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Autore: his lips make me laugh    18/09/2013    0 recensioni
...Stavo per cadere in un tunnel, stavo per ammalarmi terribilmente di un qualcosa troppo grande da essere gestito da un’adolescente, stavo per provocarmi il vomito, lo stavo facendo per davvero e la cosa più sorprendente è che quella volta nessun senso di colpa mi fermò. Mi specchiai un’ultima volta all’oggetto che tra tutti più odiavo e mi chiesi perché lo stessi facendo. La risposta che seguì fu quella di sempre: “ PERCHE’ FAI SCHIFO!”
Così aprii la tazza del water e in due minuti rigettai tutto ciò che avevo mangiato…Ero vuota e mi stava bene.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Vuota. Ecco come mi sento. Vuota. Vuota  come una bottiglia di plastica dopo essere stata privata del proprio contenuto, come il portafoglio del barbone che puntualmente dorme a due passi dal nostro portone e che spera ogni sera in una fetta di pane, come la mia mente ogni volta che lo rifaccio, come il mio cuore incapace di provare qualsiasi tipo di emozione o di sentimento, come il mio stomaco ogni giorno. Ecco, il mio stomaco. Quello forse è la cosa più vuota di tutte queste che ho appena elencato. Ricordo ancora quando iniziò…
Era il settembre di due anni fa, iniziavo il liceo quel giorno. Ero elettrizzata, emozionata e impaurita contemporaneamente; vi starete chiedendo se fosse possibile, bhe sì lo era. Chiariamoci: io sono sempre stata una persona lunatica, una di quelle che può cambiare stato d’animo in cinque minuti, che può dichiararti amore eterno prima e urlarti in faccia di odiarti dopo, una di quelle che se è nervosa è meglio starle alla larga e che se è felice ti dà il cuore, nel senso che sarebbe disposta a donarlo davvero ad una persona nel caso quest’ultima ne avesse bisogno. Ma quella mattina ero nelle stesse condizioni in cui mi trovo ogni anno il giorno del saggio. Sì, faccio danza, ma di questo ve ne parlerò dopo. Mi alzai dal letto prima che suonasse la sveglia: 6.45. Ancora troppo presto per alzarmi e poter svegliare tutti e così decisi di controllare whatsapp…Forse quello fu il momento più bello e brutto della giornata! Un messaggio, semplicemente uno che mi fece crollare. Era da parte di una delle mie migliori amiche di quei tempi: ne eravamo sei, sei cretine che si conoscevano da tre anni ma che sembrava si conoscessero da una vita, sei cretine che condividevano tutto, sei cretine che dalla prima media avevano mostrato una strana affinità che avrebbe spaventato molte persone ma non loro, sei cretine che non erano intenzionate a lasciarsi. Il loro era un rapporto davvero particolare che solo le persone con un determinato carattere sarebbero riuscite a mantenere vivo. Diciamoci la verità: poche persone riescono a trovare il “migliore amico” e trovarne sei per me fu una fortuna, quasi un miracolo. Desideravo da anni quel tipo di amicizia e trovarla fu stupendo, soprattutto perchè avevo tutta la voglia di impegnarmi per far sì che funzionasse. Diciamo che sono sempre stata convinta che per costruire un’amicizia ci volesse lo stesso impegno  che ci si mette per costruire un relazione o nel giro di uno, massimo due, mesi tutto crolla come un castello di sabbia costruito troppo vicino all’acqua, la quale con una sola onda riesce a distruggerlo lasciando solo sabbia, lasciando tutto com’era prima che il castello venisse costruito .   A questo punto vi starete chiedendo cosa potesse essere scritto in quel messaggio di così importante, ricordo ancora tutto a memoria:
OGGI CAMBIERA’ TUTTO. Ricordate che qualsiasi cosa ci riservi il futuro io vi vorrò sempre bene, siete il mio punto fermo, la mia casetta sull’albero quando ho bisogno di estraniarmi dal mondo, la mia seconda famiglia e una famiglia non di dimentica. VI VOGLIO BENE PER DAVVERO!
Il mittente del messaggio era Jen. Il suo nome originale era Jennifer, ma Jen bastava. Lei era quella tra le sei con cui io ero più unita, non che con le altre non fossi legata, ma se ritenevo le altre le mie migliori amiche, lei la ritenevo una sorella. Sapeva tutto di me, mi aveva visto piangere nel bagno della scuola numerose volte per i più svariati motivi, mi aveva visto ridere fino alle lacrime per stupidaggini, mi aveva visto felice davvero e mi aveva visto triste davvero. Le sue gioie erano le mie e i suoi dolori erano i miei. Ricordo ancora quando il giorno che i suoi genitori si separarono, ancora con le lacrime agli occhi per la situazione che la sua famiglia (che ormai non era più tale), mi disse “ Basta parlare di me e dei miei problemi, parlami di come hai ottenuto la parte da protagonista nel saggio di fine anno!”. Una persona del genere è speciale, è unica e io mai al mondo avrei desiderato lasciarla scappare, peccato che al destino non interessassero i miei desideri, ma questa è ancora un’altra storia che poi vi racconterò…
Dopo il messaggio non sapevo se essere contenta della sua promessa o triste per la consapevolezza che al 90% tutto ciò che aveva scritto molto probabilmente nel giro di un anno sarebbe diventato solo un ricordo e così scoppiai irrimediabilmente in un pianto isterico…uno dei MIEI pianti isterici. Raramente io scoppiavo in pianti isterici che poi portavano a singhiozzi e balbuzia, ma quando lo facevo avevo paura di me stessa. Di solito in questi momenti Jen o era al mio fianco o cercava di calmarmi trasmettendomi tutto il suo “amore” tramite un telefono. Ma alle 6.45 non potevo di certo chiamarla, anche se era sveglia. Sarebbe stato un atto di puro egoismo: era pur sempre il suo primo giorno da liceale e non sarebbe stato giusto tormentarla con i miei dubbi, le mie incertezze e le mie domande…e poi, cazzo, erano comunque le 6.45 e io non avrei mai desiderato essere chiamata a quell’ora per una crisi. E così mi ritrovai da sola ad affrontare tutto ciò che mi stava accadendo. La cosa peggiore di questi pianti non erano le lacrime che, copiose, ti scambiavano il trucco, o il mal di testa che seguiva, e nemmeno i singhiozzi o la balbuzia, la cosa peggiore di questi momenti era, ed è tutt’ora, il mettersi davanti allo specchio senza un motivo ben preciso e desiderare di non essere così. Ma cosa c’entrava tutto ciò con la mia paura di perdere le mie amiche? Ancora oggi non so dare una risposta a questa domanda che da due anni mi perseguita, ma per una qualche strana ragione durante questi momenti che io definirei “di perdizione” io trovavo me stessa. E’ un controsenso, lo so! Nei momenti di perdizione una persona dovrebbe non essere più se stessa e perdere sé stesso, ma io in realtà perdevo solo la maschera che ogni mattina indossavo insieme ai jeans. Trovavo invece la mia parte più segreta e orribile: l’odio profondo che nutrivo nei confronti di me stessa.
Quello specchio, quel fottuto specchio sembrava quasi che parlasse quella mattina. Sembrava che mi dicesse le stesse cose che io pensavo da ormai troppo tempo e così una certezza che avevo ormai da tempo tornò a farsi spazio nella mia mente: IO NON SAREI MAI STATA QUELLA CHE VOLEVO. A quel punto allora mi chiesi il motivo di tutto ciò. E non trovando risposta decisi di dover fare qualcosa. La dieta? No, non era assolutamente per me. La palestra? La danza già mi occupava tempo. L’anoressia? Se solo fossi stata capace di non mangiare per giorni forse l’avrei anche fatto, pur sapendo che era una malattia, ma la mia voglia di ingozzarmi era troppa. E così arrivai alla conclusione più ovvia: provocarmi il vomito.
Erano mesi che ci pensavo in realtà e non nego che già ci provai nelle settimane precedenti, ma con scarsi risultati. Quella mattina però c’era qualcosa di diverso in me, ero determinata a farlo e niente mi avrebbe fermato. Così, cercando di fare il meno rumore possibile, raggiunsi la dispensa e mi ingozzai di qualsiasi cosa fosse dolce e terribilmente calorico. Poi, già, e forse dovrei dire ancora, con le lacrime agli occhi raggiunsi il bagno. Iniziai a tremare, ero consapevole di quello che stavo per fare. Stavo per cadere in un tunnel, stavo per ammalarmi terribilmente di un qualcosa troppo grande da essere gestito da un’adolescente, stavo per provocarmi il vomito, lo stavo facendo per davvero e la cosa più sorprendente è che quella volta nessun senso di colpa mi fermò. Mi specchiai un’ultima volta all’oggetto che tra tutti più odiavo e mi chiesi perché lo stessi facendo. La risposta che seguì fu quella di sempre: “ PERCHE’ FAI SCHIFO!”
Così aprii la tazza del water e in due minuti rigettai tutto ciò che avevo mangiato…Ero vuota e mi stava bene.
  
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