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Autore: Maya98    19/09/2013    2 recensioni
L'Odissea di Sherlock inizia con le Cascate del Reichenbach e finisce con La Casa Vuota, passando attraverso tappe che ci sono oscure e ignote. Ma cosa ci costa raccontare una parte del ritorno alla sua amata Itaca, dove solo una persona può davvero riconoscerlo?
[Pre-slash per chi vuole leggercelo; si può leggere quasi come una Sherlock/Londra (?)]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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I’m coming home

 

I’m coming home,

I’m coming home,

Tell the world I’m coming home

 

 

Il freddo vento gli sferza sul viso, in una carezza gentile.

È così stupido pensare che sia il suo ‘bentornato’, ma non riesce a fermare il sorriso che gli spunta spontaneamente sul volto, come una voragine tra dune di sabbia.

C’è la pioggia che ticchetta quasi indisturbata, con un rumore così sottile che potrebbe sembrare il respiro di una persona a lui vicina, che gli sussurra all’orecchio vecchi ricordi, vecchie memorie sepolte negli scrigni di qualche stanza del suo palazzo mentale.

Il passato non è mai stato così vivido: palpabile, al suo fianco, come una vecchia conoscenza disposta ad offrirgli un sorriso gentile. Non crede di aver mai avuto persone disposte a raccoglierlo con un’espressione serena come quella, a parte qualche singola eccezione. Il cielo grigio, di quel grigio dalla tonalità così familiare da far male, si lascia guidare nei suoi ricordi per portarlo indietro, nel suo passato, e costringendolo a ricordarsi che quella particolare tonalità promette un lungo temporale notturno. Sotto il velo delle sue palpebre chiuse riesce ad individuare la sagoma frastagliata e sottile di un fulmine, così fragile ed effimero da poterlo spezzare tra le dita. Prende un profondo respiro, assaporando l’inquinamento da città come se fosse l’aria più pura mai esistita, lasciando che l’odore di fumo gli riempia i polmoni di una fragranza conosciuta e familiare.

Il profilo dei monumenti della sua città si taglia davanti ai suoi occhi, con il suo contorno inconfondibile da assaporare con ogni parte. Sono passati tre anni da quando ha percorso quelle linee con lo sguardo, senza una certezza di un ritorno davanti a sé. Il London Eye gira lentamente nelle sue ultime corse, mentre il buio cala cautamente, cercando di non disturbare quell’eterna visione. Più lontano, il Big Bang con la sua elegante ma sopraffina mole, slanciata verso l’alto quasi a sfidare la gravità. Si lascia scappare un sorriso mentre guarda il West Minister; sulla strada davanti a lui passa uno dei classici e classicamente londinesi autobus rossi a due piani. L’opacità del colore di tutto non verrebbe sicuramente approvata da un pittore, ma lui non vorrebbe vedere la sua città in nessun altro modo, con nessun altra tonalità se non quella originale. Le gocce si quietano poco a poco mentre cammina lungo i marciapiedi, dolorosamente conscio dello spazio che sta attraversando, in cui si sta facendo largo quasi a fatica. Sospira di nuovo, questa volta tenendo bene gli occhi aperti per non perdersi nessun dettaglio di quello stralcio di vita che gli sta scorrendo sotto gli occhi ad una velocità fisicamente impossibile. Lui riesce a vedere, ad andare oltre, come ha sempre fatto. Nella sua mente, è inconcepibile riuscire a visualizzare Londra come una semplice capitale, una grande città piena della sua gente con i suoi problemi, esattamente come ogni altra città che gli è capitata di vedere in quegli anni. Londra trascende, supera ogni confine posto dall’immaginazione. I suoi tramonti non saranno rosa e brillantemente arancioni come quelli di Roma; le luci che brillano nella notte non saranno all’altezza di quelle di Barcellona e la musica udita per strada non sarà come quella di Mont Martre a Parigi o a Salisburgo, ma non sostituirebbe mai le sue nuvole scure e il suo vento freddo che in inverno impedisce di uscire di casa. In ogni suo dettaglio, in ogni difetto assume un sapore diverso. Di nessun altra capitale lui conosce ogni segreto: ogni stradicciola, ogni passaggio, ogni scala antincendio da salire; le scorciatoie, i vicoli, perfino i tombini hanno un significato preciso in quel puzzle che compone la visione di Londra nella sua testa. Le ombre lo avvolgono mentre procede spedito lungo il corso del Tamigi, seguendo il corso delle acque con la coda dell’occhio, percependo che quel forte odore è diverso da qualsiasi altro fiume abbia visto. Si sente  incredibilmente triste e al tempo stesso dolorosamente felice, e per qualcuno che ha predicato di non provare emozioni per evitare gli svantaggi è abbastanza impressionante.

Il tempo sembra non passare mai, trascinandosi con pigrizia mentre lui riesce a scorgere Charing Cross, con un passo tranquillo da classico turista, avvolto fino agli zigomi nel cappotto scuro che è sempre stato marchio della sua figura longilinea: lascia che ogni informazione si diffonda attorno a lui e lo avvolga, riempiendogli il cervello di stimoli che è sempre stato solito rifiutare, e che invece ora ascolta attentamente e poi lascia sfuggire, in una mente troppo veloce per soffermarsi sulle cose abbastanza dal renderle completamente indelebili. Riesce a scorgere i mille pensieri della sua città, i mille problemi, i mille segreti, con le sue mille sensazioni, le sue mille avventure nascoste e che ha sempre amato cercare. È arrivato al Waterloo Bridge, là dove una volta si è svolta una delle parti chiave del Grande Gioco, come è stato poi chiamato il caso. Sarebbe potuto girare prima per arrivare prima a destinazione, ma è stata troppa la voglia di aggrapparsi con gli occhi al più possibile della città, che è stata una delle cose che gli è mancata di più in questi anni. Si ferma, appoggiandosi alla protezione che dà sul fiume, per impedire che qualcuno involontariamente cada dentro per distrazione, sentendo il vento graffiargli il viso in un doloroso regalo. Aspetta che le ombre calino del tutto, mentre il silenzio attorno a lui si solidifica quasi fosse vetro, e finalmente non c’è più nessuno che può impedirgli di vivere fino in fondo ciò che gli è stato sottratto anni prima. Scavalca frettolosamente con le gambe la ringhiera, riuscendo a sedersi in bilico sporto sulle acque turbolente e così, oh, così familiari. Lascia scorrere i pensieri dove loro lo conducono, affidandosi al proprio istinto e ripercorrendo strade sepolte nella polvere, accarezzando con la mente ogni cosa di ciò che vede intorno, senza abbandonarsi ad inutili sentimentalismi: semplicemente prendendo ciò che Londra gli offre esattamente come lei gliela dona. Chiudendo gli occhi riesce quasi a sentire i rumori sollevarsi nel loro volume e trionfare sopra tutto, identici a quelli di quando se ne è andato. Non prova rimpianto, no, solo una grande nostalgia, come se non si trovasse ancora lì. Certe cose non cambiano mai, e sono ancora davanti a lui.

 

I know my kingdom awaits

and they’ve forgiven my mistakes

 

È passata mezz’ora quando finalmente si rialza da lì, con le mani intirizzite dal freddo e per la mancanza dei suoi fidati guanti. È costretto a costeggiare il nuovo teatro di Londra e percorrere a piedi quasi tutta la lunghezza trafficata di Oxford Street, lasciando che le persone gli passino accanto, a volte urtandolo quasi frettolosamente, ognuno immerso nei propri pensieri, nei propri problemi. Ma non c’è fretta, per lui: dopo aver aspettato tre anni è in grado di aspettare ancora qualche ora. Prendere il tempo di cui la sua testa ha bisogno per rielaborare tutti i cambiamenti che sono avvenuti e che vengono cancellati dalla sua mente appena registrati, poiché senza importanza. Nessuno lo vede se lui non desidera farsi vedere, e così pare quasi invisibile mentre attraversa le strade della sua vita, in ogni senso, lasciandosi travolgere dal senso di familiarità che ha tutto questo. I colori, gli odori, i suoni: ogni cosa sembra dargli davvero il benvenuto. Saluta distrattamente con un sorriso Alice, una delle più fidate figure della sua rete dei senzatetto, porgendogli una banconota da cento sterline guardandola appena con la coda dell’occhio. Quando lei alza il viso per ringraziarlo, gli occhi verdi le si spalancano con stupore, e lo stesso le sue labbra prorompenti: aperte, incredule, senza riuscire a pronunciare parole. Nel suo sparire con uno svolazzo del cappotto tra la folla, riesce a vederla sorridere dietro di sé con un grande bagliore negli occhi. Qualcuno disse che i fedeli sono coloro che non ti abbandonano mai e sanno sempre accettare ciò che viene per quel che è. Quando gira per una viuzza laterale deserta, che conduce verso Baker Street nell’oscurità e nel silenzio, la pioggia comincia a scendere nuovamente, con un ritmo più deciso quasi come a volerlo salutare definitivamente con più slancio di quanto è accaduto all’inizio; come dopo aver passato un tempo di riflessione abbia deciso di perdonarlo, di perdonargli tutti gli errori che ha commesso. Gli viene spontaneo sorridere, mentre le gocce divengono goccioloni e il ticchettio diventa uno scrosciare, potente, sopra di lui, investendolo come un cascata, con la forza della natura e con un pianto che sembra più di gioia che di tristezza. Apre le braccia, lasciando che i capelli gli si appiccichino alla fronte mentre alza il viso verso il cielo tempestoso, ad occhi chiusi, girando su sé stesso in un turbine di acqua scura. La pioggia di Londra, l’unica e vera pioggia di Londra, tempo che non scambierebbe per il sole che illuminava Atene; la pioggia che gli è sempre mancata, con la sua peculiare modalità, con ogni sua parte. E lui gira, sotto quella pioggia che lo saluta con calore, mentre una risata gli nasce spontanea dal petto, profonda e vibrante.

Cosa gli possono servire, le relazioni sociali, quando può amare Londra in un modo così incondizionato e meravigliosamente razionale? Sta tornando a casa.

Si sente leggero, si sente sé stesso mentre ricomincia a camminare con passo baldanzoso, brillante, con le guance arrossate per il freddo e lo sguardo che brilla mentre percorre i sentieri familiari che portano all’unica via, quella dove si trova l’unico posto in cui ha desiderato stare per quasi mille giorni. Si lascia cullare dalla sensazione di poter volare, di poter fare tutto mentre accelera il passo, quasi correndo, sentendo il vento scompigliare i suoi riccioli completamente bagnati. Percepisce l’acqua delle pozzanghere che calpesta entrargli nelle scarpe e infradiciargli le calze, ma non importa, perché sa così tanto di abitudine che potrebbe davvero cedere e lasciarsi andare, come ogni fibra del suo essere gli sta urlando. Ma lui è Sherlock Holmes, e Sherlock Holmes non si lascia mai guidare dai sentimentalisti; per questo correre come un folle attraverso gli ultimi tetti di Londra, saltando agilmente come se non fosse mai passato un attimo. Sa che l’ora più buia è sempre quella che precede l’alba, ma non riesce a non sentirsi eccitato, ora, con l’adrenalina che è tornata a scorrere nelle sue vene come il sangue che pompa forte fino alla giugulare. Con il fiatone e i polmoni in fiamme, finalmente si lascia scivolare lungo una scala a chiocciola che porta in basso, ma non senza godersi lo sprazzo di una Londra distesa sotto un cielo piovoso, con le gocce d’acqua che gli corrono lungo la mascella e nel colletto. E non importa se si prenderà un accidenti o se avrà la febbre per giorni: godersi quel momento è forse una delle poche cose che è mai contata.

E finalmente le familiari case di Baker Street che si abbassano davanti ai suoi occhi, quasi in un riverente inchino per salutare il suo ritorno. Tutte le finestre sono accese a dimostrare che persone vivono all’interno, così come sta facendo lui a discapito di tutto. Ogni bagliore che brilla nei suoi occhi per riflesso non sembra altro che un’insegna luminosa che sta annunciando il suo arrivo. Quella è casa: solo Londra è sempre stata casa. Il marciapiede con i suoi tombini e le irregolarità che conosce a memoria, passo dopo passo, ad occhi chiusi, mentre la familiarità di tutto questo minaccia di schiacciarlo.

È affollata, Baker Street, questa sera. È affollata e ci sono così tante persone mentre lui compie il suo percorso verso il 221b, abbracciando ogni cosa con lo sguardo, percependo l’odore acre di sigarette che lo circonda come un alone. Sono così tanti, gli uomini che gli passano accanto ignari, senza riuscire a vederlo davvero, senza farci caso. Così tanti uomini che si affaccendano per le strade della Capitale, di notte, senza osservare ciò che si cela nell’ombra attendendo di emergere. Mentre fa scorrere lo sguardo su questo sprazzo di umanità non intelligente, un’esclamazione turba il flusso dei suoi pensieri. Davanti a lui un uomo sulla quarantina ha urtato una signora con un grande ombrello per ripararsi dalla pioggia, e si sta scusando frettolosamente. E per quell’istante a Sherlock non interessa più della pioggia che lo sta bagnando come una cascata, una doccia fredda più accogliente di un camino caldo, e non importa poi molto nient’altro finché l’uomo biondo non alza gli occhi. Ci sono più di un centinaio di passi tra loro, ci sono più di una cinquantina di persone riparate sotto a tanti ombrelli colorati, e l’intera strada con il suo traffico, e il marciapiede con le irregolarità in cui si può inciampare, ma tra loro non c’è distanza, non davvero. Non c’è mai stata.

Sherlock sente il cuore battere forte nelle orecchie, senza riuscire a bloccare quella tachicardia con la mente come ha sempre fatto, perché non è solo quello a tremare; anche la sua mente è scissa, con le mani che tremano e il volto bagnato di pioggia. Ci saranno botte, insulti, urli, lacrime, abbracci. Ma l’ora più buia è sempre quella che precede l’alba.

 

Let the rain wash away

all the pain of yesterday

 

L’uomo finisce di scusarsi frettolosamente, sgomitando per avanzare. Arranca in un breve litigio con le possenti moli di due signore davanti a lui, e poi uno studente distratto e un gruppo di giocatori di rugby che discorrono così animatamente tra loro da fare più schiamazzo di una banda da stadio. Ma non cessa mai di correre, mai di avvicinarsi fisicamente, non smette mai di guardarlo negli occhi, come se là vedesse tutto il suo mondo, ciò che Sherlock ha visto fino ad ora nella sua unica e meravigliosa città.

Ma quando John gli è a pochi passi, con gli occhi rossi di pianto e un sorriso che potrebbe disintegrare tutto ciò che li circonda, il detective è certo che amare Londra come lui la ama sia una cosa strettamente razionale, ma che esiste anche qualcosa d’altro, qualcosa che gli è mancato in quegli anni allo stesso identico e devastante modo. È certo, per quell’istante, che esiste qualcosa all’altezza della sua città.

 

-Sherlock.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino della Skizzata:

Okay, Maya, hai finito tipo per la terza volta una fic col nome di Sherlock. Embé? Che altro nome dovrei mettere alla fine di questa fic? Tanto sappiamo tutti che lo pensiamo almeno il 30% più di quanto sia lecito. E per la cronaca, sto usando così tanto il POV di Sherlock che dovrei tentare il suicidio u.u

Da dove è nata? Da un video. Questo video: http://www.youtube.com/watch?v=5WPT_c1Vng0, basato sulla canzone “I’m coming home”, di cui avevo già letto in questa meravigliosa fic di Living: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=842613. Che state aspettando a leggerla? È assolutamente una tra le mie preferite. Insomma, ho sentito questo ritmo così monotono ma profondo che mi ha dato alla testa, ed ero così malinconica ma allo stesso tempo intenerita, e ho iniziato a pensare a Sherlock che torna a casa, che torna dalla sua città. Alla fine è saltato fuori questo rapporto assolutamente OOC con Londra e...ecco qui. Wow, una fic non Johnlock, questa sì che è una conquista! :D (Cos’è, una Londlock? Ahahah). 

Quanto all’introduzione, è tutto nato dal fatto che la mia cara Cassandra Erin Dorian oggi in classe ha fatto un brillantissimo intervento su quell’obbrobrio che è “L’Ulisse” di Joyce (NON LEGGETELO) e mi ha fatto tornare in mente l’Odissea, e...e insomma, ecco qui.

Le recensioni sono gradite in ogni caso, anche se critiche perché mi piace imparare dai miei errori, ma ringrazio tanto anche solo chi è arrivato a leggere fino a qui. Grazie <3

Alla prossima!

Maya


PS Giusto: mi sto dando alla pazza gioia a fare banner, quindi ora ci sarà un'immagine x ogni storia che  pubblico :P

  
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