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Autore: cashtan    24/09/2013    1 recensioni
Appena si raggiunge lo stato di massimo relax, è già l'ora di partire per una nuova missione, comunque, amo il mio lavoro per cui...nessun problema!
Genere: Azione, Comico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Uno dei principali, se non il, principale motivo per cui un terrorista svolge la sua attività, sembra essere il suono emesso dalla cerniera della custodia della mia canna da pesca. Come volevasi dimostrare, anche due ore fa, quando ero in licenza e stavo montandomi la canna, qualcosa ha tentato per l’ennesima volta di destabilizzare il delicato microequilibrio mondiale. È arrivata una jeep verde militare, in riva al lago, costeggiandolo fino a fermarsi accanto a me, ne sono scesi due caporali, mi hanno mostrato entrambi un tesserino con i connotati della Mithril, e mi hanno chiesto:” è lei il sergente maggiore Sosuke Sagara?”, appena ho annuito mi hanno fatto cenno di salire sui sedili dietro e mi hanno consegnato una valigetta. Uno dei due caporali ha ordinato all’altro di recuperare la mia canna da pesca e di riporla nella custodia, poi di metterla in bauliera. Mi hanno poi consegnato un foglio, e siamo partiti. Mi ero da poco abituato alla pace di quel bellissimo lago, e del tramonto che dava a quel posto un atmosfera magica. Questo, era ciò che felicemente provavo due ore fa.
- Ancora dieci minuti! – mi grida l’operatore di turno nel C-17 Globemaster III.
- Ricevuto! – rispondo per fargli capire che non sono un manichino di un museo militare, ma che sono sveglio e pronto.
La cosa che mi infastidisce di più, è che spesso, come questa volta, quando mi “rapiscono” così, e mi fanno salire su un aereo, non mi danno subito i dettagli della missione che sto per affrontare, ma fa parte del mio lavoro, sono stato addestrato per essere pronto a tutto.
Su quel foglio che mi ha consegnato il caporale di prima, c’era scritto solo:” Signor Sagara, l’equipaggiamento e le informazioni utili ad affrontare la sua prossima missione sono contenute nella sacca che le verrà consegnata a bordo del nostro C-17, è una missione con R.O.E. (Rules Of Engagiament, regole di ingaggio) moderata, sia discreto, le auguro buona fortuna. Col. Teletha Testarossa.”.
- Cinque minuti signore! – mi aggiorna l’operatore.
- Ricevuto! – rispondo di nuovo, e ricontrollo tutti i moschettoni.
- Paracadute a posto, quello di riserva pure, la famosa sacca? Ok è ben fissata, e pesa un accidente! – ragionavo a voce alta.
Dalla mimetica “Blue Sky” che mi hanno fatto indossare, posso intuire che atterrerò su un suolo urbano, ma forse anche su un cantiere navale. La luce rossa alla mia destra si accende, attacco il respiratore al mio casco e chiudo la visiera primaria, quella non oscurata (difficilmente il sole mi accecherà alle nove di sera in autunno).
Apro la valvolina dell’ossigeno e assaporo il gusto metallico del gas che inalo, mi alzo in piedi tenendomi a una maniglia e mi giro a sinistra, verso la coda dell’aereo.
L’operatore mi raggiunge e mi comunica che mi porteranno direttamente sopra la zona di inserimento, quindi dovrò eseguire un lancio di tipo HALO (High Altitude Low Opening), ovvero aprirò il fazzoletto di seta, pochi metri prima di schiantarmi a terra.
L’adrenalina comincia a fluire pesantemente nel mio sangue, nonostante l’esperienza, la paura di saltare non sparisce mai, è una cosa che ci rende molto umani, insomma, dodicimila metri non sono pochi.
L’operatore preme un pulsante con una manata, e il rombo dolce e ovattato dei motori si trasforma in un martello per i timpani, la rampa si sta abbassando, vengo scosso da raffiche di freddissimo vento, attenuato per fortuna dalla mia tuta mimetica appositamente costruita.
- Due minuti! Pronto a saltare! – mi grida ancora.
- Ricevuto! – molto banalmente rispondo io.
Regolo il barometro da polso perché mi fischi nelle orecchie quando sono a trecentocinquanta metri di altitudine, e per la prima volta butto un occhio sulla visuale esterna offertami dal portellone…buio.
Traggo profondi respiri, per cercare di calmarmi, ma è inutile, dovrò godermi questo senso di pressione al diaframma e peso al petto, fino a quando non uscirò da questo dannato aereo!
Il cuore pompa a mille, sento pulsare tutte le arterie, e mi tremano le gambe.
Faccio tre passi in avanti barcollando per il peso dell’equipaggiamento, per le forti vibrazioni dell’apparecchio e per le raffiche di vento che mi colpiscono a intermittenza.
Tutto di un lancio è bello, il momento prima di saltare, la discesa, e lo strattone del paracadute che ti porta lo stomaco all’altezza della coscia, il segnale che anche stavolta t’è andata bene.
- Luce verde! Luce verde! Vai vai vai…- con rumori metallici fra l’acciaio e la gomma dura della suola dei miei anfibi, colpisco pesantemente il pavimento della stiva del C-17, percorro i dieci metri che mi separano dal cielo, quasi correndo, con un ultimo barcollare raggiungo la parte finale della rampa, sono praticamente già fuori.
Senza fermarmi alzo le gambe, e finalmente mi stacco dal velivolo, in quel momento, come in qualsiasi di forte tensione, il mio pensiero va a Chidori, la ragazza che ho difeso a lungo, non so perché, mi fa questo effetto. Vedo il suo volto, i suoi capelli, il suo sorriso, la immagino mentre mi schiaffeggia con quel suo ventaglio…mi mancano le sue botte, mi manca lei.
Torno in me, eseguo un avvitamento in avanti, mi stabilizzo e ripiego leggermente le gambe all’indietro, porto le braccia davanti a me, come se strangolassi qualcuno, e butto un occhio sul barometro illuminato, unica luce in questa notte nera e nuvolosa.
Cadere da un altezza del genere ti regala sensazioni meravigliose, ti senti una specie di divinità, mentre osservi il mondo dall’alto, padrone di esso, anche se stavolta, non si vede un cazzo.
Sento il rumore del C-17 allontanarsi fino a sparire, l’unico rumore, è quello del vento a duecento chilometri orari.
Inizio a vedere qualcosa, probabilmente sono a ottomila metri, vedo luci, si! Sono luci di una città…merda! Dovrò atterrare invisibilmente in una città così grande? Alle nove di sera?
Hanno il senso dell’umorismo i comandanti della Mithril…
Quel quartiere sembra avere meno luci, forse è una zona malfamata, meglio così, non dovrò dare spiegazioni a nessuno se faccio sparire qualcuno.
Mi inclino verso quella zona, per portarmi sopra di essa.
Distendo le braccia lungo il mio corpo, per aumentare un po’ la velocità, il segnale che funziona è un leggero aumento del “volume” del vento sferzante.
Più guardo questa città, e più la sua conformazione mi sembra familiare, ma ne ho viste così tante che tutte mi sembrano simili ad altre, quindi non faccio caso a questa sensazione.
Ok, il lago che vedevo quasi all’orizzonte è sparito, ci siamo quasi!
Mi sono messo il paracadute di riserva, ma ora che ci penso è inutile, se a trecentocinquanta metri non mi si apre quello principale, il tempo di accorgermene e sono a cento metri, troppo tardi per aprirne un altro.
Bip bip bip bip…
Il segnale intermittente mi suggerisce di prepararmi…cazzo sono bassissimo…muoviti!
Allungo una mano verso la maniglia di apertura posta sopra il mio pettorale sinistro.
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii….
Eccolo! Il segnale costante!
Con un violento strattone estraggo il paracadute, una pressione di 5 G mi costringe a contrarre gli addominali e i muscoli della faccia.
Si è aperto.
In questo momento si raggiunge l’apice della gioia, si può toccare il portone del paradiso con un dito.
Mi aggrappo fortemente con una mano allo spallaccio dell’imbracatura, poi estraggo da una tasca la lattina con dentro pochi sassolini, e la lascio cadere appesa alla cordicella lunga dieci metri.
Adesso stimo un altezza di circa cento metri, pochi secondi e sono a terra, ho un paracadute di tipo circolare, non posso guidarlo dove voglio, quindi mi appello al buon senso del destino.
Guardo giù, nonostante il buio riconosco alcune forme di chiome di alberi, non è un quartiere malfamato…è un parco cittadino, merda!
Steng!
La lattina ha toccato terra, contraggo i muscoli delle gambe, e le piego per prepararle a toccare il suolo, assai più duro del vento che hanno schivato fin’ora.
Eccolo, eccolo, eccolo…Tud!
Atterro assai dolcemente, rimanendo in piedi, mi guardo intorno con attenzione, nessuno.
Sgancio il respiratore, mi levo il casco e l’imbracatura del paracadute, la ripongo nella sacca, ed estraggo da essa tutto l’equipaggiamento, faccio questo gettando occhiate continue in tutte le direzioni.
L’attrezzatura fornitami si compone di: vestiti civili, una mitraglietta IMI UZI ultimo modello, Una pistola Glock 17 (arma che porto sempre in ogni missione, era nella valigetta consegnatami a inizio missione dai caporali), un gilet tattico leggero di colorazione urbana, varie mimetiche urbane, libri scolastici, LIBRI SCOLASTICI?!?
Fatemi leggere subito il fascicolo della missione nella sacca!!
  
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