Un
problema con le camicie
Mickey
Milkovich aveva
un problema con le camicie in generale.
Quelle di
seta firmate
Ralph Lauren, da figli di papà, gli sapevano di gente che
non si era mai
sporcata le mani. Gente che coi soldi in tasca c’era nata e
aveva sempre avuto
la strada spianata, la terra già vangata; dal primo vagito
fra le braccia di
una stronza mantenuta, all’ultimo gemito stanco su un letto
d’ospedale.
A Mickey
piaceva
sputare sentenze.
Le
camicie azzurre col
colletto inamidato della divisa dei poliziotti? Neanche a parlarne,
cazzo! Ad
uno come lui, entra ed esci di prigione, che simpatia poteva mai
suscitare
l’abbigliamento di chi lo sbatteva al fresco e gli rideva
alle spalle perché
non era altro che un tragico frammento di pattume nel mondo?
La
camicia bianca che
aveva indossato il giorno del matrimonio? Odiava anche e soprattutto
quella.
L’avrebbe data alle fiamme, avrebbe voluto vedere il tessuto
immacolato ripiegarsi
rapidamente su se stesso senza un lamento, a perire in nera cenere fra
le
lingue di fuoco. Non era nemmeno sicuro di dove fosse finita dopo la
cerimonia.
Ricordava solo che l’aveva gettata rabbiosamente da qualche
parte prima di
salire sul tetto a fumare quelle tre sigarette; voleva che la nicotina
gli
facesse venire la nausea e voleva sentire l’aria della notte
sferzargli il
petto nudo. Voleva sentirsi figlio di nessuno, con gli occhi ad ardere
per il
buio accecante. Figlio di nessuno era sempre meglio che di Terry
Milkovich.
Comunque,
forse Mandy
aveva portato il capo al negozio dell’usato per tirarci su
qualche dollaro. Non
che la grana mancasse lì in casa, del resto i Milkovich
erano indomiti
lavoratori.
Ma, in
base ad un’ampia
preponderanza, i problemi di Mickey si facevano seri con le camicie a
quadri, quelle
colorate, quelle che aderivano alle spalle e stavano bene ai ragazzi
con i
capelli rossi. A volte percepiva ancora la stoffa sotto le dita, di
quando spogliava
Ian in fretta – in fretta, sempre in fretta, sempre in fuga o
al riparo da
qualcosa, solo per pochi minuti – e il profumo di bucato
mentre la camicia
planava verso il pavimento.
I ricordi
erano
molotov; la mano che le lanciava, un sentimento che ancora Mickey non
osava
chiamare per nome. Eppure esso se ne stava lì, costantemente
artigliato al suo
cuore, e faceva una strage di sangue fra le pareti del miocardio che si
sbrindellavano tagliate dai cocci di vetro. Ogni deflagrazione
conficcava le
schegge più a fondo, e Mickey si era abituato
all’idea di tenerle lì per sempre
come monito o come penitenza, non si sarebbe mai deciso.
Pensava a
tutte quelle
camicie a quadri rimaste nell’armadio, lì fra le
mura di casa Gallagher, ad
attendere in silenzio il ritorno di chi le aveva indossate
così tante volte.
Nell’esercito hai la mimetica o le magliette di cotone a
tinte neutre, i colori
sono del mondo che ti lasci alle spalle. Ma poi Mickey si rendeva conto
che
alla fine non ne sapeva niente del codice d’abbigliamento dei
soldati; magari
Ian se le era portate comunque con sé quelle camicie e ora
gli cadevano morbide
sui fianchi sotto gli occhi di altri uomini – froci del cazzo
– la sera in
camerata, dopo le fatiche del giorno.
Non
voleva. Mickey non
voleva. Eppure, ogni volta che si girava per strada e i quadri colorati
erano
lì sulle spalle di un passante qualunque, la pelle fremeva,
avvampava, veniva
scossa da un dolore fisico non quantificabile. Ed Ian gli era di nuovo
addosso
e dentro, e Mickey impazziva; per pochi istanti, Mickey si aggrappava a
quella
visione come se fosse reale e si faceva fottere. Nella sua testa, si
faceva
fottere.
Era la
sua evasione
silente, il moto ribelle che nessuno scorgeva, il rigurgito di quella
vita che
ora gli apparteneva meno che mai.
Sei
tornato, finalmente. Ce ne hai messo di tempo.
Ti
va una Pabst? A me sì.
Cristo,
mi sei mancato.
Gallagher,
Gallagher. Oh cazzo, sì. Cazzo. Gallagher. Ian.
Ian…
Io…
“…sono
un codardo”.
Mickey
Milkovich aveva
un problema con le camicie in generale,
ma in modo
particolare
con quelle a quadri.
Uhm,
aloha. Sì, sono
tornata (:
Insomma,
si fa quel che
si può. Continuo a prediligere il POV di Mickey. Mi dispiace
che questa fic sia
un po’ stringata, ma spero che sia pur sempre degna di
apprezzamento.
Ho
cominciato a
scriverla all’una di notte in preda ad un’esigenza
fisica di Gallavich. Yay.
La dedico
a Ceci che
voleva urgentemente leggere qualcosa di nuovo, a Ilarina con cui
“fangirlo pesante”
pure su Ask e all’anon di questo Spotted.
Non
sarà una gran cosa,
ma ho buttato giù queste righe qui sopra con tutto il mio
cuore :3