-Sapeva che
quando si
sta annegando, non si inspira fino ad un momento prima di perdere i
sensi? E’
chiamato “apnea volontaria”. Non importa quanto tu
sia spaventato, l’istinto di
non ingerire acqua è così forte che non ti fa
aprire la bocca fin quando non
senti che ti sta per esplodere la testa. Quando poi la lasci entrare,
in quel
momento non fa più male. Non fa più paura,
è…alla fine ti senti sollevato.-
Nella sua testa, frammenti di parole
ed immagini si
mischiavano alla velocità della luce.
Era un problema che aveva riscontrato fin da piccolo, per questo non
era capace
di concentrarsi troppo su un solo argomento. Il suo corpo era in
costante
movimento, sempre spinto in avanti, sempre occupato in qualcosa che lui
ormai
neanche calcolava più.
Qualcuno lo avrebbe definito nervoso, ma non lo era.
Semplicemente non riusciva a star fermo.
C’era così tanto da capire, esplorare e scoprire,
perché doveva starsene seduto
lì, a ripescare memorie di giorni che sperava fossero dietro
di sé?
Anche la speranza aveva vita corta, se ti chiamavi
“Stiles” Stilinski.
Impossibile sperare quando già il momento in cui stavi
sperando era passato,
per la tua mente.
Non gli piaceva mettere alla gogna nessuno, aveva sempre una buona
parola per
tutti e sperava anche nonostante le nozioni che gli erano state
impartite e
quelle che si era impartito durante gli anni, perché gli
sembrava giusto che
una persona buona lo facesse: sperava che tutto andasse bene per gli
altri, che
tutto si sistemasse e che alla fine chi era nel giusto potesse vincere.
Lo sperava anche se una vocina nella sua testa gli ricordava
costantemente che
era giù finita, che tutto sarebbe andato solo per il peggio,
che non c’era più
speranza perché lui non era abbastanza forte da aiutare, da
risolvere, da evitare
che il peggio accadesse.
Si addossava tante colpe che non erano sue e sì, aveva
pensato più volte che se
quell’apnea volontaria fosse finita, lui si sarebbe sentito
sollevato.
Che se avesse smesso di aggrapparsi così forte alla
realtà che lo circondava,
la testa non gli sarebbe scoppiata e dopo ci sarebbe stata solo la pace.
-Perché
non torniamo a
parlare di te? Stiles?-
Una parola, parlare di sé.
Non gli era mai venuto bene, non veramente.
Non fino infondo.
’era vergogna, quando parlava di sé con
serietà. C’era di nuovo senso di colpa
e desiderio di nascondere i suoi tormenti più intimi,
proprio per evitare di
venire indicato come guastafeste, come quello che rovinava tutto anche
quando
dava il massimo.
Per questo non era bravo a parlare di sé.
Quando lo faceva, era sempre con estrema ironia o con una
sincerità disarmante
su argomenti che sul serio, non sarebbero dovuti essere toccati. Lo
faceva apposta
ed aveva cominciato anche a trarne un po’ di gusto,
perché risolveva due
problemi così: allontanava chi ficcanasava troppo e
distoglieva l’attenzione di
chi non si sarebbe mai allontanato.
Poi c’erano quelli come Scott, anzi, c’era solo
Scott che lo capiva e lo rispettava
nel silenzio, perché il loro legame andava molto al di
là del convenzionale.
Non c’era stato segreto tenuto, quando ancora un piccolo
Stiles riusciva a
parlare senza filtri e senza vergognarsi di avere emozioni
più profonde di
quanto un ragazzo della sua età potesse dimostrare.
Ma ora non si sentiva più così.
Si sentiva un emarginato in se stesso, quindi come poteva parlare di
sé?
-Sto bene. A
parte
l’insonnia, l’ansia, la continua, opprimente
sensazione che stia per accadere
qualcosa di orribile.-
Ecco che di nuovo tirava fuori
qualcosa di estremamente
sincero, avvolgendolo ben stretto in ironia e veleno, senza
preoccuparsi di
quello che la donna di fronte a lui avrebbe potuto pensare, se solo si
fosse
fermata a guardare dietro la scorza che tentava di respingerla, di
respingere
ogni singola domanda o consiglio proveniente proprio dalla consulente.
Non sapeva neanche più perché fosse
lì, ma ricordava di non esserci andato di
sua spontanea volontà. Più di una persona intorno
a lui l’aveva spinto dentro
quell’ufficietto pensando che con una semplice chiacchierata
potesse lavarsi
dagli occhi e dalle membra ciò che aveva visto da quando il
suo amico era stato
trasformato in un lupo mannaro.
Aveva comunque un limite anche lui e non gli andava più di
essere guardato con
occhi pietosi e spinto verso un aiuto che non sarebbe mai arrivato.
Tanto
valeva togliersi il dente e non pensarci più.
-Si chiama
“ipervigilanza”. La costante sensazione di sentirsi
sempre minacciati.-
-Ma non
è solo la
sensazione, è…è come un attacco di
panico. Come se non riuscissi a respirare.-
-Come se
stessi
affogando?-
-Sì…-
Lui non si sentiva semplicemente
minacciato. Lo era.
Tornando indietro a quella seduta, nell’ufficio minuscolo,
prima della
magnifica esibizione sul campo da gioco e prima ancora che venisse
rapito e
picchiato per aver tentato di aiutare qualcuno – tutti i lupi
avevano la
tendenza a finire col chiedere aiuto a lui, volente o nolente. Che
distorto
senso dell’umorismo era questo? -, ripensò al
fatto che se lo era sentito nelle
ossa, che sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile. Sapeva che si
stava per
rompere qualcosa al suo interno, ma la sua mente velocissima non sapeva
dirgli
se sarebbe stato in grado di ripararsi. E quindi si sentiva sempre
affogare,
soffocato dai pensieri e dalle paure, dalle congetture di scenari
apocalittici
e dal suo stesso isterismo. Dal suo carattere forte quanto inutile
nella
situazione in cui si era cacciato.
Eppure come non tentare di resistere?
Eppure, come non tentare di lasciarsi andare?
La dualità del suo essere cominciava a dargli sui nervi, non
sapeva quanto e se
avrebbe retto ancora, ma per un po’ poteva provarci, il tempo
di rimanere solo.
-E allora se
stai
affogando, cercando di tenere la bocca chiusa fino a
quell’ultimo secondo…se tu
scegliessi di non aprire la bocca? Di non far entrare
l’acqua?-
-Lo farei
comunque. E’
un riflesso istintivo.-
-Ah. Se
trattenessi il
respiro fino all’arrivo di quel riflesso? Avresti
più tempo.-
-Non molto.-
-Abbastanza
per
tornare in superficie.-
-Immagino
sia così.-
-Abbastanza
da essere
tratto in salvo.-
Doveva dargliene atto, la consulente
vedeva più in là del
suo naso carino. Che l’avesse visto nei suoi occhi o che
l’avesse dedotto dal
tono della voce, insieme all’incuranza con cui aveva piazzato
le parole una
dietro l’altra, senza vera convinzione, non gli era dato di
sapere.
Ma dopotutto continuava a chiedergli di lottare, di rimanere aggrappato
a
qualcosa che fosse più di un riflesso istintivo. Gli stava
chiedendo di
lasciarsi andare ad un movimento volontario. Gli chiedeva di
sopravvivere e gli
chiedeva di aspettare che qualcuno lo portasse in salvo.
Ma se non c’era speranza per lui, come aveva già
appurato tempo prima, a che
serviva rimanere in apnea, con gli occhi aperti? Magari aprendo la
bocca,
ingoiando più acqua possibile, poteva anche permettersi di
prosciugare quella
che altrimenti avrebbe affogato qualcuno che stava trattenendo il
respiro
proprio accanto a lui.
Doveva solo crederci.
Se ci credeva, poteva fare tutto, così gli avevano detto.
-O
più tempo per
provare un dolore inimmaginabile. Ha dimenticato la parte in cui ti
sembra che
la testa stia per esplodere?-
-Se si
tratta di
sopravvivere, non vale la pena di soffrire un po’?-
-E se invece
peggiorasse? Se fosse un dolore inimmaginabile ora e puro inferno,
dopo?-
-Pensa a
quel che
disse una volta Winston Churchill. “Se stai passando per
l’Inferno…non ti
fermare.”-
Stava cercando di combatterla. Di
combattere quella flebile
speranza che la donna cercava di instillare nel suo essere, quando le
lacrime
si facevano sentire e minacciavano di mandare all’aria il
castello di carte che
si era costruito davanti.
Voleva controbattere, battuta per battuta; voleva farle vedere che non
credeva,
non davvero. Non sperava, non fino in fondo. Non quando c’era
di mezzo se
stesso.
Non respirava, sì, ma probabilmente prima o poi avrebbe
fatto qualcosa di stupido,
come prendere una bella boccata d’aria e mandarla
giù fino ai polmoni, fino
alla testa, fino ai pensieri che si accavallavano ancora e ancora,
rendendogli
già l’agonia più simile ad un inferno.
Fuoco e altro fuoco se avesse continuato a camminare
nell’Inferno da lei
descritto, gli avrebbe fatto solo desiderare più
ardentemente l’acqua per
placare il suo dolore.
Nella sua testa,
frammenti di
parole ed immagini si mischiavano alla velocità della luce.
“Stiles” Stilinski voleva solo smettere di pensare,
che fosse alla velocità
della luce o meno.
Aspettava solo di poter fare la cosa stupida che ci si aspettava da lui
e
smetterla di trattenere il respiro, camminando in punta di piedi per
non farsi
sentire.
Bene….uhm,
ecco. Novellina
di questo fandom. Quindi non mi linciate, pretty please?
Non so cosa sia venuto fuori qui, ma visto che mi sono avvicinata da
poco a
Teen Wolf e sono arrivata oggi al finale della seconda stagione, non
potevo che
soffermarmi sulla splendida scena con cui inizia la 2x11.
Un mio tentativo di sezionare al momento la testa di Stiles,
perché non
riuscivo a farne a meno.
Spero di non attirarmi l’odio di nessuno, non so se sono IC
ma ci ho sperato.
Let me know.
Dark/Vevve