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Autore: biberon    06/10/2013    3 recensioni
Cosa vuol dire essere diversi?
Cosa vuol dire avere un segreto? Un segreto che pesa come un macigno, un segreto che non ti fa dormire la notte e ti fa svegliare al mattino madida di sudore con la sensazione di essere colpevole?
Un segreto che ti può rovinare la vita o rendertela la cosa più bella del mondo?
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Dal testo:
In certi momenti ti senti completo e felice.
Ti senti perfetto.
Senti che nulla ti potrà mai sfiorare.
Ti senti libero.
Ti senti leggero.
Ti senti intangibile.
Poi quei momenti finiscono, e torni alla triste realtà, alla realtà che devi affrontare, che tu lo voglia o no.
Era così che si sentiva lei.
Lei voleva solo essere felice, come tutte le persone.
Lei l’aveva provata, la felicità.
Si era sentita leggera e completa.
Ma aveva un problema, e il suo problema stava nella reazione che aveva il mondo davanti alla sua libertà.
O almeno,c he avrebbe avuto, se solo lei avesse avuto il coraggio di ammetterlo.
Non che i suoi genitori fossero l’intero mondo.
Ma in quel momento per lei avevano la forza di un intero mondo.
Una forza che poteva liberarla per sempre o distruggerla.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Katie, Sadie
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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In certi momenti ti senti completo e felice.
Ti senti perfetto.
Senti che nulla ti potrà mai sfiorare.
Ti senti libero.
Ti senti leggero.
Ti senti intangibile.
 
Poi quei momenti finiscono, e torni alla triste realtà, alla realtà che devi affrontare, che tu lo voglia o no.
Era così che si sentiva lei.
Lei voleva solo essere felice, come tutte le persone.
Lei l’aveva provata, la felicità.
Si era sentita leggera e completa.
Ma aveva un problema, e il suo problema stava nella reazione che aveva il mondo davanti alla sua libertà.
O almeno,che avrebbe avuto, se solo lei avesse avuto il coraggio di ammetterlo.
Non che i suoi genitori fossero l’intero mondo.
Ma in quel momento per lei avevano la forza di un intero mondo.
Una forza che poteva liberarla per sempre o distruggerla.
Tutto dipendeva dalla loro reazione.
Da ciò che avrebbero detto. Da ciò che avrebbero fatto. Dalle loro espressioni.
Katie si morse il labbro così forte che le sembrò di avvertire il sapore ferroso del sangue accarezzarle la punta della lingua.
Tutti la consideravano una ragazza frivola, sciocca e superficiale.
Tutti la conoscevano come la ragazza abbronzata con i codini e la pancia di fuori, che se ne andava in giro starnazzando con una versione di sé più corpulenta e pallida, Sadie.
Ma lei non era così.
Almeno, non nell’intimità, non quando era da sola.
Lei era una ragazza profonda, profonda e sensibile.
Ed era questo il suo cruccio peggiore.
L’essere così sensibile la rendeva vulnerabile.
Perciò si nascondeva dietro una maschera d’idiozia e frasi stereotipate.
Quel che voleva nascondere non era solo la sua personalità tormentata dal desiderio di un vero amore e della dolcezza che mai le era stata data, ma quello che voleva nascondere era il suo segreto.
Ma era un segreto troppo grosso per essere nascosto.
Un segreto che la tormentava giorno e notte, un segreto che la faceva risvegliare in lacrime o con la fronte madida di sudore, un segreto che la teneva sveglia fino al mattino, la fronte sul cuscino, i capelli sparsi a ventaglio sul materasso, alcuni attaccati alle guance bagnate di lacrime.
Un segreto che la faceva sentire in colpa, anche se un po’ lo sapeva, di non avere colpa.
Provava tutto questo perché era stanca di nascondersi e di sentirsi diversa.
Non era mai stata brava a nascondere le cose.
 
“Katie.” Dice la donna con fermezza alla figlia, seduta a terra a gamb incrociate di fronte a lei, “Hai mangiato tu l’ultima fetta di torta? L’avevo lasciata per il nonno, lo sai. L’hai mangiata, Katie?”
La bambina sposta lo sguardo da una parte all’altra della stanza, sembra nervosa.
Prova a dire qualcosa, ma boccheggia a vuoto.
In fondo a solo otto anni.
Odia essere sgridata, anche quando combina dei pasticci.
Si attorciglia la punta della coda di cavallo tra l’indice e il pollice della mano destra. Lo fa sempre quando è nervosa.
Sente un grande peso sulla coscienza: la fetta di torta l’ha mangiata lei! Ma … era così invitante, soffice, deliziosa … non ha potuto resistere.
“Sì mamma. Sono stata io.”
“Lo sapevo.” Sussurra la mamma, e scuote la testa. Si alza dalla sedia e fa per tornare in cucina, quando la manina di katie cerca la sua.
Nel sentire le piccole dita gracili, la madre si addolcisce.
“Mi dispiace.” Dice la bambina .
“Oh, non fa niente.” Sospira la mamma. “Ma non devi tenermi nascoste le cose, mai. Sai che di me ti puoi fidare. Che sia la torta mangiata o un segreto, che sta qui, nel tuo cuoricino …” le batte una mano sul piccolo petto “tu me lo potrai sempre dire.”
 
 
Katie scosse la testa vigorosamente e ricacciò indietro le lacrime che le stavano salendo agli occhi.
Era davvero così difficile ammetterlo?
Era davvero di questo che aveva paura?
Dei suoi genitori?
O c’era qualcos’altro? Era lei che aveva paura di non andare bene, così com’era?
Si girò di scatto. No, che idea stupida che aveva avuto. Procette verso la sua camera a tentoni, dato che la luce era spenta ed era troppo assorta nei suoi pensieri per accenderla.
I palmi dei piedi nudi facevano “ciack” ogni volta che si staccavano dal pavimento.
Passo, passo, passo. Rinetrò nella sua stanza e socchiuse la porta.,
si accasciò scompostamente sul letto producendo un suono più simile ad un sibilo che a un sospiro.
Si accorse di avere le mani sudate.
E anche il collo, accidenti.
E persino le cosce.
Faceva troppo caldo in quella casa.
 
Cosa avrebbe detto suo padre? Si sarebbe disperato, avrebbe pianto, avrebbe urlato, l’avrebbe punita?
Solo lei e Sadie lo sapevano.
Nessun’altro.
Nessuno la tormentava per il suo segreto, nessuno la prendeva in giro, nessuno la additava come “diversa”.
Eppure era proprio quello il problema, forse.
Si sentiva sola, sola come il suo segreto che le sconvolgeva e le avrebbe cambiato la vita.
Lo sapeva da qualche mese, ma per lei erano come cento anni.
Doveva liberarsi di quel peso, di quel segreto, di quel fardello.
Si alzò con uno scatto.
Era decisa.
Uscì dala stanza senza chiudere la porta, in modo che non potesse intralciare la sua corsa, se mai fosse dovuta ritornarci piangendo, per rifugiarcisi in cerca di tepore.
Accese la luce del corridoio e camminò spedita fin davanti alla porta dell’ufficio di suo padre.
Era tesa, era molto tesa.
Le sue unghie scavavano nei palmi alla ricerca di un appiglio materiale.
Si fermò a rimirare le giunture della porta dipinta di bianco e la targhetta con la scritta “Mr. Achett.”
Insipirò, espirò.
Non era per niente difficile, bastava aprire quella cavolo di porta e urlare il suo segreto, senza farsi ferire da ciò che ne sarebbe conseguito.
Sembrava facile, eppure le sue mani restavano ferme lì, pietrificate, troppo pesanti per sollevarle e bussare.
La sua mente venne invasa dal ricordo.
 
La ragazza magra è distesa sul letto.
Indossa una canottiera grigia piuttosto attillata e degli short jeans.
Quell’altra, un po’ più pallida, la guarda con affetto.
Stanno così, in silenzio a fissarsi per qualche secondo.
Poi la prima ragazza abbassa la zip della felpa alla compagna, liberando uno spesso strato adiposo e un seno prosperoso racchiusi e nascosti in  una t-shirt con le scritte un po’ scrostate. Sotto indossa dei leggings. Prende la testa dell’altra tra le mani e con i pollici le accarezza le guancie, che si fanno sempre più colorite.
Kati sorride alla sua migliore amica.
Le due sospirano insieme, poi si distendono sulla schiena e fissano il soffitto, le mani di un asulle spalle dell’altra mentre le dita che rimangono s’intrecciano dolcemente e si posano sul punto in cui i loro fianchi si sfiorano.
Tenendo gli occhi fissi all’insù, la ragazza pallida sospira e dice: “Pensi che lo accetteranno?”
“Non lo so.” Confessa l’altra.
Poi si gira e aggiunge, tenendola stretta, respirando il profumo dei suoi capelli, affondando il viso nella sua spalla, “E non me ne importa.”
 
Katie si riscosse sentendo suo padre che tossiva dall’interno della stanza.
 
Ricordando la dolcezza di un abbraccio, un abbraccio che era capace di farla scomparire fece un piccolo passo avanti.
 
Ripensare a quei momenti l’aveva fatta sentire di nuovo viva.
Completa.
Felice.
Perfetta.
L’aveva fatta sentire come se nessuno la potesse sfiorare, leggera, intangibile.
 
Batté le nocche sul legno una, due, tre volte.
“Avanti:” disse suo padre.
Lei entrò, e si scoprì piacevolmente sorpresa del fatto che anche sua madre fosse lì, avvinghiata affettuosamente a suo padre dalla schiena, baciandogli la base del collo mentre lui lavorava.
Ci fu un lungo momento di silenzio.
Poi suo padre disse: “Devi dirci qualcosa, Katie?”
Lei non si fermò a pensare.
Non si fermò a chiedersi ancora se fosse giusto o come avrebbero reagito.
Ripensò solo al suo essere libera, al suo essere intangibile.
E lo urlò.
Urlò così forte che ebbe la sensazione che i vetri stessero tremando e che il tempo si fosse fermato.
Quando finì la frase, si sentì gratificata e felice.
Si era tolta un peso.
Si era tolta il peso di sentirsi diversa.
Sua madre sbatté un paio di volte le palpebre, come fosse un cucciolo che cerca di abituarsi alla luce di un flash o ai fari di una macchina.
Ci fu un altro momento di silenzio, poi disse: “Va bene, Katie. Sai che di me ti puoi fidare. Se hai un segreto, me lo potrai sempre dire. Sempre.”
Katie sospirò. Era così felice che non si preoccupò nemmeno di trattenere le lacrime, che scendevano ora copiosamente dai suoi occhi sbavandole il mascara.
Non riusciva a parlare, solo a sospirare.
Voleva riempirsi i polmoni di aria nuova, di aria che sapeva di libertà.
Avevano accettato la sua diversità.
Ora ERA DAVVERO LIBERA.
PER SEMPRE.
 
 
 
Cosa aveva detto Katie ai suoi?
Qual’era stata quella frase?
Una frase molto semplice, a dire il vero.
Non chissà quale segreto.
Una frase di quattro semplici parole.
Parole che posso distruggere o rendere libera una persona, una ragazza.
 
 
 
“Mamma, papà, sono lesbica.”
 
   
 
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