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Autore: aelfgifu    26/09/2013    5 recensioni
Ryoma Hino, un cagnolino molto espansivo e una riflessione sul tema dell'identità.
Genere: Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryoma Hino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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El país donde pertenezco

 

Ottobre 19**, ore 8.30 del mattino

 

La solita immancabile felpa col cappuccio, calzoncini e scarpe da ginnastica: così, nella sua abituale mise da corsa, esce di volata dall’albergo, saltando con un balzo i gradini che separano l’ingresso dal marciapiede. Resta fermo un attimo, guarda a destra e a sinistra per decidere la direzione, quindi riparte di gran carriera.

Oggi, all’una, nello stadio dei Kashima Antlers, ci sarà lo scontro.

E lui non vede l’ora.

Mentre corre a grandi falcate, e ogni spinta sembra contenere lo slancio per quella successiva, sente un abbaiare allegro e acuto, e improvvisamente un cagnolino dalle lunghe orecchie pendule compare caracollando dalla direzione opposta alla sua, e caracollando caracollando quasi gli va a finire tra i piedi.

Ryoma rallenta per non calpestare il cucciolo, scarta di lato, riprende lena.

Bau, bau! sente chiamare dietro di lui.

Si gira senza fermarsi e vede che il cagnolino gli sta venendo dietro, con la sua buffa andatura ancora incerta. Le lunghe orecchie gli sventolano a destra e a sinistra.

Ryoma rallenta di nuovo, per permettere alla bestiola di raggiungerlo. Quando il cane lo affianca, gli sorride ed esclama:

“¡Hola perrito! ¿Qué tál? ¿Quieres entrenar conmigo?”

Il cagnolino guaiola allegro, salta sulle zampe.

“¡Entonces, vamos!”

Riprendono la corsa insieme, ragazzo e cucciolo, ma fatte poche decine di metri una voce infantile raggiunge Ryoma:

“Chiro! Chiro! Vieni qui! Non inseguire le persone!”

A questo punto, Ryoma si ferma. Un ragazzino di suppergiù sei o sette anni, sicuramente il padroncino del cane, sta correndo verso di lui. Mentre si avvicina, sbuffando per lo sforzo della corsa, grida verso Ryoma:

“Lo scusi, signore!”

Ryoma strizza l’occhio al cucciolo che si è fermato anche lui, sedendosi educatamente sulle zampe posteriori.

Il ragazzino arriva senza fiato.

“Chiro, cattivo!” dice, ammonendo il cucciolo con l’indice. Poi, rivolto a Ryoma che lo guarda dall’alto in basso con aria divertita: “Non le ha dato fastidio, vero signore?”

“No no” sorride Ryoma strizzando l’occhio anche al ragazzino “è un cagnolino espansivo, non ha paura degli estranei?”

“… ama correre dietro alle persone…” risponde il ragazzino, tranquillizzato dall’aria amichevole di quel giovanottone. “Chiro, qui!”

Il cagnolino si avvicina al suo padrone scodinzolando, quasi a volersi far perdonare la marachella. Il ragazzino si abbassa e lo prende in braccio, accarezzandolo sulla testa col palmo della mano.

“Oye perrito… eres muy desobediente” Ryoma si avvicina. Con un cenno del capo, chiede al ragazzino: “Posso?”

“Certo!” il ragazzino gli tende Chiro e lui lo prende in braccio. Il cagnolino si agita nella stretta di quelle braccia possenti, si avvicina al viso di Ryoma, lo fiuta, lo lecca.

“Ahi, es realmente muy expansivo!” ride Ryoma, solleticato dalla linguetta ruvida del cucciolo. “… è un cocker spaniel americano, vero?”

“Sì, signore” conferma il ragazzino.

“Un cocker spaniel americano pequeño que vive en Japón y se llama Chiro…” riflette Ryoma, quasi parlando a sé stesso “… realmente a un perro no le importa su nacionalidad!”

“Mi… mi scusi, lei è uno dei calciatori che alloggiano all’hotel Kashima?”

“A-ha” annuisce Ryoma continuando a giocare con Chiro.

“Ma… non è giapponese” il ragazzino fissa Ryoma con curiosità: quel ragazzo alto e forte ha tratti inequivocabilmente nipponici, parla il giapponese benissimo, ma ha una specie di accento che lui non capisce, e poi... ha detto qualcosa a Chiro in una lingua sconosciuta.

Ryoma ritorna improvvisamente serio, posa il cagnolino a terra.

“I miei nonni erano giapponesi… io sono uruguayano”.

“Uruguayano?” il ragazzino non può fare a meno di assumere un’espressione interrogativa.

“Sì” annuisce Ryoma “vengo dall’Uruguay. Sai dov’è l’Uruguay?”

Il ragazzino scuote la testa, imbarazzato.

“Sai dov’è il Brasile?”

“A scuola il maestro ce lo ha detto, ma… non me lo ricordo…”

Ryoma scoppia a ridere.

“Hai un atlante geografico a casa?”

Il ragazzino solleva le sopracciglia di fronte a quella pomposa espressione, “atlante geografico”.

“Un atlante è un libro dove ci sono delle immagini che ti fanno vedere dove sono tutti i posti del mondo” spiega Ryoma “certamente ne hai uno a casa anche tu. Chiedi alla mamma di farti vedere dov’è il Brasile. Poi scendi col dito, giù, giù, e lì trovi l’Uruguay. È una nazione piccina che sta tra il Brasile e l’Argentina”.

“Grazie signore!” esclama il ragazzino, e s’inchina compito.

Bau! abbaia Chiro.

“Grazie a te…”

“Vieni Chiro, andiamo!” il ragazzino scappa via sventolando la mano a mo’ di saluto, tallonato dal piccolo cocker spaniel. Ryoma alza anche lui il braccio per salutare.

Chicos japoneses… pensa.

Anche lui, quand’era bambino, veniva chiamato così. El chico japonés. Ancor oggi i suoi amici, i suoi compagni di squadra, lo chiamano japonés. Certo, di giapponese possiede l’eredità genetica dei suoi occhi a fessura, il suo nome e il suo cognome, le tradizioni che a casa sua ancora rispettano, quella lingua che ha imparato parlando con sua madre e tanto diversa dalla lingua che parlava fuori: un pezzo di sé, insomma.

Ma basta questo per dire di lui che è giapponese?

Quando va all’estero e gli chiedono da dove viene, lui risponde: dall’Uruguay, o a volte, di fronte alle facce ottuse di chi non conosce la geografia, semplifica dichiarando che è sudamericano, come sarebbe piaciuto a Simón Bolívar o al Che. Sulla sua carta d’identità è scritto: “lugar de nacimiento: Colonia del Sacramento”, e “nacionalidad: uruguaya”.

Eppure perfino Ramón, che è uno dei suoi più cari amici, lo saluta strizzandogli l’occhio ed esclamando: “¡Japonééééés!”

Nessuno, se non lo vive personalmente, sa cosa significhi stare a metà tra due mondi, ognuno dei quali ti considera come appartenente all’altro.

Poco più di un anno fa ha incontrato Minato Gamo e ha pensato che poteva tentare la carta dell’oriundo e andarsene a giocare per il Giappone. Forse era stata la troppa amarezza per essere stato lasciato fuori dalla nazionale uruguayana (nessun dubbio che il suo essere japonés avesse maldisposto il vecchio allenatore), ma ci aveva seriamente pensato, e mentre esponeva il suo progetto a suo padre, aveva visto gli occhi di lui illuminarsi.

Nessuno va via volentieri dal suo paese. Ognuno, se potesse, ci tornerebbe di corsa.

Ma in Giappone lo guardavano tutti stranamente, perché le sue maniere latine accoppiate al suo aspetto giapponese erano un vero e proprio pugno nell’occhio. Quando salutava, anziché inchinarsi tendeva la mano; chiamava la gente per nome, per comunicare gesticolava in maniera indecente; le signore sul bus indietreggiavano al suo passaggio!

I suoi zii, quando era andato a trovarli portando i regali e i saluti di sua madre, avevano guardato con orrore quel ragazzone sfrontato che dava pacche sulle spalle, parlava a voce troppo alta e portava un cerchietto d’oro al lobo dell’orecchio sinistro.

Né carne né pesce. Né qui né lì.

Come decidere?

Mentre si allenava coi ragazzi della nazionale giapponese – che lo guardavano storto perché lui era quello che aveva tolto il posto a Hyuga – se lo era domandato spesso. Con quale criterio decidere qual è il posto a cui si appartiene?

Quali sono i suoi primi ricordi, i ricordi più cari?

Il campo del Club de Fútbol di Colonia. L’allenatore Alejandro detto “Alex”. Javier, con cui, a sei anni, aveva formato la prima coppia d’attacco della sua carriera. Suo padre che, prima della sua prima partita ufficiale, gli aveva allacciato personalmente gli scarpini nuovi di zecca come se stesse recitando una preghiera, e al momento di lasciarlo correre in campo, gli aveva sorriso: “Ánimo, chiquito”.

Poi, inattesa, la telefonata di Jinnosuke Matilda.

Così, quando il signor Gamo gli ha offerto un posto nella sua nazionale, declinare è stata l’unica scelta possibile.

Tornato a casa, ne ha parlato con suo padre.

“A un certo punto non ho più saputo qual era il mio posto” gli ha confessato.

Suo padre gli ha risposto:

“Nel tuo caso, i posti sono più di uno e nessuno. Tocca a te scegliere il posto che vuoi dire tuo”.

“Ma...”

“Ma se scegliessi l’Uruguay? Pensi che ti riterremmo un rinnegato?”

“Beh...”

“Hai visto troppi film di samurai, Ryoma!”

 

Tienen razón los perros...

Ha ripreso la sua corsa e ora sta tornando verso l’albergo.

La partita inizierà all’una esatta e lui entrerà in campo indossando il numero nove della Celeste.

Perché ha scelto.

Il suo nome, la sua faccia, il suo giapponese dall’accento sudamericano sono una parte di lui, e ne va fiero. Sono le sue radici e non potrebbe mai disconoscerle, non vuole disconoscerle, non le disconoscerà mai.

Ma ha scelto.

Anche se, nel suo paese, lo chiameranno sempre japonés.

 

***

 

Note al testo. 1) Per rinfrescare la memoria dei lettori: Ryoma, attaccante uruguayano di origine giapponese, inizialmente non viene convocato nella nazionale del suo paese; Minato Gamo, in viaggio nei vari paesi del mondo per scovare giovani talenti, gli propone di entrare nella squadra chiamata “i sette del Giappone reale” che sfiderà la selezione ufficiale giapponese. Quando Gamo, divenuto coach della nazionale giapponese, rivelerà che il “Giappone reale” è stato solo una specie di sparring partner per la selezione ufficiale, chiederà a Ryoma di unirsi alla squadra; ma Ryoma, che nel frattempo è stato contattato dal nuovo coach dell’Uruguay, Jinnosuke Matilda, preferisce tornare in Sudamerica: sarà avversario del Giappone nella fase finale del World Youth. L’episodio qui narrato rielabora il capitolo di Captain Tsubasa World Youth in cui Ryoma, mentre si allena prima dell’incontro Giappone-Uruguay, incontra un cucciolo di cocker spaniel americano e il suo padroncino, e riflette sul tema dell’identità. Eh sì, il maestro Takahashi è un poeta. 2) Colonia del Sacramento è una città del sud dell’Uruguay, sull’estuario del Río de la Plata. 3) Simón Bolívar, detto el Libertador, è il protagonista del movimento che all’inizio del XIX secolo portò all’indipendenza di Venezuela, Colombia, Ecuador e Bolivia dalla Spagna. Il Che è Ernesto "Che" Guevara, che non credo abbia bisogno di presentazioni. 4) La Celeste è il nome della nazionale uruguayana, i cui colori sono maglia celeste e calzoncini e calzettoni neri. 5) Non ho inserito la traduzione delle frasi e delle espressioni in spagnolo perché, a mio parere, abbastanza intelligibili per tutti; ma se qualcuno ne sentisse la necessità, me lo faccia sapere.

 

Disclaimer. I diritti sulla storia di Captain Tsubasa appartengono al suo creatore Yoichi Takahashi e alle case editrici che la pubblicano nei vari paesi.

 
  
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