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Autore: 9dolina0    16/09/2013    7 recensioni
Bardack e Vegeta, entrambi condannati all'Inferno, covano lo stesso desiderio: riuscire a rivedere per l'ultima volta i loro cari. Per farlo, i due saiyan tentano la fuga verso il Paradiso, sfidando impunemente la giustizia divina.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bardack, Bulma, Goku, Vegeta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lo duca e io per quel cammino ascoso

Intrammo a ritornar nel chiaro mondo;

e sanza cura aver d’alcun riposo,

salimmo , el primo e io secondo,

tanto ch’i’ vidi de le cose belle

che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

(Dante Alighieri – Inferno, XXXIV 133-139)

 

 

L’ingannevole fragranza delle illusioni

 

Bardack aveva freddo.

O forse stava bruciando.

Oltre due secoli di permanenza nel buio fuligginoso del Regno degli Inferi avevano fatto sì che i suoi acutissimi sensi di saiyan si atrofizzassero, senza che il guerriero fosse più in grado di capire quali torture stesse davvero subendo il suo corpo. Ma quale importanza poteva avere, in fondo, tutto ciò? La sofferenza non si era spenta insieme alla sensibilità dell’epidermide: a volte, aveva persino l’assurda certezza che il suo cuore battesse e pompasse sangue a una velocità mille volte maggiore rispetto a quando era ancora in vita. E quello era senz’altro male: era male perché si sentiva come se le sue debolezze fossero state messe a nudo; era male perché la sofferenza non era un concetto che doveva prendere stabilmente posto nella mente di un saiyan; era male perché mai, in vita sua, si era preoccupato del fatto che il suo cuore battesse. Ma ce l’aveva mai avuto davvero un cuore? Prima di morire, Bardack non aveva nemmeno idea del fatto che alcuni popoli sperduti in giro per l’universo attribuissero a quell’inutile muscolo un valore sentimentale tanto forte. Gli pareva che quelle sciocche creature che si erano rivolte a lui con quel ma tu non ce l’hai proprio un cuore? fossero in realtà dei poveri smidollati destinati all’eterna sconfitta.

Peccato che lui avesse poi subito quella stessa sorte, e, una volta messo piede in quel funesto regno ultraterreno, non avesse mai avuto occasione di uscirne fuori.

 

Come al solito, Napa era piegato in due dal dolore.

Le urla disperate che uscivano dalla sua bocca avevano per Bardack il terribile sapore della sconfitta. Possibile che un guerriero saiyan non trovasse la forza di reagire a quelle insane torture? Perché non si rimetteva in piedi da solo, quello sciocco guerriero d’elite?

 

Le tre campane che annunciavano la venuta dei messi del Paradiso avevano da qualche minuto dato avvio ai loro rintocchi.

Era patetico il modo in cui le anime dannate reagivano ogni volta a quel maledetto evento: urla, grida, corpi insanguinati che si strusciavano sulle pietre roventi, demoni che si gettavano tra i ghiacci alla ricerca di un inutile rifugio.

Tutto era inutile, ovviamente, e Bardack lo sapeva; così come lo sapevano il suo principe e il suo re.

«Stavolta toccherà a lei, principe. Sarà lei il prossimo ad essere purificato.»

A Vegeta non piacquero affatto le parole di Bardack. L’orgoglioso, invincibile, potentissimo principe dei guerrieri saiyan detestava vivere di illusioni, tantomeno voleva farlo ora che la vita gli era stata tolta. Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto e sapeva anche che forse quella specie di purificazione sarebbe stata la pena peggiore che avrebbe dovuto subire all’Inferno; ma Vegeta non era un codardo, né tanto meno un perdente.

Erano più cent’anni ormai che attendeva il compimento del suo destino. Nel frattempo, aveva perso praticamente tutto: i suoi figli, sua moglie, la sua potenza. Gli era rimasto solo l’orgoglio, quell’orgoglio ormai frantumato nella maggior parte dei guerrieri saiyan che si era ritrovato intorno una volta varcato il confine estremo della vita.

Se pensava a quanto era stato sciocco, per un certo periodo, nell’aver provato il desiderio di riunirsi al proprio popolo, gli veniva quasi da ridere. Ma era una risata amara e colma di autocommiserazione. Gli bastava guardarsi intorno per capire che l’aver perso il popolo dei saiyan non era stata la peggior rovina della sua esistenza. No: il vero dramma era stato quello di voler ristabilire con la propria crudeltà la memoria di quello che credeva essere il popolo guerriero più potente dell’universo. Poco importava che l’uomo più forte del mondo fosse davvero un saiyan: Kakaroth aveva ripudiato il suo popolo fin dal principio; e il tempo, a lungo andare, gli aveva pure dato ragione.

«Ci ha mai pensato, principe, a come possa essere il Paradiso?» proferì Bardack, le cui escoriazioni erano ormai illuminate dalla luce dei messi.

«No, e nemmeno mi interessa saperlo» sussurrò Vegeta con un filo di voce, mentre affrontava a viso aperto le creature celesti che si avvicinavano ai dannati.

«Eppure, credevo che lei ci tenesse alla famiglia che si era costruito su quell’insulso pianeta... Come si chiamava? Ah, sì, Terra!»

«È colpa di quel traditore di tuo figlio se sono finito su quell’insulso pianeta!» proruppe furiosamente Vegeta, mentre la sua bocca, contratta in una smorfia di dolore, iniziava a sanguinare pece.

L’ondata di fumo densa e vermiglia che si alzava dal sottosuolo non era sufficientemente scura da impedire a Bardack di scorgere negli occhi del suo principe una profonda coltre di amarezza e un vacuo senso di rabbia mai pienamente assopita. Sapeva che Vegeta stava mentendo, più a sé stesso che al suo infimo sottoposto. Lo sapeva perché, nonostante la sua condanna all’Inferno, Bardack aveva potuto preservare intatto il dono della preveggenza. Che anche quella fosse una sorta di punizione? Probabilmente sì; ma in fondo non era poi così male riuscire a scavare, attraverso la mente, nel passato e nel futuro dei dannati, anche se quest’ultimo era quasi sempre avvolto dal fumo e inondato dal sangue.

Quasi, appunto. E per Vegeta, in quel momento, Bardack vedeva qualcosa di diverso.

«Non ha mai avuto la tentazione, principe, di andare a curiosare oltre il Serpentone? Non provi a raccontarmi balle… So benissimo quanto lei tenga ai suoi figli e alla sua donna! Una gran bella donna, tra l’altro… molto sveglia e  intelligente! Non avrebbe potuto trovarne una migliore sul pianeta Veg…»

«Chiudi quella dannata boccaccia! Che c’è? Sei forse in combutta con Enma per farmi innervosire più di quanto già non lo sia?»

Bardack sorrise, si chinò a terra e raccolse un grumo di sangue uscito dalla bocca del principe. Poi glielo mostrò, godendo dello sguardo attonito di Vegeta di fronte a quel gesto inconsulto.

«Quando lei era in vita, ha gettato a terra tutto il sangue che aveva in corpo pur di salvare sua moglie e suo figlio. Crede che io non lo sappia? Crede che io non sia al corrente del suo sacrificio contro Majin Bu? Le sto offrendo un’occasione per rivedere i suoi cari prima che sia troppo tardi!»

Per la prima volta da quando era all’Inferno, a Vegeta parve di sentire il suo cuore battere di nuovo. Bulma era sempre nei suoi pensieri: non c’era attimo, secondo, minuto che trascorresse senza che la mente del principe si rivolgesse all’unica donna che avesse mai amato. Poco importava che intorno a lui, in quel luogo dannato, fosse pieno di femmine vogliose e disposte sadicamente a concedergli le proprie grazie: da quando il suo corpo si era unito a quello di Bulma, il principe non aveva provato più alcun tipo di desiderio verso altre donne. Gli bastava ricordare i suoi occhi azzurri come il mare e il suo volto candido e seducente per mettere a tacere ogni minimo impulso sessuale verso una qualunque altra creatura.

Gli mancava.

Quella donna era stata la fonte della sua salvezza in terra e della sua breve felicità.

Gli aveva donato affetto, amore, fiducia, forza, e anche una prole. I volti dei suoi figli apparivano a Vegeta ancora ben nitidi, nonostante ormai fossero passati svariati decenni dall’ultima volta che li aveva visti. Sapeva che erano tutti lassù, oltre il limite del Serpentone. Sapeva che probabilmente potevano già essersi dimenticati di lui. A che pro, infatti, un’anima beata avrebbe dovuto convivere con la nostalgia? Non sarebbe stata una punizione anche quella?

«E tu che diavolo vuoi andare a fare in Paradiso, eh?» proruppe il principe, spezzando il silenzio.

«Niente di particolare, sono solo curioso.»

Vegeta sputò a terra.

«Ma a chi diavolo vuoi darla a bere? Ammettilo, sei curioso di conoscere quel traditore di tuo figlio!»

In parte era vero, ma solo in parte.

Non poteva certo negarlo: da quando aveva avuto per la prima volta la visione del leggendario super saiyan, la stima nei confronti di quel guerriero di infimo livello si era accresciuta a dismisura. Poco importava che per un padre quel tipo di atteggiamento fosse da considerare riprovevole: aveva lasciato che suo figlio fosse spedito su un lontano pianeta situato chissà dove – questo era vero – ma aveva però fatto in tempo a pentirsi del suo gesto prima di morire. Ma solo a ragion veduta.  Avrebbe voluto essere lui il prescelto. Ci aveva sperato fin da quando si era reso conto che, pur appartenendo alla cosiddetta terza classe, aveva una forza fisica decisamente sopra la media. Eppure, suo figlio lo aveva superato. Era questo il destino di ogni padre irresponsabile? Forse; e forse non era nemmeno poi tanto empio questo destino se il fato gli aveva poi dato l’opportunità di sfidarlo.

Si voltò di colpo, ancora avvolto nei suoi pensieri. Radish era a terra da diverse ore, ormai. Ammirava la buona tempra di quel figlio dannato: nonostante le pesanti torture che subiva, a volte riusciva a trovare la forza per mettersi in piedi.

A volte.

Per quanto Bardack in vita credette che fosse Radish il figlio destinato a renderlo orgoglioso, la morte gli aprì gli occhi su un’amara verità: il suo primogenito non aveva mai raggiunto il suo livello, né lo avrebbe eguagliato mai. Una delusione, forse; una delusione mitigata soltanto dalla consapevolezza che un altro guerriero nelle cui vene scorreva il suo sangue aveva invece ampiamente superato tutti i limiti che la sua immaginazione aveva potuto prevedere.

Bardack era invidioso di Kakaroth.

Non aveva mai visto nient’altro in lui se non la reale concretizzazione dei sogni di gloria dei saiyan. Aveva vendicato la sua stirpe, il suo popolo, la sua gente. Ma la cosa che più faceva arrabbiare Bardack era che lo aveva fatto senza aspirare al dominio dell’universo.

Un inetto, insomma; uno sporco inetto senza un briciolo di consapevolezza delle proprie radici.

Eppure, Bardack voleva togliersi la soddisfazione, almeno una volta, di guardarlo in faccia. Si diceva che gli somigliasse molto; i suoi ricordi delle visioni che aveva avuto in vita non erano sufficientemente nitidi da permettergli di confermare quelle voci.

 

I messi erano sempre più vicini. Anche se la fuliggine dell’Inferno impediva ai dannati di scorgere i lineamenti di quelle creature celesti, tutti avvertivano sui brandelli infuocati delle proprie pelli il rapido avanzare di quei folli giustizieri.

Vegeta non era ancora pronto per quel momento, e solo nell’istante in cui percepì un vento gelido infrangersi contro il suo volto ustionato, capì che forse valeva ancora la pena lottare per qualcosa. Aveva fatto di tutto per loro, quando era in vita; perché non provarci di nuovo, ora che il suo corpo stava marcendo nei meandri degli Inferi?

«Dimmi un po’, Bardack, tu hai un’idea su come accidenti potremmo fare per uscire di qui?»

«Vagamente, Vegeta, e non sono nemmeno sicuro che possa funzionare.»

«Perfetto. Muoviamoci allora.»

Un sorriso sghembo andò a solcare il volto di Bardack. Il principe Vegeta non era un vigliacco: se all’epoca della schiavitù patita per mano di Freezer fosse stato lui a governare il popolo dei saiyan, probabilmente il destino dei guerrieri più potenti dell’universo sarebbe stato molto diverso.

 

In meno di un batter d’occhio si alzarono in volo.

Non c’era niente lì intorno che potesse impedire loro la traversata dell’aere infernale. Vegeta non aveva idea di cosa avesse in mente Bardack, né gli pareva davvero possibile che fosse così facile sorvolare i cieli dei dannati senza incontrare il minimo ostacolo.

In quel momento si chiese perché non avesse mai tentato prima di allora una simile impresa. Che il suo orgoglio avesse preso davvero a marcire insieme al suo corpo ormai putrefatto? O magari non aveva mai davvero creduto di poter bleffare Enma e le sue fottutissime guardie celesti senza incorre in gravi conseguenze? Rise al pensiero di aver persino temuto qualche punizione: cosa potevano fargli di più di quello che aveva già subito? Ah, già… a volte tendeva a dimenticarlo: le anime dei malvagi, prima o poi, dovevano essere purificate.

 

I due saiyan avevano già quasi raggiunto il Serpentone.

Affrontare l’incredibile forza di gravità che tendeva a comprimere i loro corpi non era poi così difficile per dei guerrieri che avevano vissuto l’Inferno anche in vita. Poco importava che i loro arti si stessero lentamente atrofizzando; poco importava persino che il sudore che grondava dai loro visi fosse misto a sangue e a pece.

L’odore di cane e di puttane si faceva sempre più forte; la luce dei messi pareva allontanarsi da loro sempre di più. Ormai Vegeta ne era certo.

«Hai sbagliato i tuoi calcoli, Bardack! Non era ancora il mio turno.»

Il guerriero di terza classe non rispose; si limitò a proseguire senza sosta la sua folle volata verso l’alto, verso quel figlio che in vita aveva ripudiato e che ora aveva la curiosità quasi spasmodica di guardare in faccia.

 

Erano arrivati.

Sopra di loro, le nuvole giallognole che marcavano il confine tra i due regni ultraterreni si erano fatte finalmente fitte e consistenti. Erano reali. Non apparivano più come una lieve chiazza di luce che di tanto intanto sembrava illuminare gli atri cunicoli infernali: erano dure, dense, vere.

«Bene, signor genio delle fughe, adesso come diavolo facciamo a passare dall’altra parte?» proruppe Vegeta notando lo spessore della barriera creata dalle nuvole.

«Dobbiamo chiamarli.»

«Ma che cavolo stai blaterando, Bardack

Il guerriero di terza classe pareva non stesse nemmeno più ascoltando il suo principe.

Girovagava con lentezza estrema intorno alla coltre di nuvole che aleggiava sopra la sua testa, come se fosse ipnotizzato, o completamente fuori di testa.

«Mi stai prendendo in giro, forse? Che c’è? Le alte temperature che ci sono quassù ti hanno fuso quei residui di cervello che ti erano rimasti?»

«Si sbrighi, principe!»

«Cosa? Ma di che accidenti stai parl…»

In quel momento, si accorse che la luce dei messi era tornata a farsi viva.

Bardack lo sapeva, lo aveva sempre saputo! Era davvero il suo turno, quello. Che razza di contatti aveva il suo infimo sottoposto con il Regno dei Cieli? Perché doveva pur avere dei contatti con gli squallidi leccapiedi angelici di Enma se aveva saputo in anticipo quale fosse il destino del principe dei Saiyan!

«Cazzo, Vegeta! Chiamala! I beati ci possono ascoltare! È l’unica che possa salvarti; chiama Bulma… subito!»

Lo fece.

Diede un ultimo sguardo ai messi che si stavano avvicinando. Sempre di più. Sempre più rapidi. Sempre più luminosi.

La luce di quelle creature lo stava letteralmente accecando. Gli occhi bruciavano come il fuoco e lacrimavano sangue. La sua bocca pareva ormai prosciugata dell’ultima goccia di saliva.

«Bu… Bulma…» sussurrò.

«Bulma!» urlò stavolta a gran voce.

E intanto gli pareva di udire la voce di Bardack che, ormai ridotta a un flebile sospiro, invocava suo figlio Kakaroth.

 

I messi arrivarono.

Erano due; solo e soltanto due. La loro consistenza pareva fittizia; forse erano completamente nudi, o forse gli occhi di Vegeta percepivano la loro essenza in maniera difforme.

«Bulma!» urlò nuovamente il principe.

«Bulma!» ripeté, a gran voce, per l’ennesima volta.

Uno dei due messi si avvicinò a Vegeta, ormai completamente immobilizzato da una forza potente e misteriosa che non riusciva a combattere.

Tremava; forse di paura, forse di rabbia. Per un attimo ci aveva sperato davvero. Aveva creduto davvero che la sua donna sarebbe arrivata lì, a salvarlo, come si raccontava in tanti stupidi romanzi terrestri che piacevano alla sua Bulma.

Già, Bulma.

Che accidenti di fine aveva fatto? Eppure, era quasi certo di avvertire nell’aria il suo dolce profumo, la fragranza inconfondibile della candida pelle della sua donna.

«Bulma, santo cielo, dove diavolo sei finita?» gridò, piangendo e disperandosi, mentre vedeva il suo giustiziere avvicinarsi sempre di più.

«Sono qui, Vegeta, proprio davanti a te.»

Un battito. Quella fu l’ultima cosa che Vegeta percepì prima di alzare il volto verso il messo e scorgere finalmente nel suo viso i delicati lineamenti della sua donna.

Sulla sua testa gravò per la prima volta in tutta la sua esistenza – terrena o ultraterrena che fosse – il terribile peso di un tradimento subito. Era un peso, sì. Non poteva definirsi una semplice sensazione la frustrazione terribile e inaspettata nello scoprire che il compito di suo giustiziere spettasse proprio all’unica donna che avesse mai amato.

Trovò la forza di voltarsi verso Bardack e di scorgere i suoi occhi spalancati di fronte all’elegante figura del secondo messo: era Kakaroth.

Fottuto destino infausto! Era questa, dunque, la terribile punizione che spettava ai dannati? Possibile che dovesse essere proprio Bulma a distruggere definitivamente la sua anima già dannata?

«Io… io… Mi dispiace, principe. Questo, davvero, non lo avevo previsto.»

Bardack si accasciò su sé stesso e precipitò di nuovo verso l’Inferno, senza che Kakaroth cercasse in alcun modo di frenare la sua rovinosa caduta.

«Che diavolo fai, Kakaroth? Perché non vai a prenderlo?»

«Non è ancora giunto il suo momento, Vegeta. I messi prelevano sempre un dannato alla volta.»

La figura di Kakaroth si dissolse nell’aere, come se si fosse trattato di un sogno a occhi aperti.

Il principe tentò di riafferlo; urlò e scalciò nel vuoto del cielo infernale nel disperato intento di richiamarlo indietro.

«Diamine, Kakaroth, torna qui! Non puoi sparire nel nulla in questo modo! Non puoi prenderti gioco del principe dei saiyan anche all’Inferno!»

Di nuovo, una luce lo investì.

Il caldo soffocante che aveva percepito fino a quel momento pareva aver lasciato il posto a una temperatura molto più mite. Non c’è più traccia nell’aria della puzza di cane e di puttane. Niente pareva davvero avere i connotati di qualcosa di diabolico.

Il principe aprì gli occhi, lentamente, come se fosse persino difficile riuscire a compiere quel semplice movimento.

Bulma era davanti a lui, come pochi istanti prima. Bella nella sua purezza; perfida nella sua incoscienza. Come aveva potuto Enma manipolare la sua mente a tal punto da convincerla a fargli del male? E come aveva potuto, soprattutto, prevedere per i dannati una pena tanto crudele?

Con quel gesto, il giudice supremo degli Inferi era andato a toccare l’unica fonte di bontà che avesse in qualche modo smosso l’animo del principe quando ancora era in vita. Era dunque questo lo scopo di quel dio? Credeva davvero che partendo dagli unici affetti che un dannato avesse covato durante la sua esistenza terrena la sua anima potesse purificarsi?

Non aveva alcuna importanza, in fondo. Qualunque fosse la risposta alla sua ultima domanda, la volontà divina aveva degli obiettivi ben precisi, e lui, da dannato, non avrebbe potuto far niente per impedire che si compisse il suo destino.

«È giunto il momento, amore mio. Tra poco meno di un battito di ciglia dimenticherai ogni cosa del tuo nefasto passato.»

 

FINE

 

 

Angolo dell’autrice

 

Alcune piccole precisazioni sono più che doverose.

Innanzitutto, ho immaginato che Bardack, dopo la morte, conservasse il dono – ricevuto con intento non proprio benevolo sul pianeta Kanassa – di  predire il futuro. Ho voluto anche che Vegeta di questa cosa non venisse mai a conoscenza (cosa può esserci di peggio per un dannato se non la sensazione di essere stato ingannato da un proprio sottoposto, padre per giunta di un acerrimo rivale?).

Detto questo, è bene anche chiarire la diversa concezione che i due protagonisti della storia hanno ormai del popolo saiyan: Vegeta ha totalmente smesso di credere che i saiyan siano davvero i guerrieri più potenti dell’Universo. Il fatto che abbia vissuto altre decine di anni dopo l’estinzione del suo popolo e che abbia affrontato nemici di gran lunga più potenti di colui che ne ha provocato la scomparsa, gli ha aperto gli occhi sui limiti della gente del suo pianeta. Bardack, invece, che comunque è morto nella consapevolezza che alla fine un rappresentante dei saiyan – nonché suo figlio – avrebbe distrutto il grande dittatore che li aveva portati alla rovina, continua a ritenere che i saiyan siano sempre e comunque, a livello potenziale, i guerrieri più potenti mai esistiti.

Per quanto riguarda la terribile punizione che spetta ai dannati, ovviamente mi sono rifatta alla trama del manga, nella quale Piccolo annuncia  a Vegeta, in procinto di sacrificarsi contro Majin Bu, il terribile destino cui andrà incontro dopo la morte: dannazione, purificazione e perdita della memoria.

Il fatto poi che a portare a termine la purificazione siano le anime beate verso cui i dannati nutrano ancora un briciolo d’affetto dipende solo ed esclusivamente dal mio sadismo. Se punizione deve essere, infatti, che lo sia fino in fondo! E quale peggior punizione può esserci se non quella di vedersi condannato alla perdita di sé stesso per mano dell’unica persona che si abbia mai amato?

Ultima piccola annotazione: la puzza di cane e di puttane che Vegeta percepisce nell’avvicinarsi al Serpentone ha una duplice spiegazione. Nella Commedia dantesca il Cerbero del terzo canto dell’Inferno è un grosso cane a tre teste. L’odore di puttane, invece, si riferisce alla principessa che vive sul serpentone e che Goku ha incontrato durante la sua prima traversata.

 

E con questo, concludo le note, aggiungendo soltanto – e forse in maniera del tutto superflua – che una parte della terminologia qui utilizzata è di ispirazione dantesca.

Un grazie a chiunque abbia letto la mia storia!

 

9dolina0

 

   
 
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