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Autore: eleuthera    04/04/2008    3 recensioni
“Questo non è Yuugi. Ha i suoi stessi occhi cromaticamente sbagliati, i suoi stessi capelli in crisi d’identità, le stesse fossette agli angoli della bocca e le stesse ciglia esageratamente lunghe e arcuate, come quelle di una bambola di porcellana. Ma non è Yuugi. E se tutte le prove che ha avuto finora non fossero state ancora abbastanza, la giornata di oggi le ha tolto definitivamente ogni dubbio.”
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Atemu, Tea Gardner/Anzu Mazaki, Yuugi Mouto
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Grazie a Carlos Olivera, che mi ha suggerito lo spunto da cui si è sviluppata questa storia, e un grazie super-speciale a Federica, che mi ha offerto i suoi preziosi servigi di competentissima beta, e ha sopportato con infinita gentilezza e pazienza le mie tirate in corso d’opera.

Questa one-shot è nata per partecipare alla quarta sfida dell’ormai defunto sito di Out of Time. I temi richiesti erano il mare, e la narrazione dal punto di vista di una protagonista femminile.


Yu gi oh! e tutti i suoi personaggi appartengono a Kazuki Takahashi.


Puzzle



Lacrime.
Calde, copiose, cristalline.
Un mare di lacrime.

Squassato dai singhiozzi, Yuugi serra la presa sull’impeccabile uniforme di lei, fresca di piega, e quelle gracili manine si stringono con forza insospettata intorno alla morbida stoffa color rosa confetto. Una vistosa macchia d’umido comincia ad allargarsi sul suo seno, accompagnata da una sgradevole sensazione di calore. Anzu inarca le sopracciglia e lo afferra per le spalle con malcelata irritazione.
“Su, su, e che sarà mai!” esclama stizzita.
Yuugi sgrana gli occhioni acquosi e la fissa con quelle disturbanti iridi viola. Il suo viso è una maschera grottesca: le gote arrossate e il naso gonfio, le narici dilatate e i lineamenti contratti, le labbra tremanti schiuse in un sussulto.
“Ma Anzu… !” sussurra scandalizzato.
“Oh, shhh! Vuoi che tutti ti vedano piagnucolare come un moccioso?” Bella battuta. Suona quasi altruista. Ma ovviamente è lei che non vuole essere vista. Non insieme a Yuugi, il patetico frignone. Il mostriciattolo. Lo zimbello di tutta la scuola. E invece ora è lì, in mezzo all’atrio deserto – ma rimarrà tale ancora per poco – che si lascia rovinare il completo migliore nel vano tentativo di consolarlo. Prima che arrivi qualcuno. Ma perché proprio lei? Non poteva toccare a Jounouchi stavolta?

No, certo che no, quell’idiota di Jounouchi è sempre in ritardo.

Yuugi la stringe più forte, come se sapesse che le sue braccia esili attorno alla vita di lei sono davvero l’unica cosa che le impedisce di andarsene, piantandolo lì da solo. Anzu soffoca un gemito; qualcosa di duro e appuntito le è penetrato nelle costole. Maledetto quello stupido pendente e i suoi stupidi spigoli!
Strizza le spalle mingherline del suo minuscolo compagno e lo spinge via di malagrazia, mentre solleva lo sguardo preoccupata, spiando lo spazio non più vuoto dei corridoi. Gli studenti più mattinieri stanno già cominciando ad entrare nelle classi. Si capisce, dai sussurri sconcertati e dalle facce sconvolte, che anche loro hanno appena saputo.

Non in molti fanno caso a loro due. La notizia della mattinata è un’altra. Ma qualcuno sicuramente si preoccuperà di diffondere il pettegolezzo in seguito. Anzu già si sente addosso le occhiate di derisione. Già le pare di sentire i commenti maligni e le cantilene bisbigliate a mezza voce. Yuugi emette una specie di singulto strangolato e barcolla sotto la stretta pesante di lei.
“A-Anzu…” tira su col naso e si divincola debolmente mentre le dita nervose della ragazza gli affondano nella carne. “Mi… mi fai male…”

Patetico. Mostriciattolo. Piagnone.

Il suo migliore amico.

Anzu tira un lungo, profondo sospiro e posa un ginocchio a terra, così da poterlo guardare in faccia più agevolmente. Quasi senza volerlo le sue mani si posano sulle guance rotonde e bagnate del ragazzino, e i suoi palmi gli strofinano il viso per pulirlo dalle lacrime.

“Yuugi,” dice sforzandosi di infondere un po’ più di dolcezza nel tono di voce. “Yuugi, non è poi così terribile. Non è neanche morto.” Ooops. Esattamente la cosa sbagliata da dire. Yuugi le getta le braccia al collo e raddoppia i singhiozzi, abbandonando la testa sulla spalla di lei.
Anzu tira fuori un fazzoletto dalla tasca della giacca e glielo ficca in mano senza tanti complimenti. Lui si riscuote e procede rumorosamente a soffiarsi il naso, tra gli sguardi divertiti dei passanti. La ragazza alza gli occhi al soffitto, silenziosamente domandandosi che cosa diamine abbia fatto per meritare tutto questo, e soprattutto chi diavolo glielo fa fare di restare ancora lì, con lui in quello stato, ad alimentare la favoletta dell’istituto.

Anzu è una ragazza molto popolare al liceo di Domino. Bella, ottimi voti, ammirata da tutti. Le piace essere ammirata. L’unica macchia sul suo profilo di studentessa modello è proprio lui, Yuugi. In molti si chiedono perché si ostini a frequentarlo. A volte se lo chiede perfino lei stessa. In fondo, che ha mai fatto di buono Yuugi per lei?

Piccole cose.
Cose importanti.

È venuto a vederla danzare ogni anno nel saggio di fine corso. Le ha regalato i suoi videogiochi più belli e le ha insegnato tutti i suoi trucchi. Le ha aperto la porta in piena notte quando lei è scappata di casa, e insieme hanno ingaggiato una furibonda lotta di cuscini contro i suoi genitori venuti a riprenderla. L’ha ascoltata gridare e sfogarsi a forza di insulti, in silenzio, e le ha accarezzato i capelli mormorando parole di conforto ogni volta che qualcuna delle sue storie finiva.

Ad Anzu non piace ricordarsi di certe cose. Preferirebbe convincersi che non le è mai importato, che non ha mai avuto bisogno di nessuno, tantomeno di Yuugi. Ma non è così, e Anzu lo sa.

Yuugi la conosce da quando erano bambini. Ha visto tutto il meglio e il peggio di lei, condiviso tutti i segreti e i sogni e i rimpianti, i litigi e le riappacificazioni, e sempre, quando era il momento, lui c’è stato per lei.

Perciò lei ora non può tirarsi indietro. Giusto?

“Ehi, è stato fortunato. Dicono che si salverà di sicuro.” Avrà qualche arto di meno, ma Anzu non è sicura che la cosa le dispiaccia. Era un bastardo. Un vero bastardo. Si divertiva a tormentare le matricole e molestava le ragazze. Faceva scherzi stupidi e pesanti. Se la prendeva con i più deboli. Con quelli come Yuugi. Non era altro che un maledetto vigliacco.
Anzu proprio non capisce come possa Yuugi disperarsi per lui.

Ma che domande, Yuugi è Yuugi. Non sopporta di veder schiacciare una mosca, figuriamoci cosa dev’essere stato per lui arrivare lì quella mattina e sentirsi dire che uno studente è saltato in aria.
E l’ambulanza, e le macchine della polizia ferme ai cancelli della scuola.
In effetti, come inizio di giornata dev’essere stato anche peggiore del suo.

Però quando è troppo è troppo.

“Yuugi. Yuugi? Ascoltami,” gli dice decisa, sollevandogli la testa e guardandolo dritto negli occhi. Mamma mia, che strazio. Ci sono rospi dall’aspetto più gradevole.
“Smetti di piangere, okay? È stato un incidente.”
Le sue parole sembrano smuovere qualcosa. Forse ha finalmente detto la cosa giusta? Yuugi sgrana gli occhi e batte le palpebre gonfie, mentre due enormi lucciconi gli rotolano giù fino alla punta del naso. “Un… un incidente…” mormora con un filo di voce, rivolto più a se stesso che a lei.
Ha un espressione strana. Sembra quasi… sollevato?
“Sì, sì… un incidente… è così, vero Anzu?” biascica con la bocca impastata di lacrime. “Perché… nessuno potrebbe volere una cosa simile, no? Nessuno…”

Ma di che sta parlando?

“No,” afferma lei scuotendo la testa con scarsissima convinzione. “No, certo che no.”
Non riesce proprio a capire dove lui voglia andare a parare, ma se lo fa sentire meglio, assecondiamolo pure. Così magari la finirà con questa sceneggiata.

“Nessuno…”

“Nessuno.” Anzu annuisce vigorosamente.

Nessuno potrebbe volere una cosa simile, no?

Nessuno.


Buio.
La stoffa ruvida che preme contro le sue palpebre chiuse.
Le dita violente che stringono con forza il suo avambraccio e la costringono a sedere.
Passi leggeri e decisi che si avvicinano.
Il tintinnio di un bicchiere posato sul tavolo.

“Facciamo un gioco?”

Il timbro fermo e il tono sicuro di una voce che non può appartenere a Yuugi.
La stessa voce che detta con calma innaturale le regole di una folle contesa.

Lo scatto del tamburo in preparazione dello sparo. Il lieve crepitio di una fiammella.

Silenzio.

L’odore pungente e dolciastro del liquore.
Liquore dappertutto.
Un mare di liquore.

Il sommesso gocciolio del liquido oltre il bordo del tavolo.
L’umida sensazione di gelo che si fa strada attraverso i suoi vestiti fino alla pelle.
Il lento, inarrestabile spargersi del fluido sulla liscia superficie del sedile.
La sua gonna che le si appiccica alle gambe, impregnandosi di alcool.
Gocce che cadono a terra, gocce che bagnano i suoi piedi.

Un gemito.
Un urlo.
Tante urla.

Calore.
Improvviso, divampante, insopportabile.

Una mano gentile e decisa, dalle lunghe dita, che la invita ad alzarsi e la conduce via.
Una piccola mano che stringe la sua mentre i suoni e gli odori si confondono attorno a lei.
La stessa mano piccina, le dita lunghe e affusolate che si intrecciano alle sue per aiutarla a sciogliere il nodo della benda.

Yuugi.
Lo sguardo duro e tagliente, la terribile determinazione nei suoi occhi mentre fissa impassibile le fiamme divampare e inghiottire il fast-food in un turbinio di oro e arancione.

Yuugi.
I suoi occhi spauriti, la sua bocca che si muove come senza emettere suono in mezzo agli strepiti e le grida e gli ululati delle sirene. Il suo viso rotondo e terrorizzato, il baluginio delle lacrime a stento represse.



“Io… Io non potrei mai volere una cosa simile… Anzu…”
Anzu lo guarda come se lo vedesse per la prima volta in vita sua e, in effetti, la sensazione che prova ora è esattamente la stessa.


Yuugi.

Timido, dolce, generoso.
Lo sguardo duro e tagliente.
Sempre pronto ad offrire un sorriso, incapace di portare rancore.
La terribile determinazione nei suoi occhi.
Impacciato, esitante, perennemente inadeguato.
Il timbro fermo e il tono sicuro.
Bizzarramente innamorato di enigmi, puzzle e indovinelli.
“Facciamo un gioco?”


“Anzu…?”

Improvvisamente si rende conto di avere la bocca piena di saliva. Anzu deglutisce, ancora, ripetutamente. Le gira la testa. Gli occhi viola sgranati di fronte a lei la osservano ansiosi, supplici.

“Anzu…”

Yuugi, che nonostante le cattiverie e le prese in giro non rifiuta a nessuno il suo aiuto nei compiti di matematica.
Yuugi, modesto al punto da non riuscire a riconoscere i propri meriti.
Yuugi, che nonostante i suoi quindici anni compiuti non riesce proprio a rinunciare a quella sua infantile passione per i giochi.
Yuugi, che ora piange a dirotto per la meritata sfortuna di uno dei suoi tanti vessatori.

“No… no. Tu non potresti mai, Yuugi.”

“Tu non potresti mai.”

~v~



Questo non è Yuugi. Ha i suoi stessi occhi cromaticamente sbagliati, i suoi stessi capelli in crisi d’identità, le stesse fossette agli angoli della bocca e le stesse ciglia esageratamente lunghe e arcuate, come quelle di una bambola di porcellana. Ma non è Yuugi. E se tutte le prove che ha avuto finora non fossero state ancora abbastanza, la giornata di oggi le ha tolto definitivamente ogni dubbio.

Questo non è Yuugi.

Non che avesse mai veramente creduto il contrario. Ma c’è una certa differenza tra azzardare un’ipotesi e vederla improvvisamente e irrevocabilmente confermata. Saperla certezza.

Questo non è Yuugi.

Non sorride mai. Non dice quasi nulla. Risponde con garbo, se direttamente interpellato, ma è chiaro che lo fa soltanto per educazione, e non si sente in alcun modo obbligato a venirle incontro nei suoi ammirevoli sforzi di sostenere la conversazione.

È serio, questo Yuugi, tremendamente serio. Cosa alquanto ironica, considerando che detiene il titolo di “Re dei Giochi”.

È la prima volta che Anzu ha l’occasione di osservarlo da vicino. Fino ad oggi non lo aveva visto che di sfuggita, dall’alto della balconata di un castello o dal basso, sotto la piattaforma di duello. È la prima volta che la sua esistenza si manifesta agli occhi di lei in modo così concreto, indiscusso, tangibile.

A ripensarci, Anzu quasi si vergogna di avergli confidato il suo sogno. Danzare in una compagnia di balletto americana. E’ un sogno enorme, esagerato per una ragazzina di Domino alta e con troppe curve, Anzu lo sa. Ma ci crede lo stesso.

“Ce la farai di sicuro.” ha detto lui semplicemente, guardandola dritta negli occhi, con la stessa inscalfibile certezza di quando annuncia la mossa vincente in duello. Nient’altro.

Questo Yuugi non cerca e non offre confidenze.

È così distaccato.

Anzu ha cercato di coinvolgerlo nella pianificazione della giornata, ma alla fine ha dovuto rinunciare. Yuugi non ha manifestato nemmeno la più pallida traccia di interesse per alcuna delle sue proposte. Lei non si è arresa. Lo ha portato in giro per la città, gli ha mostrato i monumenti più belli e la vista panoramica (curioso, se si pensa che Yuugi ci vive da quando è nato, ma questo Yuugi non aveva mai passeggiato per le strade di Domino prima d’ora), lo ha portato al cinema e al parco e alla galleria coperta.
Ma questo Yuugi non ha degnato nemmeno d’uno sguardo le file di flipper e videogiochi che di solito, quando lui è un’altra persona, monopolizzano per ore la sua attenzione.

Il solo momento in cui ha mostrato una parvenza di interessamento per qualcosa è stato passando davanti alla vetrina di un rivenditore di carte, dov’erano esposte in bella vista le bustine patinate delle nuove espansioni in serie limitata.
“Entriamo.” ha detto allora, con un’energia quasi incredibile in contrasto con l’apatia di poco prima e, senza aspettare conferma, ha spinto la maniglia d’ottone facendo tintinnare i minuscoli campanelli appesi all’arcata d’ingresso.

Il resto del pomeriggio è trascorso fra scarse battute e commenti irrilevanti intervallati da lunghissimi, imbarazzanti silenzi.

Il primo appuntamento più disastroso della sua carriera.


“Anzu, volevo chiederti… sei libera domenica?”
Così esitante. Così tipico di Yuugi. Dopo tanti rossori, balbettamenti e sospiri finalmente riesce a mettere insieme il coraggio di chiederle un appuntamento, e finisce comunque per combinarle un’uscita con un altro ragazzo.



Anzu si lascia sfuggire un sospiro.
Yuugi-che-non-è-Yuugi non batte ciglio, i suoi pensieri evidentemente altrove, lo sguardo perso lontano.
Chissà perché ha accettato di venire? Forse lo ha fatto per compiacere Yuugi?
E perché mai dovrebbe sentirsi in dovere di fare quello che Yuugi gli chiede?

Quant’è frustrante.

I loro passi alla fine li hanno portati verso il mare. È quasi sera e il sole rosso fuoco ammicca alle coppiette di innamorati, con i suoi ultimi bagliori incandescenti che si riflettono in migliaia di schegge lucenti sul pelo dell’acqua.
È uno scenario così banale e perfetto che quasi sembra finto.
Ma nonostante negli ultimi mesi Anzu abbia sognato e fantasticato infinite volte sulla possibilità di trovarsi in una situazione simile, ora che la fantasia si è avverata il romanticismo è proprio l’ultima cosa che le viene in mente.

Yuugi si appoggia alla balaustra e si sporge in avanti, lo sguardo sempre rivolto all’orizzonte, fissando l’ignoto, e strizza gli occhi nella luce dorata.
A cosa diavolo starà pensando? Anzu è sorpresa nel rendersi conto che, per la prima volta da quando lo conosce, non è in grado di scovare nemmeno un accenno di emozione su quel viso noto e familiare.
E così si ritrova a pensare.

Questo non è Yuugi.

Si muove, parla, cammina con una sicurezza che rasenta l’arroganza.

All’inizio, Anzu era affascinata da questa sua caratteristica. Siamo onesti, lo è ancora. È una delle prime cose che ha notato, in qualche breve attimo, di sfuggita, quando era ancora difficile distinguere, discernere i sintomi del cambiamento, e si attribuiva la colpa alle luci dei riflettori, alla lontananza del punto d’osservazione, alla concitazione della battaglia. Ma troppi particolari non quadravano, troppe coincidenze non tornavano alla logica dei fatti. E le spiegazioni che ciascuno di loro cercava di costruirsi per giustificare quegli avvenimenti in maniera razionale diventavano sempre più labili, lacunose, astruse al punto da risultare assurde.

E poi, dopo tutto quello che è successo nel Regno dei Duellanti, è diventato decisamente impossibile negare l’evidenza dei fatti. È bastato poco, pochissimo, a quel punto, per accettare l’idea che il timido, gentile e riservato Yuugi custodisse nel suo ciondolo un potere sovrannaturale.

Un potere che si manifestava nella forma e nelle sembianze del loro amico, pur non potendo esserne più diverso.

Come tutti, allora, Anzu era rimasta scioccata dalla portata di quella rivelazione.
Ma non del tutto sorpresa.

La verità è che lei lo sapeva da molto prima. Lo sapeva da quella mattina a scuola, quando il pianto dirotto di Yuugi l’aveva messa in imbarazzo nel bel mezzo dell’atrio. Lo sapeva, forse, addirittura dal giorno di quel fatidico, insano gioco di morte sussurrato da una voce così simile e al tempo stesso così differente da quella di Yuugi.

Anzu è forse l’unica, fra tutti coloro che sono stati testimoni degli incredibili eventi avvenuti sull’isola, che sa esattamente fino a quale punto può spingersi la spietata giustizia di Yuugi.

Quello stesso Yuugi che le sta di fronte ora, assorto in silenziosa contemplazione davanti al mare.

Impulsivo. Orgoglioso. Brutale.
Li ha salvati tutti, più di una volta, da una fine certa.
E la stupida, romantica, avventata adolescente che è in lei non può fare a meno di trovare tutto questo irresistibile.

Ma quanto è cretina, pensa tra sé mentre ammira la silhouette elegante del ragazzo stagliarsi contro il mare e il cielo rosato.

“Anzu.”

Ha parlato piano, quasi sussurrando, ma è bastata quell’unica, inaspettata parola per farla sobbalzare. Colta alla sprovvista, Anzu resta per un attimo interdetta, domandandosi se debba rispondere. Yuugi non si volta a guardarla, ma resta immobile a fissare la piatta immensità dell’oceano.

“Credi che sia giusto conservare un sogno… anche se non si ha l’intenzione di perseguirlo fino in fondo?”

~v~



C’è così tanta gente.
Tantissima gente.
Un mare di teste e braccia e suoni e capelli che si agitano al vento.
Un oceano colorato e rumoroso, in perenne movimento, che s’increspa e si gonfia con eccitazione crescente sotto la spinta di un incontenibile entusiasmo.

Si sente quasi l’aria frizzare e vibrare, carica di aspettativa.

E quando Yuugi fa il suo timido ingresso sull’immensità della vasta balconata la folla esplode in un boato di urla ed applausi.

E pensare che fino a pochi anni prima le reazioni che suscitava fra i suoi coetanei si dividevano fra il disprezzo e il compatimento. Ora adorano la terra su cui cammina, e gli corrono dietro supplicandolo per un autografo.
La vita è strana.

Yuugi abbozza un sorrisino tirato mentre le guance gli s’imporporano a tradimento, e accenna un saluto esitante sollevando per aria la manina paffuta.
Poi, in un attimo pare raddrizzarsi; distende il braccio con movimento fluido e preciso, permettendo al duel disk di spiegarsi in tutta la sua metallica magnificenza, e chiude il pugno portandoselo al cuore, come un cavaliere che regga il proprio scudo.
Si volta, e si rivolge alla moltitudine festante che lo acclama dal basso con uno smagliante sorriso che ne scopre i denti ferini.

Anzu conosce bene quel sorriso.

È il sorriso di un vincitore.
È il sorriso di un dio.
È un sorriso da ammirare e temere.

È il sorriso di cui sarà per sempre innamorata, anche quando il tempo e la distanza cancelleranno il ricordo di quel viso, degli occhi, delle parole e dei gesti, e tutto sembrerà così lontano, così sciocco, così poco importante rispetto al presente.

Ma rimarrà quel sorriso.

Yuugi non sorride così. Il sorriso di Yuugi non afferma e non chiede niente, ma offre soltanto. Disponibilità, comprensione, condivisione.

Il sorriso di questo Yuugi è una sfida.

Silenziosa.
Sfacciata.
Letale.

Un sorriso.
Basta solo un sorriso ad annunciare l’inevitabile sconfitta dell’avversario che avanza e prende posizione sull’altro lato della terrazza.

Che abbia inizio il duello!
Lei sa già esattamente come andrà a finire.
Lei conosce bene quel sorriso.
Lo ha visto tante di quelle volte.

Gli eventi si sono succeduti così in fretta, inarrestabili, travolgenti, e lei non ha potuto fare altro che osservare ai margini, silenziosa e impotente.
Sperando, confidando in un sorriso.

Anzu non gioca a carte.
Il destino del mondo non è mai dipeso da un suo gesto, e di questo non può che essere grata.
E non può fare a meno di arricciare gli angoli della bocca, pensando che le due cose non dovrebbero, a rigor di logica, essere correlate, eppure inspiegabilmente e indubitabilmente lo sono.

A volte si domanda che ne sarebbe stato di lei se avesse preso un’altra strada, se avesse fatto altre scelte. Se il pomeriggio di quel primo, decisamente anticonvenzionale appuntamento avesse risposto in maniera diversa alla domanda di lui. Se non lo avesse mai accompagnato al museo. Se non avesse marinato la scuola per seguire Yuugi e Jounouchi in quell’assurdo torneo dove al posto della reputazione e dell’orgoglio i giocatori mettevano in palio le proprie anime. Se fosse rimasta a terra quando loro s’imbarcarono sul dirigibile, a studiare danza e limarsi le unghie. La peggiore delle sue preoccupazioni sarebbe stata la piega dei suoi capelli, e la gonna bianca che le piace tanto stirata in tempo per la prossima partita di basket dell’istituto.

Ci sono momenti in cui desidera così ardentemente di poter tornare indietro.
Ci sono cose che vorrebbe tanto poter dimenticare, relegare in un angolo remoto del suo subconscio, come se non fossero mai accadute. E invece sono lì, impresse a fuoco vivo nella sua memoria, e ogni volta che ci ripensa bruciano ancora.

Il corpo di Jounouchi afflosciato per terra come un sacco di luridi stracci, immobile e senza vita.
Le urla di Mai, la sua rabbia cieca e incontenibile.
L’orrore negli occhi spalancati di Kaiba, mentre una freccia infuocata che non dovrebbe essere reale gli trafigge il petto strappandogli un gemito.
La forza inaudita con la quale il timido, gracile Yuugi si svincola dal suo abbraccio e corre a rischiare la vita per salvare tre stupidi pezzi di carta.

Lacrime rigare il viso duro e spigoloso di uno Yuugi straordinariamente adulto che piange come un bambino.

Lo sguardo di trionfo e l’espressione fiera del suo faccino rotondo mentre le mostra le tre carte reggendole alte in mano, come se fossero il tesoro più prezioso del mondo; la sua voce grave e seria mentre se le rigira fra le dita, e le spiega che “per ‘l’altro me’ sono tutto.”

Yuugi e l'anima del suo Puzzle piangono allo stesso modo.

Anzu si chiede spesso che farebbe ora, se avesse la possibilità di tornare indietro e ricominciare tutto dal principio.
Ma la verità è che, se davvero potesse, rifarebbe esattamente le stesse scelte.

Si fiderebbe ancora di quel sorriso.

Ed ecco, il duello già volge al termine.
E mentre ordina l’ultimo attacco Yuugi si fa più piccino, rotondo, gentile, se stesso.

L’altro Yuugi si affaccia sempre più raramente sul mondo esterno, e non lo fa mai nemmeno per un secondo in più del tempo necessario a stracciare il suo occasionale avversario.
Yuugi se ne rammarica, dimenticandosi, nella sua spensierata generosità, quale sia la vera natura e il valore di ciò che tanto altruisticamente sarebbe pronto ad offrire.

È lui che ora si fa avanti e stringe la mano dell’avversario congratulandosi per la partita, poi alza lo sguardo verso la tribuna d’onore e mostra due dita divaricate in segno di vittoria, gli occhi ridenti che cercano quelli di lei.

E mentre il fragore degli applausi e il ritmo cantilenante delle acclamazioni gridate in coro riempiono l’aria fresca della mattinata primaverile, Anzu pensa come sarebbe bello se questo momento durasse per sempre.
Non è così. Molte cose cambieranno presto, stanno già cambiando. Ma solo per questa mattina Anzu farà finta di non saperlo, si godrà il sole e il vento leggero, e cercherà di imprimersi nella mente ogni particolare, ogni volto, ogni voce, ogni profumo di questa meravigliosa, banalissima giornata.

~v~



L’acqua scorre veloce sotto di loro, come un liscio strascico di seta.

È mattina.

Questa mattina, per qualche breve istante prima di aprire gli occhi, Anzu ha pensato che si sarebbe svegliata e tutto sarebbe stato esattamente come prima, gli avvenimenti del giorno precedente cancellati e sbiaditi, come il ricordo indistinto di un sogno.

Ma non è stato un sogno. Le facce stravolte dei suoi amici, testimoni di una nottata anche peggiore della sua, gli occhi bassi e le parole sussurrate a mezza voce, il silenzio innaturale che ha gravato su di loro mentre facevano colazione nella grande sala adorna di colonne dell’albergo, sono terribilmente, dolorosamente reali.

E il posto vuoto di Yuugi, il tovagliolo candido ripiegato con cura al centro del piatto, intonso, le posate lucide e la porcellana splendente.

“Vado a chiamarlo,” ha detto allora, e si è alzata da tavola fra i muti sguardi dei presenti.


Il terrazzo è all’ombra a quell’ora di mattina. Yuugi è là, seduto in un angolo sulle mattonelle bianche, con le braccia strette attorno alle ginocchia raccolte, la testa appoggiata al muro dietro di lui. Ha gli occhi asciutti, ma sarebbe impossibile non accorgersi che ha pianto.

Anzu gli si siede accanto e gli passa un braccio intorno al collo, stringendolo con gentilezza.
Non dice niente. Sa bene che nessuna parola potrà mai bastare a riempire quel vuoto.

Restano così per un po’, abbracciati in silenzio nel fresco mattutino, poi Yuugi accenna ad alzarsi e lei lo aiuta a tirarsi su sorreggendolo delicatamente per un braccio.
“Vuoi che ti dia una mano a fare i bagagli?” gli chiede dolcemente, con solo un filo di voce. Ha l’aria così fragile, ancora più del solito. Le sembra che a parlare più forte potrebbe romperlo.
Ma lui scuote la testa, e riesce persino a tirare fuori un qualcosa che potrebbe passare per una vaghissima ombra di sorriso.

“No, faccio io. Vi raggiungo sotto appena ho finito.”

Anzu indulge per un attimo nel pensiero di restare e aiutarlo lo stesso, ma poi decide che è meglio lasciar perdere. Forse ha bisogno di restare ancora un po’ da solo.

“Anzu?” la chiama ancora lui, dall’interno della stanza. Lei si volta indietro a guardarlo, e c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella vista di lui senza la pesante catena di metallo e il ciondolo d’oro che gli penzola al collo.

“Grazie” dice piano il ragazzo, senza sorridere, ma con un’espressione distesa, quasi serena.

“Non c’è di che.”


È mattina.

Anzu piega la testa di lato, sbirciando fuori dal finestrino, portandosi una mano sugli occhi per ripararsi dal sole accecante che brilla alto nel cielo e si specchia sulla lucente distesa di flutti che si perde all’infinito sotto di loro.

Accanto a lei, Yuugi inspira un po’ troppo rumorosamente, poi, piano piano, timidamente, appoggia il capo sulla sua spalla, chiude gli occhi, e finalmente si abbandona, rilassato, a quel sonno ristoratore che non si concede da almeno tre giorni.

Nonostante tutto, nonostante ancora le sembri che il suo cuore sia sul punto di scoppiare, e che ogni respiro le trafigga i polmoni, Anzu lo guarda con gli occhi lucidi, e non riesce a trattenere un sorriso.

  
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