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Autore: Joan Douglas    13/10/2013    2 recensioni
In quel momento mi rendo davvero conto di quanto sia insana questa mia ossessione verso questo ragazzo di cui non so assolutamente nulla. Nulla.
So che ama i libri, e l'atmosfera che si crea in biblioteca – se no perché ci verrebbe?
So che è di New York, ma che è tornato qui per il padre.
E so che ha una passione per i foulard.
Tutto qui.
Eppure mi sento irrimediabilmente attratto da lui.
Sono sempre stato un ragazzo romantico, ma il colpo di fulmine non l'avevo mai giudicato possibile. Ora non ne sono più certo.

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La mia prima OS in questo fandom. Siate spietati.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sam Evans, Tina Cohen-Chang | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo senza nome.




Caro ragazzo senza nome,
oggi ho appreso una lezione molto importante: mai giudicare un libro dalla copertina.
È un detto molto comune, vero, ma è usato per ogni genere argomento, e spesso non lo si usa letteralmente – com'è giusto. Oggi l'ho fatto, non ho giudicato un libro dalla copertina.
Tu eri lì, come sempre ogni giovedì, a sfogliare le pagine ingiallite di un libro consumato, dalla copertina rosso mattone e un'immagine di un'auto degli anni '50, dai fari luminosi, ma dalla vernice scrostata. Eri concentrato; lo si poteva notare dalla posizione ingobbita della tua schiena, i muscoli tesi degli avambracci, e la mano nei capelli, che andava a rovinare irrimediabilmente la chioma ordinata.
Lo fai sempre quando sei preoccupato. Ogni giovedì.
E come ogni giovedì ti sei alzato da quella sedia – che pare si sia adattata a te, talmente tanto ti ci sei seduto sopra –, hai raccolto le tue cose, sistemato il foulard celeste al collo e hai sbuffato quando ti sei reso conto della situazione scomposta dei tuo capelli.
Ma sono troppo timido per fartelo notare, perché queste piccole cose sono quelle che mi incuriosiscono.
Perché ogni giovedì sei qui?
Perché prendi sempre un libro diverso ogni settimana?
Perché storgi il naso quando giri pagina?
Perché sei così interessante?
Dovrei avvicinarmi a te e dirti: “Ciao, sono Blaine Anderson. Grazie per i consigli letterari che mi hai dato, 'Sulla Strada' è il mio preferito.”
Ma... no.
Ogni volta che scendi le scale per uscire dalla biblioteca, mi alzo, mi avvicino allo scaffale da dove hai lasciato il libro terminato e lo prendo, come se fosse una cosa in più che ci accomuna.
Non so che cosa mi stia prendendo esattamente.
Questa volta ho letto, come te, 'Sulla Strada', nonostante la copertina non mi attirasse particolarmente. Ti vorrei ringraziare a voce per avermelo consigliato indirettamente, ma la verità è che non voglio. Ho troppa paura di...





Mi interrompo nella scrittura.
Cosa sto facendo? Scrivere lettere a un ragazzo che non conosco nemmeno, non è esattamente quello che dovrei fare in biblioteca.
Ma oggi è giovedì.
Lima è grande, affollata, ma perché non l'ho mai incontrato per strada? Sembra impossibile. L'ho visto bene, in questi ultimi mesi, e mi sembra di conoscerlo. I libri che leggiamo entrambi sono come dei fili invisibili che ci legano l'un l'altro. Anche se uno dei due è inconsapevole del legame.
Sospiro, voltando la pagina affilata del mio quaderno – che si è trasformato magicamente in una raccolta di lettere mai spedite –, e fissando intensamente le righe parallele e grige che si intersecano al suo interno e sperando che mi mostrino la soluzione.
Dovrei fare matematica, mi dico. Ma chi ha voglia di fare matematica quando per la testa hai tutt'altro che numeri, funzioni o statistiche? Mi sembra di aver svuotato la testa con una grattugia: non mi viene in mente niente che potrebbe andare d'accordo con i problemi da risolvere, e ho un mal di testa da post-sbronza, nonostante l'ultima risalga a qualche mese fa.
Il cellulare vibra sul tavolo. Lo afferro il più in fretta possibile, ma solo perché mi sono dimenticato di annullare la suoneria. Come al solito.




Stasera ci sei, testa di gel?




Non posso fare a meno di sbuffare.
Sam Evans, il mio migliore amico, non fa altro che cercare di levarmi dalla testa “il ragazzo senza nome” – è lui che gli ha affibbiato questo soprannome –, senza riuscirci. Forse pensa che io possa rimanere ferito – in qualche modo –, forse è solo preoccupato dal fatto che ultimamente ho atteggiamenti da stalker.
Ad ogni modo, non fa altro che organizzare feste per farmi svagare un po', farmi rilassare. Quando gli ho chiesto il perché, lui mi ha risposto “Hai sempre la testa sui libri”, ma io so che non è per questo.
Per quanto riguarda il soprannome che mi ha dato, preferirei non esprimermi.
Rispondo in fretta al messaggio.




Non ne ho voglia, Sam.




È il motivo più sensato tra tutti.
Il ronzio di un nuovo messaggio mi distrae nuovamente dalla soluzione del problema.




Dai, non fare l'asociale di sempre e vieni a berti due birre. Sarà divertente!




Alzo gli occhi al cielo, ricordandomi la raccapricciante scena del dopo-festa di qualche mese fa.




La tua concezione di divertente è molto ambigua, davvero. Ubriacarsi non è stato per nulla divertente, dato che l'ultima volta ho vomitato per un quarto d'ora piegato sul cesso.




La risposta arriva prima del previsto, dato che Sam ripugna alla grande il cellulare e, di conseguenza, scrive con la lentezza di un bradipo.




Questo perché hai la resistenza di un quattordicenne anche se hai quasi diciotto anni.
Dai, ti prego!





Un quattordicenne?! Sam me l'avrebbe pagata. Gli avrei infilato delle palline da tennis in bocca mentre dormiva.




La risposta è NO.




Spengo direttamente il cellulare, per non sentirlo più vibrare contro il legno del tavolo. È uno dei suoni più snervanti, dopo il martellare del vicino la domenica mattina e il ronzio delle zanzare mentre stai cercando di addormentarti.
Alzo la testa, per controllare la scrivania di fronte alla mia – ormai penso che sia diventato un vizio –, e mi stupisco di non essermi accorto dell'entrata del ragazzo senza nome.
D'istinto prendo 'Sulla Strada', posato di fronte a me, e ricomincio a leggerlo, lanciandogli ogni tanto delle occhiate di sfuggita.
Mi chiedo sempre perché quando lo faccio mi sembra di essermi perso qualcosa di fondamentale. Come se lui avesse compiuto un gesto che, nel giro di pochi secondi, avrebbe potuto cambiare l'idea che mi sono fatto di lui. È strano, perché questa sensazione è accompagnata dal continuo pompare del sangue che mi rimbomba in testa, riversandosi in maniera eccessiva nelle mie guance.
E ormai la trigonometria può anche andare a farsi un giro e non ritornare per le restanti due ore.



 
§




Oggi sembra nervoso. Nemmeno la lettura lo distrae.
Purtroppo gli vedo solo le spalle; mettersi proprio davanti a lui sarebbe un azzardo troppo grande che non mi posso permettere.
Vorrei scoprire di che colore sono i suoi occhi. Vorrei conoscerlo, davvero, ma la mia timidezza me lo impedisce. Vorrei davvero che qualcosa cambiasse in me, che mi rendesse più coraggioso di quello che sono e mi spingesse a parlargli.
E poi chi dice che non sia etero?
E poi... e poi perché mi faccio queste domande senza alcun senso?
Tanto non succederà nulla, lo so.
D'un tratto gli suona il cellulare, con la suoneria. Mi stupisco quando lo vedo afferrarlo subito, come se si stesse aspettando quella telefonata da ore. Le due ragazze sedute di fronte a lui gli lanciano un'occhiataccia per aver interrotto il silenzio della biblioteca, ma lui rivolge loro un sorrisone noncurante e si dirige verso le scale di servizio, con passo affrettato.
So già che in futuro mi pentirò di quello che sto facendo, ma, senza pensarci troppo, mi alzo anch'io.
Mi accosto alla porta delle scale di servizio, e mi rendo conto che lui è proprio appoggiato lì. Essere divisi da una semplice lastra di legno e da una maniglia di acciaio, è ciò che mi rende più intraprendente. Solo pochi millimetri.
― No, no, no. No, Adam! Devo restare qui. C'è mio padre che... ― Pausa. Lo sento muoversi contro la porta e sto per scostarmi, quando lo sento continuare. ― Ho detto di no, non torno a New York. ― Sento un forte rumore che fa vibrare la porta, un pugno, forse. ― Certo che non è legato a te il fatto che non torno! A meno che... mi devi dire qualcosa?
A quel punto mi sento davvero una persona orribile, una merda, come direbbe Sam. Sto davvero origliando la conversazione di uno sconosciuto per cui mi sono infatuato?
Mi giro e vado verso il bagno, distrutto.
Non ho alcun diritto di origliare conversazioni, tanto meno una importante come quella. Aveva detto “mio padre” in un modo che non prometteva nulla di buono. In un modo che ti fa percepire allo stesso tempo l'affetto e il dolore per quella persona.
Non mi soffermo troppo sul nome Adam, per non sentirmi ancora peggio.
Entro nel bagno, traballante, e mi appoggio al lavabo, guardandomi allo specchio sporco e pieno di ditate.
Forse tornerà a New York, e forse è anche meglio così. Forse dovrei dire a Sam che stasera ci sono. Forse è il caso che pensi a cose realistiche e che non mi faccia castelli in aria, senza troppe pretese.
Forse sono solo uno stupido adolescente.
Il riquadro riflettente appeso al muro sembra quasi un ritratto, per quanto sono immobile, pietrificato.
Sto per uscire dal bagno quando la porta del bagno si apre e me lo ritrovo davanti, ripreso dai miei occhi increduli e dallo specchio che ormai non fa più da ritratto.
I nostri occhi si incontrano per un solo istante, ma abbastanza da farmi rabbrividire. Sembrano dei frammenti sfuggiti al cielo, incastonati in un viso stralunato, che non rende giustizia all'immagine che ho sembra avuto di lui, in testa. È bello, ma probabilmente non lo è solo esteriormente.
In quel momento mi rendo davvero conto di quanto sia insana questa mia ossessione verso questo ragazzo di cui non so assolutamente nulla. Nulla.
So che ama i libri, e l'atmosfera che si crea in biblioteca – se no perché ci verrebbe?
So che è di New York, ma che è tornato qui per il padre.
E so che ha una passione per i foulard.
Tutto qui.
Eppure mi sento irrimediabilmente attratto da lui.
Sono sempre stato un ragazzo romantico, ma il colpo di fulmine non l'avevo mai giudicato possibile. Ora non ne sono più certo.
Lui si sofferma su di me ben poco, per poi dirigersi verso il lavandino, con gli occhi arrossati.
Cosa fare? E a quel punto mi dico: o ora, o mai più. O la va, o la spacca.
― Hai... hai bisogno d'aiuto? ― Cosa più banale di così non potevo dire. Sospiro. ― Sai, secondo una ricerca si dice che a Lima sono tutti molto gentili, e io non voglio screditarla. ― Stavolta sorrido nel modo più rassicurante che conosco; sembra apprezzare quel tentativo maldestro di attaccare bottone, lo capisco da un sorriso amaro che gli si disegna sulle labbra.
Si appoggia al lavandino, guardando il suo riflesso e cercando di nascondere una lacrima. ― No, certo che no. Ma in realtà ce ne sono tante di persone scortesi. Non solo qui a Lima. ― Gli scappa un singhiozzo che gli scuote le spalle e si porta una mano sugli occhi. ― Scusa. ― E esce di gran corsa dal bagno, mentre io mi do dello stupido e sento una stranissima sensazione al petto.
La prima volta che ha parlato con me, e forse anche l'ultima, penso, affranto. E non potevo cercare momento migliore.
Esco, afferro il cellulare dalla tasca, lo riaccendo. Non so bene perché lo stia facendo. Poi vedo un messaggio di Sam e rispondo:




Sì, stasera ci sono.



 
§




Non sono più entrato nella biblioteca di Lima da quel giorno, quindi non so nemmeno se lui ci sia ritornato o meno. Era inutile fantasticare.
Quella sera sono andato a quella festa e mi sono anche divertito, ma era come se fossi stato svuotato da quelle uniche parole che ci eravamo scambiati, invece che inebriato come avrebbe dovuto essere.
Non è normale, mi sono detto. Non è normale che io reagisca così a tre semplici parole.
Ma è anche per questo che, dopo due mesi, sono ritornato. Ero un insieme di emozioni non ben definite che si mescolavano l'un l'altra e si nascondevano fino a disorientarmi. Non riuscivo più a capire nulla, e mi ero deciso che dovevo fare solo quello che sentivo, che la testa non riusciva a capire. Mi ero chiesto cosa volessi e, però, non aveva funzionato: la razionalità non funziona in questi casi. Così ho solo sentito il mio cuore battere in modo innaturale contro il mio petto a pensiero di ritornare e, senza nemmeno pensarci, ho afferrato la sacca e ho preso l'autobus.
E ora eccomi qui, che mi aggiusto un attimo i capelli prima di entrare nell'edificio. Ci sarà? Non ci sarà? E poi mi ripeto quel mantra di due mesi prima: o la va, o la spacca. Salgo le scale, e porto le mani a coppa davanti al viso per riscaldarmele.
Appena arrivo al piano da dove avevo cercato 'Sulla strada', quel pomeriggio, mi blocco e non posso credere ai miei occhi. No, sto sognando, è solo un ologramma. O forse è colpa dei numerosi film di fantascienza che Tina mi costringe a vedere, se mi immagino queste cose.
Mi dirigo verso la libreria, ostentando sicurezza, mentre dentro sto letteralmente crepitando di gioia.
Lui sembra non accorgersi dei passi che si avvicinano – perché dovrebbe? –, così prendo tempo per pensare. Non posso di certo cominciare un discorso parlando dell'incremento annuale di nascite a Lima. Affondo le mani nelle tasche dei jeans, e giro intorno alla libreria, immerso nei miei pensieri e abbasso lo sguardo verso il ripiano più in basso, quello dove di solito nessuno guarda perché appunto troppo in basso. Grosso errore: spesso lì ci sono i tomi migliori di tutti, ignorati, ma comunque i migliori.
C'è l'ultimo libro che ho letto sotto suo consiglio, constato sorridendo. Mi abbasso, ma vedo che nel mio campo visivo entra anche un'altra mano, nella stessa traiettoria della mia, per poi scontrarsi a pochi centimetri dalla copertina sgualcita rossa mattone.
― Ehi! ― protesta, indignato. ― Quel libro l'ho visto prima io.
Sorrido, senza nemmeno provare a spiegarmi quell'incredibile colpo di fortuna che ho avuto, ma poi mi rendo conto di ciò che ha detto.
― Eh, no. Sono stato io l'ultimo a leggerlo e a posarlo lì, quindi mi spetta di diritto. ― È una bugia, ma questo non lo può sapere.
Stringe gli occhi, come a provare a ricordarsi di qualcosa di importante. Spero solo che non sia...
― Ma tu! Tu sei quello che mi ha parlato di una ricerca improbabile sulla gentilezza degli abitanti di Lima, mesi fa! ― … come non detto. Però, sembra proprio che se qualcosa mi va bene, poi deve succedere qualcosa che annulla l'effetto positivo che ha su di me.
Mi alzo, rendendomi conto di riuscire a vedere chiaramente i suoi occhi celesti e i riflessi chiari dei capelli castani. ― Te lo ricordi, eh? Il modo peggiore per attaccare bottone mai sperimentato nella mia vita. ― confesso, in imbarazzo, quasi tentato di nascondermi dietro gli scaffali.
Tenta di trattenere un sorriso, senza riuscirci, e allunga una mano verso di me. Capisco quello che sta facendo solo quando dice: ― Comunque, sono Kurt Hummel.
Kurt. Ora, il ragazzo senza nome ha un nome.






































– Angolo (della fottuta paura) dell'autrice.

Okay, okay, okay.
S'è capito che ho paura? Naaah.
Mi spiego: questa è la mia prima OS in questo fandom.
Ho scoperto Glee dopo quel merdoso 13 luglio grazie a una certa persona e me ne sono innamorata. Ho visto tre stagioni in un'unica settimana, la quarta in tre giorni. E ho atteso con tutta me stessa la quinta, piangendo come una rincoglionita per la 5x01 e la 5x03.
Il che ci riporta qui.
Vi prego, lasciatemi qualche recensione. Non per dire: “Oddio, ho 6 recensioni alla mia OS Klaine, sono una gran figa”, assolutamente no. Vorrei solo capire se come primo tentativo non è stato del tutto schifoso (come penso). E se è stato davvero schifoso, ditemelo comunque, ho bisogno dei vostri pareri. Leggo in questo fandom da poco, perciò non sono esperta quanto voi. çç
Comunque volevo dire solo una cosa: dopo la puntata tributo a Cory, mi sono sentita quasi in dovere di far sorridere qualcuno. Come se si fosse accesa una lucina nella mia testa e l'interruttore fosse stato proprio la 5x03. Spero di esserci riuscita.

Niente, gleeks, ditemi quello che volete. Insultatemi, anche. ♡



Se mi volete contattare, ecco il link: http://flavors.me/theybarbons
  
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