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Autore: Mikaeru    28/03/2008    8 recensioni
Il nero è il colore del buio.
I bambini hanno una terribile paura del buio.
Eppure lui – nonostante il volto da fanciullo – ha voluto entrarvi, ed esplorarlo. E lì vi rimane.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il nero non è un colore.
E' l'assenza di essi.
E' l'assorbimento di tutti loro.
E' come un infinito buco.
E' il vuoto.
 

C'è in lui la paura di essere assorbito, di venir risucchiato da quegli occhi.
Neri, profondamente neri. Così scuri da mettere in dubbio la presenza di una pupilla.
 

"Tremi."
Sono tocchi, soltanto tocchi.
Ma pare che, dalle lunghe dita forti, esca della tempera, dell'inchiostro. Pesante, opprimente.
Intorno alla gola, a stringere, stringere – fin dentro i polmoni, ad opprimerli, a strozzarli – e gli risulta facile come togliere il respiro ad un bambino addormentato.

Stai soffocando, Fullmetal.
"Non dica cazzate."
Cos'è più forte in te, l'orgoglio o il soffocare lento?
"E' vero."
Detesta che lui abbia ragione.
"Forse tremo perchè lei mi ripugna fino a questo punto."
Soprattutto, detesta dargliela.
"Non dire cazzate."
Ed è solo veleno bianco quel che esce dalle labbra, che come un ragno gli cammina lungo la gola.
"E' così privo di idee sue da dovermi perfino copiare le frasi?"
E l’acido coprirà la sua paura.
"Taci, cazzo."
 

Anche le sue labbra sembrano nere, mentre lo bacia. Lasciano marchi, impronte indelebili sul suo viso – bruceranno per giorni, come tracce di un incendio, e ogni volta che le sue dita capiteranno lì avrà un sussulto per il dolore.
Allora il più giovane non riesce a dischiudere le labbra.
Nero.
Nero.
Nero.
Talmente tanto da fargli paura.
La bocca rimane serrata, le labbra come cucite tra loro, e uccide persino le parole, e i caduti rantolano sulla lingua attaccata al palato. Le membra non smettono di tremare.
Contro il muro non ha possibilità di fuggire.
Sta soffocando.
Sta soffocando.

Sto soffocando.
Era quasi consistente. Una mano intorno al collo, una tarantola, un tumore.
Un grosso, enorme cancro che lo stava uccidendo da dentro, mangiandogli gli organi, i polmoni per primi, impedendogli di continuare a vivere.

Come aperto in due.
Si sente così.
Diciott’anni, l’esperienza del mondo che gli grava sulle spalle come un macigno – come un universo intero che concentra tutto il proprio enorme peso sulle sue ossa, rese forti dalle continue intemperie (ed insieme fragili, friabili) – e il tremolio costante delle membra.
Come aperto in due.
Il dolore che si diffonde come una macchia di petrolio – con la stessa, terribile velocità.
“Ti fa male?”
Non ha mai sentito da lui frasi del genere. Gli sembrano così terribilmente fuori personaggio, che gli viene da chiedersi se non sia solo gentilezza forzata, dettata dalla situazione, falsa. E questo glielo rende ancor più odioso.
“Le interesserebbe?”
Si morde un labbro e serra gli occhi, cosicché non esca neppure una lacrima delle cento che urlano per rotolargli sulle gote.
Il maggiore sputa un sibilo di strana natura, non disprezzo, come di rassegnazione – arreso alla triste constatazione che quello, quel bambino che recita una parte da adulto che invece gli sta così male – che così tanto stona con tutta la sua persona, e non capisce perché non riesca a comportarsi come uno della sua età, senza sforzarsi e rendersi ridicolo, nuotando in quei pantaloni enormi che sono i trent’anni per cui si atteggia –, non accetterà mai un gesto, una parola gentile senza sospettare alcunché. È impossibile.
“Non lo puoi sapere.”
E una nota di dolore si aggiunge alla sgangherata melodia che cigola nelle ossa del Fullmetal.

 

Non è vero interesse il suo. Ne sono certo. Non sono altro che un corpo, per lui. Ne sono certo.
Essendo Edward votato alla diffidenza con ogni essere umano, non riesce a pensare altro che male.

Gli piace recitare la parte dell’adulto premuroso. Crede di fregarsi, così.
È terribilmente difficile fidarsi di qualcuno, vero Edward?

Lo odio, ne sono certo.
È arduo quasi quanto far cadere le proprie certezze per propria volontà, vero?

È solo piacere fisico, questo. Nient’altro.

 
“Stai bene?”
“La smetta di chiedere certe idiozie.”
“E tu smettila di essere così irrispettoso.”
“Non rompa i coglioni, per favore.”
“Aah, fottiti, non so neppure perché sto a preoccuparmi. Cazzi tuoi, se ti si è sfondato il culo.” 
 

Non c’è altro che nero in lui. Nient’altro che questo.  Ne era sicuro.
Smetti di tremare, stupido corpo inutile!
“Ti ho fatto male.”
Non è più una domanda – inutile farle, come palline rimbalzerebbero sul muro del suo silenzio per tornargli in faccia – ma un’affermazione, a lui risponde con una scrollata di spalle.
“E quindi?”
L’altro, tacendo, gli stringe le spalle da dietro, senza emettere un fiato, quasi senza respirargli contro. E le lacrime del bambino escono mute anch’esse, senza far nient’altro che bagnargli le gote.

 
“Perché sei venuto da me?”
“A scuola non le hanno mai fatto il discorso delle apette e i fiorellini, vero?”
“Fanculo, stupido.”
“Se è intelligente almeno la metà di quanto si atteggia, lo capisca da solo e mi lasci in pace.”
“Tu mi odi.”
“Non la sopporto.”
“Appunto.”
“Tendo a scindere corpo e anima.”
“Cos’hai seguito?”
“Indovini, idiota.”
“… ti ho fatto male?”
“Hanno sempre detto che la prima volta fa male. Cazzi miei, no? L’hai detto tu.”

È così bravo a fare finta.
“Credi che stia fingendo, vero?”
“E’ ovvio.”
“Perché?”
“Perché sì.”
“Non mi sembra una risposta.”
“Chissenefrega?”
“Fottiti.”
“L’ha già fatto lei, con la delicatezza di un elefante.”
“L’hai voluto tu.”
“Non mi sto lamentando.”
“… dormi, moccioso.”
“Si fotta, vecchio.”


Il nero è il colore del buio.
I bambini hanno una terribile paura del buio
Eppure lui – nonostante il volto da fanciullo – ha voluto entrarvi, ed esplorarlo. E lì vi rimane.

  
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