Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: Beauty    02/10/2013    5 recensioni
Missing Moment della mia long "Grimm - No more happily ever after".
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Angolo Autrice: Ciao a tutti! Innanzitutto, grazie per aver fatto un salto qui. Come specificato nell’intro, questa ff è un missing moment della mia long Grimm – No more happily ever after. In particolare, può essere considerato una sorta di prequel, più o meno uno scorcio nella vita di Anya ed Elizabeth – che qui, per precisione, hanno diciassette e quindici anni – prima del Regno delle Favole. L’ho scritta essenzialmente perché mi è parso di aver scritto troppo poco sulle loro vite “normali” per così dire. Se sono stata troppo vuota o poco profonda, o se le ho rese male o rovinato i loro personaggi, o se anche ci sono degli errori di battitura, mi scuso, non era mia intenzione, ma ho 38 di febbre e sono stata a letto tutto il giorno, e solo ora ho trovato la forza di alzarmi e di fare qualcosa.
Comunque, spero vi piaccia.
Recensioni sempre gradite :).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Si sentiva come la protagonista di uno di quei film per teenagers un po’ stupidi ma che erano comunque in grado di farti staccare la spina per un’ora e mezza, prima di riportarti alla tua squallida vita. La protagonista di uno di quei film in cui la bruttina del liceo viene presa in giro per tutto il tempo, ma che alla fine dimostra di essere migliore di tutti gli idioti che le ridevano dietro. Come Anne Hathaway in Pretty Princess. Come Cenerentola. E Billy Blond era il suo Principe Azzurro.
Elizabeth Hadleigh guardò la sua la sua intera figura riflessa nello specchio del bagno, illuminata dalla luce delle lampadine. Era chiusa là dentro da più di un’ora, ma a differenza della mattina in cui sembrava quasi che tutti e tre puntassero la sveglia con mezz’ora di anticipo solo per il gusto di soffiare all’altro il posto, né suo padre né sua sorella avevano ancora bussato alla porta chiedendole se fosse affogata nel lavandino.
Anche sotto quel punto di vista la serata era perfetta.
Elizabeth fece un giro su se stessa, osservando ogni dettaglio, e intanto ritornava con il pensiero alla sera della settimana precedente, quando Billy Blond – cioè, non Joe Vattelapesca, sorellina, esci con niente meno che Billy Blond!, continuava a trillare la voce di sua sorella nella sua testa, e lei sentiva di non aver mai adorato la voce di Anya tanto come in quel momento – le aveva telefonato, telefonato a lei, la sfigata della scuola, la secchiona, il brutto anatroccolo.
Il ballo di fine anno era la ricorrenza più attesa durante quei nove mesi di tortura costellati da interrogazioni e compiti in classe a sorpresa; né lei né Anya erano dello stesso parere della maggior parte delle oche-cuoio-capelluto-platinato che starnazzavano in gruppo nella speranza di essere elette reginette della scuola, ma restava comunque un dato di fatto: il ballo di fine anno equivale agli esami di fine corso applicati alla sfera sociale.
Se ci andavi, allora facevi parte della fascia in, quella che contava; se non ci andavi, allora eri un nerd o uno sfigato che non era riuscito ad accaparrarsi una dama o un cavaliere neppure a pagarlo a peso d’oro; se ci andavi, ma non avevi un accompagnatore, allora eri una sfigata di prima categoria che era venuta lì nella speranza che qualcuno ti degnasse di uno sguardo, anche se per la felicità tua e di chiunque altro avresti fatto meglio a startene a casa.
Elizabeth aveva seguito alla lettera quest’ultima regola l’anno prima, quando aveva cominciato il liceo.
Il suo ruolo all’interno di quella struttura scolastica era stato determinato sin dal primo giorno: lei era una quattordicenne né grassa né magra, timida e impacciata, con anonimi capelli castani e occhi scuri pressoché nascosti da quel paio di occhiali da vista dalla montatura spessa che l’accompagnavano da quasi dieci anni. Era brava a scuola, riportava sempre ottimi voti nelle interrogazioni e rispondeva correttamente alle domande dei professori; era forse un po’ carente in matematica, ma quanto allo scrivere temi e relazioni non la superava nessuno.
Purtroppo, il suo aspetto e la sua popolarità erano inversamente proporzionali alla sua intelligenza: poco importava se era una delle prime della classe e se si mostrava sempre gentile e disponibile con tutti. Il suo marchio di sfigata quattrocchi non sarebbe cambiato.
All’inizio, era anche riuscita a farsi alcune amiche, tanto da illudersi che forse le cose sarebbero potute andare per il verso giusto, ma ben presto anche quelle poche ragazze che sembravano trovarla simpatica l’avevano mollata, ed Elizabeth ci aveva impiegato poco a capire che, se stavano con lei, era solo perché era l’unica in grado di trascrivere correttamente un progetto di scienze o di tradurre senza errori una versione di latino, o di suggerire durante un compito in classe che nessuno aveva preparato.
Ma quello sarebbe anche stata disposta a sopportarlo, se poco dopo non ci si fossero messe anche quelle che, con il passare del tempo, erano ufficialmente diventate le sue aguzzine numero 1.
Si trattava di Jessica Stone, Ursula Whales, Samantha Smith, Julia Hammonds e Anne Bancroft. Cinque ragazze dell’ultimo anno, ripetenti per chissà quante volte, anche loro snobbate dalla maggior parte degli altri studenti ma che dalla loro avevano un fisico forzuto e una prepotenza mista a violenza oltre ogni dire.
L’avevano presa di mira così, senza alcun preavviso, semplicemente un giorno avevano cominciato e non avevano più smesso, e con il trascorrere del tempo i loro scherzi si erano fatti sempre più pesanti. Se fino all’anno prima si limitavano a lanciarle palline di carta e a offenderla con qualche insulto di tanto in tanto, ora erano passate a minacce vere e proprie, a imbrattarle l’armadietto con frasi oscene, e non era raro che le mettessero le mani addosso.
In più, la loro antipatia nei suoi confronti le aveva spinte a diffondere la verità – la ragazza non aveva idea di dove accidenti avessero pescato quelle informazioni, probabilmente su Internet – su sua madre e su ciò che aveva fatto, facendola ripiombare in un incubo che credeva di essersi lasciata alle spalle una volta terminata la scuola media e le interminabili sedute con psicologhe che non capivano niente.
Gli unici momenti in cui la lasciavano stare, a parte le lezioni, era quando nei dintorni c’era sua sorella, ma non appena Anya svoltava l’angolo ecco che a lei arrivava il primo ceffone.
Elizabeth si era scervellata più e più volte alla ricerca del perché ce l’avessero proprio con lei, di cosa avesse fatto per meritarsi di essere sbattuta contro un muro ogni volta che si azzardava ad avventurarsi in un corridoio diverso, ma alla fine era giunta alla conclusione che tutto questo era semplice bullismo gratuito, nulla di più e nulla di meno.
E così, ogni giorno lei andava a scuola con l’unico obiettivo di tornare a casa al più presto e con il minor numero di lividi possibile su braccia e gambe. I suoi voti rimanevano sempre alti, ma quelle cinque continuavano a tormentarla, non aveva nessun amico e i ragazzi le rivolgevano la parola solo per chiederle di spostarsi o di togliere quel giubbotto di merda dalla panchina dei giocatori di football.
Naturale che, in quelle condizioni, Elizabeth avesse sempre accuratamente evitato di partecipare al ballo della scuola: non aveva nessuna speranza di venire eletta reginetta, quello no e d’altra parte lei non lo avrebbe nemmeno voluto, ma a parte questo era sicura che nessun ragazzo avrebbe mai voluto invitare lei, il topolino con gli occhiali.
E invece, il sabato precedente, Billy Blond le aveva telefonato.
Elizabeth fece un sorrisetto di contentezza, ricordando la loro conversazione.
- Pronto? Liz Hadleigh? Sono Billy.
- Billy chi?
- Billy Blond, della quarta C.
Il cuore le era saltato fino alla gola, tanto che per un attimo aveva creduto di svenire. Billy Blond era uno dell’ultimo anno, alto, biondo, giocatore di football, molto popolare; Elizabeth non era innamorata di lui, questo no, ma lo trovava comunque un bel ragazzo, e forse aveva una mezza cotta.
Quello che non si spiegava, era perché le avesse telefonato.
- Oh…ehm…sì…ciao!...Io…ehm…cosa…cosa posso fare per te?
- Ciao! Volevo chiederti se sei libera, sabato prossimo…
- Ehm…sabato prossimo? Sabato prossimo c’è il ballo.
- Sì, infatti. Volevo sapere se ci vai con qualcuno.
- Che? Ehm…no, io…no, non ci vado con nessuno.
- Beh, in tal caso…Pensavo che potresti venirci con me. Che ne dici?
Elizabeth era sicura che, se non le era preso un colpo in quel momento, allora non le sarebbe preso mai più. Aveva preso un profondo respiro, giusto per assicurarsi di essere ancora viva.
- Io…ehm…oh, sì, certo! Certo, mi piacerebbe molto…
- Okay, allora. Ci vediamo la sera del ballo di fronte alla palestra, alle nove. Non vedo l’ora…
- A sabato, allora…Ciao…
Quando lo aveva saputo, sua sorella aveva cacciato uno strillo di eccitazione, chiedendole come diamine avesse fatto a farsi invitare al ballo da Billy Blond. A quanto ne sapeva, Anya le aveva detto, Billy stava ancora con quella scema di Sharon Baker, ma era altamente probabile che si fossero lasciati per la cinquantesima volta.
Elizabeth non era innamorata di Billy, questo lo aveva chiarito a sua sorella. Ma le piaceva, era un bel ragazzo e – cosa che per lei era importantissima – sembrava anche intelligente, e non le sarebbe dispiaciuto, se la serata fosse andata bene, rivederlo di nuovo. Non aveva mai creduto all’amore a prima vista, ma le sarebbe piaciuto innamorarsi, un giorno o l’altro.
Quindi, chissà, perché non proprio di Billy Blond?
 
E ora, eccola lì. Elizabeth era uscita il lunedì pomeriggio seguente per comprare un vestito adatto all’occasione. Sua sorella le aveva spiegato che al ballo della scuola per le ragazze era di regola la gonna, possibilmente un vestito corto con le spalline sottili. Lei e Anya avevano girato come delle disperate per più di tre ore, cercando un modello che andasse bene e che al contempo non spolpasse il loro già magro portafogli. La scelta era caduta su un vestito blu scuro con la gonna che arrivava appena sopra il ginocchio, con le spalline e uno scialle di seta.
Anya le aveva prestato un paio delle sue scarpe da abbinarci…E qui erano cominciati i problemi, dato che le suddette scarpe avevano dieci centimetri di tacco e lei fino a quel momento non aveva indossato altro se non ballerine e scarpe da tennis. I capitomboli non si erano risparmiati, ma se non altro adesso non zoppicava più in maniera così evidente e riusciva a camminare senza sembrare una papera.
Non poteva indossare gli occhiali, naturalmente, e Anya le aveva comprato un paio di lenti a contatto che ora, dopo una settimana di prove, riusciva a indossare senza che le lacrimassero gli occhi.
E adesso era sabato sera, mancavano due ore all’appuntamento, e lei era quasi pronta.
E nervosissima.
Elizabeth gettò un’ultima occhiata alla sua figura riflessa: il vestito sembrava starle bene, gli occhi non erano arrossati e aveva chiesto a sua sorella di arricciarle un po’ i capelli castani con la piastra. Mancava solo un po’ di trucco, e poi sarebbe stata pronta.
Afferrò uno sgabello poco distante, sedendosi con attenzione per non scivolare a causa dei tacchi, quindi prese a rovistare nel beauty case di Anya. Gettò un’occhiata critica al proprio viso riflesso nello specchio: non era bella, non lo era mai stata, e a differenza di sua sorella non aveva neppure un fisico da top model. Per di più, non si era mai truccata in vita sua, prima di quella sera.
Che poteva fare?
Optò per cominciare con qualcosa di semplice, un passo alla volta. Prese un rossetto color vermiglio dal beauty case, mettendosene un po’ sulle labbra. Si guardò, inorridendo: aveva calcato troppo la mano, il rossetto era sbavato agli angoli della bocca, e più che la femme fatale che aveva sperato di apparire sembrava la rana dalla bocca larga. Afferrò una delle salviette struccanti e cercò di tamponare le sbavature, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu di sbavare ancora di più il rossetto.
Elizabeth lasciò perdere, e prese la scatola di fondotinta. Provò a mettersene un po’, ma creò due chiazze marcate sulle guance. Con l’ombretto non andò meglio: la tinta blu scuro la faceva sembrare un pugile messo K.O., mentre riuscì solo a dipingere una grande linea nera su una palpebra con l’eyeliner.
Non ce la farò mai!
Stava cominciando a capire perché Cenerentola aveva affidato il compito dei preparativi alla Fata Madrina…
- Ehi, tutto bene là dentro?
La voce di Anya le giunse come la salvezza oltre la porta chiusa del bagno. Elizabeth volse istintivamente lo sguardo in direzione di essa.
- Liz? Posso entrare?
- Sì, vieni…
Se Elizabeth aveva sperato per un attimo che Anya potesse aiutarla a uscire da quel casino, la visione di sua sorella non fece altro che gettarla ancora di più nello sconforto.
Anya aveva diciassette anni, due più della sorella minore, e per lei quello era il senior year, e di conseguenza anche l’ultimo ballo della scuola a cui avrebbe partecipato. Per l’occasione aveva indossato un tubino nero dalla gonna a metà coscia e spalline, scarpe con tacco quindici su cui camminava inspiegabilmente senza traballare, aveva laccato  le unghie di rosso e i lunghi capelli neri e mossi le ricadevano fino alla vita come una morbida cascata. Il trucco non aveva sbavature, e l’ombretto metteva in risalto i suoi occhi verdi.
Sin da piccole, Elizabeth aveva sempre notato le differenze che intercorrevano fra lei e sua sorella: Anya era la più bella, quella che somigliava più alla mamma – anche se questo non era un fatto granché positivo, tutt’altro –, nonché quella fra loro due con il carattere più forte e il maggior senso pratico. Sua sorella aveva un bel viso e un bel fisico, e anche se Elizabeth sapeva benissimo che qualunque cosa addosso le sarebbe stata bene, doveva ammettere di preferirla così, rispetto a come si conciava quando aveva la sua età.
Grazie al cielo, come aveva sentito dire da suo padre a un suo collega, Anya sembrava aver finalmente messo la testa a posto. Ora studiava con impegno, utilizzava a pieno la sua intelligenza e le sue capacità e non faceva più i colpi di testa che era solita fare, e sembrava che si fosse lasciata alle spalle quella brutta fase della sua vita.
Il periodo fra i quindici e i sedici anni di sua sorella era stato un vero inferno, o piuttosto una battaglia di Anya contro il mondo intero, capitanato da suo padre. Papà aveva sempre cercato di spiegare il suo comportamento ribelle imputando il tutto alle cattive compagnie, ma Elizabeth non era sicura che la colpa fosse solo ed esclusivamente dei ragazzi con cui sua sorella usciva.
Dopo ciò che la mamma aveva fatto prima di sparire nel nulla, la sua famiglia aveva attraversato un periodo difficilissimo, ma che sembrava essersi, se non risolto, quantomeno appianato. Fino a che, a quindici anni, Anya aveva iniziato a marinare la scuola, a farsi sempre più chiusa e scontrosa, a rispondere male e a fare tutto il contrario di ciò che le si diceva.
Elizabeth sospettava che il comportamento ribelle di sua sorella fosse in fondo una sorta di battaglia personale – o, perché no, anche di vendetta – nei confronti del padre. Anya aveva sempre imputato a papà la colpa di tutto, e anche se non glielo aveva mai urlato in faccia, glielo dimostrava in ogni parola e gesto della vita quotidiana.
A quindici anni, Anya aveva preso a vestirsi da punk, con trucco scuro e pesante, abiti neri e giacche di pelle, anfibi e braccialetti con borchie e spuntoni che la facevano sembrare una disadattata. Tornava a casa la sera, tardi, a volte anche dopo mezzanotte, con suo padre sempre sveglio e preoccupato ad aspettarla e a prendersi immancabilmente le solite rispostacce alla richiesta di spiegazioni.
Avevano scoperto che frequentava un certo Bobby Joe, uno sbandato che non faceva altro che bighellonare tutto il giorno, e a quel punto suo padre era intervenuto rinchiudendola letteralmente in casa. Sua sorella l’aveva presa malissimo, tanto che le litigate erano all’ordine del giorno, ma alla fine papà aveva avuto la meglio.
Anya l’aveva smessa di comportarsi da ribelle, almeno in maniera così vistosa. Ora andava a scuola regolarmente, frequentava gente perbene e quell’anno si sarebbe diplomata. Ma la ribellione, al contrario di quanto si potesse pensare, non se n’era andata, oh no: Anya non aveva deposto l’ascia di guerra nei confronti di suo padre, pensava ancora che se ne fregasse di loro due – in effetti, Elizabeth doveva ammetterlo, papà con il suo lavoro da poliziotto non era quasi mai in casa, né sapeva, nel suo caso, cosa doveva passare ogni giorno a scuola – e aveva instaurato con lui un rapporto molto freddo, quasi fossero stati due estranei.
Solo la settimana prima, quando papà aveva avanzato le sue perplessità riguardo al fatto che una ragazza di quindici anni potesse andare al ballo della scuola, Anya gli aveva risposto in malo modo dicendogli che era rimasto ai tempi della pietra. Suo padre, comunque, non era rimasto convinto dal fatto che lei uscisse con Billy Blond.
Quanto a sua sorella, lei al ballo ci andava con un certo Ross, uno studente del college.
Anya si arrestò sulla soglia, puntando lo sguardo sul volto malamente truccato di Elizabeth. Inarcò un sopracciglio, sfoderando un sorrisetto.
- Chi sei? It o John Wayne Gacy?
- Scema…- borbottò Elizabeth, prima di prendersi il capo con le mani, sbuffando sconsolata.- Ho paura che ci dovrò rinunciare…
- Ma neanche per idea!- Anya si avvicinò, inginocchiandosi al suo fianco e prendendo la scatola delle salviette struccanti fra le mani. - Tu non devi rinunciare a niente, tranne che per uscire da qui conciata da clown!
- Sono nervosissima…- confessò Elizabeth.
- E’ normale. Dai, ti do una mano…
Anya la ripulì della tavolozza di colori che si era spalmata in faccia, quindi le mise un ombretto leggero e un po’ di lucidalabbra. Doveva ammettere di sentirsi molto meglio, così.
- Ecco qui!­- esclamò Anya, una volta che ebbe terminato.- Pronta a far capitolare Billy Blond!- rise.
- Secondo te andrà bene?- chiese Elizabeth, torcendosi nervosamente le mani. - Insomma, già mi pare assurdo che abbia chiesto a me di uscire…
- Perché? Che hai tu, la peste bubbonica?
- Lo sai anche tu che sono la sfigata della scuola.
- Io so che sei mia sorella e che quelli che ti prendono in giro sono degli imbecilli.
- Tutto il mondo è imbecille, allora.
- L’hai capito solo adesso?
- Per favore, fai almeno finta di essere seria…!
- Liz, scusa se te lo dico, ma sei ridicola!- Anya la guardò negli occhi.- Che cos’hai, me lo spieghi?
Elizabeth sospirò, guardandola negli occhi.
- Scusami…- soffiò.- E’ che io non sono come te. I ragazzi mi parlano solo per…che ne so, chiedermi di tenere aperta una porta, e io non ho la più pallida idea di come comportarmi, stasera.
- Te lo dico io: vai e sii te stessa - Anya ridacchiò, abbracciando sua sorella da dietro.- Andrà bene, vedrai…
Uscirono dal bagno: mancava solo un’ora all’appuntamento, e a New York il traffico era molto fitto, specialmente il sabato sera, quindi conveniva darsi una mossa. Trovarono il padre seduto in cucina, con ancora addosso la camicia e i pantaloni, segno che fece loro intuire che fosse arrivato da poco.
Anya non disse nulla, facendo finta di nulla; Elizabeth fece un gesto di saluto con la mano.
- Ciao, papà…!- salutò.
Richard Hadleigh sollevò lo sguardo, rispondendole con un sorriso stanco – ma papà da quanto tempo aveva quell’aria così stanca?
- Ciao…- rispose, alzandosi in piedi.- State uscendo? Di già?
Elizabeth annuì; Anya esibì una smorfia infastidita, spingendo sua sorella verso la porta. Richard s’infilò le mani in tasca, un po’ a disagio.
- Volete che vi accompagni?- propose dopo un istante.
- No, andiamo con la mia macchina…- rispose Anya, senza guardarlo.
- Sei sicura? L’ultima volta non mi è sembrato che andasse molto bene…
- Il pick-up va benissimo - tagliò corto la ragazza, zittendolo.
Hadleigh attese qualche altro istante prima di parlare di nuovo.
- A che ora tornate?
- Che ne so!- Anya sbuffò, dando un’altra spinta a sua sorella.- Liz, dai, muoviti, facciamo tardi!
- Se ci sono problemi, telefonatemi, intesi?- insistette l’uomo. - Almeno una di voi ha il cellulare?
- Sì…- Anya sbuffò per la seconda volta, aprendo la porta di casa.
- Va bene. Divertitevi, allora…
- Grazie…Ciao…- riuscì a dire Elizabeth, prima che sua sorella richiudesse la porta alle loro spalle.
Scesero in strada, dove Anya teneva sempre parcheggiato il suo pick-up comprato un anno prima a prezzo stracciato e che aveva dovuto far rimettere completamente a nuovo. Come da copione, sua sorella ci mise ben venti minuti per farlo partire, tanto che Elizabeth inorridì alla vista di sé stessa che telefonava a Billy per dargli buca a causa di problemi tecnici.
Alla fine, però, quel vecchio rottame si decise a partire, e la ragazza poté tirare un sospiro di sollievo.
 
Il parcheggio intorno alla palestra del liceo era già pieno di auto e di persone, alcuni studenti, altri insegnanti, altri semplicemente accompagnatori da fuori o da altri istituti. La musica a palla proveniva dall’interno dell’edificio in cui, da ciò che si poteva vedere dalle finestre, le luci al neon impazzavano quasi fosse stata una discoteca.
Anya ed Elizabeth scesero dall’auto, e subito videro un ragazzo in giacca e cravatta avvicinarsi a loro. Era decisamente più grande, sui vent’anni, con capelli biondo scuro e un pizzetto sul mento.
- Ehi, Anya!- salutò, sventolando una mano in aria.
La ragazza sorrise, andandogli incontro.
- Ciao, Ross…- rispose, mentre il ragazzo le offriva il braccio.- Lei è mia sorella, Elizabeth…- disse, presentandoli.
- Piacere di conoscerti, Elizabeth…- disse Ross, stringendole la mano. - E…tu starai con noi, questa sera?
Gliel’aveva chiesto sfoggiando il più smagliante dei sorrisi, ma Elizabeth comprese dal suo sguardo che, se gli avesse risposto di sì, gli avrebbe dato un dolore grandissimo.
- No, lei stasera ha un appuntamento - spiegò Anya, prima di tornare a guardare sua sorella.- Vuoi che restiamo a farti compagnia finché non arriva Billy?- propose.
- No, grazie, andate pure. Dovrebbe arrivare a momenti…
- Okay, allora - Anya sorrise, stringendosi a Ross. - Ci vediamo più tardi, d’accordo? Divertiti, mi raccomando…
- Grazie, anche voi…
Elizabeth rimase a guardare sua sorella che si allontanava ridendo a qualcosa che Ross le aveva detto, quindi prese a torcere nervosamente lo scialle del vestito, incerta sul da farsi. Billy Blond ancora non si vedeva, ma la ragazza decise di avvicinarsi all’entrata della palestra, dato che si erano dati appuntamento lì.
La musica era molto più forte, all’interno stavano dando Poker Face di Lady Gaga; Elizabeth sospirò, appoggiandosi a una parete esterna della palestra, prima di gettare un’occhiata all’orologio del cellulare: erano le nove e dieci.
Prese a guardarsi un po’ intorno per ingannare in tempo, scorgendo poco distante il quintetto formato da Jessica, Ursula, Anne, Julia e Samantha. Trasalì, arretrando istintivamente, ma ben presto si accorse che, almeno per quella sera, le cinque non avevano alcuna intenzione di rivolgere le sue attenzioni a lei. In ogni caso, Elizabeth si fece ancora più indietro per sicurezza.
- Sono due dollari e cinquanta per il biglietto d’entrata…- disse gentilmente la ragazza seduta al banco dove vendevano i biglietti. Elizabeth sorrise, un po’ imbarazzata.
- Grazie, ma credo che entrerò fra un po’- rispose.- Sto aspettando un ragazzo…
La ragazza le rispose con un altro sorriso, ma a Elizabeth non sfuggì cosa c’era sotto: era un sorriso di pietà, come per dire ti capisco, neanch’io ho trovato nessuno che m’invitasse, mi spiace, so che è dura da ammettere. Beh, sperava veramente che non avesse ragione.
Guardò un’altra volta il cellulare: le nove e venti e nessuna chiamata né messaggio a giustificare un ritardo. All’interno la musica era cambiata: ora il dj aveva messo su un lento, Honesty.
Elizabeth sorrise, sbirciando le coppie che ballavano. Avrebbe voluto essere lì anche lei, in quel momento, e sperò con tutto il cuore che ci fosse un altro lento, per quando Billy sarebbe arrivato.
Non aveva mai ballato con nessuno – non era nemmeno sicura di esserne capace – ma da sempre l’immagine di una coppia che ballava un lento le ispirava dei pensieri romantici, quasi da favola, avrebbe potuto dire. Era sempre stato così, sin da piccola quando vedeva i film della Walt Disney durante la scena di Cenerentola che ballava con il principe, di Aurora che danzava il valzer con Filippo nel finale de La Bella Addormentata, e naturalmente la sua preferita, quella del cartone animato La Bella e la Bestia.
Sì, quel film, e in particolare la scena del ballo, erano sempre state le sue preferite. Le piaceva perché per lei quello era l’amore vero, quello che non si curava delle apparenze, quello che era per sempre. E il ballo non era altro che l’unione di due anime affini, due anime innamorate.
Avrebbe veramente voluto vivere un amore così, un giorno.
Tornò a guardare l’orologio: erano le nove e mezza, e di Billy ancora nessuna traccia. Stavolta, però, c’era una novità: sul display era apparsa l’icona di un nuovo SMS.
Elizabeth lo aprì, sentendo un tuffo al cuore: era di Billy.
 
Scusa per il ritardo, ho avuto un problema con la macchina.
Incontriamoci sul retro della palestra. Ho una sorpresa per te.
Billy
 
Elizabeth tirò un sospiro di sollievo, iniziando ad avviarsi sul retro, incespicando un po’ nelle scarpe troppo alte. Le facevano male, sperò veramente di poter ancora ballare con addosso quelle.
Svoltò l’angolo, costeggiando il muro della palestra. Scorse un gruppetto poco distante e si avviò verso di esso, ma giunta a poca distanza si bloccò, sentendosi gelare il sangue.
Di fronte a lei c’era Billy Blond che stringeva al suo fianco Sharon Baker; entrambi erano circondati da un gruppetto di altre dieci persone, fra cui Elizabeth scorse il quintetto delle ripetenti, più qualche altro giocatore di football in squadra con Billy e delle amiche di Sharon.
Non appena la videro, tutti puntarono lo sguardo su di lei.
La ragazza iniziò a realizzare tutto quanto, sentendo le lacrime salirle agli occhi.
- Ciao, tesoro…- rise Billy, venendole incontro.- Scusa per il ritardo, ma ero…impegnato - ghignò, accennando a Sharon, la quale scoppiò in un’acuta risata. Elizabeth indietreggiò, sentendo che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
Jessica ridacchiò, tenendo in mano una bottiglia di birra; prima che Elizabeth potesse scansarsi, la ragazza gliela tirò, colpendola a una spalla. Non si ruppe, ma riversò il suo intero contenuto sul vestito, suscitando l’ilarità dei presenti. Un secondo dopo, Billy si chinò, raccogliendo una manciata di terra e tirandola addosso a Elizabeth, facendola incespicare.
La ragazza finì in ginocchio sul terreno; iniziò a singhiozzare, alla disperata ricerca di un modo per uscire da quella situazione, mentre tutti intorno a lei ridevano sguaiatamente. Cercò di risollevarsi in piedi, senza riuscire a smettere di piangere, quando udì la voce di un altro ragazzo.
- Ehi, brutta cozza, abbiamo un regalo per te!
In un attimo, tutti presero a lanciare i bicchieri colmi di vino, cocktail e altre bevande servite al ballo. Elizabeth pianse più forte, sentendosi sporca mentre l’odore dell’alcool le si impregnava addosso.
Si voltò, scappando via, in lacrime, mentre udiva ancora dietro di sé le risate di Billy e degli altri.
 
Anya mugolò, infastidita dal peso di Ross che la schiacciava contro la portiera del pick-up e delle labbra del ragazzo sul collo. Cercò di liberarsi, evitando in tutti i modi che le ficcasse la lingua in bocca come stava cercando di fare da venti minuti.
- Ross…- boccheggiò, senza fiato. Tentò di spingerlo via, ma servì a ben poco.
Quell’idiota le stava appiccicato come un’enorme piovra.
- Ross!- ripeté, stavolta decisamente innervosita.
- Mmm?
- Ross, basta!- sbottò, riuscendo finalmente a staccarselo di dosso. Si maledisse per aver accettato il suo invito a fare una passeggiata, come aveva detto lui. Beh, poteva specificare che gradiva farsi una passeggiata sotto il suo vestito, schifoso pervertito!
- Che c’è?- borbottò Ross, visibilmente arrabbiato.- Che cos’hai? Non ti piace?
- No, esatto. Non mi piace che tu mi metta le mani addosso senza permesso!- ringhiò Anya, cercando si sistemarsi alla meno peggio il vestito spiegazzato.
- Non fare la stupida! Piace a tutte!
- Beh, allora fallo con tutte, ma non con me!- Anya lo guardò negli occhi.- Senti, io neanche ti conosco. Se vuoi, possiamo sempre ballare o farci un giro, ma puoi scordartelo che venga a letto con te la prima sera che ci vediamo!
- Sai che ti dico?- abbaiò Ross.- Sei una sgualdrina come tutte le altre! Vai pure a ballare, se ci tieni tanto, quelle come te mi basta fare un giro sui marciapiedi per trovarle!
- E io invece ti dico che sei un coglione come tutti gli altri, solo che quelli nessuno ha ancora avuto la buona idea di tagliarteli!- ringhiò Anya, superandolo velocemente e allontanandosi, udendo solo vagamente un vaffanculo, stronza! prima di lasciarselo completamente alle spalle.
Cominciò a camminare furiosamente, a passo spedito, quasi senza accorgersi di starsi dirigendo verso il retro della palestra. Si gettò i capelli all’indietro con un gesto rabbioso.
Giuro che questa è l’ultima volta che esco con uno così!, pensò. Anzi, meglio ancora, l’ultima volta che esco con un ragazzo!
Sperò almeno che a sua sorella fosse andata un po’ meglio.
Svoltò l’angolo, sfoderando una smorfia infastidita quando si accorse di non essere sola, bensì in compagnia di un gruppetto di dieci o dodici persone. Stette un attimo nell’incertezza, indecisa se rimanere lì oppure fare marcia indietro con il rischio di incrociare di nuovo quel deficiente.
Alla fine, si risolse ad andarsene, ma prima che potesse farlo, riconobbe inorridita le persone che formavano il gruppetto. C’era Billy Blond avvinghiato a Sharon Baker, più altri ragazzi, fra cui anche le cinque ripetenti che solitamente infastidivano sua sorella.
Intercettò dei mozziconi della loro conversazione.
- Avete visto come frignava?!
- Che stupida, chissà cosa credeva…
- Mamma mia, conciarla così è stato davvero uno spasso…
Il tutto condito da risate e da imitazioni grottesche di un pianto.
Anya arretrò, iniziando a realizzare con orrore ciò che era successo.
No…No! No!
Iniziò a guardarsi intorno freneticamente, alla ricerca di neppure lei sapeva bene che cosa. Dentro di lei, l’impulso di saltare alla gola di Billy era tanto forte come quello di correre da sua sorella, ma alla fine vinse quest’ultimo.
Anya tirò fuori il cellulare dalla borsetta imprecando a mezza voce, con le lacrime agli occhi. Sbagliò tre volte a comporre il numero, prima di riuscirci e attendere con ansia i secondi di attesa.
 
Elizabeth non aveva idea di quanta strada avesse percorso, ma doveva essere giunta circa ai bordi del cortile del liceo. Si accasciò sull’erba, appoggiando il capo contro il muretto. Si tolse le scarpe con gesti rabbiosi, singhiozzando furiosamente. Per quanto si sforzasse, non riusciva a smettere di piangere.
Strinse le labbra, asciugandosi le lacrime con le mani; il trucco era sbavato, lei era pallida come un cencio, e se anche ora non singhiozzava più, le lacrime continuavano a rigarle il volto.
Gettò il capo all’indietro, appoggiandosi contro il muretto di recinzione.
Era stata una stupida. Stupida ad aver creduto che uno come Billy Blond volesse davvero stare con lei, stupida ad accettare il suo invito, stupida anche solo ad aver pensato che anche per lei potesse davvero arrivare l’amore, quell’amore vero di cui tutti parlavano.
Elizabeth aprì gli occhi, sospirando.
Non sarebbe mai successo, realizzò. Lei sarebbe sempre stata Elizabeth Hadleigh, la sfigata, sarebbe sempre rimasta sola, non avrebbe mai amato nessuno e nessuno avrebbe mai amato lei.
Non avrebbe mai ballato con l’uomo che amava, né formato una famiglia né costruito un futuro insieme a lui. Era una stupida a illudersi che anche per lei sarebbe un giorno arrivato l’amore, ma non poteva fare a meno di sperarlo.
E mentre il suo cellulare iniziava a mandare le note della colonna sonora di Pirati dei Caraibi e il nome di sua sorella compariva sul display, Elizabeth si concesse di lasciarlo suonare ancora per qualche istante, rimandando il momento in avrebbe rovinato la serata ad Anya scoppiando a piangere fra le sue braccia, e quello in cui, una volta tornate a casa, avrebbero dovuto mentire a papà dicendogli che era andato tutto bene, continuando ancora un poco a sognare di poter fuggire via da quella vita, di poterne vivere una nuova dove, magari, qualcuno che non erano suo padre e sua sorella l’avrebbe amata con tutto se stesso.
Non sapeva che, da qualche parte, il destino suo e di Anya era già stato scritto, e che presto le avrebbe condotte verso tutto ciò che in quel momento stava sognando.
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Beauty