La Palude Indaco
Limo -di fuoco che brucia propano- sotto i piedi; l'aria è rarefatta; il freddo è da diventarci matta. Mi guarda, diafano, da lontano il cielo di questo mondo inumano, nato [come] lacrima di cicuta. Eccomi. Nelle lusinghe della tua ombra mi sprecherò, e darò in pasto le dita alle formiche, e all'erba inumidita mi legherò i capelli, e in pozze d'ambra lascerò assopire le membra: ne udrò la fossilizzazione muta. Cantando ogni notte sulla riva del fiume farò implodere il petto dei grilli, sarò trafitta da un milione di spilli; sanguinando pinte di barlume azzurro, trasuderò vitreo senno implume, e sarò mera come un nume di iuta. Singhiozzano, bianche, banshee ritrose accovacciate dietro tronchi di salice, nella nebbia si spande olezzo d'anice. Minuscoli rospi turchese e gazze, e civette ascose consolano l'aurora sparuta. Rimbalza il mio respiro rauco su teschi di ratti, di zaffiro e sull'anello vistoso di un emiro ... Ma (io) ho gli occhi timorosi dell'eunuco, licheni d'acciaio sotto il petto glauco, e brama salmastra che piaga, pur canuta. |