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Autore: Kary91    24/09/2013    31 recensioni
|Post!Mockingjay - Katniss!centric || Accenni Everlark/Everthorne |
“È giusto, papà. Non volevo scrivere Haley,” spiega la bambina a Peeta.“Volevo scrivere Halley, Halley come la cometa. Joel mi chiama così”.
Il suo sguardo vivace si sposta a congiungersi con quello di Katniss, ma la madre sembra di nuovo distratta, assorta da pensieri che non è solita spolverare da anni. I ricordi si snodano di fronte ai suoi occhi e questa volta non c’è nulla che possa fare per trattenerli.
***
“Non sarebbe bello vederla, Catnip? La cometa di Halley.”
[partecipa al contest “Keep Calm and... What if?” indetto da giorgiab105].
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We Might Fall - La Cometa di Halley.'
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Comete che lasciano una scia sulla nostra esistenza.
Sono quelli che arrivano e poi si perdono, scompaiono.
E questo noi lo sappiamo ma, un po' stupidi a volte, rimaniamo lì ad aspettare.
Susanna Scarlata.

 

La cometa del Distretto 12.

cometa fine

 

È un pomeriggio come tanti, al Distretto 12. Le strade della zona che una volta veniva chiamata Giacimento risuonano di un allegro chiacchiericcio. A circa cinque o sei strade di distanza un vociare simile è contraddistinto dagli schiamazzi di un gruppo di ragazzini. Formano un capannello a semicerchio di fronte alla panetteria Mellark e a turno appoggiano mani, guance e nasi alla vetrina, rimirando avidi le ghiottonerie esposte. Qualche vecchia passante li sgrida, intimando loro di ritrarsi dal vetro, ma i bambini non la ascoltano. Continuano a posarci le mani contro, indicandosi a vicenda questa o quella leccornia, ben sapendo che il proprietario del negozio, il signor Mellark, non li sgriderà per aver sporcato la vetrina: il signor Mellark non si arrabbia mai con loro.

In quel momento un paio di mani minute compaiono dall’altro lato del vetro. Appartengono a un ragazzino di quattro, forse cinque anni.

“Quelli li ho fatti io!” esclama, sollevandosi sulle punte per indicare uno dei vassoi di biscotti. In realtà ha solo dato una mano con le decorazioni, ma la cosa lo rende comunque piuttosto orgoglioso. “Quelli li ho fatti io!” ripete un po’ più forte, per essere sicuro che gli altri bambini lo sentano. Incomincia a saltellare in maniera che i suoi occhi grigi possano incontrare quelli dei ragazzini più alti, ma non ottiene grandi risultati. Questo fino a quando due mani forti e ruvide non lo sollevano. A quel punto è visibile a tutti e saluta timidamente, indicando il vassoio di biscotti che ha contribuito a preparare. Il suono di una risata da uomo adulto rallegra tutto a un tratto la panetteria. A quel punto il piccolo figlio del fornaio si volta, appoggiando le mani sul grembiule della persona che l’ha preso in braccio.

“Papà, dici che i miei biscotti a quei bambini lì piaceranno?” domanda, giocherellando con il colletto della sua maglietta. Peeta gli sorride, strofinandogli il pollice sul naso per cercare di cancellare un baffo di mirtillo.

“Penso proprio di sì, Rowan” lo rassicura poi, adagiando la fronte contro la sua. “Ormai sei più bravo di me a decorare i dolci.”

Rowan Mellark sorride con orgoglio, schiacciando i palmi contro le guance del padre.

“E mi lavo sempre le mani prima di venire ad aiutarti!” dichiara fiero, lasciandosi posare a terra.

“Stai proprio diventando grande” osserva Peeta, arruffandogli con dolcezza i capelli, prima di tornare dietro al bancone. Rowan annuisce. Il piccolo grembiule da fornaio confezionato apposta per lui oscilla di qua e di là, mentre il bambino si affretta a raggiungere la cucina.

“Sono grande quasi come Haley!” annuncia, mentre sua madre fa ingresso nel negozio, brandendo una teglia di biscotti appena sfornati. Li appoggia sul bancone e Peeta scuote il capo, accennando un sorrisetto.

“Forse è meglio se quelli li teniamo per noi ” mormora, per evitare che il bambino lo senta. “Ci ha messo su le mani Rowan e non sono davvero sicuro che se le sia lavate come dice.”

“Rowan ha messo le mani anche su altro” risponde Katniss, notando i baffi di mirtillo ancora disegnati sulle labbra e sulle guance del bambino. “Non credo sia stato il gatto a mangiarsi i pasticcini di frutta mancanti dal vassoio.”

“Volevo solo vedere se erano buoni!” obietta in sua difesa il ragazzino, passandosi le mani sul grembiule. “Posso fare altri biscotti?” domanda poi, scomparendo in cucina. Attraverso la porta aperta Katniss lo osserva trafficare con un vassoio che trasporta a fatica su un tavolo. Occuparsi delle decorazioni dei biscotti è da sempre il gioco preferito di Rowan e lo fa con un tale serietà e concentrazione che è difficile non sorprendersi a sorridere, guardandolo.

In quel momento le porte del negozio tintinnano e una bambina corre dentro, fermandosi solo per riprendere fiato. Haley Mellark ha le guance arrossate per il gran correre e lo sguardo animato da un insolito luccichio: è il brillio che accende i suoi occhi quando è particolarmente felice per qualcosa.

Katniss non si stupisce nel vederla arrivare così tardi e ancora piena di energie. Sa bene che, se solo potesse, Haley trascorrerebbe tutto il giorno a girovagare per i boschi. Non sopporta di dover trascorrere troppo tempo al chiuso e le riesce difficile restare ferma a lungo. Ha il fuoco dentro, proprio come sua madre, e alle volte sembra quasi che senza muoversi rischierebbe di rimanere scottata.

“Allora abbiamo ancora una figlia” commenta ironicamente Katniss, mentre la bambina si arrampica sul bancone del negozio.

“Ero al Prato” si limita a spiegare Haley, facendo oscillare le gambe. “Ho conosciuto un bambino, lì. L’ho invitato qui al negozio: forse più tardi viene” spiega, prima di scoppiare a ridere e di rannicchiarsi, per evitare le minacce di solletico da parte del padre. Quando Haley ride così a Katniss capita spesso di avvertire una fitta pungente di malinconia: ripensa a Prim. Ai sorrisi che la sorellina le regalava quando Ranuncolo saettava come un matto per la casa, inseguendo il fascio di luce di una torcia. C’è molto di Haley che le ricorda sua sorella: ha i suoi occhi blu – gli stessi di Peeta – e il suo altruismo. Rowan ha la sua dolcezza e la tendenza a non lasciarsi impressionare da nulla.

“Haley, mi aiuti con i biscotti?” domanda in quel momento il minore dei fratelli Mellark. La bambina annuisce, balzando a terra. Si mette a saltellare su una gamba sola con un entusiasmo insolito perfino per lei: la madre la osserva con attenzione, incrociando poi incuriosita lo sguardo di Peeta. La vivacità che sta mostrando la figlia in quel momento è quella che di norma la sorprende quando è libera di scorrazzare per il Prato o per i posti all’aperto.

Katniss rimane a sorvegliare i giochi dei due bambini per qualche minuto, mentre Peeta si allontana per servire due clienti. Rowan continua a decorare con cura i suoi biscotti, ma Haley sembra occupata in tutt’altro tipo di attività: incomincia a riempire il ripiano del tavolo di palline colorate. I cerchi di pasta allo zenzero, poco più grandi del suo pugno, sono troppo piccoli per una bambina come lei, che non ama gli spazi ristretti.

“Com’è questo ragazzino che hai conosciuto?” le domanda la madre. Haley sorride, appiattendo con le mani una fila di codine per formare la gamba di una H sul tavolo. Il suo sguardo sembra ravvivarsi ulteriormente.

“Si chiama Joel” spiega, proseguendo a scrivere il suo nome. “Viene da un altro distretto.”

Katniss si volta verso la figlia con espressione incuriosita. Un’insolita punta di tensione incomincia a punzecchiarle lo stomaco, ma la donna si sforza di ignorarla. Un tempo, si sorprende a ricordare, al Distretto 12 viveva un uomo di nome Joel. Morì in miniera, nello stesso incidente che uccise anche il padre di Katniss. Era un collega e un amico di suo padre. Aveva tre figli e sua moglie, all’epoca, ne aspettava un quarto: una bambina. I figli più giovani vivono ancora nel Distretto 12, ma il maggiore si è spostato nel 2.

“E adesso vive qui?” domanda, scompigliando i capelli di Rowan che è appena corso a portarle uno dei suoi biscotti. Ancora una volta Haley scuote il capo. La bambina prosegue nella costruzione del suo nome trascritto in colorati frammenti di zucchero: è ormai arrivata alla lettera E.

“Ha detto che resta solo fino a domenica, ma io vorrei che rimanesse per sempre. Sa cacciare, mamma!” aggiunge poi, sorridendole come se sapesse che solo sua madre potrebbe comprendere a pieno il suo entusiasmo. Peeta, che ha finito di servire i due clienti, torna sul retro per seguire il discorso della figlioletta.

“Deve proprio piacerti molto questo bambino, Hallie” commenta con un guizzo divertito nello sguardo. Le guance di Haley si tingono di rosso, mentre le sue mani si affrettano a correre sotto il getto d’acqua del rubinetto.

“È bellissimo, papà” dichiara poi candidamente, sorridendo vivace. “Quasi come te!”

“Quasi come me?”

Peeta finge di accigliarsi e incrocia le braccia sul petto.

“Questa cosa non mi piace” asserisce, “Dovrò tenere d’occhio questo Joel.”

Haley si mette a ridere.

“Ma tanto da grande io sposerò te, papà!” dichiara con decisione, schioccandogli un bacio sulla guancia. Peeta sorride a sua volta, giocherellando con la treccia nera della bambina.

“Se la mamma è d’accordo” commenta poi l’uomo, voltandosi in direzione di Katniss. Le sorride con dolcezza, ma la donna sembra sovrappensiero. Il suo sguardo è apparentemente intento a osservare le mani paffute di Rowan che trafficano con le codine di zucchero. La sua mente, tuttavia, sta vagando altrove.

“E come mai questo bambino e la sua famiglia sono venuti fino al 12?” domanda ancora Peeta. Haley si stringe nelle spalle. Prosegue lentamente nella costruzione del suo nome e sorride soddisfatta, quando arriva alla lettera Y. Si è servita delle codine di zucchero colorate per scrivere la parola Halley.

“Amore, forse dovremmo rimandarti in prima elementare assieme a tuo fratello, quando Rowan comincerà la scuola” scherza a quel punto il padre, chinandosi per essere all’altezza della bambina. “Qui c’è una L di troppo” le fa notare poi con dolcezza, indicandole la scritta.

Con grande sorpresa sua e di Katniss la ragazzina scuote il capo.

“È giusto, papà. Non volevo scrivere Haley,” spiega, facendo scorrere i polpastrelli lungo i contorni della sua piccola opera. “Volevo scrivere Halley, Halley come la cometa.” I suoi occhi tornano ad animarsi dell’insolito luccichio di poco prima, mentre aggiunge: “Joel mi chiama così”.

Lo sguardo vivace della bambina si sposta a congiungersi con quello di Katniss, ma la madre sembra di nuovo distratta, assorta da pensieri che non spolverava ormai da anni.

I ricordi si snodano di fronte ai suoi occhi e questa volta non c’è nulla che possa fare per trattenerli.

 

*

 “Sai della cometa?”

La sua domanda la coglie di sorpresa, spingendola a spiegare mentalmente alcune pagine stropicciate della sua infanzia.

“La cometa di Halley. Si fa vedere più o meno ogni settantasei anni.”

Katniss ricostruisce in un istante il ricordo di una se stessa bambina, accoccolata sulle ginocchia del padre.

“Papà me ne parlava sempre, quando ero piccola” risponde. “Mio nonno, da giovane, l’ha vista passare dopo il suo turno di lavoro in miniera.”

“Era assieme a mio nonno quando la vide. Qui al 12 si dice che porti bene avvistarla.” 

“Secondo te è vero?” lo interrompe Katniss, indirizzando un’occhiata incuriosita al cielo.

Il suo interlocutore scrolla le spalle.

“Per mio nonno Samuel è stato così. Mio padre e tuo padre ci credevano, comunque. Speravano di vederla tornare.”

Katniss distende pigramente le gambe nell’erba, voltandosi verso il ragazzo: si accorge che ha gli occhi socchiusi e sembra sul punto di prendere sonno.

“Non sarebbe bello vederla, Catnip? La cometa di Halley.”

*

Quando i ricordi sfumano, riportando Katniss al presente, Haley sta ancora sorridendo alla sua scritta di zucchero.

“Sapete che la cometa di Halley passerà nel cielo domani dopo tantiiiissimi anni che non si vedeva più?” spiega infine. “È per questo che Joel è qui!”

Peeta aggrotta le sopracciglia, perplesso.

“Per la cometa?” domanda, incuriosito. Prova a incrociare lo sguardo della moglie, ma Katniss sembra di nuovo distratta, assorta da scomode riflessioni che hanno contribuito a indurire il suo sguardo.

Il tintinnio delle porte del negozio annuncia ai quattro Mellark l’arrivo di un nuovo cliente: è un ragazzino. Se ne sta sulla soglia con sguardo attento, come se stesse aspettando di vedere qualcuno e sembra indeciso se entrare o meno. Ha i tratti fisici tipici delle persone originarie del Giacimento: capelli neri, occhi grigi e carnagione olivastra. Per questo i due coniugi Mellark si stupiscono, quando Haley lo chiama per nome, andandogli incontro.

“Joel!”

L’espressione cauta del nuovo arrivato svanisce e un lieve sorriso corre ad arricciare le sue labbra. Le fossette che ha agli angoli della bocca distendono l’aria fiera suggerita dallo sguardo del ragazzino. Haley non ha esagerato con i suoi discorsi: Joel è davvero un bel bambino.

“Ehi, Halley” la saluta allegro, andandole incontro. Più si avvicina a loro, più Katniss avverte un impulso istintivo ad arretrare e solo quando il ragazzino si volta verso di lei riesce a comprenderne il perché: assomiglia a Rory, al Rory di otto anni che conosceva un tempo. Non le riesce difficile immaginare Joel impegnato a una partita a nascondino assieme ai suoi due figli. Ma è ancor più facile scambiare quell’immagine con quella di Prim che gioca al gatto matto con Ranuncolo, sotto lo sguardo divertito dei tre Hawthorne più giovani.

Si sforza di ricordare a uno a uno i volti e i nomi dei nipoti di Hazelle. Cerca disperatamente di associare il volto di Joel a uno dei figli di Rory o ai due gemelli maschi che ha avuto Vick, ma non ci riesce: quel bambino non è nato al Distretto 12. Haley gliel’ha fatto presente fin da subito. Vorrebbe riuscire a domandargli se la sua famiglia provenga dal 2, ma si accorge di non averne il coraggio.

Distoglie la sua attenzione da Joel per voltarsi verso di Peeta. Il marito ricambia subito, come se stesse cercando da un po’ di intercettare il suo sguardo. Katniss sospetta che lui abbia capito cosa le stia passando per la testa, ma se è così riesce a mascherarlo bene. Le è grata per questo. Si accorge di aver bisogno di lui, di quel contatto visivo, dei suoi occhi blu – e non grigi – che sanno come rassicurarla con facilità.

“E così sei tu, Joel” esclama a quel punto l’uomo, sorridendo bonario al ragazzino di fronte a lui.

Il bambino annuisce.

“Joel Hawthorne, signore” dichiara fermo, stringendogli la mano.

Gli occhi chiari di Peeta si sgranano per lo stupore.

E alla fine eccola lì, la conferma che Katniss attendeva sin dall’arrivo di quel bambino. D’un tratto si sente mancare l’aria, avvertendo il fugace bisogno di allontanarsi, di mandarlo via, di chiudere fuori dalla sua testa le tre parole pronunciate dal ragazzino.

Scocca una rapida occhiata in direzione del marito: Peeta è stato più veloce di lei nel riprendersi e riesce a dissimulare meglio lo sbigottimento. Ricambia la stretta di mano del bambino, esordendo in un: “Però, che presa!”

Joel gli sorride. Il suo è un sorriso timido e genuino, in aperto contrasto con l’atteggiamento composto che ha mostrato nel presentarsi poco prima.

“Haley non vedeva l’ora che tu passassi a trovarci” prosegue l’uomo, appoggiando una mano sul capo della figlia. La bambina gli rivolge un’occhiata di ammonimento.

“Papà!” lo sgrida, dandogli un colpetto sul fianco.

Se le circostanze fossero diverse, se avesse di fronte un qualunque ragazzino del Distretto, probabilmente Katniss troverebbe quel momento piuttosto comico. Riderebbe, così come sta facendo il piccolo Rowan. Ma in quel momento non ci riesce. Osserva le guance di Joel tingersi appena di rosso. Non può fare a meno di notare quanto sia diverso rispetto ai suoi due figli. Le sue maniere composte non hanno nulla a che vedere con i movimenti un po’ goffi e le smorfie buffe di Rowan o con la vivacità inarrestabile di Haley. È evidente che sia il figlio di un soldato. Ed è evidente che sia suo[1]: c’è qualcosa nel suo sguardo che lo sottolinea, spingendola a indurire la sua espressione. Negli occhi grigi di Joel, cosi fieri e attenti, è possibile cogliere una sfumatura di maturità che la fa pensare allo sguardo adulto dei ragazzini che un tempo popolavano il Giacimento. È uno sguardo che non ha mai incontrato nei volti dei suoi figli. Forse è stato proprio quel dettaglio a spingerla a trovare delle somiglianze fra lui e Rory. 

In quel momento Haley afferra il coetaneo per il polso, trascinandolo verso la cucina. Rowan li segue saltellando, deciso a prendere parte ai loro giochi.

“Vieni, ti faccio vedere una cosa!” esclama la bambina. Lo sguardo dell’amico si illumina, nel notare la scritta tracciata sul tavolo.

“Halley come la cometa” esclama la ragazzina.

“Halley come te” risponde Joel, facendola ridere.

“Sono una cometa!” dichiara entusiasta Haley, prendendo in braccio Rowan e sollevandolo a fatica. “La cometa del Distretto 12” specifica l’amico, ridacchiando a sua volta.

La complicità che i due ragazzini sembrano aver acquisito dopo appena un pomeriggio riesce a scalfire la patina di impassibilità che ha velato lo sguardo di Katniss fino a quel momento. Mentre i bambini riprendono il discorso della cometa di Halley, Joel menziona per la prima volta suo padre. Ne parla con tranquillità, ma i suoi occhi acquistano una vivacità particolare. Il suo è lo sguardo di un bambino che vede il papà come il proprio eroe. Katniss non può fare a meno di distogliere lo sguardo, per evitare che la sua espressione si indurisca nuovamente. Istintivamente le sue gambe si muovono in direzione della porta: il bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria la stuzzica impellente e l’odore dolciastro dei biscotti sta incominciando a nausearla.

Intercetta lo sguardo di Peeta e lo guarda eloquente, prima di abbandonare la panetteria. L’aria fresca la aiuta a recuperare il pieno controllo dei suoi polmoni e la tensione incomincia pian piano a sciogliersi, permettendole di respirare più a fondo.

Sta camminando ormai da una decina di minuti quando i suoi pensieri tornano a posarsi sulla cometa. Ricorda di aver tenuto a mente per anni la data che ne avrebbe indicato il suo ritorno. Se la lascia scivolare addosso, pronunciandola a bassa voce: è la data del giorno successivo. Halley passerà l’indomani, proprio come ha detto Joel.

Il padre del bambino deve ricordarselo per forza.
Perché è lì, di fronte a lei, a una decina di metri di distanza. Lo riconosce appena per via del berretto calcato sugli occhi: sembra quasi stia cercando di nascondersi agli occhi dei passanti.

“Papà!”

L’esclamazione improvvisa alle sue spalle lo spinge a voltarsi. Katniss osserva Joel correre incontro al padre e il suo cuore accelera, saturo di ansia, curiosità e paura, ma soprattutto rabbia. E nostalgia, sì. Ma ben sepolta, in fondo a tutte le altre emozioni. Un tempo Katniss era l’emblema della forza e del coraggio: la chiamavano ragazza in fiamme e ghiandaia imitatrice. Era la scintilla che ha guidato la rivolta dei tredici distretti. Adesso, tuttavia, non riesce nemmeno più a guardare in faccia una persona che un tempo chiamava amico. Lo osserva accovacciarsi per essere all’altezza del figlio, ma l’immagine che ha di lui – di Gale – è confusa dalla distanza e dall’istinto che ancora la spinge a rifiutarsi di vederlo. Di sentire la sua voce.

Avrebbe dovuto immaginare che sarebbe tornato per la cometa. Non per lei, ma per la cometa. Per onorare parte della promessa che si erano fatti da ragazzi.

*

“Noi ci saremo ancora, vero?” lo interroga la ragazza, scoccandogli un’occhiata impensierita. “Quando passerà la cometa.”

Il giovane abbozza un mezzo sorriso.

“Per allora, probabilmente, avremo quarant’anni o giù di lì.”

“Andremo ancora a caccia?”

“Non smetterei di andare a caccia nemmeno se vivessi di rendita.”

“Baratteremo ancora la selvaggina al forno?”

“Può darsi.”


Lo sguardo del ragazzo si fa d’un tratto più vivace e il suo sorriso si estende.

“Magari per allora le cose saranno cambiate” osserva, sollevando lo sguardo verso il cielo. “Forse in meglio.”

“Ma non tra di noi, vero?” domanda ancora Katniss, voltandosi dall’altra parte. È sicura che il ragazzo la stia fissando, ma non ottiene alcuna risposta.

“Gale?”

“Perché fai tutte queste domande?”

“E tu perché non rispondi?”

“Perché mi stai chiedendo qualcosa di stupido: sai già cosa risponderò.”

Gale rimane in silenzio per un po’, prima di decidersi a parlare di nuovo.

“Non cambierà nulla, Catnip” promette, coprendosi poi la bocca con la mano per mascherare uno sbadiglio.

Il silenzio li avvolge per qualche minuto: lo sguardo di entrambi è ancora rivolto verso il cielo puntellato di stelle.

“Dovremmo aspettare la cometa assieme, quando tornerà” propone infine Katniss, voltandosi verso di lui. “All’ingresso delle miniere. Mio padre e tuo padre l’avrebbero fatto, se fossero stati ancora vivi.”

Quella della cometa è una cosa che ha unito i loro genitori e le piacerebbe prenderne parte assieme a Gale. Il ragazzo sembra riflettere sulle sue parole per qualche istante.

“Vuoi farlo per loro?” chiede poi.

Katniss annuisce.

“Penso che sarebbe una buona cosa.”

Gale rimane in silenzio ancora per un po’.

“Lo credo anch’io” ammette infine, intrecciando le dita dietro la nuca.

“Promettilo e basta, Gale.”

Katniss si sorprende ad innervosirsi: quelle risposte elusive la infastidiscono. Vorrebbe solo una rassicurazione, qualcosa che le dia sicurezza.

“Prometti che aspetteremo la cometa assieme.”

 “Lo prometto, Catnip” risponde lui, reprimendo a stento un secondo sbadiglio. “Te lo prometto.”

Gale le sistema un braccio attorno le spalle e il capo di Katniss va a posizionarsi contro il suo petto. I pensieri scomodi che l’hanno punzecchiata a lungo, quella sera, incominciano a sciogliersi, fusi dal calore emanato dal corpo del ragazzo.

Si dà mentalmente della stupida per aver insistito così tanto con quella storia; non ha bisogno di chiedere al suo migliore amico di prometterle una cosa del genere: sa perfettamente che ci saranno sempre l’uno per l’altra.

Gale è suo.

Lei è sua.

Qualsiasi altra cosa è impensabile.[2]

*

Katniss ha atteso sul serio il ritorno di una cometa di cui ha a stento sentito parlare nel corso degli ultimi anni. Il ritorno di una cometa che non ha nemmeno mai visto.

Ma aspettare lei equivaleva ad aspettare lui. In fondo ha sempre saputo che sarebbe arrivato quel momento: la cometa di Halley torna sempre, alla fine. Non può scegliere se assentarsi o meno, anche se sarà visibile solo per poco.

Ed è stato così anche per Gale: è tornato quando in passato aveva scelto di andarsene, lasciandosi lei e il Distretto 12 alle spalle.

Katniss sa che è anche per questo che non riuscirà mai a concedergli fino in fondo il suo perdono. Non è solo per le bombe. C’entra quella promessa infranta.
C’entra il non aver insistito in tutti i modi con lei, sforzandosi di restare nella sua vita. A costo di ferirsi. A costo di peggiorare ulteriormente la situazione.
A costo di impuntarsi, così come ha fatto Peeta.

In silenzio domanda a se stessa se troverà mai la forza di attraversare quei dieci metri che li mantengono distanti, ma in fondo conosce già la risposta. É in quel momento che i loro sguardi si incrociano. Joel sta gesticolando in direzione di Katniss, probabilmente per raccontare al padre di Haley e della panetteria. Lo sguardo di Gale indugia su di lei per poco, qualche istante appena, ma è comunque un tempo sufficientemente lungo per farle provare il bisogno istintivo di odiarlo. Di odiarlo e di piangere. Lo sguardo dell’uomo si sposta subito in direzione di Joel. Il padre dice qualcosa e il bambino scatta in avanti per abbracciarlo. Gale si sfila il berretto e lo mette in testa al ragazzino, posandogli le mani sulle spalle. È un gesto che Katniss gli ha visto fare molte volte, quando erano ancora al Distretto 13. Di solito con Posy, alle volte anche con Vick. Spesso con Prim.

Quel pensiero la spinge finalmente a voltarsi e a dare le spalle a padre e figlio. Sta per incamminarsi verso la panetteria, quando si accorge che sua figlia le sta correndo intorno. Riesce a fare in modo di sorriderle, un po’ rincuorata dalla sua presenza, ma si accorge ben presto che Haley non si sta affannando per raggiungere lei. Corre verso di Joel e quasi incespica fra le braccia di Gale per la troppa velocità. Si rimette in piedi un po’ goffamente, come una paperella. Haley Primrose Mellark, però, non è una paperella: è agile e luminosa, per via di quegli occhi chiari che le rischiarano il viso: forse è davvero una cometa, proprio come dice Joel. Un tempo era Katniss la cometa del Distretto 12. Era fatta di fuoco e non di ghiaccio, ma le sue fiamme si sono spente in fretta come la coda di un corpo celeste qualunque. Non lasciando altro che cenere a cospargere le rovine del luogo in cui è nata e cresciuta.

Trova la forza di voltarsi un’ultima volta, decisa a richiamare la figlia per farla tornare a casa. La sente ridere e le basta solo un'occhiata nella sua direzione per intuire che l’uomo con cui sta parlando, invece, vorrebbe piangere. Piangere dei suoi capelli neri raccolti in una treccia e della sua carnagione olivastra, così simile a quella di Joel. Così simile alla sua. Piangere del suo sorriso dolce che ricorda Peeta e Prim al tempo stesso, ma anche del fuoco che le anima gli occhi chiari. Si alza lentamente, dicendo qualcosa ai due bambini. Non guarda più Haley, però le mette ugualmente in testa il suo berretto, togliendolo dal capo di Joel. Non ha bisogno di chiederle il suo nome: ha già capito chi sia quella bambina.

Prima che Katniss possa fare in tempo a richiamare la figlia i due ragazzini stanno già correndo verso il Prato: Haley indossa ancora il cappello di Gale. È troppo presa a giocare con Joel per farci caso, rapita dal sorriso di quel ragazzino bello e forte, proprio come il padre. Un brillio di vivacità è tornato a farsi strada nei suoi occhi e le sue corse sembrano destinate a non fermarsi mai. È inarrestabile, come la palla di neve e ghiaccio che l’indomani solcherà il cielo, portandosi dietro una scia luminosa.

Katniss sta ancora osservando i due bambini, quando si accorge che qualcuno si sta muovendo verso di lei. Senza il berretto calcato sugli occhi, Gale le ricorda meno un estraneo e più se stesso. Si guardano a lungo, ma nessuno dei due riesce a trovare il coraggio di eliminare la distanza che li separa.

Per un attimo Katniss è quasi sul punto di arrendersi, decisa a raggiungerlo. Ha voglia di gridargli qualcosa contro e di insultarlo per non aver mantenuto la sua promessa. Ma ha anche voglia di abbracciarlo. Di distinguere il battito regolare del suo cuore circondata dal silenzio del bosco. Di sentirsi chiamare Catnip, mentre sua figlia viene chiamata Halley.

Tuttavia, per quanto lo desideri qualcosa la blocca, impedendole di corrergli incontro; così, ancora una volta, è Gale a scegliere di andarsene.

Mentre l'uomo si allontana Katniss si accorge che il vicolo è piombato nel silenzio ormai da diversi minuti. Gli schiamazzi di Haley e di Joel sono già lontani quando il profilo di Gale scompare oltre l’ingresso dell’abitazione di Rory Hawthorne.

A quel punto Katniss si sente vuota; si sente spenta.

Come chi aspetta per settantasei anni il ritorno di qualcosa per poi perdersene il passaggio.

Non è ancora passata, eppure la cometa di Halley sta già scivolando via da lei.[3]

 

Nota dell’autrice.

[Questa storia è la terza di una serie: in ordine cronologico, le altre due storie che compongono la serie s'intitolano "The Miner Saw a Comet"  e "How to Catch a Comet".]

Questa storia l’avevo cominciata prima di concludere il Canto della Rivolta, quasi un mese fa e poi ho dovuto interrompermi quando ho scoperto di aver toppato completamente con l’aspetto fisico dei due piccoli Mellark (Haley in origine era infatti bionda, e Rowan era moro). Ho così poi deciso di aspettare di concludere la saga prima di proseguire, per evitare di combinare altri pasticci.

La storia della cometa di Halley, così come i personaggi di Joel, di Halley e di Rowan, sono stati prelevati da un progetto più grande che ho in mente e che spero vivamente di incominciare a scrivere prima o poi. È per questo che alla fine di questa one-shot la situazione fra Katniss e Gale continua a essere irrisolta: non credo che Gale si sarebbe limitato ad allontanarsi senza nemmeno tentare di parlare con Katniss in una situazione simile. Probabilmente avrebbe insistito, ma avendo in mente un sequel (e un prequel) di questa storia non potevo permettere che i due ragazzuoli sin parlassero fin da ora, o non avrei avuto modo di scrivere la scena del passaggio della cometa così come l'ho immaginata. Vedremo cosa riuscirò a combinare.

Non avevo mai scritto né su Katniss né su Peeta e devo ammettere che la ragazza di fuoco un po’ mi terrorizza XD Faccio fatica a scrivere di lei e spero di non aver toppato troppo nel caratterizzarla – sono ancora abbastanza impacciata con il fandom di HG **

I nomi dei tre piccoli che fanno comparsa nella storia sono un po’ insoliti, ma mi piacevano <3 Per Haley volevo qualcosa da poter manipolare in maniera da ricalcare vagamente il giochetto di parole Catnip/Katniss e questa cosa della cometa è l’unica che mi è venuta in mente che mi convincesse. Joel si chiama così perché negli altri miei racconti incentrati sulla famiglia Hawthorne, ho scelto di dare quel nome a mr. Hawthorne. Porta quindi il nome del nonno. L’incontro fra i due bambini non è raccontato, proprio perché mi piacerebbe scriverci sopra più in là in un lavoro a parte. Per quanto riguarda Rowan, mi sembrava un nome adatto per un piccolo abitante del Distretto 12. Sia per il modo in cui suona che per il significato.

Per quanto riguarda Gale, anche in questo caso ho scelto di limitarmi a parlare di alcune cose e di escluderne altre (come la madre di Joel o il tipo di lavoro che fa – anche se in minima parte lo accenna Katniss quando dice che Joel ricorda il figlio di un soldato), perché mi piacerebbe tornare a scriverci su più avanti. Amo molto il personaggio di Gale, è il mio preferito sin dalle prime pagine del primo libro, e ci tenevo a vederlo tornare almeno una volta al Distretto 12.

Credo che questo sia tutto. Ringrazio in anticipo chiunque avrà voglia di leggere questa storia – e chi riuscirà ad arrivare alla fine del mio super-polpettone farcito! - . Per me ha un significato davvero particolare e sono felicissima di essere riuscita a condividerla di con voi.

Un abbraccio!

Laura

 

 

 

 

 

 


[1] Con quel “suo” Katniss si riferisce a Gale.

[2] Riferimento a un passaggio di Catching Fire: “Gale è mio. Io sono sua. Qualsiasi altra cosa è impensabile”.

[3] Riferimento a una delle ultime righe di Hunger Games: “Il ragazzo del pane sta già scivolando via da me”.

   
 
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