Gente.... pugnalatemi, sul serio. Sono MESI che non aggiorno e davvero mi sento una merda. Ma tra vacanze, mare, scuola, patente (ho passato la teoriaaaaa) e scleri per acquisti vari (come tinte azzurre o sciarpe da Serpeverde *-*) non riuscivo mai a scrivere ne aggiornare.
MA, sono tornata - per (s)fortuna vostra!
Allora visto che è passato tanto tempo facciamo un riepilogo del capitolo passato: papà Leto è il fratello del grande nemico di Ash, abbiamo visto qualche bella creatura magica di Annwyn, Leto è una vecchia casata magica, Ash è andata a trovare Dean -ancora in ospedale.
Chapter 22. I don’t believe in fairytales
“Questo a che serve?”, disse Ash, indicando il borsone in fondo alla stanza di Dean.
“A mettere dentro i miei effetti personali”, rispose il ragazzo, con tono arrogante, per poi scoppiare a ridere. Dopo si diresse, ancora un pochino incerto sulle gambe, verso il suo armadietto per prendere un foglio di carta.
“Cos’è?”, chiese Ash.
“Leggi”, sorrise Dean, per poi sedersi di nuovo sul letto, con un una faccia allegra.
“Visti i notevoli miglioramenti che il signor Dean Jonathan Scott ha mostrato in queste ultime settimane, abbiamo accolto la richiesta formale di Joel Ethan Worden di dimetterlo”, sussurrò piano Ash, andando più lentamente man mano che capiva ciò che leggeva. “Dovrà comunque restare sotto tutela del signor Worden e dovrà tornare immediatamente in caso l’allontanamento dall’ospedale non sia efficace”.
Un minuto buono di silenzio invase la stanza, mentre il sole cominciava a risplendere di prima mattina.
Dean la guardava preoccupato, vedendola immobile, con la bocca socchiusa e gli occhi fissi sul pezzo di carta che aveva in mano.
Era tornata se stessa – non che prima non lo fosse – appena la notte era andata via, ma Dean aveva paura che si fosse pietrificata.
“Ash? Ash?”, la chiamò, scendendo piano dal letto e scrollandole le spalle.
“Sì, ci sono, scusa… è che…”, cominciò a balbettare, facendo scoppiare a ridere Dean. “Come… voglio dire… Joel ha davvero… non ci credo… è stupendo… e… e…”.
“E hai finito?”, rise ancora lui, vedendola in panico. Ash lasciò perdere le parole e lanciò all’indietro il biglietto, che cadde per terra dolcemente, mentre si buttò tra le braccia dell’amico, stringendolo forte.
“Dio, non ci credo!”, esultò di nuovo, stavolta collegando tutte le parole.
“Finalmente si torna a fare casino, Connor!”, rispose lui, facendola ridere.
“Ma come hai fatto?”, chiese la ragazza, staccandosi un po’ e guardandolo in faccia. I lineamenti erano tornati ad essere quasi normali, e non scheletrici, le occhiaie erano sparite e, sebbene il colore degli occhi non fosse tornato quello di un tempo, era tornato il Dean di sempre.
“Sono il Re degli Scherzi, donna, che ti credi?”, fece lo sbruffone. “E poi condizionare Joel è stato un gioco da ragazzi”.
“Sei sempre il solito…”, sbuffò lei, scuotendo la testa. “Povero Joel, in che casino l’hai cacciato?”.
“Nessuno, mi deve solo fare da babysitter, ma tanto io sono sempre così tanto bravo che…”, disse Dean.
“Che finirà in un grosso guaio appena metterai piede fuori da questo posto”, finì Ash, alzando un sopracciglio, non convinta della frase dell’amico.
“Donna di poca fede”, la guardò male il ragazzo, socchiudendo gli occhi.
“Sempre meglio poca che troppa, quando si parla di te”, fece la linguaccia Ash per poi ridere.
“Sempre la solita simpaticona”, rispose lui, sempre fingendosi profondamente offeso. “Basta, sei cattiva”.
Ash sgranò gli occhi e aprì la bocca, fintamente sbalordita. Ridendo poi, prese uno dei cuscini bianchi del letto e glielo tirò in faccia a Dean, che ne agguantò un altro e la colpì in piena pancia.
“Questa fa male!”, si piegò la ragazza, ancora con in mano il suo cuscino.
“Giorni sbagliati?”, chiese lui, guardandola sorridente ma anche un po’ ansioso di averle davvero fatto male.
“No, mossa sbagliata”, rise Ash alzandosi di colpo e tirando una cuscinata a Dean sotto il collo, alzandogli il viso. La testa di Dean andò all’indietro e lui mugugnò qualcosa, molto probabilmente di cattivo, vista la situazione.
Quando però si mise a posto, fermò Ash da colpirlo di nuovo e le disse di sedersi.
“Mi ricordo ancora di quando giocavamo alla torre”, disse lui, perso nel passato.
“Mi sentivo tanto Raperonzolo”, borbottò Ash, a bassa voce, e anche un po’ tristemente.
“Chi?”, chiese Dean, non a conoscenza delle fiabe Incomplete.
“Una delle varie principesse protagoniste delle storie per bimbe normali. Sai… la bambina viene rapita e rinchiusa in una torre. Poi però i suoi capelli, lunghi fino all’inverosimile, l’aiutano a scappare appena un principe arriva a salvarla. Questo si aggrappa ai capelli e scappa con la principessina. Così, come tutte le loro storie, vissero tutti felici e contenti”, raccontò Ash, mentre Dean si schifava del racconto.
“Bella merda, noi abbiamo assassini e vendetta per farci capire il duro mondo che potremmo affrontare, di solito con un brutto finale, mentre queste sembrano romanticherie di prim’ordine”, si lamentò il ragazzo.
“Non sembrano, lo sono. Più che altro sono diverse versioni della medesima storia. Per esempio Ariel, la principessa sirena, alla fine si sposa con l’umano che la scopre… ma nella versione originale lei muore e lui va con un’altra donna”, spiegò Ash. “Si chiamano Storie dei fratelli Grimm quelle originali, e sono simili alle nostre” .
“Wow, allora esistono favole fighe anche da quelle parti”, sorrise lui, mentre Ash alzava gli occhi al cielo. “Mi ricordo ancora di quando te le leggevo, a scuola”.
“Già… che cosa imbarazzante, non la raccontare mai a nessuno”, scoppiò a ridere lei.
“Non finisce bene”, commentò la piccola Ash, quando Dean ebbe finito di raccontarle la storia.
Tra poco lui se ne sarebbe andato – sebbene Ash non avrebbe mai voluto mandarlo via – e lei sarebbe rimasta da sola. Perché lei aveva raccontato quella storia allora? Voleva farle venire gli incubi?
“Perché la vita di nessuno è facile, men che meno la tua, lo sappiamo bene entrambi”, le rispose lui, avvicinandosi al viso di Ash, che era coperto per metà dal copriletto. “Ma possiamo trovare una via alternativa. Questo Hulrich, per esempio, non ha avuto la fama, le ricchezze o i beni che aveva sempre desiderato… ma ha trovato qualcosa per cui valesse comunque vivere. Non è un ottimo insegnamento?”.
“Ma la sua amata è morta”, disse ancora la ragazzina, stringendo la coperta con le mani.
“La morte ci porta via fisicamente chi amiamo, ma così lo fa anche un trasferimento o un litigio… ma quella persona, nel nostro cuore o nella nostra mente, ci sarà sempre”, la consolò Dean, carezzandole la testa, con quei capelli biondi e blu sparpagliati ovunque. “Anche se non la sentivamo davvero… lei è con noi… vicino a te”.
“Jade? Jade è vicino a me?”, ripeté Ash, con un sorriso. Dean ricambiò il gesto, felice di averla tirata su di morale.
“Ovviamente. Finchè ricorderai il bene che lei ti voleva e quello che tu volevi a lei, lei sarà sempre con te. Ti ha salvato la vita, questo rende il vostro legame così profondo che nemmeno la morte può spezzarlo”, disse Dean.
“E tu? Tu, però, non andrai via, vero?”, domandò Ash, guardandolo avvicinarsi.
“No, io non andrò mai via. Mai. Mai e poi mai”, rispose il ragazzo, dandole un bacio sulla fronte, per poi alzarsi e uscire dalla stanza.
Ash chiuse gli occhi e, tranquilla, s’addormentò.
Era giunto il momento.
Tutto l’esercito e gli agenti si erano cambiati, indossando abiti da cerimonia di color cenere. Erano tutti abiti all’antica, rimasti tali dalle prime tradizioni di secoli passati.
Zoe aveva un abito lungo, suntuoso, grigio chiaro, con ricami bianchi e pizzi, il corpetto stretto di un bianco ottico e scarpe dello stesso colore, con un tacco leggero.
Joel, invece, aveva un completo vittoriano nerastro, con finiture in grigio scuro, e un capello a cilindro basso.
“Mi sento una dannata dama del 1800 e non un agente della Resistenza”, si lamentò Zoe, facendo una crocchia sul capo, mentre Clelia la guardava.
La rossa aveva un vestito simile al suo, ma i colori erano più scuri, e sulle spalle aveva della cenere appiccicata, quasi fossero dei glitter.
Clelia si era già acconciata con delle trecce, così aiutò la collega.
“Lo so, ma è la tradizione Zoe”, commentò toccandosi il bustino, un po’ troppo aderente. “Io ho rinunciato alla mia gita con Dmitri, quindi vedi di non sbuffare troppo”.
“Dico solo che potremmo portare anche la divisa”, ribatté Zoe.
“Non dirmi che non hai mai sognato di indossare uno di questi! Non ci credo…”, la prese in giro Clelia.
“Preferisco vivere. Questo coso mi sta veramente uccidendo”, disse l’altra, toccandosi il petto in cerca d’aria.
“Avanti, non sarà una cosa lunga”, la tirò su di morale la rossa, vedendo arrivare Joel, con il capello in mano.
Zoe si voltò a guardarlo e fece subito un sorriso, dimenticandosi del corpetto scomodo, ma appena notò lo sguardo addolorato dell’uomo, abbassò gli occhi.
“Credo che sia ora. Gli altri sono già fuori”, le avvisò Joel.
“Per arrivare al Sedna ci vorrà una decina di minuti, meglio metterci in marcia”, disse Clelia, finendo l’acconciatura di Zoe, che si alzò.
Raggiunsero Joel e camminarono verso l’uscita, nel silenzio, anche se tutto passava attraverso il cervello di Clelia.
Ancora non capisco come possa essere così triste per Sam. Voglio dire, eravamo tutti suoi colleghi, ma… io almeno con lei tenevo un segreto.
E così l’unica con cui potevo parlare se n’è andata. Grazie Namel! Un motivo in più per farti fuori… e ora con chi parlo? Clelia e Dmitri? No, grazie. Ash? Mi prenderebbe in giro…
Oh, quanti problemi!
Quei due pensavano a come dichiararsi mentre avrebbero dovuto provare dolore per Samantha Gair per il fatto che fosse una loro collega, e non la loro psicologa.
Clelia, innervosita, provò a buttarli fuori dalla sua mente, canticchiando a bassa voce per coprire il brusio. Erano quasi fuori e cercò il filo interrotto di pensieri provenienti da Dmitri, che di certo la stava aspettando.
Nella sua testa, infatti, apparve un’immagine nitida, così travolgente da farla fermare per tenere gli occhi chiusi. Zoe e Joel le chiesero come mai si fosse fermata così all’improvviso, ma lei non diede alcuna risposta.
In un attimo quei due non esistevano più, o almeno non erano lì con lei. Clelia era immersa in una grotta buia, solo con una luce davanti agli occhi che le indicava qualche metro di strada.
Al suo fianco c’erano Dmitri e gli amici di Ash.
Non c’era il bambino, però. O, per lo meno, non riusciva a vederlo.
“Lo troveremo?”, chiese la madre del bambino, con la voce impregnata di paura e coraggio insieme.
“E’ qui… lo sento”, disse la luce, che sembrava essere Ash, anche se non riusciva a scorgerla. Qualcosa vibrò, in mezzo a quella luminosità, e i Leto tirarono fuori le armi.
Tornò tutto immediatamente scuro e Clelia si ritrovò con gli occhi aperti.
“Non so perché, ma sento che stasera è meglio che restiamo allerta”, commentò Joel, prendendo Clelia per un braccio, dolcemente, per aiutarla a rimettersi in pista.
Zoe gli andò a fianco, per fare strada, mentre scendevano le scale che davano al portone principale. Era aperto, con Dmitri che li attendeva.
Appena notò Clelia si avvicinò alla scalinata, mentre la ragazza accelerava il passo, lasciando gentilmente la presa di Joel, che la seguì con lo sguardo, attento che non inciampasse.
“Siamo tutti?”, chiese Dmitri, appena anche Joel e Zoe furono arrivati.
“Sì, gli altri sono già al Sedna, ma attendono noi”, annunciò il ragazzo, con gli occhi vitrei. “Oh, ci saranno anche i nostri ospiti, vestiti pure come si deve”.
“Davvero?”, chiese Zoe.
“Di certo non potevano restare qui da soli”, le rispose Joel. “E hanno fatto bene a vestirsi a dovere, con un po’ di rispetto”.
“Concordo… ma ora andiamo, è tardi”, li spinse Clelia, che già si era rimessa in sesto.
Cominciarono a camminare nelle vie ciottolose di Annwyn, verso la più remota periferia. Le rive del mare Sedna non erano piene di case o negozi, quello si preferiva farlo in città.
La natura in quel mondo era considerata quasi sacra, infatti si decideva di espandere un piccolo paese solo nel caso in cui una foresta veniva abbattuta per problemi con le creature al suo interno.
“Odio la polvere”, si lamentò ancora Zoe, guardandosi la fine del vestito lungo e vaporoso che cominciava a sporcarsi di terra, mentre camminava spedita.
Erano quasi arrivati e Clelia sbuffò. Delle volte Zoe era davvero insopportabile, anche se altre era la dolcezza fatta a persona. In questo specifico caso avrebbe preferito affogarla nel mare piuttosto che sentirla lagnarsi di nuovo.
Ed ecco la spiaggia, decorata con betulle a cerchio semichiuso, con l’unica apertura verso l’acqua. Il rumore delle onde dava una sana sensazione di libertà, mentre i quattro entravano nella riva.
“Buona sera, vi stavamo aspettando”, li accolse Seamus, vestito esattamente come Joel. Diede loro un ramo di betulla e fece loro strada, portandoli tra la folla di maghi – e stavolta anche non – che stavano davanti a loro.
“Possiamo incominciare”, disse un uomo con voce potente, facendosi sentire da tutti. Clelia e Dimitri andarono in prima fila e lo videro con in mano un vaso nero. “Questa notte, la notte in cui Venere splende nel cielo, diamo il nostro ultimo addio ad una grande donna.
“Per alcuni è stata una collega, per altri un’amica, e per altri ancora una figura su cui contare per ogni occasione. Una donna, comunque, che è morta per difendere ogni diritto di libertà e il diritto della vita.
“Una donna che si è battuta fino alla morte per salvarne un’altra da quell’uomo spregevole che vuole ucciderla. E’ per questo che dovrebbe essere ricordata sempre come un eroe.
“Per questo, stasera, ricordiamo te, Samantha Gair”, finì, indicando tutta la folla, “come una vera paladina. Cenere eri e cenere ritornerai… e che queste ceneri vadano disperse tra la brezza marina, così da portare nuova vita”.
E come da rituale, l’uomo poggiò il suo ramo di betulla accanto al vaso, lasciando poi lo spazio perché tutti gli altri lo imitassero. Si formò una grande fila ed un enorme brusio, da uccidere la testa di Clelia, che non capiva più la differenza tra i pensieri e le parole.
“E con questa pianta volerai, così che ti identifichi per sempre”, concluse l’uomo, quando tutti ebbero posato il proprio rametto di fianco a vaso. Scatenò una fiamma e le piantine presero fuoco, diventando in fretta cenere scura.
Poi l’uomo mischio la cenere a quella dentro nel vaso, per poi prenderlo e, nel mezzo di una folata di vento, inclinandolo. Il contenuto si sparse nell’aria e di Samantha Gair rimase solo il ricordo di quella donna che tanti errori aveva fatto, ma che tanto aiuto aveva sempre portato.
“Che aspettavi a dirmelo?”, spalancò la porta della sua stanza senza la minima delicatezza.
Ash, poco ma sicuro.
“Sono certo che ci sia una ragione logica per il quale tu sia venuta ad urlarmi addosso alle… sette del mattino!”, si stupì Joel, ancora a letto, controllando l’ora.
“Che. Aspettavi. A. Dirmelo?”, urlò di nuovo la bionda.
“Che cosa?!”, mugugnò l’agente, rigirandosi nel letto.
“Che Dean sarebbe uscito dall’ospedale, ecco cosa!”, si avvicinò Ash, tirandogli via le coperte con uno scatto veloce. “Uhm… bel pigiama”.
Joel cercò di coprirsi, mentre Ash rideva con un lembo di lenzuola in mano. Aveva un tenerissimo pigiama con dei cappelli da mago disegnati sopra e la scritta sul petto diceva ‘Completi è meglio’. Oh madre santa…
“Eddai!”, si lamentò Joel, alzandosi dal letto rassegnato, sistemandosi i capelli. Bè, in realtà non fece altro che renderli ancora più disordinati, ma non era quello il punto.
“Dimmi perché l’hai tenuto nascosto”, non lo ascoltò Ash.
“Senti, avevo altro a cui pensare, ok?”, si decise Joel a parlare. “E poi non te l’ho detto… per quanto? Meno di ventiquattro ore? Che vuoi da me, donna?!”.
“Devi dirmi queste cose! E appena le sai, ok? Non mi importa di cosa sta succedendo, io lo devo sapere”, decretò Ash, tirandogli il lenzuolo che aveva ancora in mano addosso.
“Non capisco che ti cambia, l’hai saputo comunque”, borbottò lui, in piedi ma non molto stabile.
Ash ringhiò e lo prese per il colletto di quello stupido pigiama disegnato. “Perché sto male, mi preoccupo e sono nervosa! Perché se succede qualcosa a Dean, qualsiasi cosa, io lo devo sapere immediatamente! È chiaro?!”.
Joel alzò le mani, quasi in segno di resa. “Sì, ok, va bene”.
Ash lo lasciò andare e fece un respiro profondo. Joel la guardò curioso, ma decise di lasciar perdere quando notò le ciocche dei capelli di Ash completamente violacee.
“Scusami…”, disse dopo qualche minuto di silenzio la ragazza, mentre il colore tornava del normale blu. “E’ che, sul serio, sono preoccupata per Dean”.
“Lo capisco”, commentò Joel, mettendole una mano sulla spalla. “Ti prometto che ti dirò tutto la prossima volta”.
“Grazie”, sussurrò Ash, mentre l’agente lasciava la sua spalla e guardava davanti a lui.
“Buongiorno signorino Milicevic… si è perso, per caso?”, ridacchiò felice, facendo girare Ash verso la porta. Lei, vedendo il piccolo Devon sulla soglia, sorrise e gli andò incontro, prendendolo in braccio e lasciando Joel da solo per cambiarsi.
Devon l’abbracciò appena fu tra le sue braccia e Ash cominciò a camminare in cerca della stanza di Vicki e Tomo.
“Ricordi il numero di mamma e papà?”, chiese Ash al bambino, che mugugnava parole incomprensibili.
“Num…numeo… è?”, borbottò Devon, guardandola storto.
“Il numero della camera. Della porta, Devon”, gli rispose Ash, indicando la targhetta di un’altra stanza.
“Numeo… numero… caea… cam… came… numeo…”, s’impegnò Devon, mentre Ash chiudeva gli occhi, stanca.
“Camera 304, Ash”, spuntò Jo dal nulla, con un sorrisone rivolto sia alla ragazze che al bambino che aveva in braccio. “Ieri sera siamo andati al funerale e ci hanno dato le stanze, per quello lo so”.
“Tranquilla, non hai fatto nulla di grave. Anzi mi hai salvata”, rispose Ash, scompigliando i capelli biancastri della bambina e poggiandole il braccio libero attorno alla spalla.
“Che si fa oggi, cugina?”, chiese Jo, facendo sorridere Ash. Era da tanto che non si sentiva più chiamare cugina. Le faceva male, le ricordava Jade… ma era un grande piacere poter essere per Jo ciò che Jade era stata per lei.
“Vediamo che vogliono fare i grandi, ok?”, domandò Ash.
“Certo”, rispose la ragazzina, camminando spedita verso la camera dove ricordava fossero i genitori di Devon.
Ash la guardava sorridente, mentre Jo saltellava in giro per quei corridoi in cui anche lei, da piccola, aveva saltellato. Ma quando vide i suoi capelli bianchi, quella pelle pallida… come poteva essere vero?
Che non fosse figlia di entrambi i genitori di Jade? Impossibile, era identica a sua cugina e Jade era un mix di suo padre e sua madre.
Però erano rarissimi, quasi inesistenti o leggendari i casi di malati genetici ad Annwyn. Soprattutto se contraevano malattie Incomplete.
Arrivarono presto alla camera di Tomo e Vicky, così Jo bussò alla porta, molto educatamente.
“Ci siamo, ci siamo”, si sentì la voce di Tomo provenire da dietro la porta, mentre la maniglia si girava e mostrava il padre di Devon con i capelli un po’ alla rinfusa e, dietro di lui, una Vicki appena sveglia.
“Vi ho riportato il fuggitivo”, esordì Ash, mostrando ancora di più Devon, tra le sue braccia.
“Oh, ma dov’eri finito?!”, si alzò immediatamente Vicky, preoccupata. “Pensavo fosse a dormire nella piccola stanza che ci hanno dato…”.
“Non agitarti, era vagabondo nei corridoi, come anche Jo del resto. E puoi stare tranquilla, sono tutti sorvegliati nel migliore dei modi”, la calmò Ash.
“Io non ho visto niente e nessuno però”, si fece curioso Tomo. Anche Ash l’aveva fatto notare a Sorrow, tempo prima, e la ragazza ridacchiò al ricordo.
“L’essenziale è invisibile agli occhi, chitarrista”, citò la bionda, porgendo Devon a Vicki, che intanto li aveva raggiunti. Si mise a giocare con il figlio e Jo e rientrarono nella stanza, per stare comodi sul lettone.
“Allora… oggi altro giro?”, chiese Tomo, sorridendo.
“Come volete, oggi decidete voi”, diede libera scelta Ash. “Ma se volete possiamo anche tornare a casa”.
“A casa?”, domandò Vicki, alando la voce di qualche tono. “Cavolo, Tomo… il lavoro!”.
“Il disco!”, si piantò una mano sulla fronte il marito, che si scusò con Ash e corse per i corridoi, forse verso la stanza dei Leto.
Vicki intanto aveva abbandonato i bambini ai loro giochi e guardava davanti, completamente assente.
“Che succede?”, chiese Ash, un po’ preoccupata per la donna. “Vicki, che succede?”.
“Oh, Ash… è tutto andato a rotoli”, cominciò a piagnucolare inaspettatamente, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e coprendosi il volto con le mani.
Devon, a sentire la mamma piangere, s’intristì, ma Ash fece un segno a Jo per distrarlo, mentre lei la faceva uscire. “Andiamo a fare un giro in giardino, forza. Jo baderà a Devon”.
Vicki si fece trascinare all’aria aperta, per poi tirare su col naso e sedersi sulla prima panchina che trovarono. La bionda le si sedette a fianco, attendendo che parlasse per prima Vicki, lasciandole il suo tempo.
“Non è mai andato tutto rose e fiori, Ash…”, cominciò la donna, ancora singhiozzando. “Da quando ho cominciato a lavorare mi sento uno schifo come madre, non potevo tenere a bada Devon come vorrei.
“E no, non dirmi che non è vero, perché so di essere per Devon quello di cui ha bisogno. Ma io non voglio essere solo questo, voglio essere di più, voglio esserci sempre per lui.
“Questo mi fa sempre perdere la concentrazione e lavoro male, in più le occasioni di lavoro si stanno riducendo e non riesco mai a sostenere i tempi di consegna. Sono una frana…
“Però amo il mio lavoro e non vorrei mai abbandonarlo. Ne ho bisogno e… e ieri avevo questa importante cerimonia… e…”.
“E non ti sei presentata”, concluse Ash, senza però cattiveria. Era un dato di fatto.
“No… mi licenzieranno e nessuno più mi prenderà, ne sono certa”, abbassò il capo Vicki. “Ormai però è fatta, no? E’ inutile pensarci. Andrò a casa e lascerò il lavoro.
“Tomo ci mantiene tutti e tre in modo eccezionale e io voglio stare vicino a Devon giorno e notte visto quello che sta accadendo”.
“Quindi resterete nel mondo Incompleto? Anche perché Tomo deve lavorare, giusto?”, domandò Ash, chiedendosi quando li avrebbe rivisti, anche se fosse tornata anche lei. Ma sarebbe rimasta? Con tutta la pessima situazione con Natalie e quello che continuava a succedere all’asilo l’avrebbero riaccettata?
Certo, l’asilo era stato completamente risistemato, ma lei sapeva cos’era accaduto. Li avrebbe di nuovo messi tutti in pericolo?
Sì. Era egoista a dirlo, ma aveva bisogno di quel lavoro, di quei bambini.
“Ovviamente. Tomo ha la band, come anche i Leto; non possono abbandonare tutto. Vero anche che, nei giorni liberi, possiamo tornare qui, no?”, disse Vicki, più calma. “E appena Devon potrà, andrà a scuola”.
“Ci rivedremo ancora? Visto che non lo porterai più all’asilo, immagino che…”, chiese Ash.
“Ehi, finchè questa storia non sarà finita, noi ti terremo d’occhio giorno e notte. Anzi, verrai da noi anche a dormire, ti invito ufficialmente”, si offrì Vicki.
Oh merda, pensò Ash.
“Ehm… no dai, non vorrei disturbare… no, seriamente Vicki, sto bene nel mio appartamento e ora ci saranno guardie ovunque laggiù quindi staro bene”, si difese Ash. Appena vide Vicki annuire sospirò di sollievo. “Ma vi voglio vedere tutti i giorni”.
“Certamente… ma posso chiederti dove sei scappata ieri sera? Ti sei persa la cerimonia”, domandò Vicki, confusa.
Sono nella merda!, canticchiò ironicamente Ash, per poi pensare di dire una mezza verità.
“Dean. Ero da Dean in ospedale, e visto che sta per uscire sono stata da lui”, rispose pronta.
“Dean? Non sapevo avessi un ragazzo, credevo fos…”, incominciò Vicki.
“Cosa?! Ragazzo? Dean?”, scoppiò a ridere Ash. “No, ma figurati, è il mio migliore amico, praticamente un fratello…”. ‘A cui vuoi un bene dell’anima e provi per lui un sentimento che a volte molti scambiano per amore ma che entrambi dichiarate essere solo fidata amicizia, imbarazzati’, disse una voce nella sua testa.
Smettila, la intimidì Ash, per nulla convinta di quel ragionamento. Avanti, si stava parlando di Dean, Dean Scott!
La tua prima cotta. Era una bambina! Su, non traiamo conclusioni affrettate. Dean era suo fratello, punto e basta.
“Ah ok”, le rispose alla fine Vicki, anche se in realtà non era passato nemmeno mezzo minuto. Era come sollevata dalla notizia, come se potesse interessarle davvero o che fosse questione di vita o di morte. Bah…
“Quindi si parte?”, chiese Ash.
“Si parte!”, si asciugò gli occhi la mora, con un sorriso sincero.
“E così funziona in questo modo”, si guardò intorno Jared, quando scesero dal treno che li aveva riportati a Los Angeles.
Fortunatamente per loro, Ash aveva avuto il permesso di portarli nelle cabine, e non nascondersi, a patto che lei andasse sotto copertura, per sicurezza.
Appena usciti dalla stazione la ragazza si sentì osservata, ma vide delle guardie dell’Esis attorno a lei e si calmò. Quelle tornarono invisibili e continuarono a fare il loro lavoro.
“Già, funziona proprio così”, commentò la bionda, quasi sorridendo.
“Forte!”, esclamò Jo, facendo notare la sua presenza.
Sì, aveva fatto il viaggio con loro dopo un’ora e mezza di lamentele, come voglio stare con mia cugina per conoscerla meglio oppure non ci sono mai stata o anche Devon può andare!.
Insomma, aveva cinque anni ma era particolarmente sveglia quando si trattava di volere qualcosa.
Ash si voltò a sorriderle e le prese la mano, per tenerla sotto stretto controllo. Jo, intanto, si guardava in giro, completamente scioccata. Domandava a tutti cosa fosse ciò che vedeva e Tomo o Vicki le rispondevano contenti. Anche Shannon a volte s’intrometteva, ma rispondeva a tono, come a prenderla in giro per scherzare.
Jared, invece, li lasciava fare, godendosi il bentornato a casa, anche se alla fine non erano stati via molto.
“Ti manca così tanto Los Angeles dopo un giorno e mezzo?”, chiese Ash, avvicinandosi al Leto più piccolo, che si voltò a guardarla.
“Sono sempre stato male nei tour per la mancanza da casa, molto più di Shannon o Tomo. Non so, questo posto… mi sento completamente a mio agio, me stesso”, le cercò di spiegare Jared. “Non mi piace andare via, anche se devo”.
“A proposito, che punto siete con l’album?”, domandò Ash.
“Oh, buono. Dovremmo finire qualche particolare di una o due canzoni e poi registrare tutto perfettamente”, le rispose Jared. “Ma siamo alla fine di Settembre, abbiamo tutto il tempo”.
“Mi piacerebbe sentire qualche canzone”, sorrise la ragazza, mentre gli altri li chiamavano.
“Bè, resta con noi oggi”, le propose il cantante. “Torniamo a provare e tu stai con Vicki”.
Ash sembrò pensarci, ma prima che potesse dire nulla erano arrivati a destinazione. Li avevano portati in un bar per fare un pranzo un po’ decente, anche se avevano comunque fatto colazione ad Annwyn.
Si sedettero con i loro amici e i musicisti cominciarono a parlocchiare, mentre Vicki intratteneva i più piccoli. Ash cominciò a dondolarsi sulla sedia e aspettò di poter ordinare.
“Sì, dai, vieni da noi oggi”, disse ad un tratto Shannon, sorridendole sincero. “Sarà divertente!”.
“Concordo, Jared ha avuto una brillante idea”, lo seguì a ruota Tomo, che dovette anche spiegare di cosa stessero parlando alla povera Vicki. Alla fine anche lei la reputò una grande proposta, quindi Ash fu praticamente obbligata ad accettare, anche se non era una così grande sfortuna.
Ordinarono, mangiarono e fecero un po’ di conversazione – non su Annwyn, visto che qualcuno avrebbero potuto sentirli – per poi decidere che era arrivato il momento di tornare a casa Leto.
Vicki prese in braccio Devon, mentre Ash si faceva seguire ovunque da Jo, e cominciò a fare strada, visto che non erano molto lontani. Il problema nacque quando dovettero prendere la metro.
“Io non ci entro, non vado sotto terra”, piagnucolò Jo, a vedere il sottopassaggio. “Non sono un hurko, non ci vado”.
“Un che?”, chiese Shannon, confuso.
“Una specie di talpa, lascia perdere”, gli rispose Ash, di fretta, per poi tornare da Jo. Si accucciò davanti a lei e le parlò in modo dolce. “Non ti succederà nulla, è tutto sotto controllo, laggiù. Ci passano centinaia di persone al giorno e arriveremo in fretta a casa”.
“Lo sai quanto va veloce la metro? Gira tutta Los Angeles in mezz’ora e con questa puoi andare d’ovunque in città”, la spronò Vicki, con Devon sorridente. “Ci ho portato Devon molte volte; è divertente”.
Jo sembrava quasi convinta, ma ancora non riusciva a muoversi.
“Se vieni con me ti dedico una canzone”, parlò Jared, facendole illuminare gli occhi.
“Davvero? A me?”, chiese Jo, muovendosi verso di lui, mentre le tendeva la mano.
“Certamente. Ma per farlo dobbiamo tornare a casa a prendere gli strumenti in fretta, quindi ci serve la metro”, le disse il cantante, facendola annuire, sotto lo sguardo scioccato dei presenti. “Allora, andiamo?”.
“O-ok-okay”, balbettò Jo, facendo qualche scalino incerto, stringendo forte la mano di Jared. Lui camminava tranquillo al suo fianco, reggendola per toglierle la paura.
Ash li guardò storto, quasi stupita, ma poi sorrise e lì seguì, come il resto della banda.
Pagarono i biglietti e andarono a prendere la metro, che giunse appena arrivarono. Jared fece saltare Jo sulla metro e la fece sedere sulle sue gambe magroline quando furono a bordo, mentre Vicki dondolava Devon, di fianco a Tomo, per farlo addormentare.
Ash era davanti a Jared, tenendo sotto controllo Jo, mentre Shannon era seduto al loro fianco.
“Oh ma che carina”, arrivò una ragazza di fianco a loro, indicando Jo seduta su Jared, giocherellando. “Le somiglia molto di viso, sa?”.
“Cosa?”, chiese Jared, stupito.
“Sì, a sua moglie”, si spiegò la giovane, facendo scoppiare a ridere Shannon, che però si trattenne appena Jared gli diede una gomitata nel fianco.
“No, no, no, no, no, no. Noi non siamo sposati, nemmeno fidanzati, no”, disse Ash, gesticolando con le mani in segno di rifiuto. “No, no, questa è mia cugina. No, no, non è nostra figlia, no. Decisamente no”.
“Oh, mi scusi… che figura”, sorrise la ragazza, per poi salutare Jo, gentile, e andare via.
“Wow… ben tredici no. Questo sì che vuol dire essere rifiutati”, commentò Jared, smettendo di far giocare Jo, che lo guardò strana. Ash capì che ciò che aveva detto non doveva essergli piaciuto così tanto, detto in quel modo soprattutto. Non disse niente, però; lo lasciò sbollire per qualche minuto, per poi tornare a giocare con sua cugina.
Jared teneva davvero così tanto a lei da sentirsi male al pensiero di essere rifiutato? Al pensiero di non essere desiderato come il marito di qualcuno?
Ash si voltò, vedendo Vicki e Tomo sorridere tra di loro, mentre Devon dormiva. Non si dicevano niente, ma i loro sguardi mostravano ciò che si stavano scambiando, in realtà: amore. Tanto amore. Così forte da superare ogni barriera.
Lei aveva mai avuto quello sguardo? Lo avrebbe mai avuto?
E con chi sarebbe successo?
Due accordi e Jo era già innamorata.
Erano bastati due accordi semplicissimi per far cadere Jo ai piedi di Jared, che rideva fiero di se stesso, anche se in realtà non aveva fatto nulla.
Non voleva metterci grandi testi, nella canzoncina per Jo, ma lasciò che le mani andassero per conto loro sul mani e sulla cassa, producendo un suono nuovo, diverso da tutti gli altri che aveva mai suonato.
Ash stava lì ad ascoltarlo, mentre gli altri se n’erano andati a prendere qualcosa da bere, lasciandoli da soli. La ragazza guardava le mani di Jared muoversi sullo strumento in un modo così leggero da ipnotizzarla. Anche lei sapeva suonare, ma solo con la magia; non sarebbe mai riuscita ad imparare tutti quei movimenti senza.
Per questo motivo amava stare con gli Incompleti: erano sempre stati bravi in tutto, riuscendo a rimpiazzare la magia che non avevano con talenti naturali o congegni inventati di sana pianta. Erano davvero ingegnosi.
“Forse un giorno ti insegnerò a suonarla, ok?”, propose a Jo il cantante, fermandosi di suonare.
“Sarebbe stupendo”, si lasciò ammaliare la bambina, guardando lo strumento tra le braccia di Jared.
“Sono sicura che riuscirai a diventare brava quanto lui”, lo prese in giro Ash, accucciandosi per raggiungere l’altezza di Jo. Jared sbuffò e poi si mise a ridere, vedendo arrivare Devon.
Correva sbilenco, con un sorrisone in faccia, seguito poi dai grandi. Vicki aveva in mano un vassoio con dei bicchieri e delle bibite, così da potersi servire da soli quello che si voleva.
Jared passò e non prese nulla, andando poi fuori dal Lab e stando sul bordo della sua bella piscina che usava anche poco sfortunatamente. Camminava attento ai lati, in bilico, come un bambino divertito, e guardava il vuoto con occhi vitrei.
Com’era cambiata la sua vita in quelle poche settimane?
Si ritrovò a pensare a tutto quello che gli era successo dalla prima volta che Vicki e Tomo avevano portato Devon all’asilo e milioni di immagini si stamparono nella sua testa.
Il suo modo di vivere era cambiato.
Il suo modo di pensare e tutte le sue convinzioni erano cambiate.
La sua intera esistenza, con tanto di antenati e storia, era cambiato.
Sapeva a malapena chi fosse, in quel momento. Aveva quarantun’anni e si sentiva un ragazzino di tredici, alle prese dei primi dubbi sulla propria personalità.
Aveva paura di perdersi, di no capire più cosa fosse giusto fare o chi fosse giusto essere. Era possibile?
“Cosa succederà ora?”, sentì la voce di suo fratello, facendolo voltare di scatto.
Shannon era seduto sul bordo della piscina, con i piedi ammollo e la testa rivolta verso il sole, quasi volesse abbronzarsi. Quando Jared si avvicinò, suo fratello lo guardò sorridente, senza dire una parola, per pochi attimi.
“Voglio dire… che si fa ora? Si ritorna agli album, ai tour, alla vita normale? E magari qualche volta si va ad Annwyn tanto per passare il tempo?”, chiese ancora.
“Che vorresti fare, se non questo? Io non abbandono la musica o la vita che abbiamo costruito, Shan”, disse Jared, non capendo dove il fratello volesse arrivare.
“Lo so, lo so, nemmeno io. Ma… ma come la mettiamo con questo mondo che sembra ospitare tutta la nostra storia? Se ci pensi… se papà fosse rimasto lì ora saremmo compari di Ash, vivendo in quella cittadina, facendo magie e cavalcando ippogrifi come se fosse normale”, spiegò meglio il batterista. “Io non voglio nemmeno abbandonare questo nuovo mondo. Voglio capire quanto e cosa di Annwyn sia rimasto dentro di me, dentro di noi. Voglio sapere se c’è un modo per essere parte questo mondo antico quanto quello in cui viviamo”.
“Ma senza lasciare i 30 Seconds To Mars, no?”, si spaventò Jared, preoccupato di dover perdere tutto per il suo passato.
“Te l’ho detto: non ho intenzione di finirla con la band. Se voglio esplorare questo nuovo mondo, prima devo finire di scoprire quello in cui sono nato”, sorrise.
“Concordo”, lo imitò Jared, porgendogli una mano e aiutando il fratello a rimettersi in piedi.
“Troia!”, si sentì urlare dall’interno del Lab, improvvisamente, mentre Shannon si stava sistemando. Un brivido percorse la schiena di entrambi i Leto, riconoscendo perfettamente la voce e anche il tono.
Poteva essere solo una persona.
Emma.
“E così te la fai con un mostro?”, urlò la donna, appena vide Jared e Shannon entrare nella stanza dove si trovava il resto della compagnia.
Vicki stava appoggiata al muro, fissando cattiva – anche lei stavolta – la figura di Emma. Tomo aveva in braccio Devon e provava a calmarlo, visto che si era spaventato per l’urlo della segretaria. Jo si teneva stretta per le gambe di Ash, impaurita. E Ash, alla fine, stava in piedi davanti alla segretaria, decisa e senza la minima paura nel volto. Anzi, era piuttosto combattiva e sembrava volesse sfidarla.
“Per fortuna non dovevi dirlo a nessuno, Jared”, lo accusò subito, con un sorriso sghembo che fece uscire dai gangheri Emma.
“Non sa un cazzo, ha solo sentito due frasi e le ha messe insieme nel modo più assurdo che il suo povero cervellino potesse fare”, la prese per il culo Shannon, ancora arrabbiato per la loro storia. “Ora che hai tutto il tempo libero hai coltivato l’hobby di spaccare le palle alla gente?”.
“Oh, ma vattene a fanculo, Shannon. Chi cazzo è questa, si può sapere?”, domandò la bionda tinta, indicando Ash, sprezzante.
“E’ la maestra di Devon, l’ho invitata io perché ci sentisse suonare”, s’intromise Jared. “E prova a ridarle della troia e ti bandisco da questa casa”.
“Dimmi solo che cazzo è? Perché è così speciale da inserirla nel vostro gruppo, eh? Che cazzo sta succedendo?”, continuò a chiedere, senza che nessuno le desse risposta.
“Una persona migliore di te”, finì Shannon. “Ed ora fuori di qui”.
...
Note dell'autrice:
mi scuso immensamente ancora per il tragico ritardo, sul serio, mi dispiace, non accadrà piu lo giuro. Piccoli ritardi forse ce ne saranno ma di qualche giorno, NON mesi o settimane. NO.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, io adoro il funerale di Sorrow, non so perchè.
Grazie ancora, infinitamente!
Ronnie02