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Autore: Altariah    11/10/2013    1 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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VIII - Don't give up

 

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In this proud land we grew up strong
we were wanted all along
I was taught to fight, taught to win,
I never thought I could fail

Era notte fonda. La pioggia scrosciava incessante contro le tegole. Lontano, cadeva sull'acqua di mare e si confondeva al suono delle onde contro la terra.
La notte di Kahje sa essere una delle più buie; nessuna stella sapeva farsi strada oltre la pesante coltre di nubi, e quella notte non faceva eccezione.
Kolyat l'aveva sentito arrivare, proprio nel mezzo di quella tempesta. Era stanco, le fibbie del suo vestito erano state slacciate in cerca di comodità e tintinnavano. In quelle condizioni, per quanta cautela avrebbe potuto usare, chiunque fosse stato dotato del suo sonno leggero l'avrebbe sentito. Kolyat trasse un sospiro, snudando delicatamente i suoi denti bianchi in un sorriso sognante e le sue piccole mani si strinsero attorno ad un lembo delle coperte.
Rimase un momento indeciso sul da farsi: faceva maledettamente freddo, e se si fosse alzato non sarebbe più riuscito a dormire. Aveva da sempre un sonno leggerissimo, e una volta svegliato gli era quasi impossibile ritrovarlo.
Si morse le labbra e scese dal letto e i piedi andarono a toccare il pavimento in pietra, gelido. Scosso da un brivido afferrò la trapunta e se la passò sulle spalle, andando verso la porta assieme al suo nuovo mantello improvvisato.
Aveva già in mente il suo piano: avrebbe percorso il corridoio con furtività, non si sarebbe fatto sentire. Nessuno si sarebbe accorto di lui, doveva essere abile come suo padre, se non di più. Avrebbe guardato nella loro camera e trovato la figura di Thane che gli mancava così tanto, poi si sarebbe rannicchiato lì, proprio di fianco alla porta, e sicuramente si sarebbe addormentato a terra, confortato finalmente da una presenza talmente importante per lui. 
Arrivò di fronte alla porta della stanza da letto dei suoi genitori, la porta socchiusa, la luce accesa. Si sospinse giusto un po' più il là, socchiudendo le labbra mentre tentava di vedere ciò che cercava. 
Eccolo! Da un lato del letto, seduto, c'era lui. Aveva la testa bassa e stava in silenzio. Perché fai così? Si domandò Kolyat, trattenendo l'impulso di entrare e chiederglielo personalmente, cacciando indietro la voglia di abbracciarlo soltanto per non disturbarlo quella sera perchè doveva essere stravolto e avrebbe avuto tutto il tempo l'indomani mattina.
"Per Arashu, Thane, avanti parlami!" Kolyat dovette muoversi un po' per riuscire a vedere sua madre di fronte al marito, in piedi, la voce dura. "Mi dici che devi parlarmi e poi non fai altro che guardare in basso!" Lei evitava di alzare il tono solo perchè non avrebbe voluto svegliare Kolyat.
"Siha... calmati..." Riuscì a sospirare lui, cercando una forza che aveva perduto chissà in quale battaglia. Le cercò le mani, e lei avanzò di un passo, accettando il contatto e unendole alle sue. 
"Mi sei mancato tanto, Thane." Gemette, senza però riuscire ad abbattere le distanze, rimanendo sempre nella stessa posizione cercando una connessione in due occhi troppo schivi.
Una confessione nata direttamente dal cuore, una confessione che recava al suo intero molteplici emozioni e troppi sentimenti. Insicurezza e paura, delusione, amore e rimpianto. C'era qualcosa che doveva essere indissolubile ma che, mano a mano, veniva intaccato e ne rimaneva sempre meno, solo polvere.
Il viso di lui assunse un'espressione di puro dolore, Kolyat si sentiva stordito. Cosa stava succedendo? Perchè sono tristi? Cosa ci sarebbe potuto essere di più doloroso che provare una gioia immensa che non è condivisa? Come avrebbe potuto sopportare di vedere i suoi genitori così disperati, qual'era il problema?
Sarebbe dovuto essere un momento gioioso.

 
No fight left or so it seems
I am a man whose dreams have all deserted
I've changed my face, I've changed my name
but no one wants you when you lose

"Sono venuto per vederti. Dormirò un paio d'ore, e prima dell'alba dovrò ripartire. Prima che Kolyat si svegli, così non dovrò salutarlo di nuovo. Sarà come se non fossi tornato." 
Irikah soffocò un lamento. Le sue gambe divennero svogliate, e cedettero. Si lasciò andare a terra come se non avesse più vita, mentre Thane serrava la mascella.
"Perché mi fai questo, Thane." Esalò, lo sguardo perso tra le pieghe delle lenzuola. "Non ti saresti dovuto arrendere... hai ancora noi." La tristezza si tramutava in rabbia di minuto in minuto. "Credevo che dopo queste due settimane, saresti rimasto con noi. Almeno un po'."
"Tornerò presto, Siha..." Si alzò e la sollevò di peso, facendola poi sedere sul letto e mettendosi accanto a lei.
"Non vuoi salutare nemmeno tuo figlio?" Chiese, ma quella domanda suonò quasi come un'affermazione. 
"Prima di partire andrò da lui, ma non lo sveglierò."
Lei snudò i denti in un'espressione disgustata, cercando gli occhi del marito da agganciare ai suoi, umidi di lacrime. "Allora vattene ora. Non restare due ore qui, a farmi ricordare com'era averti accanto a me. Vattene."
Lui le passò una mano dietro il collo , traendola  a sè e le diede un bacio sulle labbra, troppo irruento, che lei non avrebbe accettato. Poi, mentre lei voltava il viso dall'altra parte, verso la finestra, lui si alzò in piedi. La guardò per un unico istante e si maledisse, per poi cominciare ad allacciarsi la giacca di pelle.
Kolyat tornò in camera sua, s'infilò sotto il letto. C'era polvere e il pavimento gli gelava la schiena. Si avvolse con quello che era stato il suo mantello, poi pianse, pianse finchè non fu mattina.

 
Don't give up,
you still have us
Don't give up
we don't need much of anything

 
Qualcosa doveva essere salito sul letto ed adagiatosi tra le sue gambe, e Kolyat si era ritrovato a cercare con lo sguardo la familiarità della sua stanza. Invece rimase smarrito per qualche attimo, cercando di capire. Aveva dormito sul fianco, probabilmente non si era mai mosso, e gli fu difficile ricordare da quanto tempo non dormiva così tranquillamente. Poi, mentre i ricordi della sera prima gli passavano davanti in fretta, trovò Oriana contro il suo petto, le mani congiunte sotto la guancia.
Sotto di sè si disegnava una creatura diversa, ora. I termini erano cambiati drasticamente, adesso lei non era qualcuno che l'avrebbe potuto salvare: era diventata tutto il contrario. Sembrava che chiedesse tacitamente di essere protetta, così chiusa in se stessa, curva come un feto.
La regina degli scacchi era diventata Re, aveva smesso di essere l'insistente forza che aveva sempre visto. Ora era unicamente qualcosa di cui prendersi cura.
La mattina, il futuro appena prossimo, è la culla dell'insicurezza. Riesce ad instillare la paura nella sua forma più crudele. C'era stato quel bacio, oppure era soltanto un sogno mischiato abilmente alla realtà? Quali e quante barriere erano cadute, con certezza? Per quanto si sforzasse, capì, non avrebbe trovato risposta e non era certo che ne avrebbe davvero voluta una.
Kolyat deglutì, cercando di cacciare indietro imbarazzo e vergogna, sentendo il desiderio fortissimo di scappare. Cercò di riordinare le idee, pianificando il da farsi, quando sentì distintamente la ragazza sbadigliare contro il suo petto e strofinarsi un occhio con la mano.
"Il tuo cuore..." sbiascicò lei, cercandolo nel buio. "Sei sveglio?" Tese lievemente una mano che cozzò da un lato del suo viso spigoloso. "Stai male? Hai un battito velocissimo" Disse, preoccupata, mentre lentamente i suoi occhi iniziavano a fornirle le prime informazioni.
"Sì... sto... sto bene" Trovò le parole dopo una manciata di secondi, implorando a se stesso di mantenere la calma. 
"Hai fatto un brutto sogno?" Gli accarezzò dolcemente la guancia, rivolgendogli un sorriso rassicurante che forse lui non avrebbe visto.
Il drell si sentì investito da una sorta di felicità, scoprendo che era stato così semplice tornare a quell'atmosfera pacata e dolce della sera trascorsa. I ripensamenti e i dubbi lasciarono posto solo al momento che dev'essere vissuto, ed era solo grazie a lei ed al suo carattere.
"Sì" Rispose, come se non fosse stato lui a parlare. Era scattato qualcosa di troppo grande in quel gigantesco meccanismo, ed ora senza volerlo lui sentiva il bisogno di essere sincero. Non avrebbe più mentito o deviato su queste piccole cose, ed ecco che mentre lei lo incitava a raccontare, qualora lui avesse voluto, la ragazza tornava al suo consueto posto sulla scacchiera, ad impersonare la sola che si sarebbe battuta tenacemente per salvare ciò a cui teneva.
"Era solo un ricordo d'infanzia. Non mi era mai capitato."
Lei gli rivolse un abbraccio impacciato dalla loro posizione. "Fatti forza... non arrenderti."
Come poteva leggergli dentro? Come aveva fatto, con una frase fatta ad arrivare così precisamente al cuore del suo ricordo?
Arrendersi. Aveva cercato a lungo il significato delle parole di sua madre, quella notte. Non ti saresti dovuto arrendere... hai ancora noi. Quelle parole rimbombavano in cerca di un significato da anni, represse ed odiate. Suo padre si era arreso alla sua testardaggine, non avrebbe potuto vivere la vita di nessun altro. Si era fatto travolgere e trascinare, non potendo più gestire quel nuovo mondo. E neppure Kolyat e Irikah erano stati in grado di fargli cambiare ottica.
Se si fosse arreso, si sarebbe scatenata la stessa reazione che aveva diviso i suoi genitori?
Sarebbe rimasto involucro vuoto, come Thane?
Ma per quale motivo Oriana teneva a lui, poi? Era semplicemente troppo preso dall'attimo per porsi una domanda del genere, una domanda che non si era mai fatto semplicemente perchè allontanandola, era certo che lei non lo avrebbe più voluto aiutare. Invece ogni volta tornava, e lui ogni volta cercava di dare il peggio di sè. 
Lui non la voleva semplicemente perchè sapeva di volerla troppo. Lui voleva lasciarle la possibilità di voltargli le spalle come avevano fatto tutti, ma visto che lei sembrava resistere allora anche lui avrebbe adottato una tecnica nuova.
"Sono egoista, sai?" Sussurrò, cercando a sua volta il piccolo viso di lei. 
"Perché dovresti esserlo?" 
"Ti ho cercata. Ho voluto conoscerti. Ma è stato sbagliato seguire i miei desideri... avrei dovuto lasciarti in pace, ora non saresti infastidita da un drell che ti importuna. Soltanto... io.." s'interruppe, non avrebbe potuto dire una sola parola di più.
Non merito assolutamente nulla di tutto ciò che mi hai dato.
"Sai," Oriana scosse la testa "lo ricordo ancora bene." Disse, fingendo di non aver sentito nulla di ciò che le era stato detto e lasciando sfuggire una lieve risata argentina dalle labbra. "Erano passati otto giorni dalla prima volta che ci siamo visti. Io stavo controllando per la terza volta alla dogana se il gatto che mia sorella mi aveva regalato fosse arrivato. Stavo dando di matto, ero preoccupata che sulle navi non l'avrebbero curato a dovere. Avevo guardato dietro i vetri degli altri sportelli ma tu questa volta non c'eri e non sapevo se fosse un bene o un male. Poi, mentre me ne stavo andando ti ho incrociato sulle scale..." smise di raccontare, percependo chiaramente i muscoli di lui farsi tesi.
"La trovo mentre scendo gli scalini. Il mio turno è iniziato da dieci minuti, sono in ritardo, mi sono addormentato troppo tardi ieri notte. Lei mi guarda stupita. Non vedo la paura nei suoi occhi. Il suo sguardo non è indagatore come quello degli altri umani.  Vorrei farle una domanda ma si spaventerebbe, così la guardo, senza trovare il coraggio di fare altro.
Poi, un abbraccio. Giusto il tempo di domandarmi
se si stesse trattando di un sogno improbabile e lei lo scioglie, mi sorride. Mi chiamo Oriana."
Lei aspettò in silenzio la domanda che era certa sarebbe conseguita a quel ricordo. 
"Perchè?" Ecco la materializzazione del dubbio, quell'interrogativo opprimente sempre eluso.
"Kolyat... diavolo, non ne ho proprio idea." Ridacchiò, cercando la stoffa della sua divisa con le mani. "Mi sono fidata del mio istinto e di ciò che mi diceva."
Restarono in silenzio. Uno che non era più impregnato di vergogna, non c'era disagio. Aleggiavano solamente molte riflessioni, mentre il respiro di lei andava a cozzare di nuovo contro il torace di lui.
Se da un lato, Oriana stava per addormentarsi di nuovo, lui per quanto ci tentasse, non ci sarebbe riuscito. Così si allontanò delicatamente, alzandosi dal letto. 
"Vai via?" 
Lui annuì, "Tra due ore dovrei presentarmi al lavoro. Oggi inizia il mio nuovo turno... e preferirei non fare stronzate. Non oggi."
Lei si sporse, prese il factotum dal comodino e lo allacciò, controllando l'ora. Si sarebbe dovuta preparare anche lei, e in fretta. Quella mattina aveva i corsi, c'erano lezioni di aritmetica e scienze. Sempre meglio che storia, ricordò a se stessa. In realtà avrebbe voluto studiare un po' di violino, ormai erano giorni che per motivi diversi nemmeno non lo toccava.
Mentre lui faceva ordine nel salotto alle sue cose, lei si cambiò in fretta e poi lo raggiunse. 
"Hai tutto?" Gli sorrise, accompagnandolo alla porta. Kolyat annuì, sorridendo di rimando, e lei fu profondamente felice nel vederlo così. Era successo tutto in fretta, oltre ogni più rosea aspettativa.
"Fa' attenzione, a lavoro." Sospirò, abbassandosi a salutare Giza e lasciando che la porta, chiudendosi, li dividesse una volta per tutte.
Don't give up
'cause I believe there's a place,
there's a place where we belong

 











Omg aritmetica, lo schifo divino
Datemi da giocare Master Mind e vado forte. Ma gli scacchi... HAHAH sono troppo babba uaua un po' come quando scrivo insomma.
  
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