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Autore: Mirokia    29/09/2013    1 recensioni
Una volta oltrepassato il confine, Inghilterra sapeva già di aver tradito il suo paese, se stesso, per un attaccamento fisico e psicologico a cui non era mai riuscito a rinunciare. Portava con sè la bandiera, la teneva sulle spalle quasi fosse un mantello, quasi a proteggersi dalla diversa natura dell'aria americana, dalle maldicenze che l’avrebbero colpito.
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"Dimmi che sono il tuo Inno Nazionale."
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio Inno Nazionale




Red, white, blue’s in the sky,
summer’s in the air and, baby,
Heaven’s in your eyes.

                                       

 

 

 


Il té ambrato si rovesciò sulla bandiera che utilizzava come tovaglia per mostrare l'orgoglio della propria nazione ad ogni ospite che aveva l'onore di mettere piede in casa sua, e con esso si rovesciò anche il capo dell'Inghilterra, lì accanto alla macchia che si espandeva, la mano sinistra che stringeva piano la bandiera, quell'onore ormai macchiato dal peccato, mentre quella destra indugiava tra le gambe. Inghilterra respirava forte contro la macchia di té, poi digrignava i denti e lasciava che la schiena sussultasse a causa dei singhiozzi che gli chiudevano improvvisamente la gola.
«L'onore del paese... Macchiato da una potenza straniera,» borbottò arrabbiato fissando la tazzina rovesciata ma pensando a come il suo intero essere si fosse rovesciato. Provava rabbia, disgusto, odio, ammirazione, passione, attrazione, repulsione. Nel petto palpitava l'orgoglio, la voglia di prevalere, ma le sue gambe sentivano la sottomissione, il suo corpo era prigioniero. E non si trattava di un cuore o di un corpo, ma del cuore e del corpo dell'Inghilterra. L'Inghilterra e tutti i suoi abitanti. L'Inghilterra combattuta tra la concessione e la resistenza, tra la volontà di reclamare la supremazia del proprio paese su tutto il mondo e quella di regalarsi, di donarsi ad altre culture, di mettere in altre mani le sorti del proprio Inno Nazionale. Quando Inghilterra prese a strofinare il polso contro il cavallo dei pantaloni, iniziò a pensare che quello che stava bevendo non fosse affatto té. Il fardello di opinioni contrastanti nel suo cervello lo avevano costretto a mandare giù il liquido ambrato, qualunque cosa fosse, sperando che in quel modo potesse cancellare almeno la metà delle voci che gli rimbombavano in testa.
«La bandiera...» quasi la graffiò seguendo le linee della Union Jack. «La mia bandiera...» spezzò la sua frase in un singhiozzo, poi sbottonò i pantaloni con la mano destra e si permise di toccare là dove non aveva mai osato avventurarsi da solo. Non da solo. «... voglio che sia sua.»
Non voleva dare un significato a quelle parole ansimate contro il tavolo, nè voleva chiedersi per quale motivo adesso si stesse alzando e si stesse preparando ad uscire di casa. Nel suo cervello le voci continuavano a fare a botte, a contestare i suoi movimenti, ma la voce di Arthur si riconosceva fra tutte, e urlava forte, urlava un altro nome, e il corpo della nazione obbediva a quegli ordini tanto insistenti.

Una volta oltrepassato il confine, Inghilterra sapeva già di aver tradito il suo paese, se stesso, per un attaccamento fisico e psicologico a cui non era mai riuscito a rinunciare. Portava con sè la bandiera, la teneva sulle spalle quasi fosse un mantello, quasi a proteggersi dalla diversa natura dell'aria americana, dalle maldicenze che l’avrebbero colpito.
America l'aveva fatto sentire inferiore sin dalla sua Dichiarazione d'Indipendenza, ma non lo faceva apposta, non era tra le sue intenzioni mandare Inghilterra su tutte le furie. Quando quest'ultimo lo andava a trovare, America lo prendeva un po' in giro, quello sì, ma aveva già preparato la sedia e il té in modo che potesse accomodarsi.
«Ti prendi gioco di me,» lo aveva accusato Inghilterra una volta. «Sei più potente e influente di me, adesso. Quindi ti prendi gioco di me.» E America non aveva saputo come rispondere, con la paura folle che qualunque cosa avesse detto avrebbe allontanato ulteriormente quella che per lui era stata per secoli la nazione più importante, il suo punto di riferimento, la sua unica famiglia.
«Dacci un taglio. Non voglio che mi tormenti. Mai più,» disse invece quella sera una volta messo piede nel territorio americano.
«Cosa ho fatto?» domandò America guardando come trascinava la bandiera e i piedi, procedendo in modo obliquo.
«Tu... esisti. E questo basta a non farmi dormire la notte.»
America sospirò e incrociò le braccia subito dopo aver spostato una sedia per farlo accomodare.
«Perché mi odi?» domandò con il tono tra lo spazientito e il lamentoso, quasi fosse una scena ripetuta già un numero impreciso di volte. Fece qualche passo in avanti convinto a voler poggiare la mano sulla spalla di Inghilterra. «Perché dobbiamo stare divisi quando potremmo unirci?»
«Non voglio più unirmi a te,» borbottò Inghilterra stringendosi nella bandiera e senza accettare l'invito a sedersi da parte del proprietario di casa.
«Neanche io lo vorrei,» ribattè America con fatica scuotendo la testa e rinunciando a toccargli la spalla. «Ma Alfred lo vuole. Intensamente.»
America era tornato ad essere serio, il tono di uno che sa cosa vuole, il cipiglio così differente da quello che aveva ogni giorno davanti alle altre nazioni. Quello sguardo contenuto che adottava solo in sua compagnia, come non esistesse nessun altro al mondo. «Lascia parlare Arthur anche tu,» aggiunse quando s'accorse delle mani dell'altro ancora legate alla bandiera che tremavano e le ginocchia che davano segni di cedimentto. I denti digrignavano dal nervoso e dalla vergogna mentre cadeva piano sulle ginocchia e spostava la bandiera inglese sulle mani, quasi a volerla offrire all'uomo in piedi davanti a lui.
«Dimmi che sono il tuo Inno Nazionale,» mormorò, impercettibilmente, le braccia sollevate, il capo abbassato, le gambe e il respiro tremanti. America si sistemò gli occhiali e si strofinò un occhio, incredulo, poi abbassò le palpebre e andò a toccarsi istintivamente sul petto. Prese un respiro e spronò Inghilterra ad alzarsi per poi riavvolgere attorno alle sue spalle la bandiera.
«Vieni con me,» gli disse, la mano che scivolava nella sua e lo guidava per tutta la dimora sino al gigantesco balcone, che sembrava affacciarsi sull'intera America. Lassù sembrava di stare in cima al mondo. Metteva i brividi e le vertigini e Inghilterra sentiva la testa girare ancor più di prima e aveva quasi la sensazione di essere rimpicciolito. «Ti piace?»
«Mi stai prendendo ancora in giro?» sbottò Inghilterra, ancora restìo a lasciare il posto all’irruenza di Arthur.
«Volevo solo dirti che ogni volta che guardo tutto questo, penso a te. Penso a cosa ne sarebbe stato di me se non ci fossi stato tu.» America alzò le spalle un po' imbarazzato, come un bambino che ha appena confessato il proprio amore alla ragazza che gli piace. Arthur sollevò lo sguardo sul profilo di Alfred, e quando anche lui si girò, vide nel cielo dietro di lui aerei che trascinavano scie rosse blu e bianche, avvertì l’estate nell’aria e il paradiso in quegli occhi. Pensò che quei colori erano gli stessi della sua bandiera, e che almeno in quel frangente, riusciva a pensare a lui e Alfred uniti in un solo essere, sotto gli stessi colori, sotto lo stesso Inno Nazionale. L'Inghilterra e l'America si spensero nel momento in cui Arthur e Alfred si avvicinarono per baciarsi. Di nuovo, come ogni volta che si incontravano. Non poteva che finire così, era inevitabile, era il rituale, era l'unica strada da intraprendere per potersi liberare dai demoni della nazione. Anche se solo per un'ora.

«Dimmi che sono il tuo Inno Nazionale,» ripetè Arthur nel momento in cui Alfred lo adagiava sul cuscino con la mano sulla nuca. Alfred perse ancora un po' di tempo a torturare quel corpo segnato dalle ferite di guerra leccando nei punti in cui quelle ferite ancora faticavano a guarire. Arthur era così perso nell'oblìo che pensava solo a quante volte ancora avrebbe voluto far l'amore con Alfred. E mentre ancora aveva i pensieri fissi sulle cicatrici del compagno che strisciavano sulle sue mentre si faceva spazio nel suo corpo con passione sempre nuova, quello recuperò la bandiera inglese e con essa coprì il proprio corpo e quello di Arthur ora accanto a lui.
«Siamo sotto la stessa bandiera, adesso,» disse con quel suo fare genuino, gli occhi che senza gli occhiali sembravano ancora più grandi e profondi. «Così ti senti meno in colpa?»
«Sta' zitto,» borbottò l'altro, la coscienza di nazione che voleva tornare a galla più in fretta del previsto. Si aggrappò al petto di Alfred e schiacciò la guancia contro la sua spalla. Quell'evasione durava sempre troppo poco.

Quello che era tornato ad essere il solito Inghilterra recuperò la propria roba con lo sguardo freddo di chi è tornato alla realtà e non ha intenzione di riportare alla memoria i momenti in cui è stato a letto con il nemico.
«Inghilterra,» lo chiamò America prima che mettesse piede fuori dal suo territorio. Quello si girò con il volto scuro, e America gli sorrise.
«Sei il mio Inno,» disse poi, sempre con quel sorriso stampato in faccia. Inghilterra piegò il capo di lato, quasi non ricordasse, quindi America mise una mano sul cuore. «Sei il mio Inno Nazionale,» e quell'affermazione fu tanto forte che accese di rosso il volto di Inghilterra, ancora troppo provato dall'ennesima serata passata tra le braccia di America per poter rispondere. Quindi si limitò ad annuire impercettibilmente e a girare i tacchi, con America che non smetteva di sorridere, convinto che nel giro di qualche sera, il suo Inno Nazionale sarebbe venuto nuovamente a suonare fuori dalla sua porta.


 






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Mia prima apparizione sul fandom di Hetalia. Salve a tutti!
Da come si sarà intuito, l’ispirazione proviene da “National Anthem” di Lana del Rey. La ascolto in loop da ieri pomeriggio, è diventata un’ossessione. Il bello è che la coppia che preferisco in assoluto è Germania/Italia e tra UsUk e FrUk shippo FrUk. Quindi non so che demone abbia guidato le mie mani sulla tastiera la scorsa notte.
Porgo i miei saluti alla pagina di cui sono amministratrice, Hetalia, pls.
Non so se scriverò ancora su questo fandom, poco probabile, ma non si sa mai ;) Grazie per aver letto!








Mirokia


 

 

   
 
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