ero un pazzoide, in fondo, no?
E volevo rientrare nella band.
A qualunque costo.
Anche se avrei potuto procurarmi una multa E un provvidenziale arresto, per i miei amici, il mio ragazzo e la mia musica ne valeva la pena.
 
Così quella sera preparai tutto l’occorrente.
Il microfono con lo stereo, una felpa pesante, il cellulare, una cassetta per la frutta vuota, le casse piccole e tanto, tanto coraggio.
Il mio piano prevedeva tre fasi.
 
1 - procurare un amico che fosse disposto a suonare la chitarra per me
 
2 – convincere il padre di Trent a farsi insegnare QUEL brano per riconquistare sua moglie
 
3 – cantare davanti a casa di Trent la cancone che avevo scritto per i ragazzi in quei giorni di sofferenza.
 
Sfortunatamente, il mio piano si fermò alla fase due.
Per quanto riguarda il punto trovai un amico di vecchia data, Cloude, disposto a suonare per me.
Era un’eccellente batterista, e non ero per nulla preoccupata.
Quel che non sapevo è che stavo per entrare nella nottata più folle della mia vita e incappare in una delle più grandi figuracce nella storia! L
alle sei meno un quarto, mettendo in campo un buon cinquanta per cento di quel coraggio che ho nominato prima, suonai il campanello della casa di Trent.
Per fortuna lui non c’era, doveva essere fuori con la band.
 
 
Senza di me! L
 
Ricacciai le lacrime giù e suonai di nuovo.
 
Venne ad aprire.
 
Era conciato molto peggio di come l’avevo visto l’ultima volta: era sporco, puzzava e non si faceva la barba da almeno uhna settimana.
“Ehm, mi scusi …”
 
“Ma tu non sei Courtney? La ragazzina che ha rovinato il mio matrimonio?”
 
Io annuii abbassando lo sguardo.
 
“Vattene via! Mi hai distrutto la vita!”
 
“No, aspetti!”
 
Ci volle un bel po’ per convincerlo che in realtà volevo soltanto aiutarlo a riconquistare sua moglie, ma alla fine la spuntai.
 
Lo invitai a casa mia, dato che non credo che a Trent avrebbe fatto tanto piacere torvarmi con suo padre.
 
“è una canzone semplice” gli dissi mentre entravamo.
 
I miei non c’erano.
 
Lo so, stare in casa sola con un uomo di quell’età non era il massimo per una sedicenne, ma ospitarlo era il minimo che potessi fare dopo avergli rovinato la vita.
 
Gli offrii dei tramezzini avanzati dalla colazione e un po’ di vino rosso, poi lo feci accomodare sul divano e gli diedi in mano la chitarra di Cloude.
 
Feci uno squillo al ragazzo, e, dato che abitava vicino a me, fu li in cinque minuti.
 
“Mi ascolti bene signore. Questo è un DO …” inizò posizionandogli le mani sulle corde.
 
Io sorridendo sotto i baffi salii in camera mia a recuperare il testo.
 
Gli diedi un’utlima occhiata: era perfetto.
 
Romantico, dolce … l’avrebbe di sicuro riconquistata.
 
 
 
I miss you, baby,
I miss you, I do not know,
I miss you because you are my sunshine,
you can always entertain me,
you make every day full of sweetness,
I would like to give you a stream of kisses,
a sea of
​​smiles,
an immensity of cuddles and affection,
small,
you're my star and I miss you like the sun misses the moon as the moon when it night and miss the sun when it is day
I dream because there is no dream more beautiful
of your kiss and your return
love

 
 
Ok, era uno schifo.
 
Ma che cosa potevo preparare di grandioso in un giorno scarso?
 
L’idea mi era venuta quella notte e volevo subito metterla in pratica.
 
Ciò che contava era che quella donna capisse quanto l’amava il marito.
 
E cioè, molto.
 
Quello che io e Cloud non avevamo previsto era la stonatura del padre di Trent.
 
Dio com’era stonato quell’uomo!
 
Non avevo mai sentito nulla di peggio.
 
Arrivammo sotto la nuova casa della moglie a mezzanotte in punto.
 
Era una cosa folle, ma anche incredibilmente romantica.
 
Prese la chitarra, e io e Cloud ci nascondemmo dietro una siepe.
 
Si mise esattamente sotto la finestra e io attaccai le casse alla chitarra con un filo, in modo che il suono si sentisse bene.
 
Gli infilai addosso il microfono da bocca.
 
Mi era costato una fortuna!
 
Speravo non ci sputazzasse troppo dentro.
 
Lui timidamente pizzicò le corde.
 
“DO ….”
 
Per fortuna che la canzone aveva quattro note in croce, perché lui non era un granché nemmeno come suonatore.
 
Ma aveva qualcosa.
 
Era disperato.
 
Così disperato a fidarsi persino di me, della ragazzina che l’aveva reso tale.
 
Tirai fuori il foglio con il testo dalla mia tasca, ed era tutto spiegazzato.
 
Lo piazzai davanti a lui in modo che non si vedesse dalla finestra.
 
“Ciraggio …” sussurrò Cloud. “Vai benissimo! Non mollare!”
 
Lo diceva più che altro per incitarlo, perché anche se aveva fatto solo tre note, il signore era riuscito a sbagliarle tutte.
Io avevo le dita incrociate, anche quelle dei piedi.
 
Poi prese un po’ il ritmo e la canzone cominciò a prendere forma.
Pensavo che stesse andando tutto bene, finché non comincio a cantare.
 
“I miss you, baby,
I miss you, I do not know,
I miss you because you are my sunshine,
you can always entertain me”
 
Già alla prima strofa temevo che mi stessero sanguinando copiosamente le orecchie.
 
Non prendeva un acuto!
 
Era mostruosamente, incredibilmente, paurosamente stonato.
 
E non fui l’unica ad accorgermene.
 
La finestra si aprì con uno scatto, e in pochi secondi una secchiata di acqua gelida di rubinetto venne a contatto con la palle pallida del padre di Trent.
 
Ci lanciò un’occhiata disperata e la chitarra gli cadde dalle mani.
 
Io avrei voluto piangere: avevamo fallito!
 
Uscii in fretta e furia dalla siepe per andare ad aiutarlo.
 
Mi levai la felpa e gliela misi sulle spalle, mentre Cloude faceva di tutto per asciugare la sua povera chitarra fradicia e cercava di salvare le mie casse.
 
Come, come, come avevo potuto avere un’idea così stupida?!
 
Mi ero lasciata trasportare!
 
Che idiota che ero stata!
 
Ma il peggio doveva ancora venire.
 
Già, perché la donna che ci urlò contro dal balcone non era la moglie del padre di Trent.
 
Era una donna sulla sessantina, i capelli tinti di rosso raccolti in uno chignon, la faccia coperta da una patina verdastra, un accappatoio addosso.
“Cretini! Teppisti! Chi è l’idiota che ha fatto questo scherzo!?”
 
Iniziò a urlarci contro di tutto.
 
Noi dapprima eravamo spaesati, poi capimmo.
 
In effetti, Enter street 34 era la casa di fianco.
 
La villetta rosa.
 
Non quella rossa.
 
Non la 33.
 
Mi scusai umilmente con la signora, ma lei mi ignnorò ed andò avanti a sproloquiare per un bel po’…
 
Non stavo nemmeno più ascoltando quello che diceva, riuscivo solo a vedere il padre di uno dei miei migliori amici a notte fonda intirizzito, bagnato d’acqua gelida, con un’aria desolata e ancora in lacrime per COLPA MIA.
 
Mi sentivo un’idiota.
 
Ma non era finita!
 
Indovinate chi arrivò, con perfetto tempismo?
 
“Ancora tu?!” urlò, vedendomi. “Sta’ lontana da mio padre!” disse seccamente.
 
Mi si avvicinò.
 
“Trent, io …”
 
“Non voglio saperlo.” Disse.
 
Per la seconda volta nella storia di Trent, pareva infuriato.
 
Mi fulminò con lo sguardo per alcuni secondi finché io non abbassai gli occhi.
 
Per un attimo temetti che volesse darmi una sberla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Per questo mi fece uno strano effetto sentire le sue braccia che mi circondavano ridandomi calore.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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