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Autore: ContessaDeWinter    01/10/2013    0 recensioni
Lasciarsi andare è così semplice che ti viene da ridere al pensiero.
È solo un buco nero (senza fondo, senza futuro o prospettive accessorie che diano adito alla tua anima di esprimersi in una qualche maniera), rassicurante nella sua interezza: non ha confini e nulla può davvero fermarti.
Questa idea ti mette i brividi.
[Partecipante al "Contest a Turni e a Squadre - La Sfida dei Grandi Autori" indetto da fa92 sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Nick sul forum: ContessaDeWinter
Nick su EFP: ContessaDeWinter
Squadra (dal II turno al VIII turno): Bianca
Giudice responsabile: Andrea
Turno: IV Turno
Titolo Storia: Thief in the Night
Raiting: giallo

Note dell’autrice: Per questa storia, ho fatto riferimento a classici della letteratura inglese e americana, ovvero E. A. Poe, Lovecraft, Coleridge e Wordsworth. Sono autori molto differenti ma che sono precursori di un genere più ampio a cui sono molto affezionata. Buona lettura.
 
[*]: We are Seven, poesia di Wordsworth, contenuta nelle "Lyrical Ballads";
[**]: Finale del racconto breve "La Morte Rossa" di E. A. Poe. 

Thief in the Night

 
Lasciarsi andare è così semplice che ti viene da ridere al pensiero.
È solo un buco nero (senza fondo, senza futuro o prospettive accessorie che diano adito alla tua anima di esprimersi in una qualche maniera), rassicurante nella sua interezza: non ha confini e nulla può davvero fermarti.
Questa idea ti mette i brividi.
E non sai davvero il perché, ma ti ritrovi a muovere un passo avanti e le campane del monastero, alle tue spalle, suonano d’improvviso: sembra ti stiano accompagnando, scortando  verso quello che sarà il luogo della tua ascesa. Non avevi mai pensato realmente a suddetta prospettiva che ora, invece, appare sin troppo presente ed inaccessibile. Hai sempre pensato che il momento non sarebbe mai giunto davvero, che il mondo ti avrebbe tenuto con sé per l’eternità: un’anima come la tua, talmente cupa e nera, non è degna di salire al paradiso, né in questo universo né in nessun altro.
Ma il Mondo è strano e le leggi che lo governano se ne fottono della logica pura e semplice, immediata. Aspirano solo a disorientarti, a toglierti qualunque cosa ti appartenga, lasciandoti nuda innanzi a loro. Godono nel vederti soffrire ancora un po’, ancora di più. Perché sanno che, prima o poi, la tua mente cederà alle lusinghe di un male incorrotto, lercio sin dentro le ossa.
Deleterio.
Per un solo attimo, mentre i raggi lunari attraversano la tua figura quasi non esistessi, ti soffermi a meditare quanto convenga smettere di soffrire. È una riflessione che intreccia, tra le righe, una notevole dose di follia mista a buon senso.
Un gufo, in lontananza, ti distrae e nulla può più fermarti ormai.
 
Il pozzo non ha un fondo ben definito. Te ne accorgi quando ci cadi dentro. Da quella posizione, la luna non ha più contorni: invade la visuale, totalmente, divenendo essa stessa il tuo unico cielo. Non che questo faccia alcuna differenza.
Comunque sei grata di averlo toccato, il fondo. Ci avevi sperato con tanta passione ed ora eccoti qui, circondata da corpi in decomposizione ed ossa di uomini che un tempo furono. A pensarci bene, la tua ossessione verso quel luogo ha radici che s’insinuano nel profondo del tuo cuore, distruggendo quelli che un tempo furono i capisaldi sui quali avevi fondato la tua intera esistenza. E non c’è cosa più terribile di vedere i propri principi deteriorarsi ed essere spazzati via, alla prima folata di zefiro.
 
Quello è il tuo posto, accanto a tua madre ed i tuoi fratelli. Non potrebbe essere altrimenti. La famiglia è l’unica cosa che ti rimane a questo Mondo, non puoi abbandonarli e rischiare di perderli ancora una volta. Rimarrai lì, a vegliarli nel loro sonno, sperando che prima o poi riaprano gli occhi e ti salutino, ti abbraccino e ti bacino com’erano soliti fare (una vita fa, forse o forse no).
Nel mentre, magari, leggerai un libro di poesie.
 
'Twas throwing words away: for still
The little Maid would have her will,
And said, "Nay, we are seven!"[*]
 
 
Incominci a patire la fame e la sete, dopo ore di tormentosa lettura. Ti sei portata qualche romanzo, opere leggere da terminare nell’attesa estenuante che i tuoi cari si sveglino. Li hai osservati per parecchie ore, immobile, sentendoti fastidiosamente sperduta.
Lontana.
Sola.
Un essere estraneo, proprio come lo eri stata per il resto dei tuoi giorni. Senza un futuro innanzi. Scompigliata e confusa, divisa tra ricordi e menzogne e mille altre questioni che pian piano ti portano al limite. E non hai scampo, non ne ha mai avuto.
Solo Lovecraft potrebbe capirti. O un cadavere, magari.
Ma tu non ha mai visto un cadavere.
 
Le mosche svolazzano attorno alla carne morta, cibandosi di anima.
 
*
 
Senti delle voci. Provengono dall’alto, probabilmente gli angeli sono venuti a trovarti, a farti compagnia per l’ultima volta. Non hanno volti, gli occhi spaventosamente infossati sono terribili da fissare. Vorresti solo che se ne andassero per sempre, perché non meriti davvero la loro cortesia. Tu appartieni all’inferno, a quell’inferno che ti striscia nelle vene fino a sporcarti le mani di un liquido vischioso e rossastro.
Sangue.
Ci sono cose che la tua mente, davvero, non può controllare.
 
No! Ti prego! Perché fai tutto questo?!”
“Lasciami andare, sorella! Lasciami andare!”
“Ti prego, guardami. Guardami! Siamo noi!”
“Sono io, tesoro, sono io!”
“Perché? Torna in te!”
“Sono tua madre! Guardami! Sono tua madre!”
 
Ti rannicchi su te stessa, portandoti le braccia al petto e lasciando che i singhiozzi ti sconquassino il petto. Occhi chiusi.
Orecchie serrate.
Non vuoi ascoltare un’altra parola.
 
 
Il tempo ti sfiora le gambe, con mani tremanti ma voraci. Ha davvero così importanza non tener conto di lui? Sembra abbia il desiderio di possederti, per la prima volta dopo tanti giorni trascorsi in agonia, e tu rifiuti i suoi continui richiami.
Ostinatamente.
La gola brucia e pizzica. È una strana sensazione, quasi quanto mangiare la polvere: perché, sì, l’hai mangiata. È l’unica cosa di cui hai potuto cibarti, in un modo o nell’altro, e stranamente aveva un sapore familiare. Non è la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato, ovviamente, ma non te ne lamenti. Quando tornerai in superficie ci sarà Rosalie a prepararti un buon pasto caldo (la sua minestra è di una dolcezza che toglie il fiato).
“Sarà bello cenare tutti insieme,” sussurri a tua madre, mentre lei tiene ancora gli occhi chiusi. Ha qualche ruga in più, noti. Le guance particolarmente incavate e terribili aloni violacei attorno alle palpebre.
Ma è comunque bellissima.
 
*
 
Ci sono momenti dove riflettere diventa più difficile che respirare. Dove non hai barriere che ti circondano e tutto il resto non ha davvero importanza. Quanto a lungo dovrai sopportare questo silenzio assordante? Le mura del pozzo, i singoli mattoncini che lo compongono non provano alcuna pietà per te: sanno il significato della parola ‘attesa’, cosa che tu non hai ancora saputo cogliere realmente. In effetti, stanno provando a sussurrartelo all’orecchio, senza mai urlare: hanno stranamente paura di te.
Ti manca l’aria: guardi in alto, osservi il sole tramontare e scemare pian piano, sparire definitivamente nella sua rossastra iridescenza, mentre i piccioni svolazzano attorno a lui senza bruciarsi. Non riesci più a muoverti, alzarti o sgranchirti le gambe: i volumi di Poe e Lovecraft sono abbandonati in un angolo, insieme a Wordsworth e Coleridge. Almeno loro stanno bene.
È una strana sensazione, quella che provi. Una melanconia che odora di lacrime mai versate e pioggia estiva (ti sono sempre piaciute, le piogge estive, così inebrianti e liberatorie; ti ricordi ancora quanto ti rendeva felice correre e percepire le gocce d’acqua bagnarti le braccia, il viso ed i capelli, lasciandoti spoglia di qualsiasi sensazione brutta, qualsiasi rimasuglio di dolore). Ora sembra così grottesca e lugubre che quasi ti fa paura.
Ma ci sono cose che tu non puoi capire.
No, non devi capire.
Non puoi capire.
Non devi e basta.
 
“Lascia che lo faccia.”
“Perché?”
“Lascia che lo faccia.”
“Ma… ?”
“Non puoi capire, adesso. Un giorno, forse.”
Un urlo squarcia la quiete.
“Sh, sh. Bambina mia. Non fa male.”
Un singhiozzo.
“Non deve fare male.”
 
 
Le unghia sono troppo affilate. Te ne rendi conto così, per caso, mentre graffiano forsennatamente la gola, tentando di alleviarle il bruciore spossante. Sono minuti che non ti da pace: a volte si cheta, altre s’infiamma ancora di più. È un altalenare tra alti e bassi, uscire e rientrare dalla realtà freneticamente.
Non puoi gridare, ora.
Non puoi svegliare i tuoi cari, ormai manca poco.
La vista diventa sfuocata e la luna pare sorriderti: concorda con te,  è dalla tua parte. Sostiene i tuoi intenti e ti protegge, dall’alto del cielo, circondata dalle sue consigliere. Rimani incantata da quella visione così eterea, bellissima. Come hai potuto evitare di osservare tutto questo?
Con quale ostinato coraggio hai potuto commettere questo atroce torto?
Ti sembra d’impazzire.
Secondi, minuti, ore, giorni.
Hai perso il conto del tempo che scorre, che si contorce su sé stesso e attorno alle tue gambe, come solo l’oscurità sa fare. Le ombre dell’universo sono vivide attorno a te ed hai paura di toccarle con mano: potrebbero prenderti e annientarti, farti loro, insinuarsi dentro di te e sbranarti sino a quanto non rimarrà solo sangue che cola dai polpastrelli e pupille dilatate dal terrore.
Ma lo sai, lo sai.
Ti stanno già venendo a prendere.
 
“He had come like a thief in the night.
And Darkness and Decay and the Red Death held illimitable dominion over all.” [**]
 
 
Come un ladro nella notte. Ecco, com’è.
Un ladro che si aggira nell’oscurità ed estirpa la vita a tutto ciò che può.
Per lui, nulla ha veramente importanza.
Ti nascondi ben bene, dietro il corpo dormiente di tua madre: che Dio la protegga. Non si è ancora svegliata, fortunatamente, e sei certa che ti proteggerà fin quando potrà.
I passi si fanno più vicini, rimbombano nel piccolo pozzo senza fondo in cui ti sei lasciata cadere da molto tempo, ormai, quasi sappia che tu sei lì per sfuggire al suo sguardo: non ci sono più luoghi sicuri, dove rintanarsi. Lui li ha già scovati e perlustrati minuziosamente.
E non ti resta nulla da fare se non affrontare il tuo destino, una volta per tutte.
Alzare lo sguardo non ti è mai parso così difficile. Tremi nel buio, mentre un ringhio bestiale ti da il benvenuto alla nuova vita: l’essere è lì, innanzi a te. Vestito di nera fuliggine, mentre le sagome della tua famiglia s’inchinano a lui, eternamente intrepido.
Preghi.
 
 
Soffochi per l’ultima volta.
L’agonia è tutto ciò che ti resta.
Oltre la morte ed il dolore rappreso sulla pelle.
Qualcuno ti intima di rimanere ferma, lasciare che le cose facciano il loro corso, mentre ti stringe la spalla con una mano scheletrica e raggrinzita in più punti, l’odore nauseabondo ti fa aumentare i conati di vomito all’altezza della gola.
E ti chiedi perché. Cosa hai fatto tu, di male, per meritarti tutto ciò. Non hai il coraggio di alzare lo sguardo, lasciarlo vagare su tua madre che ora ha gli occhi aperti e vacui, quasi non ti inquadrasse realmente.
“Madre,” la chiami ma non risponde.
Non ricevi alcun segno. La gola brucia e smani per un po’ d’acqua.
Da quanto tempo non bevi un sorso d’acqua?
Non lo sai con precisione.
“Madre, ve ne prego. Madre,” lo sussurri, questa volta, perché non hai abbastanza fiato nei polmoni e il palato è secco. Desideri abbracciarla, guardare indietro il passato e farlo tuo. Godere dei momenti vissuti, evitando quelli brutti e continuare così, all’infinito.
 
Ma quando realizzi ciò, è troppo tardi.
 
*
 
“Ha avuto giustizia?”
“No, non credo, bambina mia.”
 
 
“Perché no, madre?”
“Perché è morta.”
 
 
“Non era questo che voleva?”
“No.”
 
 
“Perché si è buttata nel pozzo, allora?”
“Perché non aveva nulla da perdere. Non più.”
 
  
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