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Autore: nephylim88    22/09/2013    0 recensioni
Quando si parla di case maledette acquistate, il nostro pensiero va immediatamente alla sorte dei poveretti che hanno acquistato gli edifici in questione. Ma come vivono la situazione quelli che vendono queste case? Ho voluto mettermi nei panni di un giovane agente immobiliare, che si ritrova a vendere una della case più famose di Venezia, almeno da questo punto di vista...
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era da parecchio tempo che non vedevo Giorgio. All'inizio ero troppo arrabbiato con lui. È sempre stato uno zuccone testardo che deve per forza sbattere il naso contro le cose per crederci, e neanche in quel caso è detto che lo faccia. Erano trascorse due settimane dall'ultima volta che l'avevo visto. Avevo pensato migliaia di volte di chiamarlo, ma poi avevo lasciato perdere. Fino a quando non incontrai Katia, la nostra amica paramedico.

“Ehi, Marco!” mi trovavo vicino alla stazione di Venezia, quando mi sentii chiamare.

“Katia!” risposi, sorridendo.

“Come stai, vecchio?” aveva sempre questa bruttissima abitudine. Odiavo farmi chiamare vecchio. Ma a lei lo concedevo, di chiamarmi così. Ci avevo fatto il callo!

“Oh, come al solito, cara la mia crocerossina... e tu?”

“Bene, bene! Ultimamente all'ospedale ho fatto un sacco di turni, quindi ho avuto molto poco tempo per me. Il che mi fa venire in mente: Giorgio si è ripreso? Non ho avuto tempo di chiamare neanche lui!”

“Come sarebbe a dire, scusa?”

“Vuoi dire che non sai cos'è successo?” Katia mi guardò come se le avessi detto che la notte mi piaceva mettermi i vestiti da donna.

“Saranno due settimane che non gli parlo, abbiamo litigato. Cos'è successo?” chiesi, preoccupato.

“È morta la sua amica, quella francese... sai, quella che abitava a ca' Dario.”

Il mio cuore perse un paio di battiti.

“Dai, non puoi non averlo sentito! Era su tutti i giornali!”

Non seguivo i giornali. E lei lo sapeva. Ma c'era da dire che quella casa è talmente famosa a Venezia che c'era davvero da stupirsi che non avessi sentito la notizia tramite la rete più antica del mondo: i pettegolezzi.

“Come... come è morta?”

“Giorgio l'ha trovata impiccata al lampadario della sala centrale. La polizia ha dovuto archiviare il caso come suicidio, ma c'è un elemento che non torna.”

“Cioè?”

“Beh, il lampadario è a cinque metri da terra, e non si sa come abbia fatto a impiccarsi da sola. Quando siamo arrivati, non c'era una scala con cui avrebbe potuto aiutarsi, e Giorgio garantisce che non c'era neanche quando è arrivato lui. E non c'era nessuno con lei. E anche le chiavi della casa c'erano tutte, per cui non si può neanche dire che qualcuno sia entrato, l'abbia uccisa, e poi se ne sia andato chiudendo a chiave una porta.”

“E a che scopo, poi? Una cosa del genere la si può fare solo a una persona che si conosce, e lei non conosceva nessuno, qui a Venezia, a parte Giorgio...” Katia annuì. “Buon Dio, quel testone non mi aveva detto nulla...” finii col borbottare. Mi voltai e, senza salutarla, corsi verso casa di Giorgio.

Salii le scale che portavano al suo appartamento. Beh, più che salirle, volai. E cominciai a bussare come un forsennato. Praticamente gli sfondai la porta. L'uomo che venne ad aprirmi era l'ombra del Giorgio che conoscevo.

“Perché cazzo non mi hai chiamato, brutto idiota??” tentai di tenere la voce bassa, ma non ebbi grandissimo successo.

Lui mi guardò. E il suo sguardo mi fece rabbrividire. Era... vacuo... mi sentivo come se fissassi delle finestre che davano su una stanza vuota.

“Giorgio, tutto bene?”

“No...” bofonchiò “lei è all'inferno...”

“Cosa?”

“Inferno... colpa mia... sono stati loro... colpa mia...”

A quel punto, ero stufo. Stufo del suo non considerare le mie teorie a prescindere, stufo del suo non coinvolgermi nei suoi problemi, stufo di non capire cosa gli passava per la testa. Mi infuriai. E gli rifilai due ceffoni. Sembrò funzionare.

“MA SEI IMPAZZITO?” urlò. Dal pavimento arrivarono due colpi. Il solito vicino rompiballe.

“No, TU sei impazzito, caro mio!! Che diavolo ti sta succedendo?”

Mi fissò per un attimo, poi scoppiò in lacrime. Chiamatemi antiquato, maschilista, quello che volete. Ma, vedere un uomo piangere, per me è uno spettacolo penoso. Ero tremendamente in imbarazzo. Ma ero anche preoccupato. Se Giorgio piangeva, allora la faccenda era molto seria.

“Giorgio, che è successo?”

“Avevi ragione tu, su di loro.”

“Su chi?”

“I Borgia. Sono quei Borgia. Io non so cosa siano, ma sono stati loro a uccidere Genéviève.”

Rimasi in silenzio, basito. Devo ammettere che mi è sempre piaciuto l'esoterismo. Ma non è che ci credessi poi così tanto. E quando ho formulato la teoria per cui i datori di lavoro di Giorgio erano creature maledette, ero piuttosto ubriaco. Non avrei mai pensato che come teoria fosse così valida. D'altra parte, è sempre così, non c'è gente meno credente nei fantasmi di quelli affascinati da essi. Vale anche per demoni, Satana, incantesimi... chi ne è affascinato, raramente ci crede. E chi ci crede, raramente ne è affascinato, ma terrorizzato. In effetti, fu in quell'istante che l'esoterismo perse per me ogni attrattiva.

“Cosa hai intenzione di fare?” chiesi, a voce molto bassa.

“Non lo so. Mi sono procurato acqua santa, ma non so quanto funzionerà. Vorrei scappare, ma quei... cosi... sono molto potenti. Mi troverebbero! Vogliono eliminarmi!”

“Ok, adesso calmati!”

“No, non dirmi di calmarmi! Quei... fantasmi... demoni... quello che sono!, catturano le anime delle persone e le scaraventano all'inferno! Hanno fatto lo stesso con Genéviève. E io gliel'ho permesso! Genéviève è all'inferno per colpa mia! E vogliono fare lo stesso con me!”

“Cosa posso fare?”

“Niente. Niente. Non c'è niente da fare. Li aspetto. Ho provato a contattare preti, esorcisti, chiunque! Mi ritengono pazzo!”

Non potevo dare loro torto, a dirla tutta.

In quel momento, il telefono di Giorgio squillò. Lui impallidì.

“Giorgio, non rispondere...”
“Sono loro!”
“Non. Rispondere.”

“Devo!”

Afferrò il telefono, e rispose, correndo in un'altra stanza. Non sentii quello che disse. E non capii neanche con chi era al telefono. Dopo due minuti mise giù.

“Devo andare!” disse precipitosamente.

“Dove?” mi ignorò “ehi, aspetta!” urlai. Lui corse fuori chiudendo la porta dietro di sé. Rimasi lì per un po', fermo in piedi come un baccalà. Fu l'ultima volta che lo vidi.


  
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