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Autore: Tomi Dark angel    25/09/2013    7 recensioni
–Sono uno Jotun, uomo di Asgard. Distogli lo sguardo da ciò che ritieni un orribile incubo e grida alle guardie di venirti a prendere, prima che ci ripensi.-
-Non lo farai. Hai riscaldato la cella, Loki… l’hai fatto per me. Mi hai salvato la vita.-
(Thunderfrost)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nella cella fa molto freddo. Anzi, si gela. Le guardie non si avvicinano troppo perché morirebbero assiderate e ormai anche aprire la porta o far scorrere una grata richiede un immane sforzo che comporta innanzitutto la rottura dei diversi strati di ghiaccio. Loki Laufeyson è lì dentro, ma nessuno lo vede. Da quando l’hanno gettato nelle prigioni di Asgard, immuni alla magia e alla violenza della sua rabbia animale, chiunque può asserire di averlo visto sparire. È lì, ma quella piccola cella è il suo regno, la tana del lupo nella quale non è concesso infilarvi neanche un dito, se lo si vuole ancora al proprio posto. L’oscurità soffocante che aleggia come un’oscura cappa di velluto annerisce come fuliggine ogni anfratto della cella. I muri permeano la magia, la assorbono e poi la neutralizzano, ma in quel piccolo spazio di libertà che gli è concesso, Loki è una vera e propria bestia.
Lo ascoltano mentre cammina avanti e indietro, scivolando con grazia ferina sul pavimento congelato.
Lo avvertono mentre respira, calmo di una gelida furia che nemmeno Odino vorrebbe come nemica in uno scontro frontale.
Lo annusano, quel suo profumo di eleganza aristocratica, quasi androgina che per secoli ha calcato la terra di Asgard.
Sì, perché Loki è bestia e principe, furia omicida e totale raziocinio. Loki è l’imprevedibilità più totale e pericolosa. Le guardie l’hanno capito dal primo istante, quando l’hanno chiuso in cella: chiunque si sarebbe aspettato urla, tentativi di fuga, scatti di rabbia e colpi violenti contro le pareti. Invece niente. Silenzio. Puro e mortifero, talmente pesante da aleggiare come una creatura pesante di macigni sulle spalle di chi sorveglia la cella. È un silenzio che sa di violenta aspettativa, uno di quelli che popolano gli incubi e ti lasciano sempre addosso l’aspettativa che qualcosa di terribile stia per accadere.
Questi silenzi spezzano l’anima, il raziocinio.
Questi silenzi annientano la linearità di ragionamento.
Le guardie cominciano a dare i primi segni di squilibrio dopo appena sei giorni di silenzio straziante, durante il quale più volte controllano che Loki respiri ancora. Il problema è proprio questo: Loki è vivo, e inala aria ghiacciata con tranquillità pericolosa.
Quando Thor vede altre due guardie cedere di schianto ai primi morsi della follia, quasi non può crederci. Hanno rimpiazzato ben diciotto uomini in tre mesi e ognuno di loro ha abbandonato le armi dopo un’esperienza del genere. Tutti asseriscono la stessa cosa: è il silenzio a farli impazzire. Il silenzio e il sentore che Loki sia lì, a pochi passi da loro, come una bestia assopita che non andrebbe mai sfidata.
Uno Jotun, un gigante di ghiaccio. Un incubo vivente.
Thor ha lottato per anni contro i giganti di ghiaccio. L’ha fatto  prima per arroganza, poi per brutale sopravvivenza, ma più cerca di paragonare quei barbari alti sei metri al suo geniale fratellino, meno ci riesce. Loki è Loki, e lui, il vero Loki, se lo ricorda bene.
Loki è il bambino che ha preferito il dialogo all’uso della forza.
Loki è il ragazzo che ha gettato la violenza in cambio dell’intelligenza.
Loki è l’uomo che, con tutto il suo essere per metà Jotun, si è dimostrato più umano di tutti loro.
Thor la ricorda ancora, la volta in cui da bambino l’aveva sorpreso nella serra, inginocchiato sul terriccio con le mani sporche di fango e sangue. Era coperto di graffi, ma incredibilmente… Loki sorrideva. Thor aveva guardato le sue mani martoriate e solo allora aveva scorto una piccola rosa bianca, più piccola e fragile delle sue sorelle che erano cresciute forti e rigogliose, ben piantata nel terreno.
“È più debole delle altre e non ce la fa a crescere da sola”, aveva spiegato placidamente coi suoi modi allora semplici e innocenti. Loki se n’era preso cura per mesi, ferendosi le mani, combattendo la pioggia e il vento con la sola forza della caparbia. Thor fino a quel momento non aveva capito perché si sforzasse tanto per un fiorellino insignificante che per lui avrebbe meritato soltanto di essere strappato una volta per tutte. Adesso però sa, e questa consapevolezza fa male, brucia come acido su una ferita ancora fresca.
Loki era quel fiore. Lo è sempre stato, e se solo lui l’avesse aiutato a crescere, se solo si fosse preso cura di lui… la rosa bianca sarebbe sbocciata tra le sue dita, tra le sue braccia, rivelando al mondo petali candidi d’innocenza e non neri di rabbia e solitudine repressi. Già allora, quando ancora era bambino, Loki chiedeva aiuto.
Nessuno l’ha ascoltato. Nessuno ascolta mai, e Loki infine ha scelto il silenzio, che da sempre l’ha abbracciato come unica madre adottiva capace di prestare attenzioni a suo figlio. Almeno, il silenzio lo ascolta, lo consola, sottraendolo per brevi istanti alle sue miserie di creatura ferita. Il silenzio. Suo fratello invece no: Thor ha seguito solo se stesso, voltando le spalle a chi invece, le spalle gliele ha sempre coperte. Loki l’ha aiutato in diverse occasioni, ha cercato spesso di essere come lui, senza sapere che in realtà, gli Asgardiani avrebbero potuto imparare tanto dalla sua umanità di bambino, di ragazzo… di Jotun. Dove tutti voltavano la schiena, raccapricciati da una rosa bianca troppo debole per sbocciare con le sue forze, gentili mani di mago e non di guerriera hanno saputo elargire pazienza e amore, consentendo ai petali più belli di stiracchiarsi.
Thor si accosta alla cella, appoggia la schiena al muro e si lascia scivolare per terra con un sospiro stremato.
-Puoi sentirmi, fratello mio?- mormora al nulla, ma non si stupisce quando non riceve risposta. Il respiro di Loki rimane, ed è placido ma sveglio. Ascolta in silenzio, forse troppo stanco per parlare. E allora, Thor lo fa al posto suo: -Sai, stanotte ho fatto un sogno. Non era un brutto sogno, ma era strano… era un ricordo. C’eri tu, fratello mio. Eri ancora bambino e stavi in ginocchio nella serra di madre, con le mani affondate nel terriccio e piene di graffi. C’era tanto vento e pioveva, ma tu non abbandonavi mai la rosa che avevi scelto di accudire. Era la più piccola, la ricordo bene e tutti ti prendevano in giro perché perdevi tempo dietro un fiore che sarebbe stato meglio strappare. Ma quando sbocciò tra le tue mani, si rivelò anche la rosa più bella di tutte. Sembrava così fragile… e invece si rivelò la più forte e anche la più eterea. Sbocciò tra le tue mani, fratello. Tu fosti in grado di accudire un fiore come io non ho saputo accudire te, che eri e sei la persona più importante della mia vita.-
Automaticamente, Thor si copre gli occhi con una mano, prostrato al peso dei suoi errori.
-Dovevo… dovevo pagare io. Dovevo soffrire al posto tuo, restarti vicino… ma non l’ho fatto. Tu stavi male e io non c’ero. Quale gloria ottenuta in battaglia può ripagarci il tempo perso, Loki?- mormora con voce sempre più roca. –Quale prezzo potrei pagare per restituirti gli anni perduti?-
E Thor chiude gli occhi, liberando il peso di due piccole lacrime non di guerriero, non di dio, ma di uomo troppo stanco per andare avanti e voltare le spalle ai propri errori.
Il tempo lava via ciò che il destino ferisce, dice un detto. Pia illusione pensare che certi squarci possano richiudersi da soli, semplicemente aspettando che guariscano autonomamente.
Thor stringe i denti, singhiozza in maniera soffocata. Lui è un uomo. Lui è un Asgardiano, il principe ereditario. Non dovrebbe piangere, eppure lo fa. Loki Laufeyson giunge infine così in profondità nel suo animo, laddove l’adrenalina di mille battaglie e il tocco di una semplice mortale di nome Jane Foster non sono mai giunti. Loki può spezzarlo, se vuole, e Thor aspetta solo questo. Una parola, un ultimo ringhio di frustrazione, e dovrà lasciarlo andare, allontanarsi da quella cella e non tornare mai più… se lo ama, dovrà farlo.
Alcune ferite si infettano, consumano nel profondo l’entità di ogni energia di chi si sforza di restare in piedi, bestia zoppicante in un oceano di lacrime versate nella solitudine e nell’ansia che tutto quel dolore passi.
-Ho sbagliato tutto… abbiamo sbagliato tutti noi.- esala Thor, appoggiando una mano bollente sulla porta della cella. Avrebbe dovuto tendergli quello stesso palmo, anni fa, ma non l’ha mai fatto. Mai, e forse adesso è troppo tardi.
Ed è allora che qualcosa di gelido, quasi bruciante, si appoggia sul suo stesso palmo attraverso la porta di metallo, ricalcando di ghiaccio la sua stessa impronta. È una mano più aggraziata quella che si appoggia sulla porta, dall’interno della cella: dita sottili di amaro rimpianto sfiorano attraverso una pesante barriera materiale quelle di Thor, che osserva affascinato il reticolo di ghiaccio che si allarga da quel contatto. È il tocco di uno Jotun. Freddo, ma non fa male come pensava.
Freddo come gli occhi di un bambino cresciuto in solitudine.
Freddo come il ghiaccio, che tuttavia, sa ancora accarezzare senza stringere.
Le ferite. Le ferite fanno male. Come un orologio rotto, ognuno di noi vaga inconsciamente alla ricerca del suo orologiaio, con mani di lancette spezzate tese verso un perdono, verso tocchi caritatevoli in grado di ripulire ogni meccanismo errato, ogni rotella fuori posto. C’è chi non troverà mai la sua soluzione e resterà rotto, manchevole di lancette, di ticchettii e di rintocchi che mandino avanti una vita rimasta a metà.
Thor non sa quando le sue mani hanno infilato la chiave nella toppa. Non ricorda di aver schiuso la porta della cella per scivolare al suo interno, ma quando lo fa, non si pente dei suoi gesti. Senza ripensamenti, si chiude la porta alle spalle e fa scivolare le chiavi fuori, oltre la piccola grata dalla quale le guardie lasciano passare il cibo.
È tutto buio e fa freddo, ma Thor non ha paura: sbarra gli occhi, sforzandosi di penetrare l’oscurità fitta di ombre perché lo avverte, perché sa che Loki è lì nei dintorni. Può attaccarlo, ucciderlo da un momento all’altro, ma Thor non se ne preoccupa. Se vorrà farlo, avrà ragione e lui accetterà la scelta di suo fratello. L’unico desiderio che esprime mentre si mette nelle sue mani di gelido ghiaccio, è di poterlo vedere, di poter guardare in viso il Loki che ama.
-Loki?- chiama debolmente, avanzando tremante nel gelo della cella. –Ti prego, fratello… mostrati. Lascia che ti guardi.-
-Non ameresti ciò che ne è di me.- risponde una voce placida, talmente pericolosamente dolce da apparire surreale. È una voce che accarezza, una voce che uccide. È la voce di suo fratello, fredda come il ghiaccio ma altrettanto affascinante, trasparente. –Torna indietro, Thor Odinson.-
-Non posso.-
-Ti sto dando un’opportunità. Per amor della tua terra, ti consiglio di non sprecarla.-
-Non è la mia terra che amo. Non solo.-
Loki tace, si sposta nel buio, ombra tra le ombre. Thor non capisce dove si trovi.
-Allora non ti resta che uccidermi prima che lo faccia io.-
Sono parole dolci, quasi gentili, che scivolano come acqua sulla pelle di Thor, poco a poco avvolta dal gelo e dal ghiaccio. Inaspettatamente però, il principe di Asgard sorride e afferra Mjolnir dalla cintura, ne stringe forte il manico e lo osserva.
Tuttavia, non tutti gli orologi restano rotti…
È quello, lo strumento della sua gloria, del suo orgoglio. È quello lo strumento che l’ha separato per sempre dalla sua umanità, dal calore di Loki, dalla rosa più bella e preziosa di tutte.
-Non ci sto, Loki. Non stavolta.-
E il martello cade al suolo, si schianta sul pavimento e lì resta inanimato, senza padrone, rifiutato dall’unico pugno che ha saputo stringerlo per secoli e secoli durante le più sanguinose battaglie. Un’arma caduta innanzi all’amore, un rifiuto in nome del pentimento.
… alcuni possono aggiustarsi, se una mano gentile li accudisce. Alcuni hanno una speranza e presto, forse, il basso ticchettio delle lancette risuonerà melodioso tre le mura sconfinate di una vita che ricomincia, che zoppicando si avvia verso un sentiero al cui traguardo attende un piccolo, sospirato punto luce.
Loki scatta, approfitta dell’unico, folle gesto che Thor si arrischia a compiere. Sbarra gli occhi quando il giovane principe biondo spalanca le braccia, lasciandosi atterrare senza sforzo dal peso leggero ma agile del corpo di Loki, che lo sovrasta imponente.
Profumo. Loki profuma di… fiori di campo e vaniglia. Thor non se n’era mai accorto prima di adesso. Avverte il peso del suo corpo gelido, del suo ginocchio premuto contro lo sterno e sa che probabilmente, quelle sono le ultime sensazioni che proverà prima della fine. Eppure, vuole vederlo. Il suo ultimo sguardo dovrà essere per lui, che l’ha sempre meritato più di chiunque altro: più di Odino, più di Sif, più di Jane.
È allora che Thor socchiude le palpebre, già parzialmente coperte di brina ghiacciata. Le forze lo abbandonano velocemente e ha sonno. Sa che se si addormentasse, non riaprirebbe più gli occhi, ma prima di abbandonarsi alla morsa del gelo, vuole chiedergli scusa, vuole… vuole il suo perdono, per quanto poco lo meriti.
Solleva gli occhi, guarda Loki in volto. E mai, in tutta la sua vita, Thor ha visto creatura più bella di quella che ha davanti. Il viso di un pallore azzurrino, celestiale, inciso di morbidi arabeschi; il busto scoperto pronunciato dai medesimi simboli che si intrecciano sui pettorali, intorno ai fianchi stretti, sulle braccia nervose, sul collo sottile di liscio granito. I capelli corvini si sono allungati e adesso giacciono scompigliati intorno al viso, fin poco oltre le spalle, come lucide carezze d’ali d’onice fuso. E lì, su quel volto che gli dei hanno saputo modellare con eterna grazia d’artista, si spalancano gli occhi color rubino, incastonati di sfaccettature limpide, danzanti come riflessi di ghiaccio colpito da un raggio di sole. Sono gli occhi di un predatore, quelli. Occhi che ricordano odio e amore, dolore e sollievo.
Sono gli occhi di uno Jotun. Gli occhi di Loki, di suo fratello. Thor non può credere che quella stessa eterea creatura, nata dallo splendore del ghiaccio e dalla più pura goccia di rugiada rientri nelle favole dei bambini di Asgard nel ruolo dell’incubo vivente. Quello non è un incubo. Quello è un sogno.
-Ti avevo avvertito, figlio di Odino.- ringhia Loki, accostando il viso azzurrino a quello pallido di gelo di Thor. L’asgardiano sposta lo sguardo, segue il tendersi dei tendini sul collo di Loki, il guizzare dei muscoli sotto la pelle sottile come vetro iridescente. Davanti a tanta gloriosa magnificenza, non riesce quasi a respirare.
-Sei… bellissimo.-
E Loki spalanca gli occhi, allenta la pressione del corpo sul suo. Sbatte le palpebre, incredulo, ma Thor trema di freddo e soffre l’assenza di quel gelido contatto che per lui sa comunque di casa, di calore interiore. Vorrebbe aggrapparsi a lui, singhiozzare e chiedergli perdono, ma non ne ha la forza. Sta morendo e i suoi ultimi pensieri resteranno silenziosi, inascoltati come gridi soffocati nella gola di un muto.
Non dirà a Loki quanto lo trovi splendido nel suo aspetto di gigante di ghiaccio.
Non parlerà a Loki di tutte le notti passate col suo pensiero nel cuore.
Non gli confesserà delle lacrime versate per la sua assenza, per la mancanza di quella voce, di quegli occhi che tuttavia, come ultimo regalo della vita, adesso sono lì e non lo lasciano solo.
Ha sempre pensato di volergli bene, ma questo… questo è ben più che affetto fraterno. Thor sta dando la sua vita, e poco a poco Loki capisce, comprende che suo fratello non si difenderà. Sa che si è chiuso lì dentro con lui, ben sapendo la sorte che l’avrebbe atteso. Eppure, mentre socchiude gli occhi, Thor sorride e non vede gli occhi di Loki cambiare, illuminarsi della stessa luce che un tempo, tanti e tanti anni fa, brillò nelle iridi di un bambino mentre si prendeva cura di una piccola, fragile rosa.
§§§§
Caldo. Fa caldo. Thor non può crederci, non è naturale, aveva freddo prima di perdere i sensi… e la vita. Deve essere morto.
Ricorda Loki. Il profumo del suo corpo, il freddo gentile e non bruciante delle sue mani, la morbidezza di velluto della sua voce. Il suo aspetto di una bellezza selvaggia e devastante. Thor non l’aveva mai visto così, ma non avrà mai modo di dirglielo, di spiegargli quanto avrebbe voluto accarezzare ogni centimetro di quella pelle che del ghiaccio ha solo le cristalline sembianze e non la consistenza.
Thor espira e infine solleva le palpebre sulla penombra della stanza. E non può credere ai propri occhi quando riconosce la cella di Loki Laufeyson. Solo… che è diversa. Niente più ghiaccio, niente più gelida brina sul pavimento ora intriso d’acqua tiepida. C’e un dolce tepore nell’aria, il tepore della sua terra, del palazzo di Asgard. Gli sembra quasi di essere nella sua stanza.
E Loki? Thor si guarda intorno frettoloso, ansioso di rivedere ciò di cui i suoi occhi non possono più privarsi. Lo trova seduto a gambe incrociate, la schiena appoggiata contro la parete opposta, le mani sulle ginocchia, gli occhi chiusi e il capo leggermente inclinato all’indietro. Ha un’espressione così pacifica da parere uno degli angeli che Thor ha visto rappresentati nelle statue più eleganti dei Midgardiani. Pare una scultura di pietra acquamarina, brillante del più tenute e delicato spettro di riflessi azzurrini.
Thor lo osserva e non si accorge di trattenere il respiro davanti ai sottili disegni che le ombre dipingono sul corpo di Loki, generando un contrasto da sogno sulla sua pelle, evidenziando ogni arabesco. Sono anni che Thor non lo vede a petto scoperto e tutto si sarebbe aspettato fuorché quel fisico aggraziato, asciutto, allenato ma non troppo. È un corpo di ombre dipinte, uno sfiorarsi di pettorali appena accennati e fianchi sottili. Nessuna armatura d’oro può rendere giustizia a ciò che la natura ha scolpito con le sue stesse mani, avvalendosi dei materiali più preziosi di Asgard, di Midgard, dell’universo intero. Loki è frutto di un’opera d’arte.
-È scortese osservarmi in quel modo credendo che io stia dormendo. Thor Odinson.- dice improvvisamente Loki, scoprendo gli occhi di rubino e guardandolo impassibile, senza più odio o rabbia repressi. Sono dieci anni che giace in quella cella e ormai è stanco, privato della sua libertà come un uccello dalle ali spezzate. Non ha più le energie per provare rancore e il viso che ha davanti gli ricorda soltanto mezza vita vissuta nella rabbia bruciante che ancora adesso, coi suoi residui, lo consuma.
È anziano dentro, Loki. Non vive più e sopravvive per mera abitudine. Di lui, non resta che una bambola, fino a quel momento mossa dal solo desiderio di vendetta, ma adesso che Thor è lì, adesso che Loki lo vede davvero… non riesce a dargli il colpo di grazia. Ha odiato troppo, ha sofferto troppo. Ora, non odia più, ma soffre ancora.
-Loki… fratello.-
-Non sono tuo fratello.- È un sospiro esausto, e nel mentre, Loki piega le ginocchia e vi appoggia la fronte, emettendo un sospiro di gelido ghiaccio. Ha tanto caldo.
-Lo sei, invece… lo sei sempre stato. Questo, e molto di più.- dice allora Thor, alzandosi in piedi con calma per non spaventarlo. Cammina con passo felpato, lo raggiunge, si inginocchia davanti a lui. Loki lo avverte e si schiaccia contro il muro, senza levare lo sguardo. –Guardami.-
-No.- risponde Loki con voce roca. –Sono uno Jotun, uomo di Asgard. Distogli lo sguardo da ciò che ritieni un orribile incubo e grida alle guardie di venirti a prendere, prima che ci ripensi.-
-Non lo farai. Hai riscaldato la cella, Loki… l’hai fatto per me. Mi hai salvato la vita.-
E allora Thor gli afferra il viso tra le mani. La sua pelle è gelida, ma non brucia. Lentamente e con dolcezza gli solleva la testa, lo costringe a mostrare al mondo e a lui quei tratti baciati da rugiada congelata, quelle labbra sottili di un pallore marmoreo, quegli occhi che ancora caparbiamente si chiudono per nascondersi. È questo che gli hanno insegnato gli Asgardiani, capisce Thor con amarezza: nasconditi, sii un’ombra e sottraiti alla luce. Diverso non significa sbagliato, ma lui lo capisce solo adesso. Dov’era quando Loki cercava di farglielo capire?
Lentamente, Thor si china e bacia con dolcezza la fronte di Loki, facendogli sbarrare gli occhi. Scivola con le labbra lungo la tempia, sulla guancia. Quando raggiunge le labbra, Thor lo guarda e attende una reazione, un ringhio o un insulto ironico, ma niente di tutto questo arriva. L’azzurro dei suoi occhi incontra il rubino dello sguardo di Loki e finalmente, due regni si incontrano.
Occhi di cielo e occhi di vermiglio tramonto.
Occhi di mare e occhi di sangue vivo che scorre nelle vene.
Occhi di Asgardiano e occhi di Jotun.
Occhi che celano sguardi di re, di dei, di sole e luna. Si sono incontrati e amati dal primo istante, ma adesso che si guardano, che si vedono davvero, entrambi riconoscono nell’altro qualcosa che possa completarli, un piccolo pezzettino di vita e fiducia sempre assenti fino a quel momento. Adesso sono interi e quando le mani fredde di Loki salgono timorose ad appoggiarsi ai lati del collo di Thor, un piccolo sorriso sboccia nel rosso fiammante del suo sguardo.
-Ti sbagliavi, fratello.- mormora a un soffio dalle sue labbra. –Io non accudivo quella rosa perché rivedevo me stesso al suo posto. Io la accudivo perché ai miei occhi, quel bocciolo eri tu.-
Thor sbarra gli occhi, stringe forte le mani sui fianchi di Loki, ma non gli fa male. –Io… non capisco.-
-Non mi aspetto che tu lo faccia. Sei sempre stato tardo, Thor Odinson.- Loki gli sfiora la guancia, toccandolo appena con la grazia di un petalo d’orchidea. –Quando eravamo bambini e madre ci portò in quella serra, tu guardasti proprio quella rosa bianca. La vedevi più piccola delle altre, più fragile, ma dicesti che era ingiusto che non crescesse insieme alle sue sorelle. Tu… impedisti a madre di strapparla. E io ti guardavo, ero nascosto dietro un albero poco lontano, ed eri così… così innocente. Era quello il vero Thor, mio fratello. Speravo che un giorno rivolgessi quei pensieri a me, che ti accorgessi della mia diversità e che capissi. Quella rosa era per me il fratello che non avevo mai avuto, colui che non fui in grado di proteggere perché troppo debole. Se non potevo essere forte per lui, allora lo sarei stato per quel fiore… per entrambi.-
E alla fine, davanti a quello sguardo quasi di scuse, di ricordi lontani che sanno di paura, di un bambino vissuto nell’ombra, Thor sposta il viso e lo bacia.
Fuoco e ghiaccio.
Sole e luna.
Il mondo non ha mai visto un incontro così gentile di labbra che si accarezzano, quasi timorose di toccarsi.
Da sole, le labbra di Thor sono sempre troppo bollenti.
Da sole, le labbra di Loki sono sempre troppo fredde.
Insieme, le loro labbra raggiungono la temperatura perfetta, di quelle delicate che non bruciano né congelano, ma che anzi, abbracciano senza stringere.
Loki è un mago, lo sanno tutti. E come un mago, il giorno dopo scompare dalla cella senza neanche aprirla, aria fugace che scivola tra le dita di Odino, delle guardie, degli Asgardiani. Nessuno lo vede più e, per quanto possano cercarlo, non lo troveranno mai. Il mistero tuttavia, rimane ancora oggi sulle lingue dell’interno universo che, almeno in parte, ha imparato a respirare le leggende, ad ascoltare, a prestare orecchio ai racconti sussurrati dai libri più antichi.
Permane il mistero riguardante Loki Laufeyson e i suoi anni e anni di attesa in una cella che mai in realtà ha saputo ingabbiare i suoi poteri. Anni al chiuso, anni nel silenzio e nella solitudine in una vita priva di libertà, come se aspettasse qualcosa… qualcuno. Poi, un giorno, dopo tanti anni di reclusione, è semplicemente sparito. Le guardie raccontano di aver trovato il principe Thor in quella stessa cella, abbracciato al corpo assopito del fratello esattamente il giorno in cui sparì, poche ore dopo.
Adesso, nel silenzio della notte stellata di Asgard, Thor siede sul letto, esausto nelle sue vesti di re ma felice che l’oscurità sia giunta. Ed è lì, ombra tra le ombre, che qualcosa si muove, una figura emerge e gli occhi vermigli di uno Jotun ammantato di nero lo fissano, sereni di una ritrovata felicità.
Nessuno sa, ma la gente mormora. Nessuno vede, ma la gente osserva.
Intanto, dove la cella ancora vuota giace nel silenzio di un ricordo che solo e soltanto quelle mura custodiscono, una piccola rosa bianca sboccia ogni notte dai cristalli di ghiaccio che ricoprono il pavimento. Nessuno la vede, le guardie non la scorgono mai… ma la rosa è sempre lì, e lei, perlomeno, conosce bene la realtà dei fatti.
 
Angolo dell’autrice:
Dunque, so che questa storia è un po’ lunghetta. Me ne rendo assolutamente conto, ma non ho voluto spezzarla in due capitoli e ho preferito metterci due giorni di sudate per scriverla. Devo dire però… che ho amato scriverla. Capisco come si sente Loki, capisco cosa provi e ho cercato di proporre una soluzione alternativa al suo odio. Spero che vi sia piaciuta e… sì insomma… se vi và, potreste lasciare un commentino? (si nasconde)
Tomi Dark Angel
  
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