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Autore: DulceVoz    17/09/2013    4 recensioni
Ad un mese dalla scomparsa di Maria, l’incubo non sembra ancora terminato: messaggi minacciosi cominciano a tormentare la vita delle persone a cui la famosa cantante aveva voluto bene… e se a questo vi si aggiungono misteriose scomparse la vicenda si complica ulteriormente… e se quello della maggiore delle Saramego non fosse stato un incidente? Se Violetta e Angie rischiassero tanto in una situazione davvero troppo complicata? La loro protezione, affidata a due bodyguards davvero speciali, cambierà le loro esistenze e nulla sarà più come prima… chi sarà il folle misterioso degli inquietanti avvertimenti? Riusciranno le nostre protagoniste a salvarsi dalle ire di qualcuno che vuole solo vendicarsi per motivi sconosciuti? Una storia di intrighi, azione e amore per gli amanti del giallo e del mistero.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“- Chiuderai di nuovo la porta a chiave come stanotte?” Leon era appoggiato allo stipite della porta socchiusa della camera di Violetta e la fissava con un ghigno deciso disegnato sul volto. Lei era sul letto, scriveva sul suo diario e quella voce la fece sobbalzare. Da quanto tempo era lì a fissarla senza che lei se ne accorgesse? Non disse una parola ma, in fondo, fu sorpresa da quell’affermazione… che ne sapeva lui che la porta fosse chiusa la sera precedente? Allora era sceso durante la notte con l’intenzione di andare a sorvegliarla mentre dormiva! “- L’ha sigillata papà, dall’esterno.” Disse, seccata lei, ancora stizzita dalle sottili battutine che il ragazzo aveva rifilato a Thomas e, soprattutto, a lei. “- Tuo padre dovrebbe capire che sono qui per lavorare. Non ho nessuna stramba intenzione come evidentemente pensa lui!” borbottò il ragazzo, entrando nella stanza e osservandone le pareti, piene di foto di amici e, soprattutto, quelle con la madre.
“- Eravamo felici. Tanto. Questa storia dell’incidente era già abbastanza difficile da sopportare… ma se sospettano addirittura altro io…” tentò di dire la ragazza, chiudendo il diario e poggiandolo sul comodino, stendendosi di colpo sul letto a fissare il soffitto. “- Già, gran brutta faccenda.” disse Leon, andandosi a sedere accanto a lei con aria cupa in volto. “- Hai paura?” chiese, d’un tratto, il giovane bodyguard, osservandola posizionarsi al centro del materasso, con le gambe incrociate. “- Un po’. Ma più che altro sono arrabbiata.” Disse, seria, con sguardo fisso di fronte a sé la giovane, sorprendendosi di star parlando amichevolmente con quell’odioso di Vargas. “- Penso sia più che normale. Anch’io lo sarei.” Sentenziò lui, guardandosi ancora intorno. “- Che c’è? Non ti piace la stanza? Tanto non è la tua!” esclamò lei, con tono acido. “- Troppo rosa e lilla per i miei gusti.” Giudicò Leon, alzandosi e girando per la camera, avviandosi verso l’armadio. “- Ehi! Vieni qui! Quella è roba personale!” strillò la ragazza, alzandosi e tirandolo per un braccio. Leon aveva già afferrato una elegante gonnellina e la fissava con aria scioccata e disgustata. “- Ci credo che è ‘personale’! Solo tua potrebbe essere…Di certo io non li metterei anzi, rettifico… nessuna persona sana di mente li indosserebbe! Insomma, sono così… classici! Prendi esempio dalla zia! Così ci si veste!” ironizzò il bodyguard, fingendo di volersi misurare quel capo per lui fin troppo orrendo e alludendo al modo di vestire fin troppo succinto della Saramego. “- Lascia stare! Per quanto riguarda lei è una lunga storia, fatti gli affari tuoi! E adesso sparisci o chiamo papà! Poi non meravigliarti se trovi la porta chiusa e la cosa intralcia il tuo lavoro.” si lamentò lei, indicandogli l’uscita e spingendolo letteralmente fuori. “- Sei proprio una bambina! Ma ti senti? Vuoi chiamare il papino! Solo con quel Heredia puoi stare. Un tonto sdolcinato e romanticone!” ridacchiò, schernendola, Vargas, mentre lei prese a fissarlo con aria furiosa. “- Non stiamo insieme! E poi a te cosa ti importa? Thomas è molto più dolce e simpatico di te!” urlò lei, mentre lui era appoggiato con le spalle alla ringhiera della scalinata che portava al piano di sotto, stando proprio di fronte alla camera di lei. “- Meglio di me? Ah! Ne dubito, piccoletta!” rise Leon, scuotendo il capo con decisione e sottolineando quell’ultima parola, quasi sillabandola con superiorità. “- Vattene!” urlò lei, sbattendogli la porta in faccia e, questa volta, chiudendola lei dall’interno con alcune mandate. La guardia del corpo sentì quella chiusura e sorrise: quella mocciosa lo faceva divertire un sacco! Gli piaceva sentirsi più grande solo per il fatto di avere qualche anno in più, facendola sentire una bambina. In fondo, era sicuro che, con quel suo modo di fare, almeno, riusciva a distrarla un po’ e per questo continuava a punzecchiarla. E pensare ad altro non poteva che farle bene, dopo tutto quello che stava passando. Era certo che quel Thomas era noioso e che le ricordasse costantemente ciò che viveva in quel periodo… aveva bisogno di una presenza meno sdolcinata nella sua vita e, a quello, doveva pensarci lui.
 
 
“- Dormirai di nuovo in piedi? Come un cavallo?” chiese Angie, nella sua camera da letto, chiudendosi nella cabina armadio per indossare il pigiama: un top fin troppo striminzito e uno short fin troppo… short. “- Io non dormo mai, signorina! Non sono come un cavallo, piuttosto mi definirei un pipistrello!” esclamò Pablo, osservando volare un vestito verso la porta, quello che indossava la donna fino a qualche secondo prima, cosa che lo lasciò un po’ sorpreso e sconvolto. “- I pipistrelli, almeno di giorno, dormono. Lo sapevi?” Disse lei, uscendo dall’armadio e sedendosi sul letto, fissandolo con i suoi grandi occhi verdi e attendendo che replicasse qualcosa per attaccarlo di nuovo. La situazione le dava un po’ fastidio ma, almeno, la presenza di Galindo la divertiva. Adorava provocarlo, farlo innervosire, vederlo perdere quella solita calma e professionalità di sempre. “- Lascia perdere gli animali… non credo che le tue conoscenze siano degne di un documentario. Piuttosto, non avevi un appuntamento con La Fontaine? Ti ha sostituita con qualche altra folle come te?” la provocò lui, stendendosi su una sedia, scomodissima dall’espressione che assunse il moro non appena prese posto lì sopra. “- No, non avevo voglia io di uscire. Mi diverte molto di più restare qui a rompere le scatole a te.” Ghignò la bionda, stendendosi comodamente e tirandosi il lenzuolo fino alla vita. “- Ah, che simpatica, grazie!” esclamò lui, afferrando un libro da una mensola per poi rimettersi a sedere, annoiato. La Saramego aveva una marea di volumi sparsi per tutta casa. Non poteva essere così, come quasi si divertiva, ad essere ora: Pablo era sempre convinto che, prima del trauma subito, lei fosse stata un’altra persona e la presenza di quei tomi ne era la prova. Era fin troppo astuto, non gli si poteva nascondere nulla, mai. D’altronde, il suo passato influiva un sacco sul suo modo di essere: era sempre un acuto osservatore e una persona molto attenta, soprattutto ai dettagli, quelli che di solito passavano inosservati ai più. Lasciò acceso il lume sul comodino opposto alla Saramego e si mise a leggere, controllando tre volte se avessero chiuso bene la finestra. Ad un tratto, quando stava per prendere sonno, qualcosa lo fece voltare in direzione di Angie. La donna aveva preso ad agitarsi e si girava e rigirava nervosamente, quasi come se fosse in preda a un qualche attacco di chissà cosa. La guardia del corpo appoggiò il volume sulla sedia e si sedette sul letto, accanto a lei che aveva preso a parlare nel sonno, o meglio, non proprio a parlare… era un misto tra un pianto e un lamento che si fece sempre più forte, sempre di più, fino a quando si fece più chiaro anche ciò che stesse dicendo: “- No! Lasciami stare! Lascia lei! Smettila! No!!!!!” urlò, di colpo, in un bagno di sudore, sollevandosi di colpo con la testa dal cuscino e mettendosi a sedere al centro del letto. “- Ehi, era solo un incubo, tranquilla! Non è successo niente, ok? Calmati.” tentò di tranquillizzarla lui, mentre lei piangeva disperata, con il viso tra le mani, non riuscendo a capire ancora se fosse stato solo un brutto sogno o fosse successo sul serio. “- No, Vilu ed io… e poi anche… mia madre, German… e un’ ombra… io non l’ho visto in faccia ma aveva una risata che…” disse, rapidamente, tra i singhiozzi, la donna, non riuscendo a terminare la frase mentre il bodyguard, non sapendo cosa fare, istintivamente, l’abbracciò goffamente, un po’ titubante e incerto. “- Angie, calmati! Lo hai solo sognato! Violetta è a casa sua con Leon e German e stanno sicuramente benissimo, tua madre… tua madre dov’è?” chiese l’uomo, non avendo mai sentito parlare di quella donna. “- Vive poco lontano da qui. Devo telefonarle!” disse, alzandosi di scatto dal letto, preoccupata, vagando per la stanza in panico. “- Sono le tre del mattino! Le prenderà un colpo se le telefoni ora!” esclamò, giustamente, Galindo. “- Devo… sapere. E’ la prima volta che compare anche lei negli incubi! Sono preoccupata.” Sentenziò la bionda, cercando il cordless finito chissà dove, nella camera. “- Vado a preparati una camomilla, ne hai bisogno.” Disse lui, alzandosi e avviandosi verso il corridoio. “- Non ne ho bisogno! Aiutami a trovare il telefono, piuttosto!” lo rimproverò la donna, scavando sotto ad un mucchio di vestiti, buttati alla rinfusa su una sedia. “- Eccolo!” urlò Galindo, trovandolo subito appoggiato su una mensola della libreria. “- Grazie.” Rispose lei, ancora scossa, fissando poi il display con aria  indecisa. “- Non dovrei… ma ormai!” disse, componendo un numero.
In una casetta in periferia, Angelica dormiva e sobbalzò allo squillo del telefono. “- Ciao mamma.” Disse Angie, senza entusiasmo e voce preoccupata, sperando di sentirla rispondere, sana e salva, qualcosa, qualsiasi cosa, dall’altro capo del dispositivo. “- Tesoro! Sono settimane che aspetto questo momento! Come stai?” disse la donna, quasi commossa da quella telefonata, incurante del fatto che fosse notte fonda. “- Bene. Volevo sentirti. Scusami per l’ora.” Spiegò la figlia, mentre Pablo l’osservava, perplesso e attento. Quanto era diversa in quella telefonata! Era molto più… serena. “- Mi fa sempre piacere parlare con te, fossero pure le quattro del mattino. Tranquilla, amore mio!” rispose, ancora con la voce un po’ assonnata, la madre. Angie era l’unica che le era rimasta dopo la scomparsa di Maria e, avendo notato la condotta di vita della figlia, era preoccupata e sentirla la rincuorava. Sapeva che era dovuto al trauma della perdita della sorella, lo sospettava, ma la ragazza era stata chiara: la vita era la sua e ne faceva ciò che voleva. Quella chiamata, per Angelica, era fin troppo importante e quasi si commosse nel sentire la voce della figlia. “- Adesso ti lascio dormire in pace. Scusami ancora, volevo sapere se tu stessi bene.” Concluse Angie, attendendo una risposta. “- Sto bene, ma starei meglio se tu mi passassi a trovare qualche volta.” Esclamò la donna, decisa. “Lo farò, promesso. Buonanotte.” Rispose la bionda. “Buonanotte, tesoro.” Terminò sua madre, mentre lei attaccò e rimase a fissare il telefono per poi buttarlo sul comodino. Pablo la fissò, sorpreso da quella chiamata e tornò a sedersi sulla sedia, riprendendo il libro da dove aveva lasciato. “- Scusami per… l’interruzione. Se vuoi, domani, puoi dormire nel soggiorno… insomma, intendo dire leggere, non dormire! Per carità!” Disse la donna, stendendosi di nuovo sul letto, fissando il soffitto con aria un po’ più tranquilla. “- Non preoccuparti. Sto bene qui. Se urli in quel modo mi tieni sveglio, almeno!” esclamò, ironico lui, facendo sì che lei si arrabbiasse e si voltasse dal lato opposto con fare scortese e nervoso. “- Fai sempre incubi del genere?” chiese poi, serio, richiudendo il volumetto che teneva tra le mani. “- Almeno tre volte a settimana.” Replicò la donna, con tono rassegnato. “- Ed è sempre uguale? Insomma, il sogno intendo…” si informò, curioso, l’uomo, attendendo una risposta che ci mise un po’ ad arrivare, tanto che pensò che Angie si fosse riaddormentata. “- Sì. Ma sta volta era un po’ diverso. C’era mia madre ed è la prima volta che mi capita.” Disse, dopo qualche minuto lei, come se avesse voluto prendere tempo per rifletterci su. “- Ti ho fatto alcune domande di fila e non mi hai mandato a quel paese! E’ un record! Ti rendi conto?” tentò di distrarla lui, ridacchiando. “- Ti ci mando ora. A che domanda stiamo?” rispose di colpo lei, rigirandosi verso Galindo che alzò un sopracciglio, sorpreso ma non troppo. “- Alla terza, mi pare.” Le sorrise lui, vedendola, finalmente, abbozzare un sorriso. “- Non male, stiamo migliorando. Buonanotte.” Sentenziò lei, accoccolandosi sul lato e chiudendo gli occhi, stanca e assonnata. “- Buonanotte.” Disse lui, serio, rendendosi conto che la stava fissando da circa due minuti di fila. Quando lei si rigirò si rese conto che la osservava da fin troppo tempo e tornò, finalmente, al suo libro.
 
 
A villa Castillo, intanto, German era sveglio a lavorare su alcuni progetti per tenere la mente occupata. Era nel suo ufficio, al piano di sopra e, di tanto in tanto, si perdeva a fissare la foto della sua famiglia di fronte a sé. Erano felici e allegri. C’era persino Angie e Angelica accanto alla sua amata moglie. Ancora non riusciva a credere a quello che era successo e che, ancora, stava continuando a succedere. Era come se non avessero ancora pace dopo quella tragedia. Temeva tanto per la sua bambina, così piccola, fragile e indifesa. Leon ancora gli appariva un moccioso ma, d’altronde, era dell’agenzia di Cardozo Valdez e bisognava fidarsi dei bodyguards di quell’uomo. E poi c’era sua cognata: non riusciva a sopportare il fatto che avesse convinto lei sua moglie a partecipare a quello show. Non aveva colpe, poverina. Aveva sofferto e soffriva ancora tanto pure lei, sentendosi dannatamente colpevole dell’accaduto, ma lui comunque non riusciva a tollerarla. Forse perché aveva affrontato quella perdita nella maniera più errata, secondo lui, o forse, semplicemente perché cercava qualcuno su cui scaricare la colpa, fino a quando, almeno, non fosse venuto fuori il vero colpevole. Già, si trattava di un colpevole vero e proprio… non poteva sopportarlo. Chi avrebbe voluto eliminare la tanto amata cantante Saramego? E perché, continuava a tormentare anche loro? Non riusciva a concentrarsi sul lavoro, troppi pensieri e riflessioni affollavano la sua testa in quel periodo. Uscì per scendere le scale e dirigersi in cucina ma un urlo, gli fece raggelare il sangue nelle vene. Proveniva dalla camera di Violetta e sia lui, che Leon, si fiondarono verso la porta. “- Vilu! Vilu apri, per favore! Violetta stai bene?” urlò, bussando ripetutamente alla porta, mentre la ragazza si era appena svegliata di soprassalto e neppure riusciva a realizzare quelle voci che la chiamavano da fuori alla stanza. “- La chiave! Corri a prenderla, Leon! E’ nel mio ufficio, nel secondo cassetto a destra. Sbrigati!” urlò a Leon che si fiondò verso la stanza indicata dall’uomo, senza perdere il controllo. Mentre il giovane era nell’ufficio di Castillo, la ragazza, finalmente, scese dal letto e aprì la porta che era chiusa dall’interno, per andare a prendersi un bicchiere d’acqua e quasi sobbalzò nel trovarsi di fronte suo padre, bianco in viso e tesissimo. “- Tesoro! Stai bene?” le chiese, abbracciandola forte e stringendola a sé con foga. “- Sì. Più o meno.” Balbettò lei, ancora terrorizzata da quel nuovo incubo. In quel momento, Vargas giunse con la chiave alta in mano come un trofeo, ma abbassò il braccio nel vedere la ragazza fuori dalla stanza tra le braccia del padre. “- Tutto ok?” chiese anche lui, mentre lei annuì, in silenzio. “- Dai, torna a dormire…” le disse German, staccandosi da lei e indicandole il letto. “- Sì papà, vado solo a prendere un bicchiere d’acqua e poi torno a letto.” Rispose lei, prendendo la direzione delle scale. “- Non chiuda più, cortesemente. So che è stato lei ieri notte. Non intralci il mio lavoro… d’accordo?” chiese Leon, fissando Castillo che annuì, ancora sotto shock. Vargas lo guardò male e lo superò, seguendo la giovane che stava già agli ultimi gradini e si stava recando in cucina. “- Violetta!” la chiamò il ragazzo, facendola voltare lentamente, mentre si stava riempiendo un bicchiere dal rubinetto. “- Hai fatto bene a dirglielo.” Disse lei, con calma. “- Cosa?” chiese il giovane, sedendosi su uno sgabello e prendendo a fissarla stupito e confuso. “- Di non chiudere più a chiave. Non lo farò nemmeno io, come stanotte. Ero così scossa che neppure riuscivo ad aprire la porta.” Disse Violetta, prima di prendere un grande sorso d’acqua e di andarsi a sedere vicino a Vargas. “- Incubi, suppongo…” iniziò Leon, fissando le sue mani strette intorno al bicchiere, ormai sul tavolo, di fronte a lei. “- Come sempre. Ormai ci sono abituata.” Esclamò seria, fissando il movimento ipnotico del liquido nel bicchiere. “- Ti abbiamo sentito urlare e…” tentò di spiegare Leon, mentre lei bevve un altro sorso d’acqua. “- Sì. Immagino. Mi dispiace.” Si scusò, senza ragione lei. Forse sapeva di averli spaventati e per quel motivo stava chiedendo perdono. “- Non ti preoccupare. Tanto ero sveglio. E mi pare di aver capito che anche tuo padre lo fosse. Quindi nessun problema, sul serio.” Tentò di apparire dolce Vargas, accarezzandole i capelli distrattamente e ritirando subito il braccio non appena se ne rese conto. “- Papà non dorme da settimane, ormai. Mi comincia a preoccupare.” Disse, tesa, la giovane. “- E’ tutto normale, suppongo. E’ difficile anche per lui. Dai, adesso torna a dormire, ma stavolta vengo di là con te. Prepara una sedia.” Sorrise, astutamente, Leon. “- E cosa ci devi fare, scusa?” disse lei, curiosa, sgranando gli occhi nocciola. “- Vuoi che dorma sul tuo letto rendendo inutile la mia presenza o che resti sveglio su una sedia?” esclamò Leon, prendendosi una Cola fredda dal frigo e aprendola provocando un leggero frizzare. “- Sveglio sulla sedia.” Rispose seccamente Violetta, abbozzando un sorriso. “- Perfetto. Questa me la porto. La caffeina mi aiuterà nella missione. Andiamo.” Disse la guardia del corpo, seguendo la giovane che stava risalendo le scale con aria stanca. “- Buonanotte, papà.” Salutò lei, ad alta voce, notando che il padre era ritornato nel suo studio. “- Buonanotte, tesoro!” esclamò l'uomo, meno nervoso, affacciandosi sull’uscio. “- Ehi tu! Davvero vuoi dormire nella stanza di mia figlia?” chiese a poi a Leon che si stava affrettando ad entrare nella stanza della giovane. “- Sì. Se vuole lasciamo la porta aperta così ci potrà controllare tutte le volte che vorrà.” Ribatté al padre della ragazza che scosse il capo, sconfitto. “- Ah, signor Castillo: ricordi, io non dormo, sorveglio. E’ ben diverso.” Ghignò Leon riprendendo la sua solita aria di superiorità e fissando l’uomo con sguardo fiero. “- Buonanotte, Vargas.” Si limitò a salutarlo, serio, il padrone di casa. “- A lei, signor Castillo.” Rispose il ragazzo, sporgendosi sull’uscio prima di avvicinarsi al letto della giovane. Violetta stava trascinando la sedia girevole dalla scrivania al centro della stanza. “- Lascia, piccolina! Faccio io.” Si offrì subito il ragazzo, posizionandola vicino al materasso della ragazza. “- Domani c’è scuola. Cerca di dormire.” Disse lui, rendendosi conto di averlo detto con un tono smielato, fin troppo per i suoi soliti canoni, molto più ironici e sarcastici. “- Buonanotte. Sperando che lo sia sul serio.” Sussurrò la ragazza, stendendosi e voltandosi sul fianco, in direzione di Leon che la fissò intensamente. “- Notte.” Salutò lui, seccamente, fissando di fronte a sé. La giovane Castillo si addormentò solo dopo un po’ che aveva giocherellato con il cellulare e Vargas, premurosamente, glielo tolse dalle mani per poggiarlo sul comodino. Quella ragazza era così particolare: tanto fragile, eppure, in alcuni momenti, tanto forte e combattiva. Ragazza? L’aveva sul serio definita così e non mocciosa, bambina o ragazzina come al solito? Leon quasi si sorprese di sé stesso. Quella notte lo aveva sconvolto e, forse, stava cominciando a capire sul serio come fosse in realtà, Violetta.
Si perse a messaggiare con un amico fino a notte fonda ma, ad un tratto, l’altro se ne andò a dormire, lasciandolo da solo, nel buio di quella stanza. Giocò con il telefonino fino a scaricarne completamente la batteria, già finita per metà e, non sapendo cosa fare, si fissò di nuovo a guardare la giovane. Ora dormiva più serenamente e la cosa tranquillizzò anche lui.  La ragazza si rigirò varie volte, distendendosi al meglio, fino a quando la sveglia non suonò con un trillo allegro e melodioso.
“- Buongiorno, piccola!” iniziò subito Leon, vedendo sbucare il braccio di lei da sotto le coperte per spegnerla di colpo. “- Ciao, rompiscatole!” sorrise lei, con sguardo furbo, ma senza la minima intenzione di volersi alzare. “- C’è scuola! Sbrigati! Lo Studio ci attende!” disse Vargas, con tono solenne, afferrando uno zaino con le sue cose appoggiato sul pavimento, prima di andarsi a preparare. Violetta lo fissò uscire dalla stanza, quasi imbambolata. No, non poteva. Si rese conto che lo aveva fissato troppo, molto più del dovuto e tentò di scordare di averlo fatto, alzandosi di colpo per dare il via ad una nuova giornata.
 
 
In cucina, a villa Saramego, Pablo armeggiava con una macchinetta del caffè per tentare di prepararsene un o decente e, soprattutto, per continuare a restare sveglio anche durante il resto del giorno che era appena cominciato. Cominciò ad innervosirsi con quell’aggeggio infernale  che non voleva saperne di funzionare. “- Se non inserirci la cialda non uscirà mai.” Angie era apparsa sulla porta della cucina e gli si avvicinò rapidamente per procedere lei all’operazione. “- Non sapevo dove le tenessi e non volevo svegliarti. La notte è stata fin troppo movimentata.” si giustificò lui, tentando di non far capire che l’avesse proprio scordato l’ingrediente fondamentale. “- Ah, e come pensavi di fartelo questo caffè?” rise la donna, mentre, finalmente, le tazzine cominciarono a riempirsi.  “- Grazie…” disse lui, afferrandone una e cominciando a sorseggiarlo. “- Se vuoi altro c’è di tutto… io non faccio colazione, mi basta questo. Ma tu prendi ciò che ti pare.” Esclamò la donna, precipitandosi in bagno per prepararsi. “- No, anche per me va bene solo questo. Vorrei parlarti di una cosa…” iniziò lui, avvicinandosi con le spalle alla porta della cucina per farsi sentire da lei. “- Senti, se è per stanotte mi dispiace. Purtroppo mi capita spesso di avere questi incubi e…” tentò di spiegare la bionda, uscendo dalla stanza con solo un asciugamano addosso. La guardia si voltò di spalle, in pieno imbarazzo, fingendo di sciacquare le tazze della colazione. “- Lascia, faccio io dopo! Vorrei solo un bodyguard, non un uomo delle pulizie!” esclamò sghignazzando, lei, avvicinandosi ancor di più a Galindo che indietreggiò, ritrovandosi
 sul lato opposto del tavolo. “- No, ma va… vai… vai a vestirti, ci penso io!” balbettò l’uomo, mentre lei, dopo aver fatto una faccia sconvolta, si recò nella cabina armadio, dall’altra parte della casa. “- Volevo parlarti di un’altra cosa, non di stanotte… o meglio, ha a che fare con quella telefonata a tua madre…” disse Pablo, seguendola nella camera da letto e cominciando a prepararsi anche lui per andare allo Studio. “- E quindi?” chiese lei,  quasi stizzita. “- Mi pare le abbia promesso qualcosa… non so cosa, ma qualcosa le hai detto.” Esclamò lui, sorprendendola. Senza aver sentito la donna dall’altro capo del telefono aveva capito che le aveva giurato qualcosa. “- Sì, le ho detto che sarei andata a trovarla, prima o poi.” Disse la bionda, quasi come se nulla fosse. “- Perché non oggi? Magari dopo la scuola…” tentò di convincerla lui, facendola uscire con aria ancor più nervosa, finalmente pronta. “- Perché dovrei, scusami? Ma tu gli affari tuoi non te li sai fare?” borbottò, mettendosi davanti allo specchio per truccarsi. “- Povera donna. Non ha perso una figlia. Le ha perse tutte e due.” Sentenziò, criptico e duro, il bodyguard, sperando di risvegliare in lei la voglia di reagire. La donna si voltò di colpo e gli si avvicinò, quasi con fare minaccioso, fissandolo negli occhi con aria di sfida. “- Si puo’ sapere cosa vuoi?” disse, ancora con un rossetto tra le mani. “- Perché non vuoi andarci? Scommetto che lei non sa delle minacce… forse ne ha ricevute anche lei e non lo sappiamo! L’hai sognata, forse è un segno, che ne sai?” la rimproverò l’uomo, con decisione, alzandosi in piedi ed avvicinandosi a lei. “- Non capiresti mai. Non voglio andarci. Non ci riesco.” Disse lei, nervosa, sciogliendosi la folta chioma e muovendola a destra e sinistra. “- Ci verrò anch’io. Devi vederla. Prima che le arrivi qualche messaggio non desiderato. Devi parlarle. Sono sicuro che le manchi.” Tentò di convincerla lui, immaginando che la donna stesse già soffrendo abbastanza per Maria. “- No.” Disse, seccamente lei, afferrando la borsa da una sedia. “- Perché?” chiese ancora lui, tenace. “- TU NON LO SAI, OK? NON CE LA FACCIO! E SMETTILA!” urlò lei, esasperata da chissà cosa, ma non sconvolgendo l’agente. “- Verrò con te, che ti piaccia o no.” Disse l’uomo, con la solita calma glaciale. La donna  lo fissò, sconcertata dal fatto che Galindo fosse così insistente. Forse, però, aveva ragione: forse anche Angelica stava rischiando e non aveva detto nulla a nessuno, non volendosi rivolgere alla polizia. Conosceva sua madre,  era fin troppo testarda e aver avuto a che fare con gli agenti dopo la perdita della figlia maggiore, di sicuro, non l’avrebbe mai fatta tornare al commissariato. Angie guardò Pablo che resse il suo sguardo con freddezza e intensità. La bionda non disse nulla e Galindo ne fu felice. Forse, in fondo, una minima speranza che dopo la scuola la donna avesse accettato di andare dalla madre, c’era.
 
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Ahi, ahi, ahi! Notte di incubi! Zia e nipote non hanno sonni tranquilli, dopo il trauma subito! Per fortuna ci sono i bodyguard che pensano a loro! *-* poi la telefonata di Angie a sua madre, quel sogno… sarà premonitore? Perché la donna non vuole tornare a casa di Angelica? E avrà ragione Galindo? La donna sarà in pericolo come lei, la nipote e suo cognato? Vedremo… spero la storia vi stia piacendo e approfitto per ringraziare i miei lettori e recensori affezionati! I vostri commenti mi riempiono di gioia, sul serio! Grazie di cuore! Alla prossima! Ciao! :)
  
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