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Autore: Amartema    06/10/2013    9 recensioni
Dall’altra parte c’ero io, con una madre che potrei definire la versione femminile e degenerata di Buck, lei vittima di uno stupro e costretta a mantenere il frutto di quella violenza: me. Ero ormai abituata ai suoi sguardi, ogni volta che mi osservava, sapevo che in me vedeva il suo stupratore, sapevo che era costretta a rivivere all’infinito quell’evento, conoscevo ormai il suo odio, palpabile sulla mia pelle. Io che involontariamente le facevo ritornare alla mente l’inferno, un inferno che puntualmente mi ritornava addosso triplicato in potenza.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Animi inversi




Rimasi immobile, sola e con lo sguardo fisso su quella tazza di caffè, rifiutata pochi istanti prima da Buck. Ogni cosa intorno a me era improvvisamente scomparsa;  la mia mente era attanagliata da due soli elementi: Jeremy e su come Buck facesse a sapere. Non riuscivo a trovare una soluzione coerente e logica per spiegare quelle poche parole concesse dall’uomo. Nessuno conosceva il nostro rifugio e di conseguenza, il resto non poteva neanche essere immaginato dagli altri. Tuttavia mi soffermai a pensare sul suo tono, non risultava come una minaccia ma solo come un onesto consiglio. Una cosa era certa, lui conosceva il nostro nascondiglio e questa consapevolezza mi portò ad un’ulteriore riflessione: quanti altri sapevano?

«Quel caffè è davvero così invitante? »

Una voce mise fine a quel fiume di pensieri, riportandomi inevitabilmente alla realtà. Constatai di non essere sola in quella sala, ritrovando insieme a me, seduto ad uno dei tavoli più distanti, la fonte di quella voce: un ragazzo. Non dimostrava più della mia età, possessore di uno sguardo magnetico, donato da occhi chiarissimi, messi in risalto da una chioma scura. Un volto nuovo, mai visto e dato che in quella città era piuttosto raro incrociare facce nuove, mi accorsi ben presto che le mie occhiate su di lui divennero particolarmente insistenti.

« E’ un nuovo modo per ordinare del caffè? »
« No. E’ solo un modo per attirare la tua attenzione e ordinare la mia colazione. Non siete molto efficienti, vero? E’ da venti minuti che attendo di essere servito. »
« Non posso accontentare chi se ne sta seduto in silenzio in un angolo, semi nascosto. »
« Beh, questione risolta, no? Ho attirato la tua attenzione, quindi che aspetti? Ti risparmio anche l’atroce agonia di consigliarmi qualcosa, ho già scelto… ho avuto abbastanza tempo per farlo.»
« Dovrà rinfacciarmi la questione sino alla fine del servizio? »
« Vogliamo veramente metterci a discutere di questo? Io ho dei pregi che probabilmente in questa piccola ed infelice cittadina, vi riesce probabilmente difficile trovare: dico sempre quello che penso e smetto di ribadirlo quando trovo disponibilità e cortesia. Ma non siamo qui per fare conoscenza, io vorrei solo mangiare ma forse sei abituata ad approcciarti solo ad individui che conosci. Ricominciamo. Mi è sembrato di sentire che ti chiami Jessica, bene Jessica, io sono Logan e potrei avere finalmente le mie uova e bacon? Per il caffè, tranquilla, recupero io stesso quella tazza ancora linda e non toccata dal tuo amico. »

Mi trovai spiazzata, schiacciata dal discorso effettuato da quel giovane dall’aspetto curato e ricercato; non risposi, limitandomi ad osservarlo mentre lui già si muoveva verso il bancone per recuperare quella tazza di caffè. Il suo abbigliamento combaciava egregiamente con i suoi modi sicuri: un completo scuro, unito da una camicia bianca e lasciata un po’ aperta sul petto, oltre ad un paio di scarpe eleganti e prive anche di una sola macchia. Me lo ritrovai immediatamente davanti, con la sua mano che già avvolgeva quella tazza ricolma di caffè; la vicinanza mi permise di studiare al meglio quel volto giovane e dalla carnagione chiara, ricoperta di pochissime lentiggini.

« Spero che la cucina non sia lenta quanto il servizio in sala. »
« Spero che tutta questa fretta non la porterà a mangiare velocemente, rischierebbe di strozzarsi. »
« Touché. »

Un vago senso di sfida era palpabile nell’aria ma la mia mente era già particolarmente stanca per assecondare quel gioco imposto da un signorino altezzoso. Lo accontentai senza replicare, rifugiandomi in cucina dove Michael si preoccupò immediatamente di preparare quanto richiesto. La notte mi aveva provata considerevolmente e la giornata era iniziata male, tutto questo contribuì nel ritrovarmi l’umore sotto i piedi, sentendomi improvvisamente inerme e impotente. Me ne restai chiusa in cucina per tutto il tempo, immersa tra gli odori e i rumori, in compagnia di Michael e degli sguardi di Robert.

« Mangia. »

Mi ritrovai con un piatto in mano ricolmo di frittelle immerse nella panna e crema di cioccolato, era il modo di Michael per starti vicino quando sospettava qualcosa di strano; lui, l’uomo che credeva che un buon piatto potesse far svanire qualsiasi brutto pensiero. Un uomo di colore e sulla sessantina, magrissimo e alto, una barba così bianca da far risaltare maggiormente quella pelle scura. Lui, silenzioso e chiuso, era proprio come noi, solo. Ciò che lo distingueva era la sua felicità, ogni giorno ringraziava Dio tramite vecchi canti spiritual, ogni giorno era entusiasta per poter trascorrere la sua esistenza su questa terra, ogni giorno ci ripeteva che la vita era un dono e che noi eravamo fortunati ad affrontarla, seppur pregna di dolore e difficoltà. Era stato ribattezzato da Jeremy ,“Daddy” e ad esser sinceri, nessun altro nomignolo sarebbe stato più azzeccato per Michael: lui era un padre per tutti noi, anche per Robert.

« Suppongo che far qualsiasi resistenza, sia inutile, vero? »
« Mh, mh.»
« Jessica, devi sempre farti pregare? »

Robert, abbandonò il suo silenzio, intromettendosi nella questione mentre con uno sguardo severo, indicava il piatto di frittelle che trattenevo tra le mani.

« Sai Rob, dovresti cercare di somigliare un po’ di più a Michael. »
« Da Michael dovrei solo farmi prestare un po’ di pazienza per sopportare ognuno di voi. »
« Quella servirebbe a tutti. A proposito di pazienza, chi è il signorino in sala? »
« L’unica cosa che so, è che oggi la Parker si concentrerà su quella carne giovane e nuova. »
« Comunque, indipendentemente da chi sia, mi spieghi perché, porca troia, non l’hai servito appena entrato?»
« Jessica, il linguaggio. »

Questa volta il discorso fu interrotto da Michael e dalla sua inesistente sopportazione verso un determinato linguaggio. Robert, riprese velocemente la conversazione; il suo sguardo non era per me, troppo indaffarato nel riporre i vari alimenti nei giusti contenitori.

« Guarda che è stato lui a mandarmi indietro, troppo impegnato a leggere il giornale o così ha detto.»
« Bene. Siamo al completo, ci mancava lo psicopatico. »

Ogni mio movimento, ogni mia frase, ogni cosa di me era in grado di trasmettere un certo senso di stanchezza, anche il modo con cui iniziai a mangiare quelle frittelle: piccoli bocconi masticati con inerzia; un cibo ingurgitato per soddisfare i due uomini e non la mia fame inesistente. Era proprio quella stanchezza, quel mal di testa e il pungente dolore al braccio che con forza mi riportavano il pensiero alla notte trascorsa e a ciò che ora sarebbe accaduto. Una cosa era certa: avrei preferito andare a dormire sotto un ponte invece di ritornare a casa, da lei.
Fu lo sbattere improvviso della porta posteriore della cucina a riportarmi alla realtà. Il mio sguardo chiaro, proprio come quello di ogni altro, era ora calamitato sulla figura di Jeremy e dal suo ingresso improvviso. Il suo respiro era veloce, affannato, probabilmente reduce di una corsa feroce; il suo volto era oppresso da un’evidente stanchezza marcata da due occhiaie violacee, identiche alle mie e a quelle di Robert.  Ma Jeremy aveva qualcosa in più di noi:  un livido che si accennava proprio sul limite dell’orbicolare dell’occhio destro sino ad estendersi e raggiungere la tempia, una macchia violacea che risaltava su quella carnagione.

« Mi è valsa una corsa frenetica, una caduta idiota ma credo di essere in orario… Sono in orario, vero?»
« Sei in ritardo di mezzora. »
« Sempre meglio di due ore, eh Rob? »

Lasciai a Robert la parola, ero troppo impegnata ad osservare quel livido impresso sul viso di Jeremy; sapevamo tutti che qualcosa di simile non sarebbe potuto mostrarsi nell’arco di dieci minuti, non in quel modo. Ognuno di noi sapeva e lo sforzo nel provare ad intavolare un qualsiasi tipo di conversazione, rendeva lampante il fatto che la storia dietro quell’ematoma non era poi un grande mistero. La stessa leggerezza di Jeremy faceva comprendere che qualcosa non era andato per il verso giusto, era una leggerezza sforzata, ricreata e priva della sua solita spontaneità.

« Cazzo, Jè, hai una faccia…»
« Te invece hai messo nel modo sbagliato l’ombretto, Jer?»
« Ah, siamo anche di cattivo umore. »
« Notte insonne, nulla di preoccupante. »

Un colpo di tosse da parte di Robert, particolarmente finto, riuscì ad interrompere quel piccolo scambio di battute tra me e Jeremy. Sapevo dove Robert voleva andare a parare ma era mia intenzione non cadere in quelle piccole provocazioni: un modo per non destare sospetti in Jeremy.

« Comunque, Michael ha preparato troppe frittelle. Io credo di essere piena. »
« Panna e crema di cioccolato: posso fare questo sforzo. »

Abbandonai il piatto nella mano di Jeremy e chiusi gli occhi nel momento esatto in cui le labbra di lui andarono a posarsi contro la mia fronte e le sue dita ad immergersi nella mia chioma. Era solito salutarmi così, un gesto semplice ma in grado di trasmettermi non solo il suo amore ma anche ogni emozione che lui provava. Quel bacio, in fin dei conti era uno specchio che rifletteva fedelmente il suo stato d’animo.
Lasciai la cucina, attirata dal suono del campanello legato alla porta d’ingresso principale; impiegai realmente poco a riconoscere la nuova cliente, grazie a quella voce sottile e opprimente. Ero pronta ad offrire il mio saluto alla Parker ma una volta raggiunta la sala, una deliziosa scenetta tra la donna e il ragazzo sconosciuto, riuscì ad ammutolirmi:

« Oh, un bel giovanotto mai visto prima. Cosa la porta a Longville? »
« Probabilmente una strada e un mezzo di trasporto, non trova? »
« Mi piacciono i giovanotti con uno spiccato senso dell’umorismo, è così raro trovarli oggi. Mi accomodo vicino a lei, credo che le mie conoscenze su questa città possano rivelarsi piuttosto utili per i suoi affari o qualunque sia il motivo per cui è venuto in questa deliziosa e tranquilla cittadina. »
« Signora, le parlo con tutta la sincerità di questo mondo: lei, la sua invadenza e soprattutto l’accozzaglia sconnessa di colori sgargianti di cui è provvisto il suo abbigliamento, mi creda, mi han già fatto conoscere sin troppe cose per oggi. Detto questo, è bene che i miei occhi non siano costretti a tale tortura ed è bene che lei eviti la mia personalità sin troppo sincera, non vogliamo mica che lei prenda coscienza della realtà, no? »

Quella scena, presentatami davanti agli occhi, era bastata per migliorare considerevolmente la mia giornata, oltre a creare un vago senso di adorazione nei confronti di quel ragazzo spocchioso e dallo sguardo di ghiaccio. Solo una nota negativa stava per giungere: quello scambio di battute avrebbe reso la Parker di cattivissimo umore.






NOTA DELL'AUTRICE: C'è qualche errorino ma lo sapete che io per individuarli bene
devo leggermi il capitolo minimo 3489384 volte.
Quindi se vedete qualcosa, ditelo :*
Come sempre grazie a chi mi sostiene,
e grazie a coloro che seguono la storia.
Ammetto che ogni tanto è difficile,
la voglia passa, non ci si sente all'altezza ma
è proprio grazie a voi cheogni volta trovo lo sprono giusto <3

Vi lascio i miei contatti:
Pagina facebook : Contessa Amartema
Gruppo Facebook : Spoiler, foto, trame delle mie storie.
Ask : Inutile specificare, no?


Inoltre, la mia mente malata e quella di Malaria, ricordano che:
   
 
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