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Autore: Carlos Olivera    21/09/2013    1 recensioni
Una nave coloniale.
Un milione di persone.
Un viaggio di cento anni.
L'universo è un oceano di stelle dove regna il silenzio. Dove tutto sembra essere inerte, e ogni cosa emerge in tutta la sua infinitesimale insignificanza. Anche a bordo dell'Aurora, questo piccolo microcosmo che naviga solitario verso la sua destinazione, tutto è silenzio. Di tanto in tanto, però, parte del suo equipaggio si ridesta, perdendosi in pensieri, azioni e parole che come foglie al vento scivolano nell'infinità del cosmo.
"Aspettiamo solo di vederlo comparire. Laggiù, all'orizzonte. Bellissimo. Una gemma scintillante. Una speranza. La nostra speranza in questo infinito oceano di stelle"
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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20 ottobre 2102

Base Spaziale di Vigorovich, Monti Urali

 

Il comandante Jonas Alloway si alzò dalla sua poltrona nell’aula magna della base spaziale per far rifiatare un po’ la schiena e restituire sensibilità alle gambe, andandosi ad affacciare dalle vetrate della sala che guardavano in direzione della rampa di lancio.

L’Aurora era lì, bella e maestosa, con il suo elegante profilo, la fusoliera liscia come la seta scintillante di nero, i potenti propulsori magici, e il suo possente anello stabilizzatore, che al momento giusto si sarebbe aperto come il petalo di un fiore e, girando su sé stesso, avrebbe garantito alla nave la stessa forza di gravità del suolo terrestre.

Se ci pensava ancora gli sembrava incredibile.

Era la nave più avveniristica e tecnologicamente avanzata che la razza umana avesse mai realizzato, il suo sogno e la sua speranza. Ed era al suo comando.

Suo sarebbe stato il compito di condurla alla destinazione, a quel lontano sistema solare dove li attendeva un nuovo pianeta, un nuovo mondo da chiamare casa, sul quale avrebbero costruito una nuova civiltà.

Avevano scelto lui per i suoi trascorsi nell’aeronautica e le numerose spedizioni spaziali all’attivo, ma soprattutto perché non aveva legami, benché a tutti gli ufficiali e membri dell’equipaggio fosse stato concesso di portare fino a cinque famigliari.

L’unico legame che avesse mai avuto, la sua adorata Gloria, lo aveva lasciato ormai da molti anni, prima di potergli donare la gioia di un figlio, e da allora non aveva conosciuto altra donna, né il suo cuore le emozioni di essere padre.

Tutti sapevano che era un viaggio senza ritorno, per chissà quanti secoli, e nessuno se l’era sentita di mettere in mano a qualcuno con dei rimpianti per ciò che avrebbe lasciato la prima nave coloniale della storia dell’umanità.

Erano serviti anni di preparazione, addestramento, formazione pratica e psicologica, ma alla fine era arrivato il momento della partenza.

Quella riunione serviva a dettare le ultime regole, a fare il punto sulla situazione e a ripassare i fondamentale, poi, allo scoccare delle ventitre, sarebbe stata l’ora della verità.

Oltre al comandante erano presenti all’incontro il generale Bielof, capo della sicurezza nazionale del governo russo, il segretario di stato americano Gardner, il segretario generale ONU Kashimura e il dottor Snogiev, che oltre ad essere il direttore di quella piccola base persa nel mezzo della steppa russa trasformatasi da un giorno all’altro nel centro del mondo sarebbe stato anche il rappresentante della delegazione scientifica che si sarebbe imbarcata sull’Aurora.

Completavano il gruppo il colonnello Jules Chimon e il signor Steven Williamson, che avrebbero rappresentato rispettivamente l’Agenzia ed il personale civile sia durante il viaggio interplanetario che, soprattutto, una volta arrivati su Celestis.

Fatti scorrere gli occhi oltre la pista, senza neanche tendere troppo lo sguardo, si potevano intravedere le sterminate folle di persone riunitesi per assistere in diretta allo storico evento, e Alloway non faticò ad immaginare che tra di essi vi fossero molti di quelli che si erano prenotati per un posto a bordo dell’Aurora, o di una delle sue due sorelle, ma che il fato aveva voluto lasciare da parte favorendo altri.

«Questa cosa si è tramutata in una specie di spettacolo.» mugugnò Bielof quasi contrariato

«Non vedo come potrebbe essere altrimenti» disse bonariamente Williamson col suo spiccato accento inglese e sistemandosi i grossi baffi grigi. «Stiamo parlando di un evento senza precedenti nella storia dell’umanità. Al loro posto sarei euforico anch’io.»

«Se vuole scambiare il posto con qualcuno di loro è ancora in tempo.» sorrise Chimon

«Volete scherzare? Sarò anche stato un ministro di sua maestà, ma come tutti ho fatto la coda dalle tre del mattino davanti agli uffici del ministero per potermi iscrivere alle liste.

Non esiste cosa che accenda di più i miei vecchi neuroni del pensiero che presto potrò vedere con i miei occhi la nascita di una nuova civiltà.»

«Secondo me non sarà molto diversa da questa.» commentò Snogiev, da pragmatico e schietto scienziato quale era «La società e la civiltà dipendono dall’uomo, e non certo dal pianeta su cui vengono costruite.»

«A tal proposito, c’è ancora una cosa che non mi è del tutto chiara. Per quale motivo la Terra? La Chelovek e la Sympan partiranno dalla stazione orbitale, il che come abbiamo visto semplifica di molto le procedure di lancio, oltre ad abbattere i costi.

Non sarebbe stato più comodo, e certamente meno dispendioso, fare altrettanto?».

Il segretario generale si tolse un momento le lenti rotonde, lucidandole con la sua cravatta.

«Vede, professore. La Aurora è l’unica delle tre navi coloniali realizzata interamente con finanziamenti pubblici internazionali.

Le Nazioni Unite volevano dare un segno dello spirito universale e transnazionale di questa nave in particolare, e pertanto si è convenuto che farla partire proprio dalla Terra fosse il modo per dare maggior risalto a questo concetto.»

«Non potete biasimare l’Europa e la Russia se hanno voluto fare le cose a modo loro.» commentò lapidario Chimon «La realizzazione della sola Aurora è costata oltre quattrocento miliardi di euro ma nonostante ciò americani, giapponesi e britannici rappresentano da soli quasi il 30% del personale civile selezionato per imbarcarsi.»

«Perché Giappone, Stati Uniti e Gran Bretagna sono le nazioni che hanno versato il maggior numero di contributi per la realizzazione del progetto.» replicò Gardner «Si era detto subito mi pare che il numero di posti disponibili sarebbe stato inversamente proporzionale alla popolazione effettiva e alla quantità di fondi investiti.»

«Accidenti.» disse Williamson con un sorriso sconfortato «Se è questo lo spirito con cui dobbiamo partire, direi che si comincia male.»

«Il professore ha ragione.» intervenne il comandante «Evitiamo di battibeccare su queste frivolezze politiche almeno in questa occasione».

Tutti a quel punto si fecero un esame di coscienza e decisero di darci un taglio, almeno con le parole.

«Mi pare che tutte le questioni siano state sistemate.» disse il dottor Snogiev «Qualcuno ha ancora qualche domanda da fare?».

Nessuno aprì bocca, e tutti si limitarono a scambiarsi dei brevi sguardi, quasi dei fugaci messaggi d’addio. Il dottore si alzò dalla sua poltrona.

«Molto bene. In questo caso, la riunione è aggiornata.

Mi raccomando di essere tutti puntuali all’incontro con la stampa di domani mattina. E se non avremo occasione di vederci ancora prima dell’ora fatidica, auguro fin da subito a quelli di voi che domani non saranno con noi a bordo ogni felicità.

È stato un piacere conoscervi e lavorare con voi».

A quel punto la riunione ebbe fine e, alla spicciolata, uno alla volta tutti se ne andarono.

 

La serata trascorse tranquilla, senza strepiti, almeno fino a quando non ebbe inizio il grande ricevimento organizzato per salutare come si conveniva i gloriosi pionieri dello spazio, come mass media e autorità politiche avevano preso a chiamare i prossimi occupanti dell’aurora.

La scelta del luogo per ospitare i festeggiamenti fu quanto mai simbolica, poiché si svolsero nella enorme, sconfinata stiva di carico del quinto settore, in una delle tante camere di contenimento che avrebbero ospitato la maggior parte dei coloni.

Sembrava di trovarsi in una sorta di macchina del tempo, o in un qualche avveniristico laboratorio di ricerche.

File e file di capsule per la crioconservazione, ordinatamente disposte su di una interminabile sequenza di file orizzontali che correvano lungo tutti e due i lati più lunghi della stanza, dal pavimento fino al soffitto.

Ognuna di quelle stanze poteva ospitare poco meno di diecimila persone, e ogni stiva di ognuno dei dieci ponti aveva spazio sufficiente ospitare dieci stanze. In totale, novecentonovantanovemila e novecento posti, ovvero tutti quelli destinati alla popolazione civile selezionata per la spedizione.

Le restanti cento capsule, riservate all’equipaggio, erano disseminate qua in là nei punti strategici della nave, soprattutto in prossimità del ponte di comando.

Ogni aspetto dell’ingegneria del veicolo era stato accuratamente pensato per combaciare alla perfezione con tutti gli altri, dall’ampiezza dei corridoi, alla posizione dei montacarichi fino allo spazio, davvero esiguo, tra una capsula e l’altra nelle stive di carico.

Per quell’occasione si scelse di dare libero accesso ai giornalisti, se non altro perché quella era davvero l’ultima volta in cui sarebbe stato possibile parlare da vicino con coloro che dal giorno successivo avrebbero avuto nelle loro mani la sorta di quasi un milione di persone.

Solo il comandante e gli ufficiali più alti in grado erano stati invitati, e le attenzioni erano ovviamente tutte per loro.

Il dottor Alexei Snogief non aveva mai avuto un particolare feeling con la stampa, ma per quella sera decise di fare un’eccezione concedendosi, prima che iniziasse la cena, alle domande dei giornalisti.

«Ci spieghi una cosa, dottore.» domandò l’inviata della CNN «Il pianeta Celestis è relativamente vicino rispetto ad altri pianeti potenzialmente abitabili scoperti nel corso degli ultimi anni. Allora come mai saranno necessari tutti questi anni per raggiungerlo?»

«Anche volendo escludere i principi della teoria della relatività, stiamo comunque parlando di un pianeta distante settanta anni luce dalla Terra. Il principio che regola gli spostamenti dell’Aurora come delle altre due navi coloniali è basato sull’uso del warp. Immagino sappiate tutti che la Terra, così come ogni altro corpo celeste, è caratterizzato dalla presenza di un nucleo che genera continuamente un flusso di energia.

Solitamente questa energia non si allontana mai troppo dalla superficie terrestre, ma a bordo di tutte e tre le navi è stato installato un innovativo generatore capace di ricreare lo stesso spettro energetico emesso dai nuclei.»

«Volete dire che questo dispositivo genera la magia?» chiese un giornalista del Washington Post

«No ovviamente. Ad oggi non siamo neanche vicini a creare artificialmente la magia. Si limita ad imitare la frequenza energetica normalmente prodotta dalla magia.

In questo modo la nave è in grado di stabilire un ponte energetico tra un pianeta ed un altro, creando una sorta di tunnel spaziale, ed è attraverso questo tunnel che è in grado di viaggiare. Non è la velocità della luce, né una qualche sorta di varco dimensionale, ma ad oggi costituisce senza dubbio il modo più veloce e sicuro di muoversi nello spazio, tenendo conto anche del fatto che l’afflusso energetico che scorre in questi tunnel annulla la teoria della relatività. Il principio è più o meno lo stesso del viaggiare all’interno di una galleria pressurizzata che scorre sotto il livello del mare.»

«Ma se è davvero così, perché ci vuole tutto questo tempo?»

«Dovete tenere presente che stiamo comunque parlando di una procedura di una complessità mai vista.

Persino i più potenti calcolatori e sistemi di immagazzinamento dati necessitano di enormi quantitativi di energia per poter funzionare a questi livelli, e per quanto potenti i generatori che alimentano le navi coloniali non sono inesauribili.

L’Aurora e le sue compagne possono viaggiare di tunnel in tunnel per circa quattro anni, ma poi è necessario che i generatori, incluso quello che replica lo spettro energetico, vengano ricaricati.

Per fare questo ci serviremo di comete, pianeti e altri corpi celesti, di cui assorbiremo parte dell’energia. Si tratta però comunque di una operazione molto lunga e complessa, che richiederà almeno sei mesi per poter essere completata.

A conti fatti, dei circa cento anni che stimiamo saranno necessari per raggiungere Celestis, solo un’ottantina saranno effettivamente spesi nel viaggio vero e proprio.»

«E i computer riusciranno a gestire tutto questo da soli?» domandò un giornalista francese

«No, ovviamente. Sono procedure troppo complesse perché i sistemi della nave, per quanto avanzati, possano espletarle da soli. Ad ogni sosta una parte dell’equipaggio sarà risvegliato dal sonno criogenico. Oltre a supervisionare il rifornimento di energia si approfitterà di questi momenti per svolgere necessari lavori di manutenzione e controllo.»

«E siete davvero sicuri che tutto andrà come previsto?» chiese quasi con provocazione la giornalista della CNN «Non avete calcolato che potrebbero esserci degli incidenti?»

«Tutte e tre le navi sono state realizzate con le più recenti conoscenze scientifiche e tecnologiche» replicò il dottore con una punta di orgoglio «Ogni elemento è stato attentamente considerato, senza tralasciare nulla. In questo momento quelle navi, e l’Aurora in particolare, sono quanto di più sicuro vi sia su questo pianeta.»

«Però avete fatto firmare a tutti i selezionati per la spedizione dei documenti che esentavano i costruttori e i finanziatori del progetto da ogni responsabilità.»

«Anche se vi fanno firmare l’assicurazione della vostra macchina non è per forza detto che dobbiate avere un incidente.

È solo una forma di tutela legale».

Per fortuna nessun altro si pensò di fare domande troppo imbarazzanti e l’intervista poté proseguire senza altri momenti di tensione.

 

Il comandante si chiamò fuori dai festeggiamenti quasi subito, e abbandonata la stiva andò a rifugiarsi in quello che, per i prossimi cento anni, sarebbe stato il centro del suo mondo, la plancia di comando.

Provò un certo senso di smarrimento nel sedersi sulla poltrona del capitano, la sua poltrona, per poi guardarsi attorno scorrendo con gli occhi le varie postazioni che correvano lungo la consolle di comando.

In tutto, otto sedili, otto persone scrupolosamente selezionate, con le quali avrebbe passato più tempo che con chiunque altro in tutta la sua vita, per amore o per forza.

Una parte li aveva scelti lui personalmente, e tra questi il suo secondo.

Si chiamava Chris, Chris O’Neill, ed era stato uno dei più giovani membri dell’aeronautica militare americana ad ottenere la qualifica di tenente-colonnello, inoltre aveva al suo attivo numerose missioni spaziali, tutto questo prima ancora di aver compiuto i trentacinque anni.

Jonas lo aveva conosciuto quando ancora era una giovane e promettente recluta, e praticamente lo aveva plasmato lui, dopo averne intravisto il talento e averlo preso sotto la propria ala insegnandogli tutto quello che sapeva.

Fino all’ultimo era stato indeciso se chiedergli o meno di seguirlo in quella missione, perché sapeva quante cose un giovane come lui potesse avere sulla Terra per le quali avrebbe preferito restare, e invece era stato proprio lui a presentarsi una mattina nel suo ufficio a Washington chiedendogli di mettere una buona parola per farlo ammettere alla spedizione.

Forse sotto certi aspetti Chirs era ancora un po’ immaturo, ebbro di quella forse un po’ eccessiva autostima tipica dei giovani, ma sapeva il fatto suo, e nelle manovre di avvicinamento ai corpi celesti aveva dimostrato un’abilità che non lo rendeva secondo a nessuno.

Quella missione, si era detto il comandante nel momento di dare l’assenso definitivo, sarebbe stata un’ottima occasione per fargli comprendere meglio il peso del comando, poiché una volta arrivati a destinazione le persone carismatiche in grado di fungere da guida sarebbero servite come il pane.

Quasi per caso, in quel momento fu proprio il giovane tenente colonnello O’Neill a comparire dalle porte automatiche alle spalle della poltrona di comando, con quella sua aria un po’ serafica, quei capelli paglierini portati un po’ più lunghi del normale e quelle sottili lenti da studioso, che portava più per accrescere il proprio fascino che per reale necessità.

«Comandante.» disse sorpreso di trovare lì il suo superiore

«Guarda la combinazione. Stavo giusto pensando a te.»

«Mi dispiace di averla disturbata. Pensavo fosse ancora al ricevimento.»

«Non vado matto per queste pompose cerimonie politiche, lo sai. Avevo voglia di stare un po’ da solo.»

«La capisco» sorrise Chris. «È così anche per me».

Entrambi si guardarono nuovamente attorno, imprimendo nella loro mente ogni più piccolo aspetto, componente ed anfratto del ponte. Avrebbero avuto un sacco di tempo, forse anche più del necessario, per conoscerne ogni singola parte fin nei dettagli più insignificanti, ma era sempre meglio essere preparati in anticipo.

«È tutta un’altra cosa rispetto al simulatore, dico bene?»

«Eccome, signor comandante.»

«Se vuoi puoi ancora tirarti indietro.»

«Sta scherzando? Fare una cosa del genere è stato il mio sogno fin da quando portavo i pannolini.»

«Non ti spaventa l’idea di non tornare mai più? Di non rivedere più il tuo pianeta?»

«Ho ottenuto di poter portare con me i miei genitori. A parte loro non ho mai avuto molti amici. Troppo tempo speso sui libri, o a rubare le ragazze degli altri. Quanto al pianeta, ammetto che un po’ mi mancherà. Ma l’idea di un mondo nuovo tutto da costruire è più che sufficiente a farmi dimenticare la tristezza.»

«Immagino sia più o meno il pensiero di buona parte della gente che ha accettato di far parte di questa missione. In tutta onestà, non sono ancora riuscito a capire bene perché, per cosa e per chi stiamo facendo tutto questo.»

«Lo facciamo per il futuro della nostra specie. Ormai siamo in troppi sul pianeta, e Celestis è il luogo più vicino dove poter instaurare una nuova colonia. Non stiamo ovviamente ancora parlando di evacuazione di massa, e probabilmente ciò non accadrà mai. È solo un primo passo. Un esperimento.»

«Un esperimento di cui però non potremo mai rendere conto. La distanza tra la Terra e Celestis è troppo grande per un contatto diretto, e mi gioco la carriera che tra cent’anni, quando saremo arrivati, qui saranno lontani ancora anni luce dal riuscire a trovare un modo per velocizzare il viaggio.»

«Se vuole sapere come la penso, questo è un faro nella tempesta. Se non fosse stato per il risalto mediatico avuto dalla vicenda è probabile che il progetto sarebbe finito nella spazzatura tempo fa per via dei costi esorbitanti. A conti fatti esistono modi più economici ed efficaci per risolvere il problema della sovrappopolazione nel breve periodo. È probabile che per molti secoli non si vedrà più una spedizione colonizzatrice di questa portata».

Jonas sorrise, passandosi una mano sulla rada barba color fieno che gli contornava la bocca.

«A proposito di ragazze» ammiccò. «Come và con la dottoressa Connor

«Non c’è male.» glissò il giovane «Anche se alle volte è un po’ fredda.»

«È una scienziata. Se non lo fosse non sarebbe normale.»

«Alle volte ho come l’impressione di contare meno dei suoi adorati embrioni. Che poi a cosa serviranno? Celestis ha un ecosistema complesso e diversificato, e che oltretutto non è neppure troppo diverso dal nostro. L’unica cosa che manca è la vita intelligente. A che pro portarsi tutti questi campioni per farli crescere laggiù?»

«Immagino servano a non far dimenticare a noi o ai nostri discendenti da dove proveniamo. Gli uomini sono dei sentimentali, dovresti saperlo meglio di chiunque altro. Staremo pure scappando da questo pianeta estasiati dall’idea di costruire un mondo tutto nostro, ma in fin dei conti la Terra è stata la nostra casa per centinaia di migliaia di anni. Le piante, gli animali, e persino i patrimoni storici ed artistici. Tutto ciò ci permetterà di non dimenticare mai chi siamo davvero.»

«Immagino abbia ragione.» disse Chris sistemandosi gli occhiali.

In quel momento, l’orologio di bordo segnò lo scoccare della mezzanotte del 21 ottobre 2102.

«Beh.» sussurrò il comandante «Ci siamo, infine. Buon Giorno della Rinascita, tenente-colonnello O’Neil.»

«Anche a lei, comandante».

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!^_^

Sono nuovo di questa sezione, ma non di questo genere di racconti.

Questa storia, la cui lunghezza è tutta da stabilire, costituisce una via di mezzo tra un prequel ed un missing  moments del mio racconto “Tales Of Celestis”. Benché l’originale sia pubblicato all’interno della sezione Fantasy ho voluto inserire questa storia in questo fandom per via delle sue tematiche, maggiormente improntate alla fantascienza che al sci-fi che invece contraddistingue Tales.

La storia, come si può intuire, è ambientata a bordo della nave Aurora, che nell’originale Tales trecento anni prima portò i primi esseri umani su Celestis dopo un viaggio durato più di un secolo.

Inizialmente doveva essere una storia breve narrata dal punto di vista del comandante Alloway, ma poi ho pensato che sarebbe stato molto più efficace ed interessante farne una raccolta di brevi corti (alcuni vere e proprie flash fic, un genere a me del tutto nuovo) senza un vero e proprio filo logico.

Non so di preciso cosa ne verrà fuori, ma spero di riuscire a realizzare qualcosa degno di nota, anche perché devo dire che l’idea mi entusiasma non poco.

A breve la prima storia, che racconterà la partenza vera e propria dalla Terra.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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