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Autore: PerseoeAndromeda    21/09/2013    4 recensioni
Cosa può succedere quando nella tua scuola, nella tua vita tranquilla, il vero (?) Cyrano fa la sua comparsa? In una giornata apparentemente come le altre, ad Alex accade qualcosa che potrebbe cambiare la sua vita per sempre
[Storia partecipante al contest "I titoli del maestro", indetto da Marge86]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Cyrano

 

 

 

Lo chiamavano così per una caratteristica decisamente evidente e io così l'avevo sempre conosciuto, da quando, per la prima volta, sentii parlare di lui. D'altronde, la caratteristica alla quale doveva il suo soprannome era anche il motivo principale per cui si parlava di lui e per il quale era famoso: probabilmente, neanche molti tra coloro che lo nominavano spesso sapevano come si chiamasse.

Quel soprannome lo avevo sentito pronunciare fin dal primo giorno di scuola.

“Avete visto? Cyrano è arrivato”.

“Alla buon'ora, la puntualità non è proprio il suo forte”.

Se esisteva qualcosa di me che rischiava, più volte, di mettermi nei guai, era proprio la mia curiosità, ma non ero un ficcanaso e non avevo mai fatto caso a questo tipo, sapevo solo che si trovava nell'aula accanto alla mia.

Un giorno, non so perché, non resistetti; uscii dall'aula, cosa che non facevo mai, dato che durante l'intervallo preferivo isolarmi in un angolo a leggere un libro e, fingendo di interessarmi al contenuto del distributore di merendine, lanciai occhiate furtive ai ragazzi che frequentavano la sua classe.

Lo riconobbi subito, spiccava tra gli altri per l'altezza... e per la caratteristica fisica che gli valeva quel soprannome.

Per lo meno non lo chiamano Pinocchio” riflettei tra me e me e quasi scoppiai a ridere da solo ma, al primo accenno di sorriso, mi imposi di bloccare l'ilarità: non sarebbe stato facile spiegare perché ridevo come un pazzo davanti al distributore degli snack; senza contare che non ero affatto abituato a prendermi gioco del prossimo, l'osservazione ironica aveva preso vita in me senza cattivi fini.

Il suono della campanella bloccò le mie elucubrazioni; tornai sui miei passi, quando una voce alle mie spalle protestò:

“Tanto tempo a farci aspettare tutti, poi non prende niente”.

“Che tipo...” borbottò un'altra voce.

Sentii il mio volto incendiarsi: ero così preso da ciò che stimolava la mia curiosità, da non accorgermi che stavo facendo attendere altri studenti.

Feci finta di nulla ed ingoiai l'imbarazzo; non mi era mai piaciuto trovarmi al centro dell'attenzione.

Mi infilai in classe e, per il resto della mattinata, mi concentrai più sulla figuraccia che avevo fatto che su Cyrano. Il risultato, tuttavia, non cambiò: un richiamo ad ogni ora da parte dei professori che mi coglievano distratto.

 

 

***

 

Credevo che avrei accantonato ben presto la questione Cyrano, avevo appagato la mia curiosità e non avevo più motivo di interessarmi a lui. Sono sempre stato abbastanza misantropo da non occuparmi più di tanto degli affari altrui, ne avevo già abbastanza di miei; forse per questo non posso dire di avere mai avuto degli amici nel senso stretto del termine.

Non che la cosa mi sconvolgesse, i miei sogni ad occhi aperti mi distraevano abbastanza dai problemi quotidiani, anche se mi capitava di provare, interiormente, qualcosa a cui non saprei dare un autentico nome... mancanza forse, un sentore di vuoto che mi faceva dire: “C'è qualcosa di sbagliato in me...”.

Tuttavia, nonostante le aspettative, quando intravvidi Cyrano all'uscita della scuola, il mio pensiero tornò su di lui e continuò a restarci durante tutto il percorso fino a casa, un percorso non troppo breve tra l'altro: dovevo prendere un autobus per giungere al mio paese - circa mezzora di strada - e, una volta alla fermata, dovevo salire a piedi in collina - altri quaranta minuti buoni.

Mai un'altra persona aveva costituito per me, così a lungo, una degna fonte di riflessioni.

Quello che più mi ronzava nella testa era una domanda: lui lo sapeva di essere, forse, lo studente più celebre dell'intero istituto?

Era un po' difficile non immaginarlo, di sicuro era ben conscio della propria fisionomia... particolare.

Era facile intuire che fosse anche oggetto di scherno.

A scuola c'era un gruppo di elementi poco raccomandabili; sono sempre stato una potenziale vittima di bullismo, anche se tendenzialmente me la cavavo grazie alla mia acquisita abilità a tenermi fuori dai guai, facendomi semplicemente gli affari miei o tenendomi alla larga da tipi sospetti.

Una cosa era certa: se aveva problemi simili, come io ritenevo probabile, era molto bravo a fare finta di niente.

Il giorno successivo, allo scoccare dell'ora dell'intervallo, non tirai fuori dallo zaino il libro che stavo leggendo ed uscii di nuovo, per cercarlo con lo sguardo. E così feci anche l'indomani e per tutti i giorni a venire, sentendomi tremendamente stupido e senza capire perché lo facessi, perché fossi così curioso nei suoi confronti... perché pensavo tanto a lui.

Non capivo.

Una delle prime cose che notai... a parte il naso ovviamente... e l'altezza... fu che non parlava con nessuno, non faceva gruppetto con alcun compagno, durante l'intervallo scompariva da solo, entrava a scuola da solo ed usciva da solo. In realtà, tutto questo non lo rendeva strano ai miei occhi, faceva esattamente le stesse cose che facevo io... tranne quella di scomparire durante l'intervallo. Chissà dove andava?

Per un po' di giorni continuò in questo modo, a metà mattinata lo vedevo allontanarsi, mi chiedevo dove andasse, poi facevo una scrollata di spalle, dicendomi che non mi riguardava e tornavo ai miei affari; per lo meno era quello che mi proponevo di fare, sennonché le rotelline del mio cervello avevano idee diverse - quelle stesse rotelline che, infine, mi costrinsero a fare quel che volevano loro.

Così, una mattina, quando all'inizio dell'intervallo lo vidi allontanarsi da tutti, come di consueto, imboccai anche io il corridoio e mi misi a seguirlo, tenendomi a debita distanza. Non avevo neanche riflettuto sul fatto che, se si fosse voltato, mi sarebbe stato alquanto difficile fingere una presenza casuale alle sue spalle: non vi erano molti motivi per andare nei luoghi meno frequentati dalla massa di studenti, professori e bidelli. L'unico motivo plausibile era il volersi isolare... o il voler pedinare l'unica persona che aveva deciso di andarsi ad isolare.

Mi fu chiaro ben presto che la sua meta era il parco sul retro della scuola ed ero anche conscio che, sia io che lui, stavamo violando una regola scolastica ben precisa: uscire dall'edificio durante le ore della mattinata era assolutamente proibito.

Non ero mai stato un ribelle; di solito, appena mi accorgevo che ero sul punto di fare qualcosa di proibito, mi tiravo indietro; non so quanto fosse dovuto a giudizio e quanto a vigliaccheria e desiderio assoluto di evitare problemi, in realtà.

In effetti, anche quel giorno, almeno inizialmente, mi imposi sul mio neurone impazzito ed optai per la via della prudenza: quando lo vidi varcare la soglia che dava sull'esterno, mi fermai; in fin dei conti non avevo motivi per seguirlo oltre, avevo capito cosa faceva, se ne andava a fare due passi lontano da tutti e ignorava del tutto le regole della scuola, cosa che mi suggerì l'esistenza di una parte decisamente indisciplinata in lui. E, per l'ennesima volta, mi diedi la solita risposta: che mi importava? Non c'era stato motivo per impicciarmi degli affari suoi fin dall'inizio, non c'era stato motivo per cui io dovessi sapere dove andava e, al di là di tutto, non c'era proprio per nulla motivo per il quale io dovessi rischiare di mettermi nei guai per... per cosa?

Ok, potevo tranquillamente tornare indietro e smetterla con quella che stava diventando un'ossessione; ordinai al mio corpo di muoversi... no... non di camminare in avanti come stava facendo... tornare indietro, dovevo tornare indietro!

E andai avanti, riuscendo a fermarmi solo quando mi trovai in mezzo al rettangolo che dava sulla piazza soleggiata esterna. Portai una mano al volto, perché quel giorno il sole era accecante.

“Adesso basta” mi dissi, “indietro!”.

E invece uscii.

Ad una prima occhiata, non vidi nessuno, ma i raggi abbaglianti non permettevano di spaziare per tutta l'ampiezza del terreno; ragionai troppo tardi sul fatto che, uscendo così, senza precauzioni, ero troppo allo scoperto, ogni tentativo di non farmi vedere rischiava di essere stato vano, anche perché il poter vedere poco e niente non era certo di aiuto.

Peggio ancora sarebbe stato se mi avesse visto qualche responsabile della scuola: una bella nota sul registro ed una visitina dal preside non me l'avrebbe tolta nessuno.

Non volevo che accadesse, eppure dipendeva unicamente da me: perché sembravo aver di colpo perso la mia capacità di non immischiarmi con le persone? Ero curioso, sì, ma non mi rassegnavo a credere che tale curiosità mi rendesse anche fuori di testa! Non era mai accaduto.

Incapace di prendere qualunque risoluzione, mi appoggiai al muro, il volto basso per ripararmi dal sole... e anche per fare finta di nulla a dire il vero; almeno quella minima precauzione fui in grado di prenderla, mi dava la possibilità di rispondere, nel caso di accuse di pedinamento:

“Ma no, c'era il sole e sono uscito, mi piace il sole!”.

Tanto, più idiota di così, era difficile apparire.

Certo, potevo aver previsto tutto, ma non la mano che si posò accanto al mio viso e che mi fece sobbalzare e sollevare il viso su...

Be', c'era solo lui fuori... credo...

“Cy...” balbettai, poi mi morsi le labbra e tirai fuori un sorriso forzato che, di sicuro, mi fece apparire ancora più stupido, mentre speravo ardentemente che lui non avesse capito come stavo per chiamarlo.

Ovviamente, sorridere dopo che qualcuno ti fronteggia in quel modo degno di un bulletto, era la cosa più intelligente da fare.

Eppure sorrise anche lui, ma il suo sorriso era ben diverso dal mio, non saprei se definirlo ironico, trionfante... forse tutto quanto insieme e anche qualcos'altro che al momento non compresi.

“Cyrano... sì”.

Perfetto... aveva capito. E io mi sentii andare a fuoco. Ora mi aspettavo davvero di tutto, dagli insulti alle botte, in fondo non lo conoscevo. Non era noto come uno studente che avesse mai dato problemi di disciplina, ma in quel momento ero talmente imbarazzato, terrorizzato, incapace di ragionare, che per me poteva anche essere il peggior delinquente sulla faccia della terra.

“No... io volevo dire...”.

Cosa? Cosa volevo dire?

In realtà nulla, volevo solo scappare.

La sua mano, intanto, era sempre lì, i suoi occhi ancora sul mio viso e io non sapevo più dove guardare.

“In realtà il mio nome di battesimo è Aris, ma devo dire che Cyrano mi gratifica di più”.

Di sicuro, il senso dell'ironia non gli mancava.

“Ah, certo” mormorai io, rendendo ancora più ridicolo il mio sorriso distorto. Non sapevo neanche cosa stavo dicendo.

La cosa più normale da fare, in quel momento, sarebbe stata chiedergli cosa volesse, perché mi stesse così vicino, perché non toglieva quella cavolo di mano sul muro, messa lì a sfiorarmi la tempia.

E lui, anziché smetterla con quell'atteggiamento, chinò il viso, dalla sua notevole altezza, portandolo molto più prossimo al mio; così, sottratti all'aureola di sole che aveva intorno alla testa, potei vedere i suoi occhi, tanto scuri da sembrare pozzi neri e, in quell'oscurità, pupille e iridi si fondevano, rendendo impossibile distinguerle.

Fui scosso da un brivido, forse perché apparivano così innaturali da farmi paura... erano come occhi di demone.

“Finalmente sono riuscito a portarti allo scoperto”.

Cosa? Cosa aveva detto?

“In... che senso?”.

Si era accorto che lo spiavo da giorni, voleva farmela pagare, certo, ero in guai grossi.

Ma... ma non ero l'unico ad osservarlo, accidenti, pressoché tutta la scuola lo fissava e lo spiava e allora perché proprio io? Io che, forse, ero l'unico a farlo senza intenti canzonatori, con le mie migliori intenzioni... anche se non sapevo assolutamente quali fossero queste buone intenzioni, non avevo mai capito perché lo spiassi... ma di sicuro senza intenti negativi! Credo...

E magari, anche se io non lo sapevo, lui aveva dato molte lezioni ad altre persone, come potevo essere certo che non l'avesse fatto?!

Adesso mi avrebbe preso a pugni, io non sapevo fare a botte, ero una negazione totale in qualunque tipo di attività fisica, sarei tornato a casa con almeno un occhio nero e addirittura con qualche osso rotto e non avrei potuto fare niente per impedirlo!

Poteva anche darsi che, nella sua vita privata, lui fosse un sociopatico borderline tendente alla violenza ed aspirante serial killer!

Mi dicevano tutti che avevo troppa fantasia e che la mia mente lavorava troppo; presto avrebbero avuto la dimostrazione che non avevo per niente torto a farmi passare per la testa tutte le idee possibili, dato che potevano essere sul punto di avverarsi.

“Volevo avere a che fare con te... da solo”.

Certo, per ridurmi in tanti pezzettini.

“Io... qualunque cosa tu abbia pensato... non è che... ecco...”.

La mia reazione istintiva primaria nei momenti di totale imbarazzo: mettermi a balbettare in maniera insensata apparendo ancora più goffo di come io sia in realtà... o, forse, goffo come sono in realtà, le mie reazioni sono solo l'immagine di me stesso, in fondo.

“Di solito penso sempre giusto”.

“Ma non questa volta!”.

Dove trovai la voce per lanciarmi in quell'esclamazione colma d'urgenza, non saprei dirlo; fatto sta che, per miracolo, ritrovai un briciolo di reattività.

“Allora hai una lingua funzionante”.

Quel sorrisino sornione che si teneva sulla faccia cominciava un po' ad irritarmi, devo ammetterlo, così presi a districarmi tra paura e necessità di reagire; forse per questa lotta interiore la mia voce uscì di nuovo incerta, ma almeno non balbettante:

“Mi... spiegheresti... che succede?”.

Nel tentativo di mascherare la mia paura, tentavo di guardarlo, ma era troppo alto, dovevo tendere il collo fino a farmi male.

“Tu cosa credi che succeda?”.

Bella domanda, alla quale l'unica risposta che mi veniva in mente era: so che stai per uccidermi, ti prego, fai che sia una cosa veloce.

“Forse... io... dovrei tornare in classe...”.

Come a conferma della mia frase inutile si udì, in lontananza, la campanella che segnalava la fine dell'intervallo.

Il sorriso dal suo volto scomparve e si trasformò in una smorfia di disappunto.

“Che seccatura”.

Pensai, a quel punto, anzi sperai, che un minimo sensibile al richiamo dei doveri lo fosse: a giudicare da quella reazione non era del tutto disinteressato ad un rischio di provvedimenti disciplinari.

“Allora... andiamo?” azzardai.

Si strinse nelle spalle e tornò a guardarmi ed io tornai a voler fuggire con lo sguardo, oltre che con le gambe: mi era pressoché impossibile sostenere quegli occhi. Non che di solito mi fosse facile sostenere lo sguardo di qualcuno, preferivo non fissare né essere fissato, ma il disagio che mi procuravano gli occhi di quel ragazzo non era paragonabile a nulla mai provato prima.

“In realtà non ne ho voglia”.

Beh, io ne avevo molta voglia, invece, non avevo mai amato la mia aula scolastica come in quel momento.

“Non... vorrei... che ci creassero problemi”.

Non avrei voluto ne creassero a me, non mi preoccupavo certo per lui; dovevo però anche ammettere che qualunque problema, in quel momento, mi sembrava una bazzecola rispetto a quello che avevo davanti. Se qualcuno fosse giunto a richiamarci all'ordine e ci avesse sbattuti entrambi dal preside, gli sarei saltato al collo per ringraziarlo di avermi salvato.

“In realtà sei tu il mio problema, adesso”.

Deglutii nervosamente, il discorso si faceva sempre più pericoloso.

“Ma... ma io...”.

Non avevo quasi più motivo di nascondere la mia paura; chi non l'avrebbe avuta, al mio posto?

“Sai, è che non mi piace lasciare le cose a metà”.

Deglutii ancora; era chiaro che si stava divertendo alle mie spalle, era abile, decisamente abile, nell'arte della tortura psicologica... per quanto riguardava la tortura fisica ero consapevole che sarebbe giunta di lì a poco.

Si abbassò ancora, mentre io, ormai, tremavo come una foglia; il suo naso sfiorava il mio e, in un certo senso, la sua lunghezza mi salvava dall'entrare troppo in contatto con il suo viso; vista di fronte, quella bizzarra appendice dava l'idea di una maschera un po' grottesca che rendeva la conformazione del volto decisamente irreale.

“Io lo sapevo che era solo una questione di tempo; si vedeva che fremevi dalla voglia di seguirmi, sei facile da capire, anche se cerchi di nasconderti da tutto e tutti. Credimi, quando dissimuli fallisci miseramente”.

Cominciava ad essere veramente troppo, qualcosa dentro di me si decise a smuoversi: non poteva permettersi di mettere così a nudo le mie debolezze e vedermi passivo ad incassare ogni offesa!

“Senti, se... se vuoi farmi qualcosa perché ti ho dato fastidio... fallo e non parliamone più... ok?”.

Be', rispolverare un po' d'orgoglio non voleva certo dire che riuscissi a tirare fuori un vocione agguerrito o che mi diventasse di colpo più facile guardarlo in faccia: pronunciai ogni parola con gli occhi che fuggivano dal lato opposto alla mano posata sul muro. Così non la vidi muoversi, sentii solo un dito che cambiò un poco posizione, quel tanto che bastava per toccarmi del tutto la tempia; fu a quel punto che scattai, sollevai il viso puntando gli occhi nei... no... sul suo naso in realtà... ed esclamai, questa volta con decisione:

“Potresti togliere quella maledetta mano?!”.

Il suo sorriso tornò e sembrava persino compiaciuto, per che cosa, poi, non sapevo assolutamente spiegarmelo.

“Quando riesco a farti reagire mi sento decisamente orgoglioso di me stesso”.

“Fai sempre così, prima di picchiare qualcuno?!”.

Stavo diventando audace, cominciavo a stupirmi di me stesso, decisamente.

Sbatté le palpebre, il suo naso diede l'impressione di arricciarsi in un atto sdegnoso.

“Per chi mi prendi?! Sono un gentiluomo, io! Ricorda come mi chiamo!”.

“A quale... dei due nomi ti riferisci?” borbottai, sentendomi maledettamente stupido. Non volevo fare il gradasso, non posi quella domanda con intenti sarcastici, davvero no, non mi è mai piaciuto giocare con il fuoco, ma mi capitava spesso di trovarmi a farlo senza rendermene conto.

“Hai mai sentito parlare di un Aris gentiluomo? Forse è più famoso Cyrano”.

Si stava prendendo in giro da solo? O erano accuse nei miei riguardi che io dovevo leggere tra le righe, secondo lui?

In tutto questo, comunque, non mi aveva ancora obbedito; la mano era lì, al suo posto, irremovibile, sembrava essere incollata a quel muro.

“Io comunque non picchio” precisò ancora, “ho sempre preferito il dialogo”.

Lo scrutai con aria dubbiosa, sembrava sincero, ma c'erano un sacco di persone in grado di recitare in maniera perfetta una parte... certo non io... come mi aveva gentilmente fatto notare lui stesso.

“Be', a meno che non debba difendermi, in quel caso è un'altra storia...”.

Ah, ecco...

Devo dire che fui abile a cogliere la palla al balzo per tentare una ritirata.

“Ma da me... non devi difenderti, giusto? Io ti lascerò in pace, c'è stato un malinteso!”.

“E, aggiungo, mi batterei solo con chi sarebbe alla pari con me”.

Grazie del complimento, un modo carino per dirmi che mi considerava un totale inetto.

“D'accordo, io non lo sono e non ho neanche nessuna intenzione di provocarti. Andiamo, ora? Se nelle nostre classi si accorgono della nostra assenza...”.

E già non avrei saputo come giustificare il ritardo con il quale mi sarei presentato; dovevo affrontare un problema alla volta. Cominciavo ad intravvedere qualche speranza che dal primo problema che avevo davanti sarei uscito vivo... e magari anche sano...

Così iniziai a considerare con maggior nervosismo il secondo problema... e non è che la vedessi tanto rosea.

“Ti ho già spiegato che mi piace portarle in fondo le cose, quando le inizio”.

Come a sottolineare la sua asserzione, piantò con più decisione la mano sul muro e mi sfiorò l'orecchio.

“Ma... abbiamo... chiarito... no?”.

“Veramente non abbiamo ancora cominciato, sei più chiacchierone di quello che sembra, non mi lasci spiegare”.

Avevo cantato vittoria troppo presto.

“Ma... le lezioni... i professori... la...”.

“In questo momento ci sono questioni che mi premono di più”.

Decisamente, il suo modo di fare, rispetto a un attimo prima, si stava facendo più serio... troppo serio... anche se mi innervosiva lo preferivo prima.

“Si può sapere cosa vuoi da me?”.

Ci mancava il tono piagnucolante a rendere ancora più patetica la mia situazione.

“E tu, cosa vuoi da me?”.

“Ma niente!” esclamai, cercando di infondere in ogni parola la maggior convinzione possibile.

“E allora, perché ti interessi tanto a me?”.

Abbassai il viso, avevo le guance accaldate.

“Come se fossi l'unico” borbottai.

Mi morsi la lingua subito dopo, rendendomi conto di quel che avevo detto; da quando ero diventato così bravo ad inguaiarmi?

Sollevai di scatto il viso, al colmo dell'imbarazzo.

“Cioé... volevo dire... ecco...”.

E così vidi i suoi occhi, più inquietanti che mai, stretti in due fessure nere... troppo nere, troppo cupe in quel momento.

L'avevo fatta grossa, ne ero convinto nella maniera più assoluta.

Mi osservò in silenzio per un po', prima di ricominciare a parlare, senza mutare quell'espressione spaventosa:

“C'è modo e modo di interessarsi a qualcuno; del modo in cui la maggior parte della gente si interessa a me, non mi riguarda e non mi tocca...”.

E perché, allora, lo toccava il mio modo?

“Cosa c'è, nel mio modo, di più offensivo? Niente! Anzi, io... io sono solo... a volte troppo...”.

“Curioso?”.

“Ma non perché volessi offenderti, io volevo solo... avevo sentito parlare di questo Cyrano, volevo sapere perché lo chiamavano così, e allora...”.

“E allora, dopo averlo visto la prima volta, è diventato il tuo pensiero fisso”.

“Ma non è vero!”.

“Te l'ho detto che non sei bravo a fingere... e non te la cavi neanche molto con la diplomazia, devo riconoscere”.

Tornò a sorridere e io avrei voluto sprofondare.

“Mi stai riempiendo di parole, ma non rispondi alla mia domanda: perché io? Perché il mio modo?!”.

Stavo per avere una crisi di nervi e sentivo che presto, dall'interno della scuola, sarebbe arrivato qualcuno e i guai li avremmo passati entrambi... grossi, grossi guai.

“Ti sei riposto benissimo da solo, il tuo modo è diverso”.

“Certo, capirai che spiegazione”.

“Sbaglio o ti stai facendo sempre più audace?”.

Mi rifiutai categoricamente di rispondere, a quel punto io non dovevo più dire nulla, mi intestardivo, spettava a lui, doveva parlare senza più giochetti... e magari il prima possibile, onde evitare che i nostri guai grossi diventassero colossali.

In effetti parlò, ma...

“Ti ho notato subito, con l'esperienza ho imparato a distinguere le intenzioni degli sguardi che si posavano su di me...”.

Perché aveva cambiato tono? Si era addolcito, come se si stesse confidando. In effetti, convivere con un difetto fisico come il suo non doveva essere affatto facile, e mi dava pure fastidio considerarlo un difetto, era solo una particolarità fisica, in fondo.

No, un momento, dove stavano andando i miei ragionamenti? Lo stavo difendendo? Mi stavo preoccupando per lui?!

“Il mio naso è stato la scusa, volevi sapere perché mi chiamavano Cyrano, ma dopo non ti è importato nulla di quello: ti interessava la mia persona, volevi sapere cosa facevo, dove andavo...”.

Stava prendendo una strana piega, quel discorso.

Avrei dovuto negare, a quel punto, ma forse sarebbe stato peggio; quanto detestavo non sapere come comportarmi in una determinata situazione. Se gli consentivo di credere quello che diceva, sarebbe stata un'ammissione di qualcosa di cui nemmeno io sapevo darmi una spiegazione logica; se avessi negato, d'altronde, avrei potuto ferirlo.

Non perché si trattasse di lui, ma non mi è mai piaciuto ferire le persone... lui non c'entrava nulla!

“Quindi, hai attirato la mia attenzione e, credimi, non è per niente una cosa semplice; la massa umana, per me, è composta da creature incomprensibili e totalmente insulse che tendono a dare importanza a particolari futili”.

“Anche per me è la stessa cosa!”.

Mi sarei rimangiato quelle parole subito dopo: mi rendevo suo complice così!

“Lo so...”.

Sbattei le palpebre e lui, evidentemente cogliendo il mio stupore, si sentì in dovere di proseguire:

“Ho sempre visto molti sguardi puntati su di me e ho capito ben presto che, anziché prenderla a male, potevo volgere la cosa a mio vantaggio; così ho smesso di abbassare gli occhi di fronte alla curiosità e alle derisioni altrui e sono diventato un osservatore anche io”.

Cosa si era messo in testa? Di raccontarmi la storia della sua vita? E, ancora di più, mi rendeva perplesso il fatto che lo ascoltavo con attenzione... e comprensione. E non avevo neanche più paura - almeno in quel momento.

“E... così... hai osservato anche me?”.

Intanto feci scivolare la schiena contro il muro e mi abbassai; il mio intento era quello di sgusciare a distanza di sicurezza da quella mano che non mi aiutava certo a cacciare il disagio che provavo. Nel farlo, il mio tallone entrò a contatto con un frammento di pietra scivoloso e, senza poterlo evitare, mi ritrovai con il sedere a terra, gli occhi sgranati per la sorpresa. Lui si acquattò abbracciandosi le ginocchia, ma, anche in quel modo, era ben più alto di me.

“Ti sei fatto male?”.

“N-no... nono”.

Per lo meno avevo ottenuto il mio scopo, anche se non potevo dire che la situazione fosse migliorata: prima eravamo in piedi con lui che mi teneva praticamente appiccicato ad un muro; ora io ero seduto per terra e lui era acquattato davanti a me e potevo vedere molto meglio i suoi occhi.

Cambiò posizione, mettendosi seduto anche lui, a gambe incrociate.

“Effettivamente, così possiamo parlare in maniera molto più comoda”.

“Ma... veramente... è... tardi...”.

Si strinse nelle spalle.

“Tanto, ormai, la punizione ce la becchiamo comunque; qualche minuto in più o in meno di ritardo non ci salva certo la vita”.

Come faceva a dirlo con tale tranquillità? Io tremavo al pensiero di essere richiamato davanti a tutti i compagni, di comparire da solo davanti al preside, di dovermi giustificare con la mia famiglia per quell'assurdità che avevo fatto. E lui si comportava come se niente fosse.

“Non ti dà fastidio il pensiero di essere punito?”.

Un'altra scrollata di spalle.

“Sarà quel che sarà, ormai è fatta, inutile piangerci sopra. Preferisco, a questo punto, finire quello che ho iniziato”.

“Ma non hai ancora iniziato niente!”.

Anche se, per quel che mi riguardava, poteva anche concludersi così, il più in fretta possibile. Però dovevo ammettere che stava salendo, dentro di me, una certa curiosità riguardo al fatto che si era messo ad osservarmi.

Per la mia incolumità ero anche abbastanza tranquillo, avevo finito davvero per credere che non mi avrebbe ucciso, né picchiato.

“Non è che tu mi dia molte possibilità per iniziare”.

Mi imbronciai; avrei voluto vedere lui, con uno che gli si mette davanti, praticamente bloccandolo contro un muro, e dà il via ad un sacco di discorsi strani.

“Ho scoperto che è divertente osservarti e ora me ne stai dando la conferma”.

Avrei dovuto arrabbiarmi, suonava tanto come una presa in giro; ma il suo sorriso, nel dirlo, era diverso da quelli precedenti, lo trovai persino gradevole, non vi lessi cattivera, né intento canzonatorio; magari avevo un abbaglio, ma la cosa fu sufficiente a calmare, almeno per un po', la mia ira.

“Ma non è solo divertente, ti ho trovato, nelle mie osservazioni, più interessante degli altri esseri umani, mi sei sembrato diverso...”.

Mi morsi le labbra, mentre inarcavo le sopracciglia: in quel momento parlava quasi come un alieno giunto sulla terra a studiarne gli abitanti.

“Così, ho indagato...”.

No, questo non andava bene; come indagato?!

“Inda...”.

“Non ho violato la tua privacy e i tuoi momenti intimi, tranquillo”.

“Ci mancherebbe altro!”.

Stava andando su sentieri pericolosi: se c'è una cosa a cui tengo in maniera compulsiva è la mia vita privata; non che abbia grandi segreti da nascondere, ma insomma... ne sono geloso, ecco.

“Però, le mie indagini mi hanno aiutato a capirti meglio; sai, quando mi interesso a qualcuno, io devo conoscerlo, soprattutto se sento che questo qualcuno potrebbe diventare importante nella mia vita”.

Be', non era il mio caso, allora.

Dove voleva andare a parare?

Io non accetto a prescindere di diventare importante per una persona con cui mi sono ritrovato a parlare per pura casualità, in una situazione, tra l'altro, nella quale non mi sarei mai dovuto cacciare!

Si mosse; credevo stesse per rialzarsi, invece il suo intento era solo quello di portarsi più vicino a me. Si tese in avanti e si mise carponi; non si accostò poi troppo, ma il suo naso colmò del tutto la distanza che ci separava, la sua punta cozzò contro quella del mio ed io, istintivamente, mi trascinai all'indietro.

La paura scomparsa cominciò a riaffiorare e non sapevo perché, c'era qualcosa che mi inquietava nel suo atteggiamento. Continuavo a pensare che non mi avrebbe fatto del male fisico, eppure...

“Alex...”.

Sobbalzai: era la prima volta che gli sentivo sulle labbra il mio nome e risuonò in maniera bizzarra; la sua voce era profonda e, mentre lo pronunciava, sembrò accarezzare, una ad una, ogni singola lettera.

“Non... ti ho mai detto il mio nome... come...”.

“Te l'ho spiegato... le mie indagini hanno dato qualche frutto”.

Adesso ero confuso, davvero tanto; scrollai il capo, come fanno i cani bagnati per asciugarsi il pelo. Il mio intento, però, non era quello di cacciare l'acqua, ma tutta quella confusione che vorticava in me; mi stava succedendo qualcosa che non capivo.

Dovevo sottrarmi a quella situazione, c'era un limite all'essere ingenui, goffi, passivi.

Così cercai a tentoni il muro alle mie spalle, mi ci appoggiai, per sollevarmi ed allontanarmi da lui e mi imposi di scovare, in me, un briciolo di baldanza, incoraggiato dal fatto che, grazie a quella mossa, mi trovai per la prima volta in una posizione più elevata rispetto alla sua.

“E, sentiamo, che altro hai scoperto di me?”.

Lui non si alzò, rimase carponi e sollevò il viso sulla mia persona; dovevo ammettere che, visto da quella prospettiva, appariva persino simpatico... quasi tenero, oserei dire, anche perché il suo sguardo si era fatto buffo.

“Ho scoperto che tu e io siamo spiriti affini”.

Come perdere, in poche parole, uno sprazzo di simpatia...

Potevamo anche avere qualche lato comune - in fondo tutte le persone sulla terra possono trovare, tra loro, qualche lato comune - ma definirci spiriti affini mi sembrava davvero fuori luogo.

Lo guardai con diffidenza e sospetto e fu in quel momento che lui si alzò, dissolvendo in una sola mossa tutto il mio coraggio trovato; rieccolo a troneggiare su di me e i miei occhi che cercavano di fuggire al dominio dei suoi.

“Tu ed io, Alex, siamo spiriti contemplativi, non ci mischiamo con la massa, siamo incompresi perché diversi, non importa che si tratti di diversità fisiche o psicologiche: ma la cosa ci tocca fino a un certo punto, perché dalla nostra parte abbiamo la certezza di essere sempre coerenti con noi stessi e la consapevolezza che non ci mischieremo mai con la folla anonima, rinunciando a quello che siamo: non ci venderemo per ottenere un'approvazione che, lo sappiamo, non sarebbe mai sincera”.

Storsi il naso, si stava addentrando in un discorso così complesso da renderlo, alle mie percezioni, ancora più inquietante, senza contare che aveva letteralmente scavato nella mia psicologia, indovinandola o intuendola in maniera sorprendente.

“Questo non ci rende per forza spiriti affini”.

Non risuonai convinto come avrei voluto, mentre fu molto più convinto lui quando riportò la mano nel medesimo luogo in cui mi aveva tormentato poco prima; che significato aveva, per lui, quel gesto? Se davvero non voleva mostrarsi aggressivo, non capiva che per me quel modo di fare era una minaccia? Sembrava volesse tenermi prigioniero.

“Alex, io ho un dono, sai?”.

“C-cioé?”.

“Quello di capire le persone. E sono certo di averti capito”.

“Be', saresti un genio, dato che io stesso fatico a capirmi”.

“Sì, devo dire che ho un quoziente intellettivo piuttosto alto”.

Questa poi...

Ricominciavo a non sapere cosa rispondere, già la mia prontezza nel ribattere colpo su colpo in un discorso non era mai stata delle migliori, se poi venivo fronteggiato da un tipo così, le mie inibizioni prendevano sicuramente la meglio sul raziocinio.

“E oltre ad averti capito, ho finito per sentirmi attratto da te”.

E fu così che il tempo si fermò, tutto intorno a me sembrò immobilizzarsi, la mia mente si concentrava per rendersi conto se avessi capito bene o no.

Certo, essere attratti da una persona non implica per forza chissà che sentimento; attratto nel senso che gli interessavo, che gli sarebbe piaciuto avermi come amico... tuttavia non mi era mai capitato prima d'ora. E, comunque, c'era sempre la possibilità molto alta che mi stesse ancora prendendo in giro.

La mia espressione ammutolita dovette sembrargli molto comica, perché si mise a ridacchiare; doveva esserci anche una parte di sadismo molto elevata in lui se trovava divertente dare il tormento in questo modo ad un'altra persona.

Assunse poi un'espressione riflessiva; a prima vista non si sarebbe detto che quel volto potesse diventare così espressivo, invece, nel corso di quella conversazione, lo avevo visto cambiare espressione così tante volte da farmi credere che sapesse impadronirsi alla perfezione di ogni sfumatura dell'animo; e il naso che aveva non gli rendeva tutto più difficile, anzi, se ci si concentrava sul suo viso, sui suoi lineamenti, anche quello finiva per fondersi con essi, in maniera armonica, senza infastidire. Si finiva per pensare che quel volto non poteva essere diverso da come era, andava benissimo così, era suo, completamente, ed era ciò che gli conferiva la sua precisa identità.

“Alex...”.

Cosa significava quel tono?

“S-sì?”.

Mi irretiva, portava a galla tutte le mie debolezze e le mie incapacità, il mio stato confusionale, anziché migliorare, peggiorava.

Sollevò anche l'altra sua mano e la posò, anch'essa, sul muro, dall'altra parte del mio viso, ma non la tenne ferma a lungo; da lì si mosse e raggiunse la mia tempia, dalla quale scostò un ciuffo di capelli. A quel punto avrei voluto urlare, ma quando la mia bocca si spalancò uscì fuori, unicamente, un'esclamazione di protesta strozzata:

“Non ti spaventare, non voglio che ti spaventi”.

Cosa gli stava succedendo? Perché era così dolce e... cosa stava facendo?!

Avevo immaginato tutto, le cose peggiori ma, a quello, neanche la mia fantasia più sfrenata sarebbe potuta giungere.

Come poteva pretendere che non mi spaventassi? Mai nessuno mi aveva mai parlato così né, tanto meno, toccato così... non una donna nè tanto meno un uomo.

Lui riportò a galla qualcosa che cercavo di reprimere in tutti i modi, qualcosa che non volevo ammettere a me stesso, perché temevo le conseguenze e lui arrivava e...

Lasciò ricadere la mano, ma non smise di guardarmi con quegli occhi che ora, nella loro oscurità, sembravano rilucere... quella luce voleva avvolgermi, come le sue mani, forse, non osavano ancora fare.

“Lo so che hai paura di te stesso, l'ho avuta anche io, per un certo periodo, paura, soprattutto, di cosa potrebbe pensare il mondo di te... ma sai che ti dico? Tu sei forte e, come me, imparerai a fregartene e ad accettarti per quello che sei”.

“Non so... di cosa stai parlando...”.

E, a quel punto, sapevo di mentire, lo sapevo eccome di cosa stava parlando: ma non era possibile che avesse compreso quello, proprio quello.

Non ne parlavo con nessuno, neanche con me stesso. Non ne scrivevo, non lasciavo tracce, come poteva aver indagato dentro di me a tal punto?!

“Ma... ma io...”.

Adesso i miei tremiti non erano più di paura, o meglio: erano frutto di una paura di tipo molto diverso, la paura di sentirsi vulnerabili, nudi e, allo stesso tempo, di desiderarlo, soprattutto avendo davanti qualcuno che poteva capire e che accettava.

“Arriverà il momento, Alex, e se il fortunato da te scelto sarò proprio io, non potrò che gioirne”.

Spalancai gli occhi di più, mentre dalla mia bocca uscivano suoni senza senso, soffocati dal calare delle sue labbra, dal loro posarsi sulle mie.

Un bacio? Il... mio... primo... bacio...

Avrei dovuto scappare via, ma... in realtà... non volevo.

Dentro di me uscì a galla qualcosa, una sorta di euforia, uno tsunami di sensazioni ed emozioni che avevo represso per tanto tempo e si presentavano così, di colpo, pretendendo il loro tributo.

Non durò molto, pochi secondi e Cyrano si staccò; anche l'altra sua mano ricadde, lasciandomi improvvisamente libero, proprio nel momento in cui a me non importava più.

Anzi, rimanevo lì, lo sguardo fisso e perso, senza capire nulla, la schiena incollata al muro che scivolava seguendo le gambe che non mi reggevano.

“Era tutto qui quello che volevo, solo questo...”.

Da un punto lontano mi giunsero le sue nuove parole.

“Non mi avvicinerò più a te, se non vorrai, aspetterò... spero di non attendere troppo... ma aspetterò... e se avrai bisogno di me, mia Rossana, il tuo Cyrano sarà lì per te”.

 

Fu il primo a rientrare, lasciandomi lì, con me stesso e quello che mi stava accadendo dentro.

Quello fu l'inizio di tutto, l'inizio della scoperta di me stesso.

   
 
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