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Autore: glaenzendefrau    21/09/2013    2 recensioni
Una donna (una ladra? Una spia? Una propagandista in erba?) crede di passare inosservata mentre porta a termine il suo piano, ma John è fin troppo allenato per non notarla.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson , Mary Morstan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stava uscendo dall'ambulatorio con una tazza di caffè stretta tra le mani, quando si accorse della donna all'altro lato della strada.

Camminava con prudenza, traballante sul suo paio di tacchi. Si torturava le ciocche di capelli attorno alle orecchie, come se le trovasse fastidiose e si promettesse di tagliarle presto. Non riusciva a lasciarle stare: se le lisciava tra pollice e indice, se le arrotolava tra le dita, le tirava all'indietro per farle poi subito ricadere.

Si fermò. Per un attimo John pensò che volesse cercare una forcina o sistemarsi la borsa che portava a tracolla, ma lei infilò una mano nella tasca del cappotto e rivolse timorosa un'occhiata dietro di sé.

Ladra o spia? John attraversò la strada. Incurvò le spalle e trascinò i piedi, in modo tale da confondersi tra i lavoratori distrutti delle sei di sera. Buttò giù un sorso di caffè, come per farsi coraggio. Annacquato, pensò.

La donna appoggiò un pugno chiuso sulla parete di un edificio. Si chinò e infilò il mignolo della mano libera tra la caviglia e il cinturino della scarpa, come se volesse cercare un po' di sollievo.

John, però, non poteva essere ingannato, non così. Sull'intonaco scrostato, le cinque dita si stavano allargando. Sotto le unghie laccate di marrone — un colore poco appariscente, proprio azzeccato per una criminale — comparve una macchia blu scuro.

Un adesivo.

Il palmo passò sulla carta con un gesto noncurante e rapido.

La donna, regolata la fibbia con calma, si rialzò e si rassettò la gonna. Alzò un braccio, nel tentativo di attirare l'attenzione di un taxi, ma l'automobile scura le sfrecciò davanti senza nemmeno rallentare. Allora lei scosse la testa e si avviò a piccoli passi, i capelli scompigliati dal vento.

Non si guardò indietro neppure una volta. Furono le sue labbra, però, a tradirla: si incresparono, si torsero, tremarono, si arresero e si aprirono in un sorriso. Mentre passava accanto a John senza neppure notarlo, si posò un dito sulla bocca. Era come se avesse appena rivelato un segreto e stesse chiedendo di non raccontarlo in giro.

John si accigliò.

L'adesivo pazientava sul muro, incollato tra un poster che pubblicizzava un concerto di musica classica e una pistola dipinta con vernice scura. Gli angoli erano sollevati. Si sarebbe potuto staccare con due dita senza nemmeno fermarsi. Sarebbe stato così facile farlo scivolare in una borsa e appartarsi per leggerlo, con le dita appiccicose per la colla.

John gettò via il bicchiere di caffè e si avvicinò alla parete scrostata, cauto. Lo stampatello azzurro si fece sempre più nitido, le lettere cessarono di essere svolazzi e diventarono una B, una S, una H.

John trattenne il respiro.

Si aspettava un codice incomprensibile e lunghe ore passate a consultare i cifrari rimasti a Baker Street. Si aspettava una frase senza alcun senso, una serie di parole slegate tra loro che avrebbero potuto dare fuoco alla Bank of England.

Si sbagliava.




I believe in Sherlock Holmes




All'inizio non comprese. Passò il dito sulla I, sulla B e sulla E, cosciente solo del rumore degli autobus che sfrecciavano accanto a lui. Si disse che forse doveva consultare un cifrario, dopotutto. Capire poteva essere pericoloso: poteva essere peggio di un eventuale incendio a una banca nazionale.

Poi John sbatté le palpebre. Il suo cuore riprese a inviare sangue al cervello e il mondo riprese col suo pigro moto di rivoluzione e rotazione. Rise piano. Appoggiò la testa al muro — e chi se ne frega se verrò additato come un pazzo, pensò, per oggi posso anche fregarmene.

Gli sarebbe piaciuto? Oh, ma certo: tutti i manifesti, tutti i graffiti, tutte le incisioni lasciate sui tavoli di formica dei fast-food gli sarebbero piaciuti. Avrebbe brontolato e alzato sopracciglia e sbuffato esasperato. Avrebbe staccato quel dannato adesivo. Vedi, John, vedi, avrebbe esclamato, mentre lo accartocciava nel suo palmo, adesso ho pure dei fan!
Però poi quel bigliettino non sarebbe stato buttato e John l'avrebbe ritrovato dietro quel teschio che ora prendeva polvere sul caminetto.

E pensare che io l'ho presa per ladra, si disse John. Rivide il suo indice bianco posato sulle labbra e si guardò le sue dita, macchiate di caffè. Poi alzò lo sguardo.

D'istinto, si staccò dalla parete e allungò il collo. La testa bionda della donna spiccava come un lampione in mezzo a ciuffi brizzolati e a berretti di lana. Due schiene coperte dallo stesso cappotto gli si pararono davanti alla vista. John si insinuò tra i due impiegati e una valigetta gli colpì il fianco col suo angolo appuntito, ma lui non demordette. Strinse i denti, mormorò una scusa. Chiese permesso a una ragazza — maledizione, perché oggi sono tutti così alti? — incespicò, si rialzò, spinse. Si ritrovò a pochi passi dalla donna: avrebbe potuto toccare con mano il lembo della sciarpa che le penzolava dietro la spalla.

John trattenne il respiro. Mosse un passo avanti.

«Mi scusi».

Lei si voltò. Piegò la testa, interrogativa, senza parlare.

«Io...».

La sua voce si affievolì. Cosa poteva dirle? Ti ho frainteso, pensavo fossi una criminale? Non avrebbe capito: avrebbe continuato a fissarlo confusa, avrebbe indietreggiato. Non voleva lasciarla andare così.

C'erano sogni in cui si ritrovava in mano un album di fotografie e una biografia scritta in caratteri piccolissimi. All'improvviso spuntava un braccio e gli strappava via tutto; allora lui saltava, allungava la mano per riprendersi almeno un foglio, un'immagine, ma si ritrovava circondato da brandelli di carta.

Quando scopriva un nuovo manifesto o una sagoma con un berretto da cacciatore, restava lì a fissare, fino a quando l'immagine gli danzava di fronte persino a occhi chiusi. Ci credono, pensava, con una ferocia che gli faceva stringere i pugni e allungare il passo. Ci credono, si ripeteva, esaltato, quando riceveva pacche sulle spalle da perfetti sconosciuti. Non bastava sempre, quello no: non quando, a metà tra sonno e veglia, credeva che un uomo basso in completo Westwood gli stesse sorridendo dalla soglia della porta; non quando prendeva in mano un violino ormai scordato che rimetteva subito a posto; non quando scopriva una sigaretta nascosta in un paio di calzini di lana. Avevano capito, però. Rispondeva alle strette. Avevano capito.

«Dica pure» lo invitò lei.

«L'adesivo» si lanciò John. Un lampo di comprensione passò nello sguardo della donna, che si passò una mano tra i capelli. «Ha un angolo staccato» John sorrise. «Uno della squadra avversaria potrebbe eliminarlo facilmente, non crede?».

La donna lo osservò senza rispondere, il mento un po' sporto in avanti, le fossette che lasciavano due curve profonde ai lati del viso.

«Sa cosa le dico?» chiese poi. «Ha proprio ragione. Una mia distrazione». Marciò fino alla parete incriminata, con John che la seguiva a pochi passi di distanza. Premette il pollice su ciascuno dei quattro angoli, la fronte contratta per lo sforzo. «Ecco fatto». Si voltò di nuovo verso John, le mani sui fianchi. «Che ne pensa, ora?».

«Perfetto» rispose lui. «So che sembra un po' sciocco, ma...».

«Non si deve scusare, sa». La donna incrociò le braccia e John si rese conto che forse lei già l'aveva visto tra le pagine di un giornale, oppure mentre sfuggiva al microfono di una giornalista. «Anzi. Fa bene ad avvisare». Gli strizzò l'occhio e un ventaglio di piccole rughe si aprì intorno alle palpebre. «Un messaggio calpestato da migliaia di suole di scarpe non è molto efficace».

«No» concordò lui. «Anche se nemmeno le notizie che circolano sui tabloid lo sono». John infilò le mani nelle tasche del cappotto. Inspirò con forza. «Grazie» Gli uscì piano, basso. «Immagino che non le capiti di incontrare spesso dei fissati così».

Lei gli rivolse un'occhiata in tralice.

«Mi sembra che lei sia l'ultima persona sana di mente in tutta Londra, signor Watson». Rise, roboante, una risata che contrastava con il suo viso appuntito e le maniche del cappotto ripiegate sui polsi. John abbozzò un sorriso e scrollò le spalle, per schermirsi. Sei proprio pazzo, Johnny-boy, gli diceva Moriarty, ma ora la sua immagine non era altro che un'ombra tra le altre. «Ma che maleducata, non mi sono nemmeno presentata». La stretta della sua mano era salda. Era il genere di presa che avrebbe potuto trattenere da una caduta, pensò John.

«Mary Morstan».















Note: Un ringraziamento a Bellatrix29 che si è offerta dei betarmi la storia!
Che dire, spero che vi sia piaciuta (sono un po' in apprensione, è la prima volta che pubblico qui) :)
A presto!
dburdock
   
 
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