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Autore: Mary Mary    01/10/2013    2 recensioni
Dal primo capitolo:
*Volsi lo sguardo verso l’esile figura che era coricata in posizione fetale sotto la trapunta e annullai le distanze tra me ed essa. Scostai piano la coperta e sgranai gli occhi.
Davanti ai miei occhi c’era la ragazza più bella che io avessi mai visto, nonostante mi apparisse così familiare.
Mamma e papà avrebbero dovuto dirmelo di aver adottato una ragazza e non una bambina.*
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo uno

L’auto cominciò ad allontanarsi dalla mia casa. Dalla mia vecchia casa.
Sentì una lacrima salata scendere e rigarmi la guancia destra, e mi apprestai subito ad asciugarla con la larga manica della mia felpa color fumo da uomo.
Mi sentivo un involucro, un guscio vuoto con niente al suo interno. Tutto ciò che avevo, una famiglia unita, degli amici stupendi, una vita quasi perfetta, l’avevo perso, in un attimo. Un attimo durato pochi secondi, il tempo di vedere un luminoso camion nella corsia sbagliata, il tempo di sentire il rumore sordo e agghiacciante di vetri rotti, delle grida lontane e nient’altro, il buio più assoluto.
Perché le persone a me più care morirono tutte quel giorno? Perché io ero viva e loro no?
Queste domande mi perseguitavano in tutti i momenti, di giorno, ma soprattutto di notte. In quegli ultimi giorni compresi che di notte i pensieri divenivano più pesanti. 


Diedi un’occhiata alla donna bionda di mezza età che stava guidando l’auto. Grassoccia, bassa e con degli occhiali spessi quanto tappi di bottiglia, era la donna che mi aveva appena adottata, di nome Clare. Le sue dita erano molto curate e apparivano con delle lunghe unghie smaltate di un rosa tenue, e ticchettavano frenetiche sul volante della sua macchina, canticchiando una canzone che sembrava essere ‘Hey Jude’ dei Beatles.
Mamma amava i Beatles, credeva addirittura che tutta la storia del sosia di Paul McCartney fosse vera. Fanatica… pensai, sorridendo tristemente.
Involontariamente un’altra lacrima mi bagnò il viso, seguita da un’altra, poi da un’altra ancora; ero ormai un fiume in piena, ma cercai comunque di non farlo notare dalla donna al volante.
-Ti serve un fazzoletto, cara?- la sentì dire, in tono amorevole.
Evidentemente si era accorta eccome del mio silenzioso pianto. Rifiutai comunque la sua gentile offerta e tornai a guardare fuori, continuando ad asciugarmi le lacrime con la manica della felpa.
Cosa succederà ora?

Dopo circa venti minuti di viaggio in totale silenzio, Clare mi guardò dallo specchietto retrovisore e, sorridendomi, cominciò a parlare.
-Ti troverai bene a casa mia… Mio marito e i miei due figli sono molto affettuosi, credimi…- disse, continuando a tamburellare le dita sul volante nero.
Tirai su con il naso, e, dopo aver raccolto la forza necessaria, cercai di sorriderle.
-… Samuele, mio marito, è già a casa assieme a nostro figlio Joshua… E’ una vera e propria peste ma è un bravo bambino, anche molto maturo, a differenza di suo fratello…-
Non debbi fingere di sorridere, perché lo feci naturalmente, al pensiero di dover vivere da quel momento in poi con dei bambini. Mi erano sempre piaciuti i bambini, soprattutto le piccole pesti.
-Quanti anni hanno?- chiesi, continuando a sorridere leggermente.
-Joshua ha cinque anni appena compiuti, ma dice in giro che ne abbia già quasi sei…- mi rispose ridendo -… mentre il più grande, Logan, ne ha tre in più di te.- continuò.
…Diciannove anni?
…DICIANNOVE ANNI?!

-Ah, capito…- mi limitai a dire, aggrottando però la fronte.
La macchina di Clare, pochi minuti dopo, si fermò dinnanzi una casa molto grande, dai pallidi muri bianchi che non mi trasmettevano altro che freddezza. Il grande giardino verde si estendeva tutto intorno all’abitazione, e ospitava due altalene rosse ed uno scivolo blu, giochi dell’ipotetico figlio di ‘quasi sei anni’ della donna.
Clare parcheggiò l’auto e mi incitò a scendere tranquillamente e di non aver paura.
Ma io non avevo paura.
Ero semplicemente triste, depressa, vuota.
Entrammo in quell’enorme casa, e subito ci venne incontro un uomo intorno alla cinquantina, molto alto e possente, con un maglione leggero beige e dei pantaloni eleganti neri.
-Ciao, te dovresti essere Chelsea, giusto? Io sono Samuele, ma se vuoi chiamarmi Sam per me va benissimo!-  mi disse, porgendomi una mano e sorridendomi un po’ troppo eccessivamente.
-Piacere…- sussurrai, ricambiando la stretta di mano, che si rivelò forte e confortante.
Sembra un buon padre… pensai, con una nota di amarezza.
Sentì improvvisamente due piccole braccia cingermi un fianco, mi girai e vidi un bambino sorridente dagli occhi azzurri e dai capelli neri di circa cinque anni. Joshua.
-Ciao!- esclamò sorridendo Joshua, stringendomi la vita. Mi arrivava all’altezza del seno e sembrava veramente molto dolce e maturo, esattamente come l’aveva descritto precedentemente la madre.
-Ciao…- dissi sottovoce, sorridendo dolcemente e lasciando che mi abbracciasse. Sembrava un piccolo gattino che faceva le fusa.
-Joshua, staccati un po’ da Chelsea…- esclamò ridendo suo padre -…vieni, ti mostro la tua nuova camera!- continuò poi, indicandomi gentilmente la rampa di scale davanti a noi.
Arrivati al piano superiore mi si presentò davanti un lungo corridoio con tante porte, molte delle quali aperte.
Diedi un’occhiata ad una delle stanze e notai un muro tappezzato di poster di gruppi punk e rock. Giunsi facilmente alla conclusione che quella doveva essere la camera del figlio maggiore di Clare; si chiamava Logan, giusto?
Almeno non ascolta merda commerciale… pensai sollevata, inarcando però un sopracciglio.
-La tua camera è questa!- mi disse sorridendo il marito di Clare e aprendo la porta davanti a quella di Logan.
La ‘mia camera’ era molto grande. E io odiavo gli spazi così grandi.
Un letto molto alto, a baldacchino, era posizionato al centro della camera, ed era coperto da una pesante trapunta rossa. Affianco ad esso c’erano due comodini neri, un armadio anch’esso rosso e una scrivania. Una camera molto semplice ma arredata comunque bene.
Posai il mio zaino pieno di catene sul parquet color mogano e rivolsi un sorriso a Samuele, che doveva interpretare come un ‘ora lasciami sola’.
Fortunatamente capì al volo e, sfregandosi le mani imbarazzato, se ne andò e si chiuse la porta alle spalle.
Ero sola. Finalmente.
***
-Cazzone, hai intenzione di fumare solo tu?-
Alzai lo sguardo verso Danny, il mio migliore amico. Lo fulminai con gli occhi e continuai a fumare la canna che avevo tra le dita.
-Dai, cazzo! Lasciamene un po’!- continuò.
-Mi stai seriamente scartavetrando i coglioni. Non la sto finendo, ce n’è ancora metà!- replicai stancamente, riportandomi tra le labbra la bomba.
Lo sentii sbuffare, irritato.
Dopo una manciata di secondi gli porsi la mia terza canna del pomeriggio, guardandolo male. Se avrebbe aspettato il suo turno in silenzio sarebbe stato meglio.
-Comunque…- ricominciò lui -… Li hai fatti i compiti della vecchiaccia per domani?- continuò, mentre aprivo l’ennesima lattina di birra.
…Compiti? Vecchiaccia? Domani?
Notò la mia espressione interrogativa e cominciò a ridere.
-Cazzo, Logan!- disse con le lacrime agli occhi -…Domani è lunedì!-
…Lunedì?
…Quindi oggi era domenica…
DOMENICA?!

-Cazzo, sono un coglione, sono un coglione!- esclamai alzandomi di scatto in piedi, facendo cadere un po’ della birra che avevo in mano.
-Che ti prende ora?-
-E’ domenica! Oggi doveva arrivare Chelsy, Chelly, Chilly, come cazzo si chiamava!- sbottai, passandomi freneticamente una mano tra i miei capelli appena tinti di arancione.
-Chilly? Usi una di quelle cazzate intime per lavarti l’uccello?-
-Ma che cazzo hai capito, idiota!- urlai ridendo e cercando di finire velocemente la Heineken -Oggi doveva arrivare la bambina che mia madre ha adottato… Non mi ricordo neanche come si chiama, però…-
-Sei sempre il solito stronzo- mi rispose sorridendo Danny, finendo la canna e srotolando ciò che rimaneva del filtro.
Accartocciai la lattina di birra appena svuotata e la lanciai contro il muro dietro a Danny, il quale sobbalzò dallo spavento.
-Flash?- mi chiese, dopo avermi mostrato il dito medio della sua mano a causa del mio lancio.
-OK, faccio il flash e torno a casa, però.-
 
Dopo circa una ventina di minuti, varcai la soglia di casa.
-Sono a casa, motherfuckers!- urlai, posando malamente le chiavi di casa sul comodino.
Ero leggermente ubriaco e decisamente fatto, ma sapevo nasconderlo con discrezione, eh.
Sentii una mano ‘appoggiarsi’ dolorosamente dietro il mio collo e esclamai un “ahia” teatrale, voltandomi e trovandomi davanti a mio padre, dall’aria divertita.
-Non credo che tua nonna sia contenta di essere stata appena chiamata ‘puttana’!- sbottò.
Mi misi a ridere e mi incamminai verso la cucina, luogo da cui proveniva il delizioso profumo di lasagne.
Dio, quanto amo le lasagne!
Vidi mia madre intenta a canticchiare qualche canzone degli anni Settanta mentre tagliuzzava qualcosa. Mi avvicinai furtivamente e l’abbracciai da dietro.
Come risposta lei si voltò e mi lanciò un’occhiataccia.
-Sei in ritardo. E il tuo alito puzza di fumo e di birra-
Sbuffai, rubai una mela dalla cesta della frutta e andai in salotto, dove vidi Joshua davanti alla televisione e mio padre davanti all’iPod.
-Gesù, staccatevi un po’ da quella merda!- esclamai, dando un morso alla mela.
Odiavo follemente chi preferiva trascorrere ore ed ore davanti alla tecnologia piuttosto che uscire e stare all’aria aperta. Ero l’unico della famiglia a pensarla così, evidentemente.
Imprecando un’altra dozzina di volte a causa dell’occhiataccia di mio padre, mi buttai sul divano, e finii velocemente la mela.
-Allora? Dov’è lei?-
-E’ in camera sua. Vai a presentarti, senza comportarti da stronzo. E’ ancora molto triste.-
-OK, capo- borbottai, infilando le mani nelle tasche dei miei jeans stretti, stracolmi di catenine.
Una volta, pochi mesi prima, rientrando a casa dopo una serata di baldoria, sentii Joshua, mio fratello minore, urlare con entusiasmo “è arrivato Babbo Natale!” per il tintinnare delle mie catene.
Sogghignai al ricordo. Joshua era così ingenuo, certe volte. Aveva cinque anni, in fondo.
Mi grattai il mento e bussai alla porta della camera, senza ricevere nessun ‘avanti’.
Aggrottai le sopracciglia e bussai più forte. Niente.
Aprì la porta e vidi la camera totalmente buia. Vidi qualcuno sotto le coperte. Stava dormendo.
Mentre richiudevo silenziosamente la porta, notai uno zainetto luccicante ai piedi del letto. Mi avvicinai curioso e notai che era pieno di catene e borchie.
Perché una bambina dovrebbe avere delle catene e delle borchie attaccate allo zaino?
Volsi lo sguardo verso l’esile figura che era coricata in posizione fetale sotto la trapunta e annullai le distanze tra me ed essa. Scostai piano la coperta e sgranai gli occhi.
Porca puttana, altro che bambina!
Davanti ai miei occhi c’era la ragazza più bella che io avessi mai visto, nonostante mi apparisse familiare.
Doveva avere all’incirca la mia età, forse era leggermente più piccola di me. I suoi capelli biondi erano acconciati in tanti dreadlocks, e ricadevano sul cuscino come se fossero dei lunghi tentacoli pieni di perline. Aveva un piercing al naso, il septum, e alcune chiare lentiggini sparse qua e là sul piccolo naso e sulle guance.
Aveva un espressione corrucciata, e sembrava una bambola di porcellana addormentata. Notai il cuscino pieno di lacrime ed ebbi una stretta al cuore.
Deve aver sofferto parecchio.
La coprì di nuovo con la trapunta rossa e uscì silenziosamente dalla stanza, grattandomi il capo. Mamma e papà avrebbero dovuto dirmelo di aver adottato una ragazza e non una bambina.
***
Sentii la porta aprirsi e vidi da sotto la coperta una figura molto alta entrare nella camera ed avvicinarsi silenziosamente al letto.
Non avevo né la forza psicologica né quella fisica di parlare con chiunque, perciò finsi di dormire. Sfortunatamente sentii la coperta scostarsi e sentii una zaffata di erba e birra pungermi le narici. Aggrottai la fronte, ma continuai a fingere di dormire.
Trattenni il respiro, non avevo assolutamente voglia di presentarmi al figlio maggiore della donna.
Dopo pochi attimi che mi parvero lunghissimi minuti la trapunta tornò come prima a coprirmi completamente, e sentii Logan uscire dalla stanza.
Ero costretta a partecipare alla cena, avevo decisamente fame. Sbuffai, sedendomi sul letto.
Sarà una lunga convivenza, questa pensai, alzandomi.

Chelsea
Logan

Angolo Autrice:
Salve a tutti,
che dire? Spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo della mia nuova storia…
Per chi volesse saperlo, la persona che ho scelto come immagine di Chelsea è una ragazza famosa nel web con il nome di ‘LillHurricane’, mentre Logan l'ho immaginato come il modello famoso per i suoi tatuaggi Ash Stymest.
 
  
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