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Autore: biberon    19/09/2013    3 recensioni
Courtney Barlow: studiosa, disciplinata, precisa, ordinata e bella. *********************************************************************************
Duncan Nelson: Graffitaro punk con una pessima fama tra i professori, è stato sospeso svariate volte per atti di vandalismo sulla proprità scolastica. ********************************************************************************
Heather Wilson: Critica, affascinante, scorbutica, solitaria, bellissima. Fredda, spietata e calcolatrice, conduce i giochi nella scuola come pare a lei. ***************************************************************************
Alejandro Burromuerto: Sensuale, dai bei lineamenti, ci sa fare con le donne ed ha un’abile parlantina.
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Gwen Parski: Dark solitaria e pessimista. Reprime ogni tentativo di fare amicizia da parte delle compagne.
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Bridgette Rivas: Ha dei lunghissimi capelli biondi che attirano molto l’attenzione, specialmente dei ragazzi. È campionessa da tre anni di tutti gli sport delle gare scolastiche.
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Geoff Hatten: Allegro, festailo, eccentrico.
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Tra amore e odio, rivalità e amicizia, depressione , talento e passione … chi sopravviverà?
E chi invece dovrà abbandonare La Toronto talent Art and Music Academy?
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*Dal testo:*
Quei suoi occhi verdi la fissavano con un’intensità surreale.
Il suo cuore batteva all’impazzata.
Non si era mai sentita così in tutta la sua vita.
Si stava forse innamorando?
Insomma, quando guardava quegli occhi le veniva il sospetto che potesse scomparire l'universo senza che lei se ne accorgesse?
Era davvero così potente quello che stava provando?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Bridgette, Courtney, Duncan, Gwen, Heather | Coppie: Alejandro/Heather, Bridgette/Geoff, Duncan/Courtney, Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Tutte le cose più grandi iniziano con cose molto più piccole.
Cose infinitesimali, cose di poco conto, cose che sembrano pura routine.
Cose che non sono altro che semi, da cui nascerà il vero fiore, il fiore così grande e stupendo che mai nessuno potrà distruggerlo.
A volte, per seminare le cose grandi basta una semplice frase:
“Questo posto è libero. Posso sedermi qui?”
E una risposta:
“Sì.”
 
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Gwen parski era una ragazza strana sotto molti punti di vista:
prima di tutto odiava il sole.
Quei raggi così caldi e luminosi, quei raggi roventi che t’i s’infilavano nei vestiti e t’esploravano ogni centimetro di pelle, quei raggi odiosi che entravano dove non dovevano, che da un momento all’altro ti facevano ritrovare così scura che nemmeno un intero tubetto di cerone con l’aggiunta ci cipria bianca poteva salvarti.
Seconda cosa, odiava uscire.
Già, per lei non c’era nulla di più repellente dei gruppetti di ragazze ridacchianti in canottiera aderente e jeans, che mostravano gli slip a chiunque gli passasse di fianco e invadevano i centri commerciali come mandrie di mucche impazzite.
poi non aveva amici o amiche.
Aveva frequentato due anni di liceo a Ottawa, in una delle scuole più prestigiose, e non era riuscita a trovare un cane che si offrisse di accompagnarla a casa o di dividere il pranzo a mensa con lei.
Tutti la reputavano strana e “pazza”.
Così, quando i suoi genitori le avevano comunicato che si sarebbero trasferiti a Toronto, a lei non dispiacque per nulla.
Non fece una di quelle scenate in stile “questa è la mia casa.”
Si limitò a grugnire, come faceva sempre, qualsiasi domanda le rivolgessero, e ad aiutare sua madre a fare le valigie.
Arrivarono nella ci8ttà gelata alle sette e mezza di un tranquillo dodici settembre, e già due giorni dopo, alla stessa ora, Gwen era seduta nel sedile posteriore della macchina dei suoi con due valigie e uno zaino enorme, tutti rigorosamente neri.
Si stava preparando per iscriversi ad una nuova scuola: La Toronto Art and Music Academy.
Si trattava di un college di quelli moderni, ma con una struttura millenaria, con le lavagne touch e un sacco di dormitori per gli alunni di tutte le età.
La gotica era un pochino preoccupata per questo: con chi si sarebbe messa in stanza?
Certo non con una sciacquetta qualsiasi.
O con una maniaca della moda.
Lei voleva solo una compagna silenziosa che stesse al suo posto e non invitasse nessuno …
Insomma, qualcuno che non rompesse i coglioni.
Quando il padre parcheggiò l’auto in fondo al vialetto, il cuore le era ormai in gola.
Aveva indosso solo una camicetta nera di pizzo, la minigonna, le calze a maglia nere, gli stivali, le maniche e4 un’espressione di odio puro.
Tirò fuori dalla porta posteriore le valigie con fatica e le trascinò giù sul marciapiede.
Si caricò lo zaino in spalla e prese un bagaglio per mano.
I capelli restavano fedeli alla loro odiosa abitudine di svolazzarle davanti agli occhi nei momenti meno opportuni e aveva la sensazione che il mascara le stesse già colando via.
La madre le fece mille raccomandazioni: “sta attenta”, “non fare tardi a lezione” “socializza con qualcuno” etc etc etc.
Lei rimase impietrita sotto il peso della roba che portava.
Ascoltava e muoveva la testa su e giù, come uno di quei pupazzini che si mettono sul cruscotto delle automobili.
Poi accadde.
La cosa che temeva di più.
La campanella suonò.
Sua madre si asciugò una lacrimuccia tonda e liscia che le colò ordinatamente sulla guancia.
Suo padre la salutò e le raccomandò di tornare a casa per il week and.
La dark ci pensò un attimo su.
Sì, sarebbe tornata per il week and.
La sua casa era un cantiere edile, era vero, ma qualunque posto era meglio della scuola.
Inoltre, i buzzurri e le oche che avrebbe incontrato avevano già frequentato due anni di corsi insieme, quindi si conoscevano alla perfezione.
Ancora una volta, lei sarebbe stata quella strana, in quanto nuova.
Si fece largo tra una massa di energumeni (probabilmente i giocatori della squadra di rugby della scuola) e scansò due cheer leader che parlavano concitatamente tra di loro.
Rischiò di inciampare in una valigiona rosa, che scoprì appartenere ad una ragazza coi capelli castani raccolti in una coda ne un paio di acchiali dalle lenti appannate.
Si premette contro il muro tenendo strette le valigie e aspettò.
Aspettò che tutta quella massa di gente sciamasse dentro per poter cercare di entrare senza essere schiacciata, ma sembravano non esserci speranze.
Cavolo, erano infiniti quei dannati studenti!
Una puzza creata dal misto di sudore, profumo Dior, crema antibrufoli e zaini plastic osi le invase le narici gettandola in uno stato di semicoma.
Raggiunse l’apice della sopportazione quando un’abbondante porzione di sputo destinato ad un nerd atterrò sul suo scarpone.
Un ragazzo alto con i capelli a spazzola le venne incontro.
“Scusa, mi dispiace, io …”
Aveva l’aria di uno di quei bulletti che il carino con le ragazze.
Gwen mostrò subito il suo lato peggiore.
“Scusa un cazzo! Lo sai quanto costano questi stivali?! Più di duecento dollari, pezzo di idiota!” urlò inviperita.
“Eh, oh, calmati.” rispose lui cercando di darsi un tono.
“fanculizzati” sibilò lei e si diresse verso la siepe che separava l’atrio esterno dal giardino.
Si mise li dietro e con un fazzoletto tentò di ripulire quell’orrore …
Quando qualcosa la riscosse.
Un mugugno proveniente dal fogliame …
Dapprima fu un po’ spaventata, poi fu curiosa.
Andò avanti tastando le foglie e per sbaglio calpestò qualcosa sul viale polveroso.
La sua sorpresa fu grande quando si trovò sotto la suola di cuoio nero un reggiseno di pizzo color porpora.
Se lo levò dall’anfibio di marca e spostò con decisione i rami davanti a lei.
Dietro, come c’era da aspettarsi, c’era una barbie gigante avvinghiata ad un ragazzo in tuta sportiva.
Capelli biondi, minigonna arancione, gambe nude, scarponi con le stelline da cow girl a carnevale, una fascia azzurra, un top aderente appena visibile, sotto il quale le mani del ragazzo frugavano con avidità …
“Che c’è, non hai mai visto qualcuno limonare?” chiese il ragazzo staccandosi per un secondo dalla fidanzata.
“Sì, ma …”
Gwen era sgomenta e non sapeva che dire.
Perciò, per rompere l’imbarazzo, girò sui tacchi e decise si ritentare di entrare.
L’ingresso si era un po’ liberato, così entro dalla porta a vetri di lato e faticò molto per farci passare le sue valigie.
In mezzo a una mandria di ragazzi che parevano più mucche imbestialite raggiunse la segreteria.
La bidella stava conversando al telefono.
“No, signora, le ho detto di no … ma se suo figlio deve frequentare la lezione … no, è chiusa … ma c’è quello d’istituto … capisco … no, da solo no!  Ma sì, può darsi … aspetti … c’è una ragazza che ha bisogno.” concluse lanciando un’occhiataccia a Gwen, che alitava da circa cinque minuti sul vetro pasticciato.
“Che posso fare per te, cara?”
“Cercavo la mia classe, sono nuova e …”
“Un secondo. Tu sei?”
“Gwen Parski, la nuova ragazza di quest’anno … sono di Ottawa.”
La donna guardò i fascicoli sulla scrivania.
“Ma sì, certo, ho capito … sì, bene … devi andare nel terzo corridoio, classe terza D, quinta porta a destra.”
Gwen ringraziò di sfuggita e si gettò di nuovo nella mischia.
Raggiungere il terzo piano fu davvero difficile usando le scale, e la dark non sfiorò nemmeno l’ascensore, dove stavano stipati tutti i nerd e gli sifgati Della TERRA che si scambiavano la crema antiacne …
Ad un certo punto vide un ragazzo girato di spalle che teneva bloccato al muro un soggetto ben più piccolo, per il collo.
Se c’era una cosa che non sopportava la ragazza, erano le ingiustizie.
Si avvicinò a loro, in un angolo buio e stretto.
“Per piacere, lascialo stare.” disse al ragazzo della sua età.
Lui si voltò e la guardò con aria di sufficienza.
Gwen non  poté fare a meno di notare quant’era carino: occhi azzurri, capelli neri, cresta verde … cercò di riscuotersi e sostenne lo sguardo.
“Ma guarda guarda, una nuova ragazza … sei davvero carina! E dimmi, perché difendi questo pidocchio?!”
“Non sopporto le ingiustizie.”
“Guarda che l’ingiustizia l’ha appena fatta lui a me. Ha cancellato il murales più bello che avevo fatto.” nel dire le ultime parole la sua faccia s’incattivì e si voltò di nuovo, pronto per strangolare il malcapitato, che però era sgusciato via nel frattempo.
“Cazzo …” bisbigliò il punk.
“Senti, mi dispiace …” cercò di scusarsi la gotica.
“Diciamo che delle tue scuse non me ne faccio nulla. Ma di un invito a pranzo … magari …” le fece gli occhioni dolci da cucciolo.
Gwen era solita mandare a fanculo chiunque le parlasse per più di cinque secondi, ma quel tipo aveva qualcosa di mortalmente affascinante …
Si guardarono negli occhi per un tempo che a lei parve infinito, quando una voce distrusse in una manciata di secondi quell’atmosfera da film …
“Duncan?! Amore?! Che ci fai con quella lì?!”
La gotica si voltò e si trovò di fronte un ispanica alta come il ragazzo, con la pelle abbronzata e i capelli color nocciola, un fisico stupendo (ok, riusciva ad ammetterlo) e dei vestiti da primadonna.
“Amore?! È tutta l’estate che non ti vedo!”
Con estremo orrore di Gwen il punk si precipitò tra le braccia della ragazza e la trascinò in un lungo bacio appassionato.
“Andiamo.” gli sussurrò quando si staccarono, fulminando Gwen con lo sguardo.
“OK, principessa. Ci si vede in giro, darkettona!” disse il ragazzo alla gotica in modo ironico.
Lei li guardò andare via con odio: non sapeva perché, ma stava provando così tante emozioni da farle girare la testa.
 
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Courtney era molto felice.
Non solo perché era ricominciato un altro anno fantastico di scuola, ma perché quella mattina aveva rivisto e baciato il suo amato Duncan.
Certo, una schifosa novellina aveva provato a mettersi in mezzo tra loro.
Ma che importava? Il loro amore era più forte di tutto.
E nulla, niente e nessuno, mai, avrebbe potuto distruggerlo.
Vero?!!?!?!?!!?!?!?!!?!
Quando arrivò, quella mattina, indossava l suo completo preferito: camicia bianca, golfino grigio, leggings verdi molto aderenti e sandali di cuoio con le zeppe.
Aveva incrociato subito le sue due migliori amiche: Sierra e Bridgette.
Erano due ragazze fantastiche!
Lei le adorava, ed era anche in stanza con loro, per fortuna.
Sierra era un vulcano: energica, simpatica, sportiva, bella, furba … aveva degli insoliti capelli boccolosi tinti di viola, sempre raccolti in una treccia chilometrica.
Indossava un top giallo verde e dei jeans, e spesso portava delle ballerine con il laccio.
Bridgette si cambiava spesso d’abito, ma non abbandonava mai la sua felpa azzurra.
Quella mattina portava i pantaloni mascolini e le infradito, come ogni primo giorno di scuola.
I capelli biondi erano sciolti, forse per attirare l’attenzione di Geoff, il capitano della squadra di football.
Lei aveva una cotta per lui, mentre Sierra era sempre in adorazione di un nerd che Courtney reputava imbarazzante e fuori moda, a cui mancava persino un dente!
Scesa dalla bici ultimo modello, Bridgette l’aveva subito raggiunta e abbracciata, e dopo aver trovato Sierra aveva raccontato loro la sua stupenda vacanza in Florida, dove aveva surfato per ore e conosciuto dei bagnini da urlo.
Courtnye, dal canto suo, non vedeva l’ora di parlare alle ragazze del viaggio in Giappone con i genitori e i cugini, ma quando aveva appena iniziato a farlo aveva visto Duncan che parlava con un’altra ragazza appartato in un angolino …
Aveva subito scongiurato il pericolo con un  bacio passionale portandoselo via.
In quel momento si trovava seduta in classe, in seconda fila, accanto a Bridgette e Sierra.
Duncan era nell’ultimo banco, da solo.
Nessuno voleva mai mettersi vicino a lui, principalmente perché incuteva timore.
Ma se era dolcissimo!
Qualcuno bussò alla porta mentre lei faceva un’unghia finta di gomma-pane a Sierra.
Che fosse la prof?
Strano, di solito arrivava in ritardo.
Le persone in giro per la classe ritornarono schiamazzando ai loro banchi e i più educati si alzarono per salutare.
Era proprio la prof.
Si sedette alla cattedra e fissò tutti per qualche secondo con  un’aria commossa.
Poi attaccò con la sua solita tiritera …
“Questo è un anno molto importante per voi, e quindi spero che vi siate preparati bene durante le vacanze estive …”
Non aveva neanche terminato la prima noiosa frase che bussarono di nuovo.
La porta si aprì ed entrò una figura decisamente grottesca: una ragazza con un’enorme zaino in spalla che pesa almeno quanto lei, e che trascinava due valigie stracolme.
Si fu un brusio di sottofondo: tutti avevano già portato i bagagli nelle stanze assegnategli all’inizio dal custode o li avevano lasciati nell’atrio.
La ragazza in questione era tutta sudata e sbuffava come se fosse reduce da una maratona.
Qualcuno ridacchiò.
Quando alzò la testa, Courtney si accorse che era la dark che le aveva quasi rubato Duncan.
Così incrociò le braccia sul petto e si voltò verso il fidanzato.
Lui sembrava non essersi accorto di nulla, impegnato com’era a incidere il suo nome sulla gamba del banco.
“Lasciali pure lì.” disse la prof alludendo ai bagagli.
La dark li posò sotto la lavagna e si appoggiò la cattedra.
Sembrava in procinto di vomitare, tanto stava male: sbuffava, grugniva, si lamentava a mezza voce …
L’ispanica provò una sensazione strana … forse pena?
La ricacciò subito giù, pensando all’atto atroce che stava per compiere sulle scale quella lì.
L’avrebbe tenuta d’occhio.
Eccome se l’avrebbe tenuta d’occhio …
 
 
 
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Gwen era stata fin  troppo ottimista … anche se era iniziata da soli quindici minuti, odiava la scuola più di qualsiasi altra cosa la mondo.
La sua classe era formata dal peggio del peggio: perfettini e perfettine, atleti, biondine, sfigati, nerd, fuori di testa, cozze, oche giulive …
Dopo aver ammassato la sua roba sotto la cattedra si avviò sbuffando verso il fondo dell’aula.
C’era un posto libero vicino al punk, ma virò all’ultimo momento per la penultima fila, dove c’erano solo due posto, vuoti.
Si sedette contro il muro e  appoggiò la testa sulla spalla, cercando di riprendere a respirare normalmente …
Quella darkettona non sapeva cosa stava per accaderle.
Non sapeva che stava per fare qualcosa di grande.
Non sapeva che le cose grandi nascono con qualcosa di piccolo …


A volte basta anche una semplice frase:
“Questo posto è libero. Posso sedermi?” le chiese una voce maschile che proveniva da un punto imprecisato davanti a lei.
Gwen era troppo impegnata a tenere la testa nascosta nelle ginocchia.
Soppesò l’ipotesi.
E a volte, basta anche solo una risposta.
“Sì.”

 
   
 
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