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Autore: Ita rb    28/09/2013    5 recensioni
Dal testo: Rintoccava una dopo l’altra, quella sferzata che lo colpiva all’anima, annichilendolo e marchiandolo a fuoco, segnandogli nel corpo quanto nello spirito che il possesso della sua persona appartenesse unicamente a Lui.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cesare Borgia, Micheletto Corella
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Salve a tutti, ammetto di essere nuova del fandom, ma credo che presto o tardi mi farò viva, leggendo qui e là cosa è stato postato in questa bellissima sezione. Sono amante dello slash e non posso certamente negarlo, perciò mi piace vedere tra i personaggi citati una sorta di rapporto contrastato e assurdo, se vogliamo.
Mi sono distrutta da sola quando, nella terza serie, ho assistito al suicidio di Michelotto, perché a mio avviso era uno dei personaggi più accattivanti ed ermetici della serie, sebbene siano tutti strutturati egregiamente – a modo loro, devo dire che mi piacciono tutti e così anche i pairing, anche perché sarebbe assurdo limitarsi in un contesto come questo.
Spero che questo mio esperimento possa piacervi: sono una persona a cui piace navigare nell’angst e nell’introspezione, perciò, generalmente, sono questi i temi che tratto con maggior frequenza nelle mie fan fiction e non escludo di scrivere ancora in questo fandom, se mai ne avrò l’ispirazione – il che non è strettamente legato alle letture, perché proprio qualche oretta fa mi sono chiesta come mai non fossi acora approdata qui dopo anni, lol ~
Ho seguito la serie sottotitolata, anche perché adoro tutti gli attori presenti e mi piace vederli recitare nella loro lingua originale – mi affascina seguire le espressioni e i toni di voce di chi si da tanta pena per interpretare un personaggio dall’inizio alla fine, pur rispettando il lavoro dei doppiatori che non sempre viene elogiato.
Posso solo dire che ho usato nel finale della storia un pezzo tratto dall’episodio 3x09.
Detto questo vi saluto!
Xoxo
 


Quella era una sensazione che si portava dietro da quando l’aveva incontrato la prima volta, provando nei suoi confronti una sorta di attrazione quasi magnetica, ma stentava tutt’ora a comprendere da dove questa provenisse realmente – non era certo sua intenzione porre una figura di rilievo come la Sua dinanzi alla cruda realtà dei fatti e perfino gl’interessi personali dell’ambito privato e sessuale concernevano le due figure in modi altrettanto palesi quanto divergenti.
Nonostante ciò, Michelotto non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, quando l’osservava cavalcare dinanzi a sé, mentre l’andatura dello stallone sembrava far ancheggiare quell’uomo in maniera quasi singolare. Perfino quando le sue labbra si bagnavano del buon vino di fronte a lui, sorseggiandolo dalla coppa ecclesiastica per nutrirsi del sangue divino, questo riusciva a scorgere un qualcosa di erotico nel suo sguardo chiaro, al di là dello spazio che li divideva indissolubilmente.
Sapeva essergli lontano tanto quanto vicino, perché a lui bastava un solo cenno del capo per intuirne le intenzioni; ma dopo tutto era solo la sua ombra e restando tale avrebbe dovuto perseverare sulla strada dell’assenza per stargli accanto. Bastava quello, a volte, per fargli stringere il cuore nel petto: la consapevolezza che ogni sguardo sarebbe arrivato al destinatario come un torvo supplizio cui doveva far capo per non mettere a repentaglio la propria esistenza in quella carriera che gli andava troppo stretta.
Cesare sapeva essere così sensuale a volte, mentre rudemente si toglieva di dosso la veste color porpora solo per gettarla s’una sedia vicina, impreziosita d’un broccato senza eguali – e lui poteva solo continuare a osservarlo, chiamandolo my Lord, perché quel solo titolo sarebbe bastato a sanare il vuoto che li divideva come alte mura di cinta che, nonostante tutto, erano invalicabili anche per lui che appariva come il più silenzioso dei sicari.
Non aveva diritti su quell’uomo, se non quello di proteggerlo e sporcarsi di sangue al suo posto, macchiando le sue mani già sporche d’altra vita indegna come la propria. Nessuno l’avrebbe ricordato, se non nell’attimo dell’estrema unzione della sua lama, prima ancora che questa affondasse contro le carni altrui senza ritegno – eccetto Lui. Per lo meno, quella era una consolazione più che sufficiente per far sì che Michelotto continuasse a stagnare nel suo stesso fango, anteponendo i bisogni altrui a quelli che lo riguardavano in prima persona.
Una creatura come lui, fatta di cenere e polvere, poteva solo aspettare all’angolo della strada che qualcuno si avvicinasse a tal punto d’essere ferito a morte, per sanare certi bisogni; eppure, nel putrido abbraccio della morte, niente e nessuno sapeva dettare quanto la distanza separasse il buio dalla luce. Era quello, ormai, il suo unico diletto: passare inosservato per azzannare alla gola, assaltando alle spalle nel modo più vile, qualora gli fosse stato richiesto; ma nonostante ciò, la situazione era in pieno stallo e camminando ai margine della strada, mentre l’olezzo della povertà lo assaliva quasi come un ricordo, si perdeva nel nulla fino a scomparire nello stesso pur di rimanergli devoto.
Non esistevano luoghi in cui non ricordasse la sua voce e il suono della frusta sulle sue spalle, mentre chiedeva un ulteriore punizione per non aver adempiuto all’incarico come di dovere. Rintoccava una dopo l’altra, quella sferzata che lo colpiva all’anima, annichilendolo e marchiandolo a fuoco, segnandogli nel corpo quanto nello spirito che il possesso della sua persona appartenesse unicamente a Lui.
Se lo ripeteva sempre, senza aprir bocca, senza pronunciare una sola parola in merito agli sconvolgenti dettami che la famiglia Borgia si tramandava in segreto nelle stanze da letto più discusse di tutta Roma: Cesare era il suo signore e come tale, se avesse osato disobbedirgli, la sua pena sarebbe stata innegabilmente atroce, giacché il perdono non era contemplato in nessun verso. Tradire non sarebbe mai stato un atto giustificabile dalla devozione cui aveva fatto riferimento dal principio, pur omettendo piccoli e insignificanti dettagli sulla sua persona – dopo tutto, se mai fosse stato qualcuno al di fuori delle mura di Forlì, Michelotto si sarebbe comunque annientato pur di non gettare fango sul nome esemplare che ambiva alla scalata; eppure, tutto ciò gli sembrava improvvisamente vuoto di fronte a quello sguardo silente che sapeva di rassegnazione.
Il freddo sapeva trascendere lo spazio e il tempo, coordinandosi con le carni umane solo per renderle liquide poco dopo; allora, mentre quei tenui singhiozzi riempivano l’aria della stanza, saturi di un desiderio leggero e forse egoistico, il suo cuore prese a battere in più d’una direzione, mentre si agitava contro le travi di legno del soffitto, gemendo in basso, sulle assi tarlate del pavimento.
Avrebbe potuto dire qualunque cosa a quel punto, rinnegando le stesse sensazioni che per lungo tempo si era tenuto lontano per impedire che simili bassezze potessero capitare proprio a lui, però non riuscì a farlo e gli unici gesti che aveva imparato, quei pochi e soavi riflessi dell’inconscio, ebbero modo di salutarlo:
addio.
 
L’avanzata sembrava quasi frenetica, mentre quello sciame d’insignificanti moscerini gli ballonzolava dietro, fondendosi al suo seguito come se nulla fosse e assumendo un ruolo che neppure gli era stato assegnato, se non casualmente. Nessuno di loro avrebbe potuto trovare Michelotto e di fatto non erano riusciti nell’intento: quell’unico e capriccioso ordine che Cesare Borgia aveva borbottato pesantemente solo qualche ora prima.
«Dunque, mi avete detto di averlo cercato?» Chiese, titubante e vagamente cinico, mentre lasciava che la suola degli stivali facesse scricchiolare gli scalini in legno che li avrebbero condotti al piano superiore di quell’assurda stamberga dove sapeva di poter trovare la sua ombra. Aveva una pessima sensazione all’altezza dello stomaco, la stessa che si era poi diramata come un groppo in gola, mentre avanzava con il suo seguito fidato verso l’unico posto in grado di dargli una certezza; eppure desiderava ricacciare indietro ogni fondamento negativo, per lo meno fin quando i suoi stessi occhi non si fossero accertati del tradimento che tutti andavano mormorando alle sue spalle – non che fosse impazzito, ma aveva come l’impressione che quegli sciacalli non pensassero ad altro che sostituire Michelotto.
«Fin dal mattino», disse una voce alle sue spalle, una delle tante che si assottigliavano nel silenzio della mansarda, fintanto che Cesare avanzava spedito su quelle assi traballanti. «È scomparso senza lasciare traccia», aggiunse lo stesso uomo che, prontamente, venne quasi sbeffeggiato con sarcasmo dalla voce del giovane e promettente guerriero.
«Non troverete alcuna traccia,» disse «a meno che non sia lui a volerlo», aggiunse poi, sentendo morire l’aria nei polmoni di fronte alla scena che aveva dinanzi.
Dovette battere le palpebre un paio di volte per comprendere che ciò che si presentava di fronte a lui non fosse altro che un assurdo scherzo della sua ombra, ma era oltremodo risaputo che questa non godesse della sua stessa ironia, meno che mai di uno humor così nero da far gelare il sangue nelle vene.
Era lì, steso supino in terra, con le piante scalze e le braccia aperte; sembrava che qualcuno o qualcosa l’avesse messo in croce e, mentre Cesare avanzava a stento in quel luogo stantio cui ristagnava l’odore marcio del sangue rappreso sulla polvere che ricopriva il suolo, una scritta spicco ai suoi occhi come se avesse voluto accecarlo: addio.
Non comprese subito il senso di quel messaggio, o per lo meno desiderava non farlo, perché se solo avesse concesso alla sua mente di spaziare fino a raggiungerlo davvero, probabilmente quel groppo che aveva in gola e che continuava a raschiare con rabbia, sarebbe esploso.
«Il suo unico codice era la lealtà», ammise in tono sommesso, mentre il silenzio regnava sovrano nella stanza, seguendo il suono dei suoi passi attraverso un’indagine circoscritta; allora, casualmente, il disprezzo di Cesare venne a galla quando, camminando verso la sua ombra, la pelle corvina degli stivali urtò la punta d’un piede della spia, prima ancora che questo riuscisse a chinarsi in terra per raccogliere l’arma del delitto imperfetto che Michelotto aveva portato a compimento in suo nome.
Stretto tra le sue mani, il rasoio sporco di sangue sarebbe potuto essere un macabro feticcio del legame che li aveva appena separati, un monito da rammentare mentre avanzava spedito verso la conquista dei suoi obbiettivi – ora, anche le sue dita erano veramente macchiate e non del fratricidio cui si era reso partecipe a discapito di Juan, bensì dell’errore più grande della sua stessa esistenza.
Era furibondo e deluso, ma sapeva che nessuno sarebbe stato in grado di far sfogare la sua frustrazione, perché nessuno avrebbe potuto prendere il suo posto; così, mentre serrava la mandibola, deglutendo a stento, un bagliore pallido guizzò al di là delle ciglia tremanti, prima che questa si chiudessero indignate. «Uno di voi può sostituirlo?» Domandò con scherno nei confronti dei presenti che tanto avevano auspicato in qualcosa del genere per progredire a loro volta, prendendo il suo posto accanto al grande Cesare Borgia.
«My Lord…» azzardò una voce, subito dopo, mentre stava scendendo le scale a discapito della proposta appena fatta – probabilmente, qualcuno aveva colto la palla al balzo per farsi avanti o per porre assurde domande di circostanza; ma lui non avrebbe dato adito a nulla del genere, fin troppo amareggiato da quel nodo che curiosamente aveva deciso di non abbandonare la sua gola, strozzandolo.
Quella non era la voce di Michelotto e solo sentirsi chiamare a quel modo gli faceva accapponare la pelle dal disgusto.
«Non provate nemmeno a rispondermi», fece, furibondo, voltandosi a guardarli malamente uno a uno, senza comprendere bene chi fosse stato l’impavido in grado di una simile nefandezza. «Partiamo per Napoli entro un’ora.»
 
Addio.
   
 
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