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Autore: OmonimiaCasuale    02/10/2013    1 recensioni
(Chi non ha letto Life di Keiko Suenobu e in particolare il volume 26 non può capire questa storia. SPOILER!)
Life è un manga tragico e bellissimo che però purtroppo mi è caduto nel finale. L'autrice ha detto di aver fatto tutto in modo che chi è colpevole si penta sinceramente e che Ayumu trovi il coraggio di andare avanti da sola, ma con l'uscita di Anzai che le chiede di farsi denunciare non direi proprio che è andata così. Allora ho deciso di riscrivere il finale come ritenevo che fosse giusto mantenendo alcune delle linee guida dell'autrice e del suo spirito e senza modificare la sua decisione (assurda) di far restare Ayumu al Nishidate.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ore 8:00 del mattino, casa di Ayumu
 
Ayumu si svegliò molto abbattuta quella mattina. Ripensò a quello che le aveva detto Miki. Si chiese cosa dovesse fare.
“Adesso è tutto molto difficile per lei. Non so come aiutarla. Però… Forse se la vado a trovare la farò sentire meglio.”
Dopo essersi lavata e aver pensato a lungo alle sue decisioni, andò in sala da pranzo. Sua madre stava lavando i piatti.
“Mamma posso restare a casa oggi?”
“Ma certo!” Rispose prontamente la donna “Non devi riprendere immediatamente.” Fece una breve pausa. “Pensandoci bene… Non devi nemmeno andare per forza al Nishidate.”
Ayumu e la madre si fissarono per un momento.
“Quest’anno le cose con tuo padre sono andate abbastanza bene. Abbiamo accumulato un bel po’ di risparmi. Puoi finire quest’anno ripresentandoti solo agli esami e poi andare in una scuola privata per diplomarti. Dopotutto manca solo un anno e tu… Tu non hai voglia di andare all’università vero?”
 
Ayumu aveva avuto modo di chiedersi più volte, da quando aveva conosciuto Miki, cosa ne sarebbe stato di lei, cosa sarebbe stato il suo futuro. Non aveva mai avuto grandi sogni, fino alle medie tutto quello che aveva sempre desiderato era di stare insieme alla sua amica Yuko. Lei sì che aveva sempre avuto grandi progetti per sé.  Una delle ragioni per cui si era sempre impegnata era perché da grande voleva diventare dottoressa. Yuko aveva sempre pensato a se stessa e ai suoi sogni e pur volendo bene ad Ayumu appena si era trovata in difficoltà l’aveva usata (ora che aveva più fiducia in se stessa Ayumu ne era abbastanza sicura) come capro espiatorio. Ora probabilmente era in un liceo migliore del Nishidate, continuava a studiare e a seguire i suoi sogni. Se fossero rimaste assieme Ayumu avrebbe finito per diventare anche lei un dottore. Ayumu invece che sogni aveva? Di nessun genere. Non aveva mai seriamente pensato al suo avvenire, ma solo al futuro immediato. Ora la prospettiva di non andare all’università però non le sembrava più tanto scontata. Stranamente, dopo tutto quello che aveva affrontato, sentiva il bisogno di continuare gli studi oltre che la vita per rendersi utile un giorno.
 
“Devo pensarci mamma.”
“Certo! Prendi tutto il tempo che vuoi. Ti faccio la colazione?”
“No, mangio più tardi.”
Voleva vedere Miki. Sentiva il bisogno di vederla, ma anche uno strano senso di freno. Forse doveva lasciarla in pace almeno per un po’. Era ancora abbastanza presto quindi accese la televisione. C’era il notiziario del mattino.
“Una ragazza di quattordici anni è stata arrestata con l’accusa di omicidio.”
Ayumu lasciò cadere il telecomando.
“Secondo la polizia avrebbe accoltellato in strada una coetanea che attualmente è ricoverata in prognosi riservata all’ospedale.”
Ayumu tirò un sospiro di sollievo. “Che spavento. Pensavo che parlassero di Anzai….”
“La vittima aveva denunciato alla polizia di essere vittima di maltrattamenti da parte della coetanea. Si pensa che questa l’abbia accoltellata per vendicarsi. La polizia sta indagando…”
Click
Lontano da casa di Ayumu, nell’ospedale dove Anzai era ricoverata, nella sua stanza, suo padre aveva spento il televisore borbottando: “Sono un mucchio di sciocchezze!”
Poi si era rivolto alla figlia: “Anche se venisse fuori questa storia al Nishidate non devi preoccuparti! Non avrai mai più a che fare con loro, devi solo pensare a divertirti nella tua nuova scuola!”
Manami non guardò nemmeno suo padre e lui se ne andò senza aggiungere altro. Lei riaccese la televisione appena lui sparì.
“Si possono denunciare maltrattamenti subiti a scuola?” domandava la giornalista al commissario.
“Assolutamente. La cosa migliore sarebbe parlarne con il consiglio scolastico e con i propri genitori. Ma per i casi più gravi è giusto rivolgersi alla polizia.”
Manami prese il telefonino e iniziò a fare una ricerca sulle punizioni per i crimini commessi da minori o per bullismo.
 
Ore 7:30 in strada
 
Ayumu si rassegnò ad aspettare Miki quando ormai era ora di cena. Si alzò ed andò a mangiare in un locale. Non aver rivisto l’amica l’aveva molto abbattuta. Si poneva mille domande su cosa e come potesse fare. La televisione era accesa sul notiziario. Si sedette in un tavolo lì vicino e ordinò del sushi. Osservò bene la cameriera, sperava che fosse Miki, come quando l’aveva incontrata per la prima volta. Invece era una donna adulta. Forse anche più vecchia di sua madre.
“Ora abbiamo in esclusiva l’intervista della ragazza accoltellata ieri sera da una sua coetanea. La linea passa a Suzuki in diretta dall’ospedale.”
Ayumu non voleva neanche ascoltarla. Per tutto il giorno il pensiero che, venuta fuori la storia avrebbe messo sotto l’occhio dei media sua madre e sua sorella l’aveva perseguitata. Poi però vide la ragazza: era cicciotta e portava i capelli tagliati corti. Ma aveva il volto come quello di Miki: gli occhi avevano lo stesso sguardo deciso.
 
“Come ti chiami?”
“Hiroko Moriso. Ho quattordici anni.”
“Perché hai accettato di fare questa intervista?”
“Perché spero di dare un po’ di coraggio a tutti coloro che si sono trovati nella mia stessa situazione.”
“Cosa ti è successo?”
“Non sono bella d’aspetto. Ho sempre saputo di non esserlo. Per questo motivo ho sempre cercato di comportarmi correttamente, di avere un buon carattere e di andare d’accordo con tutti. Un giorno però ho fatto quello che gli altri consideravano un errore: quando una mia compagna era assente ho tenuto compagnia al suo ragazzo mangiando il pranzo con lui. Lui mi aveva invitato e io non ho voluto dire di no. Da allora è iniziato l’inferno. Le altre ragazze hanno detto che volevo portare via il fidanzato a questa persona, che oltretutto consideravo amica quindi non lo avrei mai fatto. All’inizio erano solo degli scherzi e io non ne capivo nemmeno il motivo. Quando ho chiesto spiegazioni mi hanno detto solo perché ero brutta. Mi hanno detto tutto solamente dopo quando le faccende si sono fatte serie.”
“In che senso serie?”
“Bhè una volta mi hanno rubato tutti i vestiti mentre andavamo a fare nuoto. Un’altra volta hanno cercato di farmi accusare di un furto. Poi c’è stato il topo morto nello zaino. Ho capito che la cosa si faceva seria e allora le ho affrontate: ho chiesto loro spiegazioni e mi hanno finalmente detto che era quella storia del pranzo.”
“Per un pranzo?”
“Per un pranzo.”
“E nessuno ha cercato di difenderti?”
“No.  Avevo fatto di tutto per essere amica di tanti e credevo di esserlo. Ma ho sbagliato.”
I suoi occhi brillarono un po’ a quel punto ma non pianse.
“Ne hai parlato hai professori?”
“Sì. Non ha funzionato.”
“E hai tuoi genitori?”
“Sì. Loro sono riandati dai professori ma non ha funzionato. Insieme abbiamo deciso di  andare dalla polizia. Dopo che la mia compagna è arrivata a minacciarmi con un coltello.”
“Quando è successo questo?”
“Dopo che ero andata dai professori. Mentre due mi tenevano ferma lei mi ha fatto un segno sul petto per dire che mi avrebbe colpito lì se provavo a parlarne di nuovo.”
“Sei contenta ora che è stata arrestata?”
“…..Io….. Io volevo e voglio soltanto andare a scuola senza immaginare di entrare all’Inferno. Ecco tutto.”
“Che farai adesso?”
“Dovrò trasferirmi, ma la decisione era stata presa da molto tempo. In realtà io volevo pure restare in quella scuola. Però visto quello che è successo forse un taglio definitivo è meglio.”
“A chi è nella tua stessa situazione cosa consigli?”
“Parlarne. Parlarne fin quando non verrà ascoltato. Senza paura.”
 
Continua….
  
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