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Autore: Sophie Pratt    27/09/2013    2 recensioni
“Sai… come ci si sente a svegliarsi la mattina soli, in una stanza così…troppo piena di ricordi? In cui ogni singolo dannatissimo oggetto ti ricorda una delle infinite cose che gli avresti dovuto dire, ma che non potrai mai più fargli sapere? Ti auguro di non provarlo mai. Ti fa sentire così impotente, e solo, che desidereresti essere morto al posto suo. E questo ti fa sentire ancora peggio, perché in quel caso, la sofferenza sarebbe stata sua. Non posso vivere così, Harry. Non voglio vivere così. Aiutami a trovarla. E a raggiungere Sherlock.
Perché lo raggiungerò.
In questo mondo o nell’altro…”
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Erano la 4:30: mancava ancora mezzora prima del fatidico incontro.
 John non riusciva a stare fermo.
Sedette sulla sua poltrona, prese in mano il Cavillo e lesse il titolo.
“LA BATTAGLIA DI HOGWARTS E’ VINTA: IL SIGNORE OSCURO SCONFITTO PER SEMPRE”
Non riusciva a leggere, le mai gli tremavano per l’emozione.
Alzò il capo e il suo sguardo si posò su quell’impertinente smile giallo pieno di fori di proiettile.
Un sorriso gli si stampò sul volto, ma subito il ricordo dell’amico perduto lo travolse: troppi ricordi per riuscire ad arginarli, troppo dolore per essere ignorato.
Le lacrime iniziarono a scorrere lungo il suo volto, calde sulla pelle liscia.
Le mani coprivano il viso, come una primordiale barriera verso il mondo.
Rimase lì. In silenzio.
Minuto dopo minuto.
Un trillo acuto risuonò nella stanza.
John si asciugò gli occhi arrossati e cercò di darsi un contegno, senza successo.
Si diresse alla porta, svuotato di ogni sentimento.
Non aveva la forza, né il coraggio di sorridere. Non ne aveva motivo.
 Né di piangere, troppe lacrime erano state versate, era come prosciugato.
Aprì la porta.
“Harry. Che piacere. Ti ringrazio di aver accolto la mia richiesta di aiuto.”
“John!” Harry entrò nella stanza con un cenno del capo, la cicatrice rosseggiva sulla fronte pallida.
“Dimmi, in cosa posso esserti utile.”
“Lo sai benissimo.”
“No, John. Non puoi chiedremela. Ti faresti solo del male. E comunque non so dove sia. L’ho gettata a terra, ormai è perduta.
E lo è anche Sherlock.  Devi rassegnarti, come ho fatto io.”
“NO! Non puoi dirlo! Dopo tutto questo non puoi dirlo! Tu li hai rivisti, hai detto loro addio, hai guardato i loro occhi… solo un’ ultima volta.
E’ quello di cui ho bisogno. Solo un ultimo saluto.”
“No, John, non posso aiutarti.”
“Sai… come ci si sente a svegliarsi la mattina soli, in una stanza così…troppo piena di ricordi?
In cui ogni singolo dannatissimo oggetto ti ricorda una delle infinite cose che gli avresti dovuto dire, ma che non potrai mai più fargli sapere?
Ti auguro di non provarlo mai. Ti fa sentire così impotente, e solo, che desidereresti essere morto al posto suo.
E questo ti fa sentire ancora peggio, perché in quel caso, la sofferenza sarebbe stata sua.
 Non posso vivere così, Harry.
Non voglio vivere così.
Aiutami a trovarla, e a raggiungere Sherlock.
Perché lo raggiungerò.
In questo mondo o nell’altro.”
Gli occhi arrossati di John si inumidirono ed iniziarono a sgorgare lacrime.
Il silenzio si insinuò tra i due, come una animale impaurito, pronto a scappare al primo lieve suono.
“D’accordo.”
John sollevò il capo, incerto. Sembrava incredulo, come se fosse un sogno, pronto ad essere squarciato dalla dura realtà.
Ma Harry era lì, proprio davanti a lui, e lo fissava risoluto attraverso le lenti di qui suoi leggendari occhiali tondi.
“Grazie”.
Quella semplice parola non poteva esprimere nemmeno una parte infinitesimale del turbinio di sentimenti che John provava: gratitudine, ansia, trepidazione…amore…
Harry si alzò e tese la sua mano a John.
Con un respiro profondo la prese, e si smaterializzarono.
 
 
 
Si trovavano in un bosco, nell’oscurità.
Harry estrasse prontamente la bacchetta, e con un frettoloso “Lumos” portò la luce nell’oscurità della notte.
Tutto era bagnato dall’innaturale luce bluastra delle bacchette.
I loro corpi gettavano ombre sinuose sul terreno accidentato.
Passarono la notte a disaminare l’intera zona, minuto dopo minuto, ora dopo ora…
Fino a quando Harry si alzò, serio.
“Eccola.”
Si avvicinò a John, che immobile e titubante osservava la scena come di lontano.
Harry gli prese la mano sinistra.
Era gelida e pallida.
La aprì con cautela e vi lasciò cadere la fredda,nera pietra.
La pietra della resurrezione.
Richiuse la mano sulla pietra, chiuse gli occhi e si allontanò a grandi passi.
Sentì in lontananza Harry che si smaterializzava.
Era solo.
Dopo tre respiri profondi portò la mano che teneva la pietra al petto.
Tutto il turbinio dei suoi sentimenti era incanalato in quel piccolo sasso.
John sapeva che se fossero stati materiali, sarebbe esploso.
Distrutto in mille brillanti pezzi.
Con un sorriso chiuse gli occhi.
 
Li riaprì…
 
Davanti a lui non c’era nulla.
Solo il bosco.
E il silenzio.
E la solitudine.
Respirò e provò di nuovo.
E un’altra volta ancora.
E ancora e ancora, fino a farsi sanguinare il palmo della mano.
Abbassò lo sguardo.
Le nocche erano sbiancate dalla forza con cui stringeva quell’insignificante pietruzza.
Rivoli di rosso, sangue caldo colavano dal pugno chiuso.
Lasciò il braccio ricadere lungo il fianco inerte.
Aprì il pugno.
La pietra rotolò a terra, persa nelle tenebre del sottobosco.
Con una live torsione del polso spense la bacchetta.
E, con un sospiro di amara delusione, si incamminò.
Solo.
Nell’oscurità.
  
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