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Autore: _InvisibleTouch    12/10/2013    1 recensioni
Un'ora al giorno bastava perché mi raccontasse il necessario.
Sembrava che volessi prendermi tutto il suo dolore, lentamente.
Ma quella che non era d'accordo era proprio lei.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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07.12.13
 
Era strana.
Ma in modo strano e diverso da tutte le altre persone strane.
Era strana al quadrato.

‘Angie, Angie. Perché hai quella faccia? Hai il sorriso triste che avevi un anno fa.’

La paura, quando parlavo con lei.
La paura che il suo sguardo mi gelasse per l’ennesima volta.
Fingeva, sempre. Doveva.
Quando la chiamavi si girava e ti puntava addosso quegli occhi verdissimi, fonte di luce (brillavano, per davvero) e ci leggevi terrore, insicurezza, rabbia, che nascondeva un secondo dopo, facendo finta d’esser contenta che tu l’avessi disturbata, distratta da qualche inusuale pensiero.
Nella sua testa mi sarei persa di sicuro.

Ci misi due anni prima di riuscire a farle quella domanda.
Ero abituata alla sua presenza in classe, alla sua voce, alla sua risata che sembrava vera, ma in realtà non lo era, ma non le avevo mai rivolto la parola.
Quel giorno era seduta sul marciapiede.
Camicia azzurra, canotta blu e jeans dello stesso colore.
Era sempre vestita benissimo.
Si girò senza espressione. Come se quella fosse la domanda più normale del mondo.
Se qualcuno l’avesse fatta a me mi sarei stupita almeno un po’. Per questo ci rimasi male: me l’ero preparata, volevo vederla spiazzata.
‘Peccato’ pensai.
Aveva le cuffie nelle orecchie e riaccese la musica quando tornò a guardare la strada. Vicino a lei il suo zaino rosso con una frase scritta in nero. L’altamarea ci porterà via, credimi.
Nelle cuffie gli Arctic Monkeys. Ne ero sicura. Era fissata con le sue scimmiette artiche. Le chiamava così.
Aveva appeso una foto di Alex Turner vicino alla lavagna.

Era stranamente strana perché di solito le persone strane non vengono accettate.
Lei sì però.
Forse perché non sapeva di esser strana.
O lo sapeva, ma non ci faceva caso.
O era strana senza esser cupa.
No, era molto cupa. Lo ripeteva sempre.
‘Ho un lato oscuro molto pronunciato.’
Ma a quanto pare andava bene così.

Mi sedetti vicino a lei e si girò, togliendosi una cuffia dalle orecchie a sventola su cui aveva di tutto: da una parte un dilatatore, uno di quelli neri col buco. Penso 0.7, l’aveva detto a qualcuno che gliel’aveva chiesto. Sull’altro una perla bianca e una piccola argentata e a metà orecchio qualcosa di luccicante. Dava importanza ai dettagli: sul polso destro aveva dei braccialetti, sempre tutti nello stesso punto. L’unica cosa non fissa era l’orecchino al naso, ma solo perché lo perdeva sotto la doccia. La trovavo armonica. Tutto programmato e perfetto. Anche il tatuaggio che aveva sul petto. Una scritta: And she’s buying the stairway to heaven. Eran tre mesi che doveva farsi dei fiori azzurri sul braccio, ma ancora non si era decisa.

‘Sei impassibile.’ dissi, e sorrise.
‘Non far capire alle persone come ti senti, mai. Poi ci giocano con i tuoi sentimenti.’
‘Ci giocano lo stesso.’
‘Sbagli.’
‘Perché?’
‘Devi sapere con cosa stai giocando.’
si era incupita.
‘Hai ragione. Ti sto disturbando?’
‘Sì, ma non è colpa tua.’
‘In che senso non è colpa mia?’
‘Mi stai disturbando, ma non per quello che mi dici. E' colpa degli Arctic Monkeys che son più importanti di te e quindi voglio ascoltar loro piuttosto della tua voce. Se non avessi le cuffie mi farebbe piacere discutere con te.’
lo sapevo che c’entravano quelle stupide scimmie.
‘Vorrei parlare con te.’
‘Okay. Non oggi.’
non mi chiese di cosa.
‘Domani?’
‘Domani. Mi troverai qui.’
‘Perché ti siedi qui e aspetti? Cos’è che aspetti?’
‘Il pullman.’
‘Ah.’
mi aspettavo una risposta più poetica. ‘E quanto aspetti?
Un’ora.
‘Domani parleremo un’ora, allora.’
‘Sì. Devo andare.’

Si alzò e prese lo zaino in spalle.
Sul pullman si sedette dietro, ma non troppo.
Di che cosa volevo parlarle non lo sapevo nemmeno io. Ma stava peggio del solito.
Stava ascoltando Dance Little Liar.
Le spiai il cellulare, o meglio: si fece spiare il cellulare. Sapeva che a casa l’avrei ascoltata. Voleva che l’ascoltassi.
  
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