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Autore: maybegaia    13/10/2013    2 recensioni
In questa one-shot ho descritto il dolore di Lea per la perdita di Cory come l'ho immaginato e, almeno in parte, rispecchia quello che ho provato io. Ho scritto queste parole di getto, più che altro per sfogarmi, perché sentivo il bisogno di farlo e di scrivere su di lui, ma chiunque volesse leggere si senta più che libero di farlo. Chissà che non riconosciate nella sofferenza di Lea anche un po' della vostra!
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Lea stava in piedi con lo sguardo fisso fuori dalla finestra da ormai una buona mezz’ora. Fissava i palazzi di fronte, il cielo, le nuvole, il traffico di New York, ma non vedeva niente di tutto ciò. Nella sua mente c’era spazio per una sola immagine, statica, impressa nella sua memoria come se avesse dovuto rimanerci per sempre: due occhi sui toni del marrone. Gli occhi di un ragazzo, luminosi e caldi. Uno sguardo pieno d’amore, e guardavano lei. Lei che, sotto il peso di quello sguardo, non era riuscita a muovere un solo muscolo da quando aveva saputo che non li avrebbe più visti brillare in quel modo. Quegli occhi si erano chiusi. Per sempre. E lei, da quel momento, non si era più mossa. Non aveva nemmeno pianto. Semplicemente, si era sentita vuota. Le era sembrato che tutte le cose ritenute importanti fino a quel momento non avessero più un senso e non capiva più le decisioni prese in passato. Ma soprattutto, non provava alcuna emozione, se non quel profondo senso di vuoto. Una sensazione, più che un’emozione. Un’unica, devastante sensazione. Le sembrava di fluttuare in una bolla e continuava a pensare, malgrado sapesse che non era possibile, che quando questa bolla fosse scoppiata tutto sarebbe tornato come prima. Un po’ come svegliarsi da un brutto incubo. Ma nessun incubo sarebbe sembrato così surreale nel momento stesso in cui lo si viveva e Lea sapeva che non si trattava soltanto di un sogno. Anzi, le sembrava ingiusto ridurre tutto ad una banale proiezione dell’inconscio. Le sembrava ingiusto sentirsi così assurdamente tranquilla. Sentiva che avrebbe dovuto urlare, piangere, buttare all’aria la sua stanza e rintanarsi nel letto che Cory non avrebbe mai più occupato, magari indossando una delle sue felpe e affondandovi il naso per sentirlo più vicino. Tuttavia, non aveva saputo far altro che restare immobile, impassibile. Il corpo vuoto, la mente vuota, il cuore vuoto. Di Lea, in quel momento, rimaneva solo l’involucro.
“Do you ever feel like a plastic bag drifting through the wind, wanting to start again?”
Era proprio così che si sentiva. Una busta di plastica con lo svantaggio di non potersi lasciar trasportare dal vento. Un involucro vuoto e pesante, qualcosa di troppo. Di inutile.
Lo stadio successivo fu quello in cui avrebbe voluto ricominciare. Avrebbe voluto tornare indietro  nel tempo, per dire a Cory che lo amava, che lo stimava e pensava che fosse una persona straordinaria. Per abbracciarlo una volta di più, per baciarlo quando dubitava di se stesso. Ma non si poteva. Allora Lea piangeva, ma solo quando restava sola in quella che una volta era stata la loro camera. Andava all’armadio, lo apriva e indossava una felpa di Cory, la sua preferita. Ci si avvolgeva, immaginando che fossero le braccia di lui a stringerla, e lasciava che l’odore dell’uomo che aveva amato, ogni volta più flebile, la circondasse, entrandole sotto pelle. E piangeva, a volte per ore, finché ne sentiva il bisogno, finché non esauriva le lacrime o fin quando non si addormentava. Al mattino si svegliava sola, in un letto troppo grande per lei, con addosso una felpa impregnata di ricordi dolorosi, ma si sforzava di non farci caso. Si sfilava la felpa, la riponeva nell’armadio, rifaceva il letto e usciva dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle come se temesse che quella profonda tristezza che l’assaliva a tarda sera potesse seguirla. Durante il giorno vedeva colleghi, amici e familiari, ma non mostrava a nessuno segni della lotta interiore che combatteva ogni notte. Era un’abile guerriera e aveva il grande dono di saper fingere.
Tuttavia non riusciva a fingere con se stessa e, anche quando i pianti non erano più un rituale quotidiano, l’assenza di Cory era sempre presente. Per sentirsi meno sola gli parlava; gli raccontava tutto della sua vita, gli parlava delle sue esperienze, delle novità, dei successi e dei fallimenti, ma soprattutto parlava di loro, di quello che avrebbero potuto essere e di come si sentisse dentro. Era l’unico con cui si confidava, e l’unico con cui l’avrebbe mai fatto completamente. Lea si raccontava fin nei minimi dettagli, traendo da questi monologhi grande conforto e la forza di andare avanti e mandare avanti gli altri, mentre da qualche parte, dovunque fosse, Cory ascoltava e, come sempre aveva fatto, emanava amore.









Note dell'autrice: la canzone citata nel testo e da cui è tratto il titolo è Firework di Katy Perry. L'ho scelta perché mi sembrava perfetta per descrivere le sensazioni che volevo esprimere e perché Lea l'ha cantata in un episodio di Glee, come chi ha visto la serie saprà già.
  
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