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Autore: PesceConCrema    08/10/2013    2 recensioni
Carlotta Rossi è una giovane donna di venticinque anni, altamente complessata e dal comportamento finto che ama avere tutto sotto controllo.
La sua vita subirà un brusco cambiamento, quando il suo capo le da come obbiettivo il reclutare un nuovo venditore per il suo negozio e ne approfitta mandandola in trasferta a Venezia, nella butique di un'amica, solo che invece di fermarsi per qualche ora, Carlotta sarà costretta a ...
«Abito qua dietro, cinque minuti e sono arrivata a casa.» afferma iniziando a sorseggiare una bevanda partorita dalla macchinetta automatica e, dall’aroma che mi arriva al naso, dev’essere caffè «Ho una camera e un bagno per gli ospiti.» aggiunge e qui capisco che sta cercando di corrompermi, anche perché ha cambiato sguardo. Quegli occhi mi stanno scrutando in maniera insolente, indugiando sulle mie forme «Poi, sembriamo avere la stessa taglia d’abiti, anche se sei un poco bassina.» e qui non riesco a trattenermi dal mandarla a quel paese «Non volevo offenderti.» dice lei, tra una sorsata e l’altra «Davvero, mi farebbe piacere tenerti con me.».
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Ciao a tutti, sono fresca d’iscrizione e per cui un poco intimorita a pensare che vengo a rompervi le scatole con questa mia prima storia. Spero non vi risulti troppo banale o che non vi lasci il solito retrogusto da idea già letta! Perciò, spero che seguirete i prossimi cambiamenti che ci saranno nella vita di Carlotta. Detto ciò, buona lettura.




Carlotta Rossi


D’occhi e labbra
Quando piove, diluvia! – Legge di Murphy





La spiaggia è semideserta, la luna è alta e sola nel cielo di fine agosto, il vento è gradevole e fresco sulla pelle così come l’andare e venire del mare sul bagnasciuga.
«Uffa, non è giusto!».
Rompe il silenzio, alzando lo sguardo bagnato verso l’orizzonte indefinito.
«Sei ubriaca Yoli, ecco perché non lo trovi giusto.».
Cerco di farla ragionare, allungando una mano a toglierle la birra.
«No! È mia, non te la do!» protesta, facendo ricadere qua e là il suo accento catalano, stringendosi al seno la lattina, poi si volta verso di me e una strana luce le fa brillare gli occhi «Ascolta Carlotta, se mi baci, ti do la mia birra.».
Sarà stato certamente l’alcool o la certezza che da domani non l’avrei mai più rivista, ma non me lo feci ripetere e così la assecondai. Le diedi un bacio timido e impacciato, sicuramente immaturo e frettoloso, un bacio che, ne sono certa, non avrebbe ricordato, il mio primo bacio a una persona del mio stesso sesso. Il mio ultimo bacio a una donna.

Il suono della sveglia mi riporta alla realtà, alla sicurezza del mio letto e lontano dall’imbarazzo di quella notte di sei estati fa. Allungo un braccio e faccio tornare il silenzio nella stanza, mentre cerco di scacciare l’azzurro di quegli occhi dalla memoria; lascio le coperte per raggiungere la finestra e spalancare l’alta ribalda dopo aver alzato di qualche centimetro le veneziane. Sbadiglio sguaiatamente, indirizzandomi in bagno a svuotare la vescica e a fare una doccia.
Per oggi ho preso un permesso e lavoro solo mezza giornata, durante la mattinata mi trovo con il mio ragazzo. Per ciò, devo togliermi dalla mente quell’inutile ricordo e sembrare più carina che posso per questo giorno speciale.
Uscita dal bagno vado all’armadio e mi stringo nell’accappatoio, cercando di reprimere un brivido di freddo, ispeziono i vestiti. Ne provo alcuni, finendo per scegliere un paio di pantacollant neri in tessuto, abbinati a una canotta bianca e un maglione nero di un paio di taglie più grande della mia e scollatura a barca. Mi guardo allo specchio interno dell’anta, per nulla soddisfatta di come appaio, ma a lui piaccio con questa roba addosso, così, decido di passare al trucco. Ancora con l’asciugamano in testa, raggiungo la trousse che, ne sono sicura, Clio1 cestinerebbe senza neppure ispezionare; recupero la matita nera, il mascara, il rossetto rosso Valentino e il mio fidato cofanetto con la terra, tanto per nascondere queste orride lentiggini che mi coprono le guance. Soddisfatta del mio lavoro, torno in bagno, tampono ancora un po’ i capelli nel tessuto spugnoso e ormai umido della salvietta, poi mi piego a prendere il fon dal mobile sotto il lavabo e inizio ad asciugarli tirandoli con una spazzola, così da annullare qualsiasi accenno ondulato, per poi acconciarli in uno chignon in stile Bohemian dall’apparenza trasandato, giacché qua e là ho lasciato scappare alcuni ciuffetti.
Tornando in camera sento le ultime note della suoneria che ho impostato al contatto di Marco ma quando sollevo il cellulare, questo è nuovamente silenzioso; in effetti, badando l’ora, sono in forte ritardo sulla tabella di marcia. Sbuffo, recuperando un paio di orecchini a caso, tra quelli che mi ha regalato lui, assieme all’obbrobrio orologio firmato Guess che mi regalò per il compleanno sua madre, mentre lo richiamo pronta a raccontargli un’innocente bugia, cioè che sono già per strada.
Lotte, finalmente. – mi saluta, rispondendo al secondo squillo, aggiungendo subito dopo – Dai, scendi che si sta facendo tardi.
Mi sei venuto a prendere, che dolce. Arrivo subito. – così dicendo recupero la borsa e mi dirigo alla scarpiera, preferendo un tacco moderato, perché, in fin dei conti, devo lavorare fino a tardi in negozio questa sera, per poi uscire da casa chiudendo la porta a doppia mandata.
Prenoto l’ascensore e aspettando indugio con lo sguardo sulle unghie laccate color carne, all’apertura delle porte la mia attenzione è catturata dalla macchia rossa davanti a uno sfondo nero.
«Buon anniversario, Charlotte.» Marco mi sorride nel suo smoking scuro, porgendomi il mazzo di fiori, quelli che crede essere siano i miei preferiti, margherite e dalie «Ti amo.» mi soffia direttamente sulle labbra, prima di baciarmi.
«Anch’io, amore. Buon anniversario.» gli auguro, sorridendogli, andando poi a schiacciare il bottoncino del piano terra dell’ascensore, cercando di non starnutire all’odore sgradevole delle margherite. Arrivati alla macchina, adagio i fiori sul sedile posteriore «Dove mi porti a fare colazione?»
Lui mi lancia un rapido sguardo e sorridendo dice soltanto che sarà una sorpresa, fatico a non portare gli occhi al soffitto dell’abitacolo nello sperare che non si riveli un fiasco come le improvvisate precedenti, piuttosto allungo una mano sui suoi capelli e inizio a fargli qualche carezza, adoro farci scivolare in mezzo le dita.
«Come siamo affettuose ‘stamani.» afferma quasi divertito, facendomi incontrare ancora una volta i suoi occhi azzurri e senza volere sobbalzo, ritirando la mano come scottata, fermandola a mezzaria a poca distanza dalle labbra «Ehi, non ti ho detto di smettere.» mi riprende scherzosamente ed io gli faccio una piccola smorfia, anche se non può vederla perché ha ripreso a guidare, per poi ricominciare a frizionargli le ciocche nere.
«Marco, siamo diretti a Venezia?» gli domando dopo alcuni minuti di silenzio, notando comparire spesso il nome della città sulle indicazioni stradali e ormai assuefatta al cattivo odore emanato dal mazzo di fiori «Ho ragione?».
«Ho prenotato una camera al Ca’ Sagredo Hotel2.».
«Scherzi?» gli chiedo, saltando sul sedile dall’eccitazione e tirandogli un po’ troppo forte i capelli.
«Così mi sveglio, piccola.» dice con tono roco, allungando una mano sulla mia coscia che ritira dopo una breve carezza «È il nostro terzo anniversario, dev’essere speciale.» increspo le labbra intenerita, tuttavia mi viene in mente che ho del lavoro da sbrigare all’atelier questo pomeriggio, ma quando glielo faccio notare mi sorride e dice che non me ne devo preoccupare «Ho parlato con Susanna e -.».
«Susanna, il mio capo?» lo interrompo leggermente sconcertata, una voglia quasi incontrollabile di portargli una mano dietro al collo e spingergli la testa a sbattere contro il volante «Hai fatto un patto con il diavolo.» mi limito a sibilare, ovviamente lui non se ne rende conto. L’ha vista in pochissime occasioni, quindi non sa, ma quella donna discende direttamente dal conte Dracula, perché è una crudele manipolatrice e se non ti sai difendere, ti succhia via tutta la linfa vitale dalle vene, costringendoti a turni massacranti e in fine al licenziamento.
«Figurati, è stata molto comprensiva.» a quelle sue parole ho capito che sono fottuta, dovrò sicuramente recuperare con straordinari non pagati, da qua al capodanno del duemila e quindici «Si è anche lasciata scappare che sei una delle sue migliori venditrici.».
«Okay, adesso sì che sono fottuta.» sussurro tra i denti, dietro a un sorriso di compiacimento del tutto finto «Quindi, ho la giornata libera?».
«Questo non so confermartelo.» dice lui, sterzando il volante sulla sinistra e immettendosi in un altro braccio dell’autostrada, Venezia è sempre più vicina e queste ore di libertà ho intenzione di passarle facendo dello shopping sfrenato «Quando le ho parlato, ha detto che ti avrebbe chiamato.» a quella frase l’intenzione di svuotare la carta di credito passa in secondo piano e affondo mezzo braccio in borsa alla ricerca del cellulare «Lotte, rilassati, anche perché, ho prenotato per l’intero weekend.».
Sto seriamente per rivelargli quanto posso essere sboccata mandandolo al diavolo, quando si diffondono le note di profondo rosso e lui si mette a ridere. Per sdebitarmi del pasticcio che mi ha combinato, lo faccio rinsavire dandogli una pacca sul braccio – Pronto, Susanna? – la saluto, cercando d’apparire più sorpresa possibile.
Tesoro, ciao. – la metto in viva voce, utilizzando il Bluetooth dalla Volvo – Sei sola?
Sì, sto andando da Marco. – mi affretto a dire, sporgendomi a portare una mano sulla bocca del mio ragazzo, prima che rovini la mia performance – Ha urgenza di qualcosa, Susanna?
Pertanto non sai che ti vuole portare a Venezia? – dice con tono indagatore, la assecondo obbiettando che non è possibile abbia scelto una meta così distante e impegnativa – Non importa ciò in cui credi, volevo solo dirti che mi sono messa in contatto con una, diciamo, vecchia amica. – inizia a spiegare con fare vago - Lavorerai nella sua boutique, t’invio per email i dettagli.
«Visto?» gli rinfaccio, non appena tronca la conversazione «Non si è preoccupa di rovinare la sorpresa.».
Marco è visibilmente indispettito, ma non ci faccio caso e nel leggere la posta elettronica non posso che dar ragione a una delle leggi di Murphy che dice “Quando piove, diluvia.”.
Normalmente terrei il muso per giorni a un qualsiasi soggetto che agisce senza pensare come ha fatto lui, ma il mio dovere è di farlo star bene, per cui, riesumando una buona dose di pazienza, sospiro e mi costringo a tranquillizzarmi, prefiggermi il compito di non rovinare il nostro giorno; ovviamente non me ne sentirei in colpa, ma non sono così egoista e poi sto tornando a Venezia dopo mesi dall’ultima volta che l'ho visitata.
«Sei arrabbiata?».
«No.».
«Menti?».
Certo che mento, Capitan Ovvio, dico tra me e me, mentre gli sorrido e mi ripeto, rassicurandolo che è tutto a posto, ma imponendogli di non provare nuovamente a chiedere un favore a quella strega del mio capo «Ci tengo al mio stipendio e fare beneficenza, lavorando ore in più gratis, non è nella mia natura.» preciso, riprendendo a passargli le dita tra i capelli e felice che i kilometri per Venezia si stiano velocemente riducendo, così come i caselli stradali dove non troviamo particolari code.
«Ehi, Charlotte, sveglia.» la voce di Marco mi arriva lontana «Guarda fuori, Lotte.» sbadiglio, portando lo sguardo fuori dal finestrino e sorrido, ammirando la laguna che si vede dal ponte della libertà che ci sta portando a Piazzale Roma «Chi hai sognato?».
«Non ricordo.» gli rispondo soprappensiero, continuando a fissare la laguna.
«Hai ripetuto Yoli come minimo sette volte.» dice lui sorridendo, chiedendomi quale delle mie amiche fosse «Non l’ho mai conosciuta, giusto?».
«Ci siamo separate dopo una brutta litigata.» mento, slacciando la cintura dopo che ha finito le manovre e spento il motore «È un’amicizia morta, per questo non la conosci.» aggiungo, aprendo la portiera e poggiando i piedi sul suolo della città veneta che preferisco, imbraccio la borsa e recupero le margherite dopo l’osservazione di Marco.
Ci dirigiamo fuori dal parcheggio sotterraneo e tra autobus che arrivano e che vanno, turisti curiosi e cittadini seccati, ci dirigiamo verso i battelli, quando sulle gradinate mi porge il braccio e dice sfoggiando parte del proprio accento materno «Mademoiselle3, la vostra gondola ci attende.».
«Fai davvero?» gli domando, stringendomi di più al suo braccio, mentre ci avviciniamo a un gondoliere che dopo alcuni minuti mi aiuta a sedermi sul divanetto rosso e dorato della gondola. Da brava turista ma sprovvista di un equipaggiamento degno di nota, scatto foto con il cellulare a destra e a sinistra; purtroppo il viaggio dura poco più di una mezzora e adesso, dopo aver ritirato la chiave al banco della reception, ci dirigiamo alla nostra camera «Magnifica.» affermo, ancora con il telefonino e i fiori alla mano.
«Sapevo ti sarebbe piaciuta.» commenta lui, appoggiando il cappotto sulla sedia del tavolo e venendo a togliermi il mazzo dalle mani «Guarda fuori dalla finestra.».
«Il Canal grande!» esclamo, una volta scostate le tende «Mio Dio, ti adoro quando fai le cose così.» lo dico aprendo le ante e sporgendomi a fare una panoramica che posterò immediatamente su Facebook4, tanto per fare un poco di invidia alle mie colleghe e presunte amiche.
«Allora, sei felice?» me lo domanda abbracciandomi da dietro, annuisco, voltandomi quel tanto che serve a lasciargli un bacio sull’angolo della bocca «Dai facciamo colazione.».
«Quand’è arrivato, quello?» gli domando, allontanandomi dal panorama e avvicinandomi al vassoio pieno di cose buone con cui riempire la pancia «Eccezionali.» dico estasiata, mettendo in bocca mezza frittella, godendomi il sapore delle uvette secce e della pastella così morbida e succosa «Marco, sono in estasi.».
«Mi piaci quando sei così spontanea.».
«Ma smettila.» lo riprendo, cercando di darmi un poco di contegno «Sono quasi sempre autentica.» lui si lascia scappare una risata di cuore ed io non posso che sorridere ascoltandolo; metto in bocca l’altra parte della leccornia tipica del carnevale veneziano e mi perdo nell’osservarlo. Riccioli neri morbidi e setosi, occhi azzurri da bambino innocente, naso leggermente aquilino in totale armonia con la regolarità del viso e la bocca carnosa che quando sorride fa nascere due bellissime fossette sulle sue guance «Sai che sei davvero un bell’uomo.» lui mi sorride impacciato, non sa accettare un complimento «È impensabile tu abbia quasi trent’anni.» lo dico più per toglierlo dall’imbarazzo che per prenderlo in giro.
«Non ho quasi trent’anni.» protesta leggermente piccato ed io inizio a fissarlo accusatoria e oltremodo divertita «Ne faccio solo ventisette quest’anno.».
«Giusto.» lo assecondo, concedendomi un’altra frittella «Tuttavia, sei verso la soglia dei trenta.» ci tengo a precisare, facendo una notevole fatica a non scoppiargli a ridere in faccia, accusandolo d’essere peggio di sua madre quando si tocca l’argomento tabù dell’età «Ed è inutile negarlo, stai invecchiando.».
«Allora anche tu sei vicina ai trenta, Carlotta.» cavolo, la sua faccia è seria e ha le braccia conserte, tuttavia, non è la sua postura che mi ha fatto capire di avere esagerato, ma il fatto che ha detto il mio nome in italiano «Stai invecchiando anche tu.» afferma con tono offeso.
Faccio calare il silenzio, approfittandone per mandar giù il boccone e riflettere sul come continuare questa conversazione, soppesando se ribattere che comunque sono più giovane di lui di due anni o dandogli ragione e promettergli che saremmo invecchiati assieme.
«Sì, è vero, stiamo invecchiando tutti e due.» inizio a parlare, recuperando il tovagliolo di stoffa e pulendomici mani e bocca, porto indietro la sedia e mi alzo, cammino fino a essergli dietro lo schienale e lo abbraccio, aggiungendo direttamente nel suo orecchio «Ciononostante, il venticinque è più piccolo del ventisette.».
Marco volta il viso verso di me e prima che possa controbattere in qualche modo, lo bacio. Lo bacio per chiedergli scusa, perché non ho resistito nel provocarlo e perché lui non sa resistere ai miei baci.

«Sei una peste.» mi dice, mentre da sotto le coperte mi osserva mentre mi rivesto «Tornerai presto?».
«L’ultimo appuntamento è fissato per le sedici.» gli dico, facendo delle vaghe supposizioni che non mi vedevano di ritorno che dopo le diciassette «Facciamo che ti scrivo e mi vieni in contro?».
«Speravo me lo chiedessi.» afferma, seguendomi in bagno «Dove vuoi cenare, questa sera?».
«Posso scegliere?».
«Assurément, mon Charlotte5.».
«Sicuro?» domando ancora, dandogli l’ultima opportunità di ripensarci, fissandolo dallo specchio sopra il lavandino «Perché, dopo lavoro ho intenzione di fare shopping.».
«Siamo a Venezia, anch’io ho in mente di comprare alcuni indumenti.» mi rivela ed io sono certa ci perderemo di vista in più occasioni, durante le rispettive spese «Ci vediamo dopo allora.» mi saluta, entrando in doccia, gli annuisco finendo di sistemare la matita e poi il rossetto.
Fuori dall’albergo ho nuovamente il cellulare in mano ma questa volta non è per immortalare dei ricordi, piuttosto per impostare sul navigatore da che parte dovessi dirigermi per raggiungere il posto in cui avrei lavorato. Con le cuffie alle orecchie accorcio la distanza, arricciando il naso per la quantità di gente che brulica per le calli e interessandomi alle poche maschere che già giravano in vista del vicinissimo carnevale. Arrivata a San Marco, sono in estasi. Adoro questa piazza e nell’ascoltare l’ultima indicazione del navigatore gioisco, decidendo di mandare un messaggio a Marco, imponendogli di venirmi a prendere qui. Comunque, mi impongo di mettermi nell’ordine d’idee che prima viene il lavoro assieme all’inverosimile obiettivo di Susanna e poi il divertimento e lo shopping assieme alla mia fedele prepagata e alla carta di credito del mio ragazzo. Mi dirigo verso l’atelier che occupa due intere vetrate dei sottoportici e in cui spiccano abiti da sposa e da ricevimento, che solo a guardarli ti fanno sparire dal portafoglio ottocento euro come minimo, dietro a una grande scritta argentea in caratteri sottili ed eleganti.
Mi prendo alcuni secondi per osservare l’ambiente dietro il vetro, ma non intravedendo molto decido di affrontare il tutto di petto e vi entro con fare spavaldo, addocchiando l’arredamento sfarzoso e amabilmente veneziano. Noto che alla reception non c’è nessuno dietro al bancone, piuttosto nelle salette laterali vi sono due consulenti all’opera con due spose e delle amiche un po’ troppo rumorose e impiccione. Se sono tutte come quelle due, non riuscirò a reclutare nessuno e addio portare a termine il compito datomi da Susanna.
«Devi essere la ragazzina in trasferta.» a sentire quelle parole un’espressione stizzita mi si palesa in faccia. Ho dinanzi una donna sui quarant’anni, dai capelli e gli occhi castani, vestita di un tubino nero con una cinta turchese appena sotto il seno che mi fissa con fare superbo «Per di qua, seguimi.» mi mordo la lingua, ricordando il consiglio del mio capo sul fatto di tenere un profilo basso, così da poter investigare su chi fosse il migliore e fargli una corte così spietata da portarlo dalla nostra parte, a Milano. Parlo al maschile perché al nostro atelier c’è mancanza del così detto sesso forte «Prego, accomodati.» m’indica una seggiola a poltroncina di velluto viola mentre lei occupa il posto dietro alla scrivania e mi si presenta come responsabile della sede «Tu sei?».
«Carlotta Rossi, lavoro all’atelier di Susanna da alcuni anni.» mi limito a dire, intanto che lei mi fissa da dietro lo schermo del proprio portatile «Se non le spiace, gradirei avere una conversazione pulita.».
«Impertinente e sicura di te, mi piaci, ragazzina.» mi si complimenta, abbassando il monitor del laptop «Susanna ed io abbiamo appena deciso che ti fermerai qui per due settimane.».
«Ripeta.».
«Ti fermerai due settimane, dimorerai da Beatrisa.».
«Non ho né valige né altro.» le faccio presente, senza trattenere lo sdegno o il fastidio.
«Suvvia, siamo a Venezia, ne approfitti per fare dello shopping, ragazzina.» sto seriamente per mandarla al diavolo senza mezzi termini quando bussano alla porta «Avanti.».
«Sandra, mi hai fatto chiamare?» nell’ufficio appare una ragazza molto alta dai capelli scuri e boccolosi che si siede al mio fianco, seguendo le indicazioni del suo capo «Quindi tu sei la ragazza che ospiterò a casa mia.» le rispondo senza guardarla, ancora intenta a cercare di dare fuoco con lo sguardo a Sandra «Piacere di conoscerti.».
Mi decido a guardarla in faccia e un brivido mi scende per la schiena all’incontrare i suoi occhi e corrugo le sopracciglia, interdetta e riluttante, decretandone innaturale il colore violetto, dal mio stato di trance mi riscuote la voce di Sandra, un suono che se prima m’irritava il sistema nervoso, ora mi manda in bestia «Spero andrete d’accordo perché le farai da assistente per i primi due giorni.».
Una volta congedate dall’ufficio di Mussolini la vendetta, seguo Beatricia o come cavolo si chiama nella saletta privata dei dipendenti, recupero il cellulare e inizio a scrivere un messaggio a Susanna, ringraziandola per non avermi avvertito di nulla e venduta così al nemico, anche se non è difficile capire il perché mi abbia aumentato le ore di trasferta. Sbuffo, alzandomi dal divanetto e andando alla macchinetta delle bevande e sto per selezionare un espresso quando il dito affusolato e smaltato di rosso della spilungona mi precede schiacciando uno dei pulsantini in basso.
«Fai sul serio?».
«Pensaci, sei già agitata e se assumi caffeina potresti -.».
«Ammazzare qualcuno, sì lo so.» la precedo con fare ironico «Non sono affari tuoi.».
«E noto che sei anche inacidita, una cioccolata ti farà più che bene.» se ne viene fuori, porgendomi la bevanda appena scesa dalla macchinetta «Non è come quella che faccio io ma è buona lo stesso.» lo dice sorridendo e portandosi una ciocca ondulata dietro l’orecchio, aggiungendo che le darò ragione quando me la farà assaggiare, nei prossimi giorni.
«Ascolta, tu non mi servi.» le dico, prendendole dalle mani il bicchierino «Posso benissimo affittare una stanza e faccio questo lavoro da diversi anni.» ci tengo a informarla, ma la sua espressione non muta di una virgola, ha sempre quel sorriso disteso e comprensivo che mi ha rivolto dall’inizio «Sul serio, domani chiamerò un albergo.».
«Abito qua dietro, cinque minuti e sono arrivata a casa.» afferma iniziando a sorseggiare una bevanda partorita dalla macchinetta automatica e, dall’aroma che mi arriva al naso, dev’essere caffè «Ho una camera e un bagno per gli ospiti.» aggiunge e qui capisco che sta cercando di corrompermi, anche perché ha cambiato sguardo. Quegli occhi violetta mi stanno scrutando in maniera insolente, indugiando sulle mie forme «Poi, sembriamo avere la stessa taglia d’abiti, anche se sei un poco bassina.» e qui non riesco a trattenermi dal mandarla a quel paese «Non volevo offenderti.» dice lei, tra una sorsata e l’altra «Davvero, mi farebbe piacere tenerti con me.».
«Come scusa?» le domando sentendomi a disagio a quella sua frase.
«Che mi farebbe piacere tenerti con me, a casa mia.» ripete non capendo il mio atteggiamento, improvvisamente tornato sulla difensiva «Non si dice così?».
«Certo che no. Si dice, sarei felice di ospitarti a casa mia.» la correggo, avvicinandomi al cestino e lasciandovi cadere il bicchiere ormai vuoto «Beatricia, se mi ha affidato a te, significa che sei brava?».
«Intendi Sandra?» annuisco, mentre recupero il cappotto che prima avevo abbandonato sul tavolino vicino al divano, sistemandolo su un attaccapanni «Non saprei dirti, forse semplicemente non si fida.».
«Non si fida di me o di Susanna?».
«Sai come si dice, no?» inizia, facendomi segno di seguirla, dopo che anche lei si è liberata del bichierino bianco «Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io.» afferma, iniziando a salire le scale a chiocciola «Ah, Carlotta, mi chiamo Beatrisa.».
«Ed io cosa ho detto?» le domando con finto fare innocente, pur sapendo di aver storpiato il suo nome, cosa che continuerò a fare per il gusto di infastidirla, anche perché non sono mai stata brava nello spagnolo «Dove mi stai portando?».
«Al nostro piano di lavoro.» risponde allargando le braccia sull’ultimo scalino «Come vedi, ci sono sette camerini. Il tempo massimo di un colloquio è di tre quarti d’ora.» inizia a spiegarmi, affermando che alle principianti era concesso un quarto d’ora in più, per un totale di sessanta minuti, altrimenti arrivava in soccorso qualcuno di più esperto con cui si divideva il profitto, nel caso si riuscisse a salvare l'appuntamento «Oggi lavoreremo assieme, così vedrai come sono suddivisi i capi e come interagire con la nostra clientela.» cerco di non sbadigliarle in faccia, sicura di aver già intuito com’era impostato il magazzino e i vestiti esposti, o almeno, al piano inferiore li avevano raggruppati per stilisti e in prezzi decrescenti, sicuramente era così anche qua «Mi stai ascoltando?».
«No, pensavo a un buon ristorante per questa sera.».
«Se fai la brava, più tardi te ne indico un paio.» mi asseconda, allungando una mano a toccarmi una ciocca di capelli «Sono davvero belli.» sorride abbassando l’arto e posandomelo sulla guancia, mi è molto vicina e sono costretta a inclinare la testa all’indietro per mantenere il contatto visivo «Anche i tuoi occhi sono particolari, porti lenti a contatto. Giusto?».
«E tu?».
«No, non più.» risponde, accennando che per un periodo si era vergognata di quell’insolito colore d'occhi. Noto che ha avvicinato maggiormente il viso al mio, tanto che sento il suo respiro scontrarsi con il mio «È un peccato tu non abbia le lentiggini.» a quella parola sussulto e con una pacca le allontano il braccio «Ti chiedo scusa, sono stata troppo invadente.».
«Ascolta, Trisha.» inizio con tono freddo, rimettendo distanza tra i nostri corpi «Toccami ancora e ti mordo.» lei inarca un sopracciglio con fare interessato, ripetendomi ancora una volta il suo nome «Mettiamoci al lavoro, Trisha.».
«Guarda e impara, Carlotta.» mi suggerisce, avviandosi verso un camerino e aprendone la porta, rivelando al suo interno quella che doveva essere la sposa, avvolta in un accappatoio bianco con le iniziali del negozio sulla schiena e le sue damigelle sedute su alcuni divani. Osservo Beatrisa presentarsi e interagire con tutte quelle donne, magnetizzando su di sé la loro attenzione e facendo valere le idee della futura sposa senza zittire con occhiatacce o frecciatine chi interveniva solo per dar aria alla bocca «Perfetto, quindi vuoi qualcosa di moderno, con un’ampia scollatura sulla schiena e una bella gonna vaporosa.» la donna annuisce al suo riepilogo, asserendo che si fidava cecamente di lei per trovare l’abito con cui si sarebbe sposata tra meno di un mese «Dammi dieci minuti, Georgina.» sorride alla sposa, poi alza lo sguardo verso di me, che mi sono volutamente tenuta in disparte, e mi fa l’occhiolino, facendo nascere dei commenti tra le comare «Scusate la mia sbadataggine.» riprende parola, alzando di pochissimo il tono «Lei è Carlotta, la mia personale assistente.» lo dice con aria divertita, raggiungendo il mio fianco e cingendomi la vita con un braccio, sospingendomi fuori dalla stanza «Avanzo un morso.» mi sussurra nell’orecchio con un tono malizioso che mi provoca uno strano calore allo stomaco che sicuramente è ribrezzo «Dai che scherzo, torniamo a lavoro.».
Sbuffo, fulminandola con lo sguardo, mentre realizzo che non mi piace, anzi, che la detesto e che Murphy ha stramaledettamente ragione, insomma, non c'è fine al peggio.







Clio1: eh, sì. Faccio riferimento al programma sul canale 31 del digitale terrestre!
Ca’ Sagredo Hotel2: uno dei più costosi hotel di Venezia che da sul Canal Grande.
Mademoiselle3: tradotto, letteralmente, significa signorina.
Facebook4: tutti conosciamo il famoso social network.
Assurément, mon Charlotte5: tradotto, significa certamente, mia Carlotta.
   
 
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