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Autore: Ita rb    27/09/2013    3 recensioni
[Pairing: 3x5]
Dal testo: Era soltanto un debole malinteso, eppure era bastato quello affinché gli animi si scaldassero tanto da portare a un punto di non ritorno – non a caso, tra di loro vi erano state così tante lotte intestine che neppure riuscivano a enumerarle a dovere; perciò sembrava che il fato avesse voluto sancire quale linea di confine fosse invalicabile per entrambi e questa si trovava di fatto nel loro punto d’incontro prediletto, laddove non si necessitava neppure di parole, ma solo di gesti inconsulti e scalmanati che si protraevano fintanto che la propria dominanza primeggiasse su quella dell’altro
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Genjo Sanzo Hoshi, Sha Gojio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, è tanto che non scrivo qualcosa per questo fandom e oggi mi è presa una strana voglia di tornare sui miei vecchi passi con una OS s’una delle mie coppie predilette, sebbene ormai sia incentrata più sulla Ukoku/Komyo; in questo caso si tratta di una 3x5 e spero davvero che vi piaccia.
Ho voluto far riferimento a una situazione indistinta, senza concentrarmi troppo sulla trama di sfondo, bensì sulle sensazioni, come facevo tempo addietro – ma non solo, anche sul dialogo, o per lo meno ho provato a farlo.
Xoxo
 
 
Era soltanto un debole malinteso, eppure era bastato quello affinché gli animi si scaldassero tanto da portare a un punto di non ritorno – non a caso, tra di loro vi erano state così tante lotte intestine che neppure riuscivano a enumerarle a dovere; perciò sembrava che il fato avesse voluto sancire quale linea di confine fosse invalicabile per entrambi e questa si trovava di fatto nel loro punto d’incontro prediletto, laddove non si necessitava neppure di parole, ma solo di gesti inconsulti e scalmanati che si protraevano fintanto che la propria dominanza primeggiasse su quella dell’altro.
Sin dall’inizio avevano compreso quanto quello fosse soltanto un gioco pericoloso, senza contraddizioni di sorta sulla linea del silenzio, ma nonostante tutto avevano continuato a prodigarsi per mantenere accesa la miccia fino all’esaurimento – e in quel momento sembrava molto vicino, mentre la sigaretta si serrava rigida tra le labbra fine del monaco, sotto la luce mattutina che brillava sul Togenkyo.
 
Il suo sguardo, glaciale a tagliente, non faceva che osservare il rosso con mesta acidità, spronandolo a giustificarsi quanto prima per l’irreparabile errore commesso, se non altro per coerenza; eppure, Gojyo aveva tutt’altro che voglia di chinare il capo dinanzi alle azioni del biondo, nonché alle sue pretese – perché nonostante avessero iniziato a far sì che tra di loro vi fosse un rapporto al di là della semplice convivenza di viaggio, nessuno dei due aveva chiaro in mente cosa questo concernesse nel dettaglio e stentava a dargli un nome che fosse identificabile col contesto in sé, poiché distorto appariva anche agli occhi dei protagonisti della vicenda.
Entrambi sapevano solo che era accaduto, come se nulla fosse, in una notte come tante altre, mentre il canto dei grilli, lontano e prominente, batteva contro i timpani fino a stridere di pari passo con la coscienza intonsa. Nessuno di loro aveva in mente cosa avrebbe significato un avvicinamento tale, ma era pur vero che se solo si fossero trattenuti oltre dal portarlo a compimento, qualcosa si sarebbe ugualmente infranto.
 
«Fa silenzio», sibilò d’un tratto il bonzo, assottigliando lo sguardo nella sera e osservando il riverbero della luce lunare che filtrava attraverso le fronde basse degli alberi. Quel luogo sembrava etereo e a sé stante dal complesso che avevano attraversato fino a quel momento, perché sebbene si fossero susseguiti scenari diversi uno dopo l’altro, quello in cui si trovavano al momento era distante anni luce dai precedenti.
Il busto nodoso dei cir1 si aggrovigliava sotto al tocco delle dita tese del mezzosangue che, curiosamente, aveva preso a scrutarne gl’intrecci, mentre camminava alle spalle del monaco silenzioso; allorché, d’un tratto, si ritrovò contro un esemplare di tale attrattiva, schiacciato quasi dall’irruenza di Sanzo che, dopo essersi voltato verso di lui, aveva afferrato la canotta chiara per strattonarla vicino al suo volto, premendovi contro il proprio.
 
Le sue labbra erano calde e amare, sapevano un poco di tabacco, ma le ultime sigarette che aveva fumato risalivano a quella mattina, poiché questo le aveva terminate in un attacco di nervosismo all’interno della stessa jeep che li scarrozzava verso ovest. Non aveva aperto bocca in merito, ma agli occhi di Gojyo era evidente la sua astinenza da nicotina, tant’è che sembrò desiderare quella sulla sua lingua, quando, schiudendo le labbra per approfondire con irruenza il bacio perentorio, aveva cercato quell’organo umido e sensuale nel caldo incavo orale.
 
«Non ho aperto bocca», si giustificò mestamente, grugnendo appena, dopo aver posato la fronte contro quella dell’altro in un motto d’ilarità a stento trattenuto oltre il sogghigno tenue che aveva montato sulla sua espressione maliziosa – era il condimento perfetto e perfino Sanzo ne era ammaliato, così come molte donne prima di lui.
Già, le donne: era quello il problema vero e proprio al momento, dato che da giorni, Gojyo non faceva che parlare di quanto avesse voluto immergersi nelle loro grazie che, a quanto pare, gli facevano provare una gran nostalgia, mentre sfogliava una delle poche riviste osé che si era concesso prima di partire per il lungo viaggio.
«Io ti ho sentito lo stesso», sbottò acidamente il biondo, serrando le palpebre con una sorta di malizia, mentre si chiedeva cosa mai stesse passando per la testa dell’altro in quell’esatto momento.
Era erotismo mal celato, ciò che sembrava fluire via dalle sue iridi vermiglie, o forse sfida? Non sapeva dirlo con certezza e di sicuro non glielo avrebbe chiesto se non con un broncio degno di nota.
«Forse perché siamo così vicini, bonzo corrotto», sussurrò malizioso, allargando un po’ il ghigno che aveva dipinto in volto, prima di sentire l’altro allontanarsi un poco da lui, bruscamente, così come l’aveva strattonato a sé all’inizio.
Retrocesse di un passo, senza dire nulla, osservando il suo interlocutore con una vena fugace d’irritazione, prima d’incrociare le braccia al petto, negandogli ogni possibilità di risposta – di sicuro non l’avrebbe ascoltato e quel malinteso non avrebbe volto in nessuna direzione, sebbene in realtà desiderasse dar voce a se stesso in qualche modo.
«Idiota!»
«Hai paura che qualcuno venga a conoscenza delle perversioni del venerabile Sanzo?» Domandò cinicamente il rosso, portandosi una mano al mento con fare indagatore, più che altro intenzionato a spingere il biondo a mostrarsi scoperto di fronte a lui; eppure, nonostante le sue iniziali certezze, tutto gli parve quasi perdere di significato quando lo vide arricciare il naso con indignazione.
«Affatto,» disse subito l’interpellato, volgendo altrove lo sguardo giusto per non avere dinanzi quello del mezzosangue «dal momento che non ho mai tenuto conto di nessuno, non vedo perché iniziare a farlo adesso.»
Gojyo scosse il capo, vistosamente turbato dalla situazione, conscio della propria attrazione nei confronti del monaco che, sebbene inizialmente non avesse avuto risvolti oltre quelli istintuali che non si erano neppure sfogati del tutto, sembrava totalmente repressa a causa del modo di fare altrui. «Perché la cosa riguarda anche me», tentò di dire, vedendo l’altro sollevare un sopracciglio, non convinto della questione appena palesata.
«Allora sei tu a voler tenere nascosto qualcosa a qualcuno,» fece «non io.»
«Ti sbagli», sbuffò a quel punto il rosso, restringendo lo sguardo e scostandosi dal tronco dell’albero solo per fissarlo da una posizione più consona alla propria altezza.
«Forse non ti piace la piega che hanno preso quest’incontri», ghignò ironicamente il bonzo, osservando come la fronte dell’altro si aggrottasse istintivamente; allorché, anche Gojyo decise di troncare quel discorso il prima possibile, mettendo bene in chiaro la situazione, affinché nessuno dei due ne rimanesse in qualche modo scottato.
«Perché, ci siamo mai incontrati intenzionalmente noi?»
«No», disse secco l’interpellato, senza pensarci troppo su, cercando poi le sigarette nella manica larga della veste monacale solo per rendersi poi conto di non averle con sé per ovvi motivi, imprecando sottovoce.
«Allora sta zitto», lo sbeffeggiò il rosso, offrendone all’altro una delle proprie solo per vedere le sue sopracciglia aggrottate per l’orrore che, volente o nolente, avrebbe dovuto respirare per forza di cose, se mai l’astinenza da nicotina fosse stata tanto grande da non poter resistere oltre – ed era meglio che lo facesse a quel punto, lontano dagli occhi di tutti, altrimenti le battute del mezzo demone si sarebbero protratte così a lungo durante la giornate che lo stesso Sanzo avrebbe fatto di tutto per metterlo a tacere con qualche minaccia o colpo ben assestato.
«Chiudi il becco, ero kappa», disse torvo, allungando le dita dopo un attimo di titubanza, solo per raggiungere il pacchetto di Hi-Lite che gli veniva offerto non nonchalance dal rosso; dopodiché estrasse una sigaretta dallo stesso, osservandola di sbieco, indeciso da farsi, prima di portarla alle labbra e accenderla.
Il sapore del tabacco di Gojyo era decisamente più forte e gli attecchiva perfettamente alla gola, stridendo fastidiosamente contro la stessa fino ad arrossarla: l’aveva scoperto solo dopo aver iniziato il viaggio verso ovest e ogni volta che capitava una simile circostanza non poteva fare a meno che aspirare inorridito.
 
«Insomma, c’è niente che devi dirmi?» Lo spronò poco dopo, portandosi una mano alla testa, vagamente infastidito dal trambusto che aveva creato pur restando in silenzio, svegliandolo nel modo più antipatico possibile nel cuore della notte – infatti, Sanzo non aveva potuto fare a meno di tirargli i capelli fin quando questi, strattonati verso l’alto, non avessero iniziato a far dolere la cute del rosso, svegliandolo con un mugolio infastidito solo per far sì che i suoi occhi vedessero la figura del bonzo, prima di tentare di urlargli qualcosa in merito alla scorrettezza con la quale si era comportato nei suoi confronti; c’era da dire, però, che il monaco non aveva atteso due volte, prima di tappargli la bocca con un gesto indelicato, strattonandolo verso l’alto ancora una volta per spingerlo a distanziarsi dal luogo di riposo che avevano momentaneamente adottato nei pressi di una radura.
«Dovrei dirti qualcosa?»
Gojyo sollevò un sopracciglio, irritato, comprendendo perfettamente che l’altro stesse nascondendo qualcosa o che, semplicemente, stentasse a dirlo apertamente per uno dei suoi soliti e indicibili motivi che lo spingevano al silenzio. «Mi hai portato fin qui solo per fare una scampagnata, allora», sbottò poco dopo, aspramente, sentendo l’ironia pungente del biondo colpirlo poco dopo:
«Avevi dubbi?»
«Potevi portarti dietro la baka saru», disse ancora, cercando di far volgere l’argomentazione a suo vantaggio, perché sebbene le apparenze ingannassero di continuo, Gojyo sapeva essere un gran stratega a volte – soprattutto se la cosa lo riguardava in prima persona.
«Non mi andava di sentire le sue lamentele in proposito», spiegò semplicemente il monaco, tirando una nuova e fastidiosa boccata di fumo dall’Hi-Lite che stringeva tra le dita con nonchalance.
«Non credo che si lamenterebbe troppo se avessi nei suoi riguardi un briciolo di voglia che mostri nei miei», ghignò poi, cercando nuovamente di attirare l’attenzione dell’altro che, sebbene in un primo momento stentò a dedicarsi a lui, subito dopo gli si gettò contro con rabbia quasi.
«Voglia di cosa?» Chiese, furibondo, mentre si accigliava ancora di più, se possibile.
«Di qualsiasi cosa, perfino di baciarmi e sentire il sapore delle mie labbra…» fece malizioso, avvicinandosi a lui con fare carismatico, come se volesse convincerlo lui stesso delle parole appena pronunciate, pur essendo consapevole che queste non fossero lontane dalla realtà «… voglia di me.»
«Sei ridicolo», disse Sanzo, muovendo un passo verso sinistra, togliendoselo di dosso dopo aver lasciato che il fumo della sigaretta fluisse via dalle sue labbra schiuse nella direzione del rosso, accattivandosi così la sua attenzione, pur non volendo farlo con malizia.
«Non credo proprio,» rispose «non sono io quello che fa azioni sconsiderate, negando di averle fatte», rimarcò subito dopo, volendo sottolineare che il primo ad essersi avvicinato a lui quella sera, come molto tempo prima, fosse stato proprio il biondo.
«Credi che le mie azioni siano sconsiderate?»
Dal canto suo, Gojyo poté soltanto sollevare le spalle con fare noncurante a quella domanda insidiosa, sapendo bene che fosse volta allo scopo di prenderlo in fallo; così, poco dopo, non si lasciò sfuggire l’occasione di dire: «Lo sono sempre.»
«Come le tue», lo rimbeccò prontamente il bonzo, fissandolo di sottecchi solo per voler stabilire una distanza tra di loro.
«Se lo fossero, temo che te ne saresti già accorto…» sussurrò «… sono un galantuomo, dopo tutto», fece ancora, volendo giustamente rimarcare il fatto che le azioni sconsiderate di cui parlava il monaco fossero le stesse che lo implicavano in una relazione lunga non più di una notte con qualche bella donna di paese che aveva incontrato durante il viaggio verso ovest; allora, Sanzo, comprendendo la sottile ironia del mezzosangue, storse il naso infastidito, scostando la sigaretta ancora una volta dalle labbra, serrandola tra indice e pollice, con fare di sfida e ben più mascolino del solito.
«E io non sono una donna», disse poco dopo, a dimostrazione del fatto che le allusioni di Gojyo fossero totalmente fuori luogo nei suoi confronti; ma quando il mezzo demone se ne rese conto, non riuscì a fare a meno di sorridere ancora una volta con leggera malizia:
«Questo, ancora, è da dimostrare.»
«Fottiti!»
La risposta incisiva del bonzo lo colpì in pieno, mentre sputava fumo dalla bocca come fossero fiamme; dopodiché, istintivamente, Gojyo non riuscì a trattenere i suoi istinti, dando così adito alle parole dell’altro con uno scopo ben preciso: non essere ritenuto ingiustamente ciò che non era e se proprio doveva apparire subdolo agli occhi di Sanzo, quantomeno avrebbe avuto una motivazione cui attingere.
 
Lo afferrò per un braccio, vedendolo vacillare un poco, mentre veniva strattonato tra i rami bassi e gracchianti di un albero vicino; allorché sentì l’odore dell’Hi-Lite nell’aria e quel debole mugolio infastidito che fuoriuscì dalle sue labbra fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Lo baciò, senza preavviso, proprio come aveva fatto il monaco poco prima, imprimendovi maggior cura, mentre carezzava appena la mandibola del biondo con una mano, voluttuosamente, serrando poi i polpastrelli attorno alla cute chiara e tenendolo saldamente vicino a sé.
Non si mosse, lasciò che quel contatto si propagasse a macchia d’olio nelle sue membra, lungo le vene e le terminazioni nervose, fino a farlo fremere un poco; allora decise d’interrompere il tutto, quando il respiro parve mancargli nel petto a discapito di quello un po’ più accelerato del rosso che premeva sul suo volto.
 
«E questo cosa significa?» Chiese poco dopo, fissandolo con occhi sgranati, come a voler sottolineare che fosse solo lui in grado di comandare a bacchetta le reazioni fisiologiche di entrambi – eppure sbagliava, perché anche solo osservandolo, Gojyo poteva vedere una bellezza tale da fargli venire alla mente chissà quali e quanti giochi da esperimentare in sua compagnia; non a caso a lui sarebbe piaciuto provare l’ebbrezza di una relazione diversa dal solito e non ne faceva mistero, sebbene al contempo non avesse motivo di dirlo apertamente.
«Significa che ho semplicemente voglia di darti fastidio, bonzo corrotto», lo schernì subito dopo, allontanandosi da lui al seguito del contatto con i palmi del biondo sul suo petto, gli stessi che lo spronavano ad allontanarsi prima dell’inevitabile.
«Avevo notato che fosse una tua prerogativa sin dai tempi più remoti, ma non immaginavo fino a tal punto», ironizzò il bonzo, tirando un’ultima boccata di fumo dalla sigaretta che, poco dopo, gli fu strappata di mano dal mezzosangue.
«Non essere così cinico», fece a sua volta, portando l’Hi-Lite alle labbra e aspirando una grande boccata di tabacco bruciato che, condensandosi nei suoi polmoni anneriti, uscì candida dalle sue labbra qualche istante dopo.
«Non sono cinico», ribatté subito l’interpellato, infastidito dal fatto che l’unica fonte di nicotina fosse nuovamente in possesso del rosso; ma non disse nulla, sbuffando infastidito e dandogli le spalle per tornare da dove erano venuti, ancor più irritato che in principio.
«A me sembra esattamente il contrario», disse Gojyo a qualche passo di distanza da lui, prima di sentire la voce tonante del biondo rispondere alla sua affermazione:
«Opinabile.»
«Non proprio», ghignò, lasciando cadere in terra la sigaretta e spengendola con la suola dello stivale scuro, prima di scuotere la testa con un sospiro irritato.
 
Quella notte, nessuno dei due aveva fatto in modo che l’argomento venisse realmente in superficie e forse era stato meglio così, perché toccarlo nuovamente sarebbe stato pressoché inutile, se non indice di una strana e masochistica voglia di chiudere ogni qualsivoglia tipo di rapporto potesse intercorrere tra di loro.

 
 
1 Con il nome di cir vengono appellate buona parte delle conifere montane, siano esse pini, abeti o picee.
   
 
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