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Autore: Iwas_    01/10/2013    3 recensioni
[After CoLS]
Un Alec pieno di dolore e di rabbia affiancato da una Isabelle incapace di far fronte ai propri sentimenti e da un Jace pronto a spaccare (e all'occorrenza bruciare) il mondo.
E mentre Clary si allena per diventare una Shadowhunters e Simon si trova coinvolto suo malgrado in una faida fra vampiri, Sebastian muove le sue pedine.
Ma se con i fatti inquietanti successi a New York c'entrassero in qualche modo segreti custoditi gelosamente da Magnus? Se lo stregone avesse ancora qualche carta da giocare? Come districarsi da una fitta rete di imbrogli, bugie e cose non dette quando si è indecisi fra sentimento e ragione?
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Sovrabbondanza di vampiri




"Nessun problema, Simon. Vedi solo di non fare troppo rumore quando rientri. Anzi, se vuoi non serve neanche rientrare" era stato quello che gli aveva riferito Jordan una volta avvisato che il suo coinquilino sarebbe rientrato prima del previsto.
- Chissà perché, ho come la sensazione che ci sia un terzo incomodo nel nostro appartamento - borbottò, mentre rimetteva il cellulare in tasca.
Non sapeva cos'altro volesse Raphael da lui e non era affatto entusiasta all'idea di vederlo, ma sapeva anche che meno si faceva odiare dal capo dei vampiri di New York meglio era; nonostante da quel poco che sapesse non era certo che Raphael sarebbe rimasto a capo dei suoi succhiasangue ancora a lungo.
Voleva incontrarlo davanti a un fast food poco distante dal Bear Bar, dunque Simon vi ci stava recandosi a piedi. Sul resto non aveva detto nulla, anzi, era stato piuttosto sbrigativo.
Arrivò al luogo dell'appuntamento in dieci minuti: la stradina secondaria in cui si trovava era deserta, eccezion fatta per tre figure in moto distanti qualche decina di metri da lui. Per un mondano sarebbe stato impossibile riconoscerle, vista la scarsa luce che i lampioni offrivano, ma Simon non ebbe difficoltà ad individuare Raphael, al centro dei tre. Anche lui doveva averlo notato, perché le tre moto partirono verso la sua direzione.
- Diurno - lo salutò sbrigativamente Raphael una volta arrivato, i riccioli che ondeggiavano lievemente a causa di una leggera brezza notturna.
- Raphael. Come mai mi volevi? - chiese Simon, passandosi nervosamente una mano fra i capelli, che gli coprivano la fronte nascondendo l'inesistenza del Marchio di Caino. Nonostante sapesse della presenza di Jace, nascosto da qualche parte, non riusciva a sentirsi totalmente tranquillo. Era stata Clary a fargli presente che incontrarsi da solo con Raphael avrebbe potuto mandarlo nella tomba per una seconda volta, ed era stato Jace ad offrirsi volontario per tenerlo d'occhio, gesto che nel profondo lo aveva sorpreso. Ora, Clary era sul pick-up di Luke e stava tornando a casa, Jace invece lo aveva seguito: l'abilità nel non farsi né vedere né sentire dello Shadowhunter aveva sorpreso lo stesso Simon.
- Ho un accordo da proporti, Diurno.
Il vampiro sorrise, scoprendo i denti bianchissimi. Simon credeva i denti bianchissimi fossero qualcosa che ti veniva automaticamente una volta diventato vampiro, poi si era trasformato e aveva scoperto di dover usare lo spazzolino come tutti gli altri. Prese nota mentalmente di chiedere a Raphael, prima o poi, che marca usasse.
- L'ennesimo accordo che non accetterò?
- Non se è in gioco la tua stessa vita.
- Diventi sempre più abile nelle frasi ad effetto. Dovresti insegnarmi come si fa.
- Sei troppo convinto di essere divertente per i miei gusti, Diurno.
Simon guardò l'uomo che aveva parlato: era alto e di corporatura grossa, la mascella squadrata e il volto brutale, la bocca semiaperta in cui si intravedevano i canini. Le piccole rughe attorno alla bocca lo facevano sembrare come se non avesse mai riso in vita sua, e Simon non sarebbe stato pronto a scommettere il contrario. Quello era un vampiro che proveniva dalle storie che sua mamma ogni tanto le leggeva, non come Raphael con un ridicolo orecchino a forma di croce e con una bandana rossa legata attorno al collo.
- E i tuoi amici chi sarebbero? - chiese, mentre guardava con attenzione per la prima volta il terzo membro della compagnia, una ragazza che all'apparenza non poteva avere più di sedici anni: aveva i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, le labbra color rosso acceso che facevano contrasto contro la pelle pallida del viso a forma di cuore. Il suo volto era inespressivo.
- Helen e Gerald. Sono due dei miei vampiri più fidati e... non credo ci sia bisogno di spiegarti chi dei due è chi, insomma - fece Raphael, mentre scendeva dalla moto.
Simon avrebbe voluto rispondere con sarcasmo, ma lo sguardo di Gerald, ancora fisso su di lui, gli fece cambiare idea.
- Come mai ti sei fatto accompagnare da due tuoi scagnozzi? - chiese invece. - Non mi sembra tu l'abbia mai fatto.
- Andare in giro di notte da soli per New York non è sicuro, Diurno, nemmeno per i vampiri.
Simon inarcò un sopracciglio, mentre iniziava a percepire la gravità della situazione.
- Qual'è il problema, Raphael?
- È Maureen il problema - sbottò Helen, aprendo bocca per la prima volta.
- Dios, mai che tu mi lasci parlare, Helen.
- Scusa capo - rispose lei, nonostante dalla sua espressione fosse chiaro che non lo stesse prendendo sul serio. Raphael la ignorò.
- Quanto sai della situazione fra noi vampiri, Diurno?
- Poco - ammise Simon. - Cioè, Maureen sarebbe di diritto il capo di New York ma a molti di voi non piace, no?
- È così. La ragazzina è troppo giovane, in tutti i sensi, per essere a capo di un clan di vampiri grande come il nostro: non saprebbe gestirci. Inoltre non ci piacciono i suoi modi, sono troppo violenti, anche per un vampiro. Ci sono anche problemi da parte del Conclave ora, a Maureen a quanto pare non importa della legge. Sarebbe da idiotas pensare di andare avanti senza che gli Shadowhunters ci sterminino.
- Inoltre Raphael non molla il posto di capo nemmeno fra mille anni - si inserì Helen, che rimaneva seduta sulla moto, la testa appoggiata sul manubrio e l'espressione annoiata, come se avesse già sentito quella storia miliardi di volte. - Nonostante il capo legittimo sia la piccolina.
- La piccolina porterebbe solo grane - le rispose Gerald.
- Va bene - li interruppe Simon, che si sentiva sempre più a disagio ogni minuto che passava: era stato lui in fondo, seppur involontariamente, a permettere che Maureen venisse trasformata. - Da me cosa volete?
- Mi sembra logico - rispose Raphael. - Le due fazioni di vampiri che parteggiano per me o per lei al momento sono in stallo: siamo divisi esattamente a metà. Ma tu, Simon, tu sei un Diurno con il Marchio di Caino. Al momento non ti sei schierato, ma io ti voglio con noi. Molti passerebbero dalla nostra parte se anche tu mi appoggiassi.
- Ehi, calma, aspetta un secondo. Mi avevi già chiesto una volta di unirmi a te, e ho rifiutato. Perché ora dovrebbe essere diverso? Tu mi uccideresti se ti fosse possibile.
- E allora?
- Come sarebbe a dire "e allora"?
- Facciamo così, Diurno: tu stai dalla mia parte, e io in cambio ti lascerò stare. Non cercherò di ucciderti se ne avrò l'occasione e ti lascerò vivere la tua vita fino a quando non accetterai di essere un vampiro. In cambio devi solo stare dalla mia parte.
Simon ci pensò su per qualche istante, facendo mentalmente il punto della situazione. No, decise infine, prendere le parti di qualcuno era troppo rischioso per la sua vita. Preferiva ridursi ad un osservatore esterno, a cullarsi nell'illusione creata da sé stesso che avrebbe potuto avere una vita da mondano senza essere coinvolto, che anche lui avrebbe seguito Clary e tutti gli altri nella tomba. Quelle questioni non dovevano assolutamente riguardarlo.
- Vedi, Raphael, non è che ci tengo molto all'idea che una volta scoperto che sto dalla tua parte Maureen venga a farmi visita nel cuore della notte per squartarmi vivo - tentò cautamente.
- Maureen potrebbe venire a farti visita nel cuore della notte per squartarti vivo comunque - lo minacciò Gerald. Simon si chiese come mai le minacce da parte sua sembrassero molto peggiori di quelle di Raphael.
- Non credo. Finora mi ha lasciato vivere la mia bella vita da Diurno in pace - tentò.
- Finora avrebbe potuto essere impegnata in altre cose più importanti di te.
Simon serrò le mani a pugno, conficcandosi le unghie nella carne: non poteva dirsi entusiasta all'idea di unirsi a Raphael, ma nemmeno all'idea di avere altri nemici senza aver fatto nulla.
- Non mi fido di voi, e non ho intenzione di farlo nemmeno nei prossimi mesi - disse infine: sapeva che Izzy non avrebbe approvato il contrario.
Raphael lo squadrò, poi chiese: - È un no definitivo il tuo? Sta attento, Diurno. Fossi in te non prenderei certe decisioni tanto alla leggera.
- Io... per ora è così. Al massimo ti richiamo - rispose, facendo l'occhiolino a Raphael. Il suo tentativo di sdrammatizzare, però, non sembrò fare un grande effetto sui vampiri: Raphael aveva uno sguardo che sembrava augurargli una morte lenta fra atroci dolori, Gerald sembrava pronto a dargli una morte fra atroci dolori, Helen si stava limitando ad osservarlo con un mezzo sorriso e uno sguardo non molto interessato.
- Tranquilli, cambierà idea - disse, con l'aria di chi la sapeva lunga.
- Glielo auguro - rispose Raphael. - A presto, spero, Diurno.
Detto questo, le tre moto partirono sgommando, e pochi secondi dopo erano già sparite.
- Rimpatriata fra vampiri?
Simon si volto: Jace era magicamente riapparso dietro di lui.
- Rimpatriata fra vampiri che vogliono farsi fuori a vicenda direi. Io me ne torno a casa.
- Devo farti da baby sitter e accompagnarti fino là o posso andarmene per i fatti miei?
- Penso che nessun bambino al mondo vorrebbe te come baby sitter, Jace.
- Capito, ti accompagno a casa. Devo assicurarmi che non mangi la cioccolata prima di andare a dormire: ti rovina il sonno e poi ti vengono le carie.
 
- Alexander Gideon Lightwood, o apri questa porta o giuro che la faccio esplodere!
Alec sospirò, continuando tuttavia a ignorare le minacce di sua madre. Da quanto tempo bussava alla porta di camera sua? Non avrebbe saputo dirlo. In realtà non avrebbe nemmeno saputo dire cosa voleva, anche se forse l'aveva detto. In ogni caso, non gli importava: per quella giornata aveva fatto la sua parte partecipando all'ennesima, inutile riunione su come muoversi vista la minaccia di Sebastian e l'omicidio della mondana. Aveva perfino prestato attenzione; questo in fondo gli dava tutto il diritto di essere lasciato in pace. Distrattamente, si chiese perché sua madre non usasse una Runa di apertura. Forse perché aveva troppo orgoglio per entrare in camera di suo figlio con un trucco del genere; più probabilmente sarebbe rimasta lì, a bussare, finché Alec non le avrebbe aperto. Solo che Alec non trovava alcun motivo buono per farlo.
- Faccio mangiare a Church il tuo pollo al curry, Alexander!
Ah, allora era quello che Maryse Lightwood voleva: portargli la cena. E sua madre sapeva che il pollo al curry era uno dei suoi piatti preferiti. Se pensava di riuscire a sollevargli il morale si sbagliava di grosso.
Continuava a bussare alla porta con insistenza, testardamente, rinunciando all'idea che Alec non volesse vedere nessuno.
"Prima le apro, prima se ne andrà."
Quel pensiero gli attraversò la testa per un solo istante, e si chiese come mai non ci avesse pensato prima. A quanto pareva, alle cose ovvie ci pensava sempre troppo tardi. Non si sarebbe ritrovato chiuso in camera sua a disperarsi da una giornata intera se fosse stato altrimenti.
Lentamente, si alzò, girò la chiave nella serratura e aprì la porta, quel tanto che bastava per vedere sua madre con in mano un piatto piuttosto consistente di pollo.
Maryse lo squadrò per un istante, all'apparenza sorpresa. Alec capì che non si aspettava veramente che le avrebbe aperto, ma riprese subito il suo solito contegno.
- Potevi almeno venire a cena.
- Avevo voglia di stare un po' da solo.
- Hai sempre voglia di stare da solo. Non è possibile che questa storia di...
- Se vuoi dirmi che ovviamente capisci il fascino che il proibito ha sui giovani, che capisci che l'idea di provare a stare con un Nascosto del mio stesso sesso mi attirasse, ma che sai anche che era solo una sbandata adolescenziale e che presto tornerò normale, che non è il caso di farne un tragedia... - Alec esitò un istante. Avrebbe voluto un finale ad effetto per quel discorso, ma dovette ricordarsi per l'ennesima volta che lui non era Jace e che i finali ad effetto non li sapeva fare - Be', se vuoi dirmi questo, l'ha già fatto papà - fu la sua semplice conclusione.
Alec la guardò negli occhi, e fu sorpreso quando vide dentro di essi un barlume di dolcezza che in sua madre raramente compariva.
- Come se potessi giudicarti in questa maniera, Alexander. Robert non riesce a credere che il tuo non sia stato solo uno stupido errore dettato dall'incoscienza giovanile, vorrebbe con tutto il cuore che tu continuassi la dinastia dei Lightwood. Ma io...
- L'amore non è mai un errore - mormorò Alec, chiedendosi un istante dopo chi gliel'avesse fatta dire una frase di quel tipo. Stava diventando penoso.
- Forse l'errore sta nel rifiutare l'aiuto degli altri come stai facendo tu. Robert vuole solo...
- Papà vuole solo un figlio che non avrà mai. Non gli importa veramente di me, lui quello che vuole è soltanto l'immagine del figlio perfetto. Gli ho parlato ieri sera mamma, dimentichi? Anzi, sia io che Isabelle gli abbiamo parlato, e non mi pare che sia riuscito a combinare qualcosa di buono, per nessuno dei due.
- Alexander, io...
- Voglio solo stare da solo, ma'.
Maryse sembrò non aver niente da replicare, dunque si limitò a consegnare ad Alec la sua cena, che il ragazzo prese e andò ad appoggiare su un piccolo tavolino che si trovava nella sua stanza da quando aveva memoria. Solo dopo qualche istante si accorse che sua madre era ancora sulla soglia di camera sua, immobile. Si girò e si diresse da lei.
- Mamma, perché...
Non finì mai la frase: sua madre gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte.
- È dura per tutti noi - gli sussurrò. - E io non so essere una madre brava come vorrei con te, Jace e Isabelle. Ce la metto tutta, però.
- Mamma... andrà tutto bene.
Alec non riusciva a capire come mai fosse improvvisamente arrivato il suo turno di rassicurare qualcuno, come mai i ruoli si fossero invertiti. Eppure non poteva crollare solo perché suo padre non lo capiva: non l'aveva mai capito, sarebbe stato sciocco aspettarsi altrimenti.
- Lo spero tanto, Alexander. Lo spero tanto.
 
Tic. Toc. Tic. Toc.
Ogni tanto il suo mondo si fermava, mentre tutti i suoi pensieri erano rivolti verso quel suono sicuro e costante. Dimenticava tutto, mentre chiudeva gli occhi e tutto quello che riempiva la sua mente era quel suono.
Tic. Toc.
Magnus aveva sempre considerato il suono dell'orologio l'unica costante nella sua vita.
Quando vivevi in eterno, cosa poteva rimanere senza al tuo fianco senza cambiare mai? Potevi rispondere "l'amore", ma aveva perso il conto degli amanti per cui aveva pianto la morte. Potevi rispondere "gli amici", eppure era stato proprio lui a trovare il corpo di Ragnor privo di vita. Potevi rispondere "la tua casa", ma aveva cambiato abitazione talmente tante volte che oramai non sapeva più se c'era un posto che poteva effettivamente chiamare casa. Potevi rispondere "il tuo aspetto", ma cento anni fa non si metteva l'eyeliner. Potevi rispondere "il tuo carattere", ma si sorprendeva in continuazione di quanto cambiasse pian piano di giorno in giorno. Potevi rispondere anche "le montagne e i mari", al limite dell'esasperazione, ma anche quella era una bugia.
Era quello che non cambiava mai: Tic. Toc.
La sola certezza alla quale poteva affidarsi: la consapevolezza che, in qualunque epoca si trovasse, il tempo continuava a scorrere, indifferente di fronte ai suoi pensieri, ai suoi problemi e alla sua vita; era sempre lì: Tic. Toc. E sarebbe rimasto con lui fino alla fine.
Lo faceva sempre, quando era pieno di dubbi e domande senza risposta, lasciava che la sicurezza di quel tic toc gli invadesse la mente e scacciasse tutto il resto.
Tic. Toc. Tic. Driiiin.
Magnus sobbalzò, mentre lanciava una fugace occhiata all'orologio: era l'una di notte.
- Vampiri - si disse, alzando gli occhi al cielo. Sperò solo che non fosse un lavoro troppo noioso quello che dovevano chiedergli. Oppure, si disse mentre chi aveva suonato non rispondeva alla richiesta di dire il proprio nome, poteva essere di nuovo Jace Herondale, testardo come pochi. Sentì un piccolo peso al cuore mentre si avviava ad aprire la porta: non era pronto per parlare di nuovo con lui. Si chiese, ripensando alle sue ultime parole, se lo sarebbe mai stato.
Alexander era un capitolo della sua vita che se avesse potuto avrebbe cancellato, dimenticato totalmente. Se avesse potuto, Magnus non l'avrebbe mai voluto incontrare: le lacrime sbavavano troppo l'eyeliner che ogni tanto metteva ancora.
- Chi è? - chiese con voce strascicata mentre si avvicinava alla porta.
- Magnus, ti prego, apri!
Si bloccò all'istante, un secondo prima che le sue dita si chiudessero attorno alla maniglia. No, doveva aver sentito male. Non poteva essere la sua voce. Non era possibile.
Aprì la porta, e si sentì svenire.
- Oddio - mormorò.
- Magnus, fammi entrare, ti prego.
Davanti a lui, con i capelli unti, i vestiti strappati e sangue rappreso sul volto c'era Camille.

Note dell'autore
Salve! Allora, sto scrivendo con tempi talmente lenti che mi faccio schifo da sola, ma sono talmente impegnata che ho avuto ora il tempo di rileggere un capitolo scritto tipo un mese fa e di pubblicarlo.
Non ne sono molto entusiasta, avrei voluto sviluppare meglio la parte di Simon, ma come ho già detto sono distrutta e questo è il meglio che mi riesce.
Comunque è super bello vedere che la gente che segue questa storia o la mette fra preferite/ricordate aumenta ad ogni capitolo, grazie! Mi farebbe piacere ricevere una recensione, anche piccola, giusto per sapere se la storia vi piace o no.
Lo ammetto sono talmente distrutta che ho bisogno di essere motivata.
Alla prossima!

Iwas_
  
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