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Autore: Melinda Pressywig    01/10/2013    7 recensioni
"Cadde a terra, incredulo di scoprire che le sue impressioni erano tutte vere."
~Storia attualmente partecipante al contest Horror's Tales di HannaM. sul forum di EFP (Novembre 2015)
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nella quiete della notte



 

 
Quella sera, Arnold era rimasto a lavorare nel suo salone degli attrezzi fino a tardi. Stava rimettendo a nuovo un vecchio mobile d'antiquariato: era un comò in buono stato che aveva recuperato vicino ad un cassonetto dei rifiuti. Erano tre giorni che ci lavorava su; ogni pomeriggio passava il suo tempo a sistemarlo. Mancava solo ridipingerlo e il gioco era fatto. Voleva assolutamente finirlo entro quella notte; il giorno seguente sua nipote Cladiss avrebbe compiuto sei anni, e per il suo compleanno voleva farle un regalo speciale, che le sarebbe rimasto per sempre. Avrebbe inciso le proprie iniziali sul lato del mobile, così avrebbe acquistato maggior valore affettivo e la piccola avrebbe avuto un bel ricordo di suo nonno.
Arnold era un uomo di cinquantanove anni. Lo sguardo deciso, di corporatura robusta. I capelli brizzolati dimostravano che anche lui stava invecchiando. Era andato in pensione da due anni; aveva lavorato un'intera vita in una fabbrica storica della sua città da quand'era un ragazzino. Le sue mani erano sciupate dagli anni di lavoro passati in quel posto, ma nonostante quello, egli continuava ad assemblare componenti e ravvivare vecchi oggetti. Riportare al loro splendore mobili usati era diventato uno dei suoi hobby più recenti. Ecco perché Arnold, l'anno prima, aveva deciso di costruire quel salone.
Era ampio, il pavimento e le pareti erano fatte di semplice cemento. Al suo interno c'erano un paio di tavoli accostati ai lati, e lungo le pareti vi erano attaccati degli scaffali che formavano una fila uniforme. Lassù ci teneva di tutto: pezzi di ricambio, pezzi usati, attrezzi vari, diavolerie meccaniche. Arnold andava fiero di ciò che aveva realizzato fino ad allora. Era un luogo dove poteva costruire, fare e disfare a suo piacimento, e sapeva come occupare il suo tempo.
Erano le undici e quarantacinque e Arnold aveva lasciato l'ampia porta di ferro dell'ingresso completamente aperta, per arieggiare l'ambiente; respirare tutta quella vernice spray lo avrebbe soffocato. Per quel comò antiquato aveva scelto un colore acceso e vivace: un bell'arancione caldo, che assomigliava al colore del tramonto alla sera.  
Fuori era buio, e non si riusciva a distinguere le sagome degli alberi verso il limitare della pineta. Arnold abitava in periferia, e aveva costruito il suo salone proprio lì, lontano da gente ficcanaso e da occhi indiscreti.  E anche dalla moglie, Miranda, che in quel momento era già a riposare beata nel loro letto. 
Arnold finì di spruzzare la prima quantità di vernice e posò l'aggeggio che stava usando sul tavolo. Si tolse la mascherina e aspettò qualche minuto prima di continuare. 
Stava guardando l'opera soddisfatto, quando all'improvviso, con la coda dell'occhio, vide distrattamente un movimento rapido, quasi impercettibile, fuori dalla porta. 
Spostò di scatto lo sguardo, aspettandosi di vedere qualcuno o qualcosa entrare, ma niente... solo il buio.  
Arnold, per un attimo, si ritrovò a ridere di se stesso e si convinse di averlo solo immaginato. 
Tornò ad occuparsi del mobile, e mentre si stava rinfilando la mascherina, il movimento rapido si ripeté; ma questa volta fu seguito da un verso strano, un sussurro forse, che somigliava più a un sibilo minaccioso, per niente rassicurante. 
Arnold si fermò di scatto. Il suo cuore ebbe un sussulto inaspettato. Era sicuro di non esserselo affatto immaginato. Così, dovette per forza fermarsi e andare a controllare. Prese un  canovaccio già tutto sporco, e si pulì ulteriormente le mani. Con cautela poggiò il pezzo di stoffa sul tavolo da lavoro e mosse i suoi passi. 
Guardava fisso il buio oltre la porta, aspettandosi da un momento all'altro di vedere apparire qualsiasi cosa. 
D'istinto, si voltò a guardare alle sue spalle, ma l'ambiente era sempre lo stesso. Non c'era nessuno. Solo tutti gli scaffali, attrezzi e materiali inanimati. 
Quando arrivò dinnanzi all'uscita, Arnold prese coraggio e fece capolino con la testa e poi il corpo. Non vi era niente che potesse spiegare lo strano fenomeno avvenuto qualche minuto prima. Eppure, Arnold era sicuro di aver visto una specie di figura passare e aver sentito distintamente lo strano verso.
Che fosse un animale? Probabile, ma non certo. 
Arnold si guardò attorno confuso, poi aggrottò la fronte, e pensò di essere uno stupido. Non si considerava più un bambino, e non c'era niente che potesse turbarlo. Così, senza indugiare, tornò dentro a finire il comò per la piccola Cladiss. Si stava facendo fin troppo tardi.  
 
Un profilo ripugnante si materializzò dietro l'ammasso di ferro. Un occhio indemoniato guardava
quell'uomo girato di spalle con avidità, desideroso di straziare la sua carne e cancellare la sua esistenza.
Una mano deforme e putrida agguantò bramosa il lato della porta... trattenendo a stento un impulso fremente.
Doveva aspettare. Con un ringhio impaziente sparì, lasciando un'impronta rovente sul ferro.
 
Arnold si voltò di scatto, spaventato da quel rumore molesto, ancora una volta. 
Notò immediatamente una bruciatura sulla porta, proprio sotto la maniglia. Come diamine aveva fatto a formarsi? Arnold non lo sapeva, doveva avvicinarsi e controllare. Abbandonò il suo lavoro e andò a dare un'occhiata. 
Toccò la parte della porta bruciata e subito fu costretto a ritrarre la mano. Il ferro era bollente.
Com'era possibile?
L'attimo dopo, il suo sguardo si posò a terra e vide delle strane gocce umide, che assomigliavano a semplice acqua, ma l'odore tradiva l'apparenza: sapeva di burro rancido e di pesce marcio messi assieme.
A quel punto Arnold iniziò a farsi delle domande: che genere di creatura stava in agguato nell'ombra? E perché voleva proprio lui? Arnold fu costretto lasciar perdere il comò arancione e si fermò a riflettere. Che cosa doveva fare? Poteva smettere di suggestionarsi come un ragazzino di dodici anni, oppure affrontare qualunque cosa tramasse alle sue spalle. Scelse la seconda opzione. 
Nel giro di mezzo minuto decise di armarsi con qualunque oggetto gli capitasse a tiro. Poi si ricordò di avere una mazza da baseball dentro un baule, sotto l'unica finestra presente in quel salone, e andò subito a prenderla.
Quando rialzò lo sguardo, quasi gli venne un infarto. Urlò dal terrore quando vide due occhi rossi guardarlo rabbiosi. Cadde a terra, incredulo di scoprire che le sue impressioni erano tutte vere. Che accidenti era quell'essere? Difficile definirlo. Da quella distanza si riusciva a intravedere solo un volto allungato e vagamente lucido. Sembrava umano, ma non lo era.  
Arnold si alzò in piedi, cercando di mantenere il controllo. Sapeva di dover agire. Continuò a guardare  quegli occhi rossi scintillanti, e mise in moto il cervello, ma la creatura sparì all'improvviso, lasciando Arnold sgomento. Allora imprecò furioso e rimase fermo immobile nel salone, guardando contemporaneamente la porta e la finestra, in allerta. I suoi occhi saettavano da un punto all'altro. Non sarebbe uscito da lì, mai, a costo di passare la notte  insonne e aspettare le prime luci dell'alba.  
Arnold fu preso da un momento di sconforto e si ritrovò a guardare il comò colorato sul tavolo da lavoro con espressione ferita. Si disse che non poteva morire, non prima di aver visto il sorriso della piccola Cladiss stamparsi sul suo volto.   
Con la mazza da baseball tesa, con fare minaccioso, davanti a sé, Arnold gridò: 
«Non mi avrai, essere immondo!». La sua voce sembrava esasperata, tremante.  
Non ricevette alcuna risposta. Un silenzio sinistro si era impadronito della notte là fuori. 
Gridò ancora:  «Mi hai sentito? Non sarò io quello a morire! Ma tu!». 
Arnold iniziò ad avere il fiato corto, il suo cuore batteva all'impazzata, e l'adrenalina scorreva rapida nelle sue vene.  Non sapeva dove sbattere la testa. Quella situazione stava diventando insostenibile. 
Poi, un verso profondo e gutturale  riempì il salone. Assomigliava ad una risata beffarda, però distorta, che fu accompagnata da un odore fetido. Arnold riusciva a sentire, odorare, ma non a vedere quella specie di creatura, e quello lo faceva impazzire e allo stesso tempo morire di paura. 
Quell'essere avrebbe potuto materializzarsi da un momento all'altro e aggredirlo senza alcuna pietà, e lui non avrebbe potuto difendersi, né tanto meno salvarsi, in alcun modo. Continuava a guardarsi terrorizzato attorno, cercando di elaborare un piano, tentare una via di fuga, ma si sentiva inerme, senza vie d'uscita.  
Mosso dalla rabbia gridò di nuovo:
«Vattene! Lasciami in pace! Non voglio morire...».
Ma ogni tentativo fu sprecato.  All'improvviso, le luci si spensero e Arnold capì che era giunta la sua fine. Quel mostro aveva trovato il generatore di corrente al di fuori del salone. Si riusciva addirittura a sentire il rumore dei cavi spezzati e manomessi. L'unico motivo per cui Arnold aveva salva la vita era proprio la luce artificiale. L'uomo si ritrovò a piangere in preda all'angoscia. Era finita. Non avrebbe mai più rivisto il volto dei suoi cari, di Miranda... E mai avrebbe festeggiato il compleanno insieme a Cladiss.
Nell'oscurità,  la presenza varcò la soglia, con passi pesanti. Il respiro affannato, accompagnato da quell'inconfondibile odore di morte.
Arnold continuava a piangere, e si sentiva inutile e senza speranze. La creatura sembrò ridere, quasi appagata dalla reazione della sua imminente vittima. Passarono altri interminabili secondi e infine la creatura si mosse. 
L'ultima scia di movimento che Arnold riuscì a vedere prima di morire, furono quegli occhi rossi indemoniati e delle fauci aguzze scintillare nel buio, che lo strapparono alla vita in un bagno di sangue. 
 

Il mattino seguente, quando Miranda aprì gli occhi assonnata, non ritrovò il marito accanto a sé.
In quarant'anni di matrimonio non era mai successo che Arnold non tornasse a dormire nel suo letto entro le quattro di notte. Preoccupata si alzò, mettendo di corsa la vestaglia e le ciabatte, e uscì di casa.  
Il sole era già alto e si potevano vedere gli alberi della pineta quieti e immobili. Miranda seguì il sentiero che portava al salone, e da lontano vide la porta ancora aperta. Che si fosse addormentato sul piano di lavoro? Possibile, ma aveva un brutto presentimento... 
Automaticamente rallentò il passo, fissando timorosa la porta d'ingresso. Si strinse nella vestaglia e proseguì. 
«Arnold? Sei lì dentro?» disse ad alta voce. Il suono delle sue parole si disperse nel silenzio circostante.
Mentre si avvicinava sempre di più all'entrata, Miranda notò a terra degli strani segni, e fu allora che realizzò. 
Una striscia discontinua di sangue segnava un percorso dall'interno del salone fino ad  arrivare al delimitare della pineta. Le foglie impiastrate di sangue. La terra diventata rossiccia... 
Miranda si portò le mani davanti alla bocca, inorridita da quella visione. La consapevolezza che suo marito fosse morto dissanguato la invase con tutta la sua intensità. Inevitabilmente continuò a dirigersi verso l'ingresso, e quando quella entrò, vide uno spettacolo raccapricciante:  non vi era alcun corpo dilaniato o squarciato, solo sangue dappertutto. A terra, sulle pareti, l'odore ferroso dava alla testa.
Miranda rimase sbigottita. Non poteva credere ai suoi occhi.  Chi le aveva portato via suo marito e aveva commesso quella carneficina? Non arrivò risposta.  
La donna si accasciò a terra, improvvisamente debole, cadendo scomposta sul cemento macchiato. Gli occhi spalancati, un peso immenso al cuore. Devastata nell'animo più profondo. Rimase lì, stordita dall'odore pungente del sangue di suo marito. Nessuno glielo avrebbe riportato indietro. Era tutto finito. 
Poi, Miranda guardò ancora una volta i segni rimasti sul cemento. All'improvviso si rese conto che là fuori c'era un assassino, un mostro, in grado di uccidere un uomo senza pietà. Non poteva tacere. 
Si rialzò a  fatica, sull'orlo delle lacrime,  e uscì dal salone. Iniziò a correre all'impazzata, via da lì. Via da tutto quell'orrore, urlando e chiedendo aiuto...
Il salone rimase vuoto e silenzioso, così come lo era stato ore prima. Solo un comò arancione era rimasto inerme sul tavolo da lavoro, spettatore impotente di quella orrenda vicenda. Sulla sua superficie vi erano schizzi irregolari di sangue... Il sangue di un uomo che non avrebbe mai visto Cladiss sorridere.  















 












 




Spazio Autrice.

Salve gente!
Questo che avete appena letto è il mio primo tentativo di storia (simil) horror.
Io non sono per niente una patita del genere. Se posso, i Film Horror li evito come la peste. 
Però recentemente ho scoperto che leggere racconti di paura qua su EFP mi piace un sacco. 
A furia di immergermi nelle tipiche atmosfere, mi è venuta voglia di cimentarmi anche io nella stesura di un racconto horror. 
Il che è molto divertente ve lo assicuro.
Ho seguito il mio istinto e l'immaginazione. Non penso assolutamente di esserne davvero all'altezza!
Perciò devo davvero ringraziare Fabio93, che con una sua storia pubblicata mi ha particolarmente ispirato, e in più mi ha aiutato a  far funzionare meglio la storia.
Perciò ecco qua il risultato finale.
Io spero tanto di avervi appassionato almeno un poco.
Se non l'ho fatto, ditemi pure che faccio pena! Ahaha!
Attendo recensioni, per chi ha voglia di lasciarmi un parere.
Grazie a chi ha letto!


Saluti Melinda Pressywig. 



  
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