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Autore: TheSwordmaster    22/09/2013    5 recensioni
Aurora lì guardò uno ad uno una seconda volta, sorridendo ancora più raggiante e loro, ricambiando il gesto, gioiosi e decisi, annuirono ed esclamarono in coro, con tono energico:
era giunto il momento e Lui li stava attendendo.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
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WE CAN, TRUST US!
La ragazza mosse con sforzo sovrumano l’ennesimo passo, come un guerriero che sfinito, ma volenteroso, sferra un nuovo fendente con la sua lama. Era lei sola, nella sua guerra contro la furia del vento, che noncurante delle sue fatiche, continuava a spirare sprezzante e gelido nella direzione contraria alla sua, quasi come se avesse volontà propria e cercasse con tutto se stesso di bloccarle il cammino, di spingerla ad arrendersi, cercando di sconfiggerla con i suoi affondi di raggelante odio
Ma lei non si sarebbe mai arresa.
Non poteva, no, ormai aveva deciso.
Ogni passo la faceva sprofondare ogni volta qualche centimetro in più, come nelle sabbie mobili, sotto quell’immensa coltre di neve perenne, che da millenni imbiancava e soffocava sotto il suo freddo abbraccio, le imponenti cime del Monte Corona, leggendaria montagna, vecchia probabilmente quanto il mondo stesso, da sempre cuore e simbolo della regione di Sinnoh.
Sollevò lo sguardo strizzando gli occhi per proteggerli dagli insidiosi fiocchi di neve e dall’accecante bagliore bianco che inondava tutto il paesaggio intorno e guardò innanzi a sé: a pochi metri, scavata nella parete della montagna, l’entrata di una grotta impersonava la sua salvezza, quasi aspettasse con ansia che l’allenatrice entrasse a ripararsi e riposarsi; ad Aurora pareva quasi di sentire chiamare il suo nome, e dimenticando per un attimo la stanchezza e l’indolenzimento, coprì la poca distanza che la separava dal rifugio.
Non appena si fu lasciata quell’inferno alle spalle, la ragazza si accasciò vicino ad una grossa roccia, sedendosi per terra con un sospiro e solo dopo aver preso un po’ di fiato si mise ad osservare il luogo in cui si trovava: all’apparenza sembrava una banalissima grotta come tutte le altre nelle quali le era capitato di sostare in quei due giorni, ma quella era più ampia e nel centro ospitava perfino un piccolo laghetto, alimentato da un fiumiciattolo sotterraneo, che in certi punti, dove il suolo era dislivellato, si infrangeva in piccole placide cascatelle, andando poi a sparire, trasportando con se la sua acqua, strisciando come un vecchio serpente sibilante nelle viscere della montagna.
Si perse per qualche minuto a studiare quel rifugio improvvisato, immersa nei suoi pensieri, finché, annoiata, non ritornò alla realtà.
Sapeva che non doveva mancare molta strada per raggiungere la sua meta ormai, aveva tirato avanti per parecchie ore nella bufera, rinunciando a parecchie ore di sonno, conscia che se si fosse addormentata, avrebbe potuto non ridestarsi mai più, ma adesso era esausta e aveva bisogno di recuperare quanta più energia possibile.
Nel frattempo, dall’interno della borsa che portava in spalla, Aurora non aveva smesso di percepire l’intensa e continua aura d’inquietudine, che continuava a fluire impetuosa come un fiume in piena dalle sue sei pokéball; erano i suoi amati amici, preoccupati per lei e desiderosi di supportarla nella sua missione, nella loro missione.
La ragazza avrebbe desiderato con tutta se stessa scalare le aspre cime del Monte fianco a fianco con i suoi inseparabili compagni di viaggio, sostenendosi vicendevolmente come sempre avevano fatto in ogni situazione, vivendo meravigliose, terrificanti o dolorose avventure insieme, condividendo ogni pensiero ed emozione, ma questa volta era diverso, lei temeva troppo per la loro incolumità e aveva paura di perderli, perciò li aveva fatti uscire dalle loro sfere solo durante le soste, riprendendo poi il percorso da sola nonostante il loro insistere per accompagnarla.
Li chiamò anche stavolta tutti fuori dalle pokéball per permettere anche a loro di ristorarsi e di sgranchirsi e non appena usciti dal loro giaciglio, subito le furono vicino. Ella li abbracciò felice, ritornando momentaneamente a sorridere; anche loro furono contentissimi di rivedere ed abbracciare la loro cara allenatrice, anche se in primis erano sinceramente preoccupati per le sue condizioni. La giovane li rassicurò subito acquietando le loro paure (o almeno, pensò di riuscirci) con carezze e sorrisi e porse ad ognuno una porzione di bacche quanto più abbondante possibile, cercando di razionare in parte minimale il cibo, almeno per loro. Tuttavia i sei Pokemon, per niente convinti delle rassicurazioni della loro allenatrice, rimasero seri e mangiarono poco. Aurora colse il grigiore nei loro volti e capì che una qualsiasi altra frase di conforto non sarebbe servita a mutare il loro stato d’animo: parole al vento.
Boromir lasciò il suo piatto di Baccacedro finito solo per metà e le venne vicino, camminando lestamente, con il suo immancabile passo felpato ed impercettibile, che Aurora conosceva fin troppo bene. Il giovane Glaceon la scrutò con i suoi profondi occhi blu, strusciò la testa affettuosamente contro il suo braccio e con delicatezza si accoccolò sulle gambe della sua allenatrice, facendo appena appena le fusa.
Poco dopo, Finduilas, gracchiando con tono imperioso, con la sua voce vanitosa e profonda, lasciò in volo la sua postazione e si andò ad appollaiare comodamente sulla spalla della ragazza, risistemandosi minuziosamente il suo prezioso cappello nero sul capo. L’allenatrice volse un’occhiata scherzosa alla sua Honchkrow, che di risposta, le strattonò giocosamente la punta del berretto bianco col grosso becco.
Arwen si alzò in piedi e si unì a loro, posò una zampa delle zampe anteriori sulla spalla di Aurora come segno d’incoraggiamento e quest’ultima ricambiò il gesto alla sua Lucario stringendogli l’arto con fare più o meno deciso.
Galadriel, che si trovava  già lì vicino, ringhiò con grinta facendosi accarezzare con suo sommo giubilo la criniera dalla sua umana:
“Luuuux-Luxraaaaay-Lux!”
La ragazza sorrise di nuovo e questa volta con più convinzione.
Sollevò la testa riconoscendo sopra di loro il familiare fruscio sordo delle quattro palmate ali viola di Eowyn, che contenta svolazzava sopra di loro, destreggiandosi agilmente tra le stalattiti calcaree del soffitto.
infine guardò alla sua sinistra, dove a qualche passo, Aragorn la fissava in silenzio, i suoi profondi e glaciali occhi indaco perforavano i suoi celesti come lance, esaminandole l’anima. Mosse in avanti una delle sue zampe palmate , poi un’altra e le fu davanti. Ora però il suo sguardo non era più severo, sembrava abbattuto, quasi implorante. Era la prima volta che il suo Empoleon le rivolgeva uno sguardo così da quando si conoscevano, lui il pokémon imperatore, fiero e maestoso, capace di zittire anche la bestia più feroce semplicemente lasciando parlare i suoi saggi e severi occhi, gelidi e infuocati contemporaneamente, ora aveva messo da parte, per la prima volta, con la sua allenatrice, il suo orgoglio d’acciaio e la stava implorando.
Ora anche gli altri cinque la fissavano nello stesso modo, sostenendo il loro compagno e tutti comunicavano lo stesso messaggio:
“Affrontiamolo insieme, l’una per gli altri, come sempre facciamo, abbiamo fatto e faremo”
Aurora non trovò la forza di ribattere a quegli sguardi così decisi e ardenti e ne fu sopraffatta. Avevano ragione; avevano sempre combattuto uniti per vincere anche la più dura delle sfide, senza porsi limiti, mettendo da parte le paure, superando ogni difficoltà e quella volta non sarebbe stato diverso. Aveva sbagliato, certo, a rifiutare l’aiuto dei suoi pokémon, anche se aveva agito così solo per una buona causa; voleva solo salvaguardare i suoi amici e proteggerli, ma d'altronde, non aveva capito che anche loro volevano fare lo stesso e proteggerla a loro volta.
La ragazza sorrise raggiante, profondamente commossa e con un unico, deciso cenno della testa accettò l’aiuto dei suoi fedeli compagni, promettendo a se stessa e a loro, che avrebbero raggiunto il loro obbiettivo uniti, senza mai voltarsi indietro, rialzandosi dopo ogni caduta dandosi reciprocamente una mano, zampa o ala, sempre.
Quella sera, la ragazza, per la prima volta si addormentò serenamente, col cuore leggero, sentendosi al sicuro in mezzo ai suoi amici pokémon e non sentì nemmeno il freddo.
 
Quella mattina il tempo fu più sereno e aveva anche smesso di nevicare; il vento che pareva essersi tranquillizzato, soffiava più dolcemente, ma non meno gelido del giorno prima e per terra ci sarà stato sì e no un metro di soffici fiocchi bianchi, che rallentavano di parecchio la marcia ad Aurora e la sua squadra, che quel giorno si erano alzati di buon ora e di buon umore e che dopo una colazione ricostituente si erano subito messi in cammino.
La ragazza camminava con rinnovato vigore, passo-passo con i suoi compagni, che riempiti della sua energia positiva, marciavano implacabili e incredibilmente veloci, lasciando completamente spiazzata anche Madre Natura stessa, i cui mezzi, ora, erano diventati completamente inefficaci su di loro; non c’era vento o intemperia che potesse estinguere le fiamme che bruciavano danzanti nei loro cuori e che unite davano vita ad  un unico grande fuoco immortale, capace di sciogliere il ghiaccio più duro e gelo più penetrante.
Ormai erano vicinissimi alla cima e lo si poteva constatare dall’aria estremamente rarefatta e dall’ossigeno, che ormai scarseggiava e che rendeva il più piccolo movimento un’agonia, ma non si sarebbero certo arresi in quel momento, ad un passo dalla vittoria.
L’unico meno stanco era Boromir, che gagliardamente continuava a nuotare nella spessa coltre neve, troppo alta per le sue zampine, come nulla fosse, guidando la comitiva; Finduilas ed Eowyn stentavano a mantenersi in aria, bisognose d’ossigeno e intirizzite dalla temperatura; Galadriel riusciva a sciogliere un po’ la neve grazie al calore delle sue zampe, nelle quali scorreva continuamente energia elettrica e precedeva Aurora per cercare di facilitarle il percorso; Arwen ed Aragorn, alle ali della stradina, sgomberavano il cammino a colpi delle loro forzute membra d’acciaio, ma ormai anche loro cominciavano a sentirsi esausti.
Ad un certo punto, da davanti, Glaceon lanciò un grido e richiamò il resto della compagnia a sé. L’allenatrice e gli altri cinque pokémon lo raggiunsero immediatamente, trafelati e guardarono innanzi a loro: Un grande portale scavato nella parete della montagna, adornato da una fascia di vecchie rune scolpite, visibilmente erose dal corso del tempo e dalle intemperie, si stagliava solenne davanti a loro segnando la tappa finale della loro scalata. Ad Aurora saltò il cuore in gola e percepì perfettamente la tensione dei suoi compagni. Ce l’avevano fatta, avevano raggiunto il portale, bastava varcarlo e dopo un breve tunnel scavato nella montagna, sarebbero sbucati alla Vetta Lancia, dove l’incredibile li attendeva.
La ragazza volse uno sguardo d’intesa alla sua squadra, che con eccitazione, ricambiò lo sguardo; non c’era bisogno di perdersi in futili parole.
Varcarono la soglia, con un unico passo privo d’esitazione e si ritrovarono all’interno della galleria, che popoli antichi e leggendari, in ere ormai dimenticate, avevano scavato, intagliando e dipingendo lungo le pareti e il soffitto, disegni e simboli arcani, raffiguranti potenti e mostruose creature mitologiche, che un tempo veneravano.
L’allenatrice era in fermento e così anche i suoi sei amici.
Percorsero in breve tutto il tunnel, correndo senza fermarsi, dimentichi del fiatone, del freddo e della stanchezza che provava le loro membra; davanti a loro, un’abbagliante luce rappresentava la fine delle loro fatiche, e ad Aurora, la distanza che li separava da essa, sembrava infinita e incolmabile. Ecco, mancavano pochi passi. Con un balzo, i sette imboccarono l’uscita chiudendo gli occhi e quando li riaprirono, lo spettacolo che gli si presentò davanti subito dopo fu indescrivibile: le antiche rovine di un imponente tempio antico dalle alte colonne marmoree sbeccate e corrose dal tempo, occupavano tutto l’immenso spiazzo della Vetta Lancia. Nonostante fosse già la seconda volta che la ragazza giungesse lì, non riuscì a fare a meno di rimanere a bocca aperta dalla meraviglia e ammirare quel posto così magnifico e sacro, che le riempiva l’anima con la sua spiritualità, che pareva respirare da ogni singola mattonella. Per i suoi pokémon la reazione fu la stessa; tutti e sei continuavano a guardare in ogni direzione facendo ruotare la testa velocemente sul collo prima a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, poi sopra, poi sotto. Roba da farsi venire il torcicollo insomma.
Aurora osservò il pavimento; dall’altra parte dello spiazzo, per terra, il disegno della RossoCatena con il misterioso nucleo di potere circondato da essa, le evocava numerosi ricordi alla mente: ricorda ancora perfettamente quando tempo addietro, il team Galassia, con il suo perfido piano di conquista, aveva evocato il Pokémon guardiano del tempo Dialga e il Pokémon guardiano dello spazio Palkia, sfruttando il potere dei tre pokémon dei laghi, duramente schiavizzati dal team senza scrupoli. Ricorda nitidamente quando Cyrus creò, grazie al potere di Dialga e Palkia, il varco conducente al Mondo Distorto dove il pokémon Ribelle, Giratina, era stato condannato a vivere per l’eternità, dopo un duro scontro al principio dei tempi con il guardiano del tempo e lei, seguita sempre dalla sua fedele insostituibile squadra, vi si era avventurata dentro, affrontando e superando gli ostacoli del regno del Caos sotto la guida di Azelf, Mesprit e Uxie per inseguire il capo del team Galassia e impedirgli che raggiungesse il pokémon re dell’Antimateria e realizzasse il suo folle piano di conquista.
Ad Aurora sembrava passata un’eternità da quella volta, eppure in quel momento le sembrò di essere tornata indietro nel tempo; riavvertiva le stesse emozioni di quel giorno tanto lontano e le riapparivano chiare davanti agli occhi tutte le immagini che la sua mente ancora custodiva di quell’epica esperienza, e ancora più epica sarebbe stata quella che di lì a  pochi minuti avrebbe vissuto.
 Nonostante il rito del Risveglio non fosse ancora incominciato, la ragazza e i suoi pokémon già avvertivano nell’aria la Sua presenza, forte e opprimente e alimentava l’ansia nei loro cuori, ma la loro volontà era ferrea quanto la Sua e non avrebbero vacillato.
L’allenatrice posò un’altra volta gli occhi sul pavimento, facendo navigare lo sguardo due passi davanti a lei; ai suoi piedi, scolpito nelle grigiastre e anziane pietre erose, c’era l’icona di un flauto, incorniciato da una semplice squadratura rettangolare e sopra ad esso, una scritta in linguaggio antico che Aurora aveva avuto modo di decifrare alla Biblioteca di Canalipoli rinvenendo tra gli scaffali del reparto “mitologia di Sinnoh” vecchi manoscritti, recitava:
“La creatura Alpha apparirà solo al cospetto di chi un’anima pura, libera dalla corruzione del male possiede, e che in grado sarà di evocare l’Antica Melodia, suonando il Perduto Flauto con cuore sincero e mente serena.”
Aurora ricordava alla lettera ogni singola parola e sapeva cosa fare. Il sole sanguinava vermiglio all’orizzonte, inondando d’arancione il cielo terso e immobile, che presagiva un formidabile avvenimento. lanciò alla squadra un’occhiata che parlava chiaro, e tutti e sei annuirono solennemente al segnale, poi la ragazza infilò una mano nella borsa e dopo pochi istanti la ritirò fuori stringendo saldamente qualcosa tra le dita.
Mosse quel paio di passi che la separavano dal ripiano raffigurante il misterioso flauto di pietra, fino a collocarvisi sopra, chiuse gli occhi, i suoi respiri ora erano calmi profondi e impercettibili, spostò il piede destro un po’ più avanti, divaricando appena le gambe, ora si trovava parallela allo spiazzo marmoreo. Ruotò la testa guardando innanzi a sé, la mano destra si schiuse appena rivelando un piccolo flauto di pietra violacea, forata in più punti, dalla forma piuttosto inusuale, tozza e leggermente ovale, che con lentezza esasperante portò alla bocca, tenendolo delicatamente con entrambe le mani. I sei pokémon trattennero il respiro e guardarono ancora più concentrati; la tensione era tale, da poterla tagliare con un coltello, stringerla con le mani e persino il vento si era fermato e ora regnava il silenzio assoluto.
Fu allora che la ragazza soffiò nello strumento con una delicatezza infinita e subito una nenia dolce e sinistra si espanse nello spazio circostante; una melodia arcana, antica quanto il tempo stesso, che pareva provenire da un altro mondo e che in quel momento, su tutto il pianeta, ogni creatura vivente percepì nel proprio se; la terra stessa pareva fremere, stregata dal suo potere e il cielo, che qualche istante prima era rimasto lucido come uno specchio si coprì di spessi cumulonembi neri e pesanti.
Aurora non avvertiva più alcuno stimolo dal mondo esterno, non sentiva più braccia ne gambe e le sue mani suonavano da sole, come guidate da una forza invisibile; pareva che la sua anima si fosse separata dal suo corpo, e per fu come se non esistesse più niente. I sei pokémon rimasero ad ascoltare ipnotizzati il primordiale suono del Flauto Cielo, per tutta la durata della melodia e dopo quella che parve un’eternità, la nenia cessò, lasciando al suo posto, il vuoto assoluto come se anche il più incantevole suono, non potesse più essere udito da orecchio animale, dopo l’ascolto di una melodia tanto antica e perfetta. La ragazza riaprì gli occhi, riscuotendosi dallo stato di catalessi e distolse la bocca dall’ancia del flauto e non fece in tempo a compiere altri movimenti che improvvisamente lo strumento rilasciò un fascio di luce accecante che in meno di un secondo s’espanse inondando coi suoi bianchi raggi ogni centimetro quadrato della Vetta Lancia. Si portò un braccio davanti agli occhi per proteggerli, alle sue spalle percepì le esclamazioni sommesse dei suoi amici. Qualche istante dopo, la forte luce svanì così come era apparsa, lasciando i sette boccheggianti e spaesati. Si guardarono attorno, strizzando ripetutamente gli occhi, finché il paesaggio non fu loro nuovamente chiaro e la loro sorpresa fu immensa quando videro lo spettacolo che si presentò loro. Davanti all’icona intagliata del Flauto Cielo era apparsa dal nulla un’imperiosa e ripidissima scala luminescente, dai gradini cerulei, che da terra saliva interminabile stagliandosi al di sopra delle antiche rovine del tempio, puntando diritta verso l’immensità del cielo. Ora il silenzio era tombale e pareva che il tempo avesse fermato il suo corso bloccando l’attività di ogni essere vivente o non vivente in tutta la Terra, in tutta la galassia, in tutto l’universo e solo Aurora e i suoi pokémon sembravano essere scampati a tale inerzia. La ragazza osservò rapita ciò che le si era appena parato davanti, col cuore che furioso picchiava e sbatteva prepotente contro la gabbia toracica, come un animale feroce tenuto in cattività che tenta di abbattere i muri della sua prigione e di ritrovare la libertà. Si voltò e s’imbatté negli sguardi sbigottiti dei suoi amici, che per tutto il tempo erano stati spettatori di quello spettacolo esclusivo e meraviglioso. Li studiò uno ad uno, fissandoli negli occhi e nei loro visi, l’allenatrice, scorse i medesimi sguardi di quando li incontrò la prima volta:

Eowyn, quando, la trovò sepolta sotto un mucchio di rocce che le erano franate addosso nel Varco di Mineropoli, che era ancora una piccola Zubat. Aurora la soccorse e la trasse in salvo portandola ad un centro pokémon e lì diventarono amiche, tanto che appena fu guarita, la piccola Zubat decise di unirsi alla ragazza e di accompagnarla nel suo viaggio;

Galadriel, quando ancora era una piccola Shinx ladruncola che un giorno, mentre la ragazza stava spensieratamente attraversando il percorso 202, tentò con un’azione non proprio furtiva ed esperta di rubarle le bacche dalla borsa e Aurora, accorgendosi di lei, aveva dovuto battersi con il piccolo pokémon per rivendicare i suoi averi, e quella volta il destino volle che alla fine della lotta riuscì a catturarla con una sfera poké.
 
Finduilas, la Murkrow disobbediente e vanitosa che un suo caro amico d’infanzia le scambiò tempo addietro.

Boromir, il tenero Eevee fifone che aveva sempre paura di combattere, donatole dalla sua amica di Cuoripoli Bebe e che ora invece era uno degli elementi più valorosi della sua squadra.

Arwen, quando dopo aver sconfitto il team Galassia sull’Isola Ferrosa, aiutando Marisio, quest’ultimo le aveva donato un uovo dal quale nacque la sua piccola incosciente Riolu che aveva allevato con amore sin dai primi giorni, fino a farla evolvere in una potente, bellissima Lucario.
 
E infine Aragorn, quello che fu il suo primo pokémon in assoluto e con il quale condivide più ricordi e si sente più legata, un piplup cocciuto ed orgoglioso che trovò per caso, dentro ad una pokéball, all’interno della valigia dimenticata dal prof Rowan al lago Verità, insieme al suo rivale Peter, nel giorno in cui la sua vita sarebbe completamente cambiata, nel quale la sua grande avventura avrebbe avuto inizio.
Aurora lì guardò uno ad uno una seconda volta, sorridendo ancora più raggiante e loro, ricambiando il gesto, gioiosi e decisi, annuirono ed esclamarono in coro, con tono energico:
era giunto il momento e Lui li stava attendendo.
 


 
  
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