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Autore: __Jude    13/10/2013    3 recensioni
"Tutti avevano vissuto nel miraggio di un sogno. Ma quello di Stiles era diverso, era palpabile, era vero! Ed il suo ricordo non lo aveva abbandonato. Dimenticare era impossibile. E ricordare faceva paura."
Una Sterek un po' diversa dove niente è come sembra. Molto prima dei licantropi, molto prima degli Argent, molto prima della Sterek che tutti conosciamo.
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15
Graceless, is there a powder to erase this?
 


I'm in the crush and I hate it
my eyes are falling
I'm having trouble inside my skin
I tried to keep my skeletons in
- The National, Slipped

 









Stiles parcheggiò nel vialetto di casa con il cuore pesante. Credeva che parlando con Kaya tutto sarebbe stato più chiaro, ma il risultato era che si sentiva ancora più smarrito. Mentre suonava il campanello, pensò che forse era ora di parlarne con Derek.
Attese per una buona manciata di secondi, ma nessuno venne ad aprire la porta.
Strano, pensò. Papà dovrebbe essere a casa a quest’ ora.
Infilò la chiave nella serratura e aprì la porta. La casa era silenziosa e sarebbe stata completamente immersa nell’ ombra della sera se un bagliore proveniente dalla cucina non stesse squarciando il nero del pavimento.
“Papà?” chiamò Stiles dall’ ingresso. “Sono a casa!”.
In risposta ebbe solo altro silenzio. Lentamente avanzò nella penombra grigiastra della casa fino alla cucina e una volta aperta la porta, sospirò dolorosamente davanti alla scena che gli si parava davanti.
L’ odore di alcool era forte e se le lacrime avessero avuto un profumo, Stiles sarebbe riuscito a sentirlo. Suo padre non si mosse dalla sedia ma alzò gli occhi dal tavolo e il suo volto sembrava corroso, scavato da chissà quali orribili pensieri. Gli occhi gonfi come due olive e il naso arrossato. Con le dita picchiettò leggermente sul bicchiere di vetro pieno di whiskey fino a metà e rivolse a suo figlio uno sguardo che sembrava quasi mortificato.
“Papà…” esalò Stiles.
“Mi mancava così tanto, Stiles…”.
“Ok, papà, adesso ci sono io”.
“Tu non capisci”.
“Dai, ti porto a letto”.
Fece per avvicinarsi, ma lo sceriffo si alzò bruscamente dalla sedia, i palmi delle mani aperti sul legno in tutta la loro ampiezza. Lo guardò con quello sguardo appannato e lucido degli ubriachi, ma con un velo di disperazione febbricitante che quasi faceva paura.
“Tu non sai com’è, avere una persona piantata nei pensieri! Essere perseguitato dal suo fantasma giorno e notte, ogni ora, ogni secondo… avere addosso questa sensazione di impotenza, come se non ci fosse niente da fare per essere libero” sbraitò parlandogli dall’ altra parte del tavolo. “Lei non mi lascia mai, mai, mai… dio, se solo potessi tornare indietro, salvarla magari. Ma non c’è penitenza, mortificazione o distrazione che cancelli tutto questo. Non potrei mai stancarmi di lei, dopo tutto”.
Stiles sentì il naso pizzicare. Sapeva che doveva essere forte, ma come tutte le volte l’ unica cosa che riusciva a pensare era “sì, sì, lo so che vuol dire! Anche per me è così!”. Ma non c’ era niente che poteva condividere con suo padre che non lo avrebbe fatto soffrire di più.
“Amore… amore, amore mio! Lasciami in pace, ti prego, lasciami e basta” cantilenò lo sceriffo con voce grave.
Collassò di nuovo sulla sedia e continuò a borbottare frasi sconnesse per un altro po’; almeno fin quando Stiles non cacciò indietro le lacrime e lo fece alzare delicatamente sorreggendolo con la spalla.
Percorsero le scale accompagnati dal regolare scricchiolio dei gradini sotto i loro piedi e dai loro respiri pesanti. L’ affanno, l’ oppressione, la spossatezza dello spirito, tagliavano l’ aria nel torace e raffreddavano il cuore.
Stiles fece stendere suo padre nel suo letto delicatamente e iniziò a slacciargli gli scarponi da lavoro. Gli sembrava di combattere con dei serpenti pronti a squartarlo più che con dei lacci. Poi lo fece sistemare sotto le coperte, lasciandogli il resto dei vestiti addosso dato che comunque non sarebbe mai riuscito a sfilarglieli.
“Buonanotte” soffiò sul ciglio della porta.
“Devi liberartene” biascicò il padre di rimando. “Del suo ricordo, dico, devi liberartene”.
Stiles abbassò il capo e soffiò rumorosamente dalle narici. “E’ difficile liberarsi di qualcosa che hai sempre avuto con te”.
Non capì se suo padre lo sentì, non ricevette alcuna risposta e onestamente forse era meglio che non avesse capito.
Consumò una cena rapida e povera al piano di sotto e diede una sistemata alla cucina. Una volta terminato salì stancamente al piano di sopra, fermandosi qualche secondo davanti alla porta chiusa della camera di suo padre. Da dietro il legno si sentiva un russare lento e regolare.
Finalmente raggiunse la sua stanza, scalciò via le scarpe senza troppi complimenti e si sfilò i vestiti lanciandoli a caso sul pavimento.
Si rigirò tra le coperte più volte, ritrovandosi poi a fissare il soffitto bianco e opprimente. Non è che si sentisse ferito dal comportamento di suo padre, né infastidito. Non era certo la prima volta che lo trovava in quelle condizioni e probabilmente non sarebbe stata l’ ultima. Sospirò pesantemente a questo pensiero.
Si sentiva arrabbiato, furioso quasi, perché non riusciva a trovare nulla che potesse tirare fuori entrambi da quella situazione, nessuna luce nell’ ombra. Si sentiva inutile, debole, senza alcuno scopo. Senza contare tutte le informazioni scioccanti e decisamente assurde apprese durante quella giornata.
Si voltò bruscamente su un fianco e allungò il braccio fino a raggiungere il diario di Ayasha posato sul comodino. Sfogliò qualche pagina a caso, fino a trovare finalmente quello che stava cercando. Recitò la preghiera del Lupo, piano e sottovoce, per sé stesso, ma con voce chiara e ferma, come se veramente ci fosse qualcun’ altro ad ascoltare.
 


 
Quando Stiles riemerge dall’ ombra per ritrovarsi di nuovo nel bosco, gli sembra di avere ancora sulle labbra le parole della preghiera.
Il cielo è nuvoloso, grosse forme grigie e bianche troneggiano sopra di lui come il soffitto della sua stanza. Ci sono davvero tante cose della sua vita che lo seguono anche nei sogni.
“Wow, sei in piedi”.
Una voce bassa e calda che conosce ormai fin troppo bene lo fa sobbalzare. Quando si volta, si trova davanti Derek con il suo miglior cipiglio di sempre, ad una distanza decisamente minima.
 
‘Allora saprai che non ti ho mai lasciato…’.
 
“Come devo interpretare questa tua frase?” chiede Stiles mettendo le mani sui fianchi.
“Di solito ti svegli sempre per terra, oggi sei arrivato qui in piedi… vuol dire che stai diventando più forte”.
Il figlio dello sceriffo socchiude gli occhi stancamente. “Davvero affascinante”.
Perché tutti - Kaya, Derek, Niabi - continuano a parlargli come se lui fosse una specie di aspirante jedi con una missione da compiere?
Derek fa qualche passo indietro, come se volesse studiarlo meglio. “Che cos’ hai?”.
Non sembra arrabbiato, anzi è decisamente meno scontroso del solito. Eppure c’è qualcosa di diverso in Derek, qualcosa di oscuro e ostacolante che lo rende quasi un’ altra persona. C’ è qualcosa in lui, lo si vede bene dal suo sguardo, che lo rende rigido nei movimenti e gli indurisce il viso come fosse di pietra scolpita.
Stiles sospira, grattandosi la nuca, e non dice nulla; così è Derek a riempire di nuovo il silenzio.
“E’ per la scorsa notte, vero? Ascolta, mi dispiace davvero, non volevo farti del male. Non capiterà più”.
Sì, c’ è decisamente qualcosa di diverso in lui.
“Come vanno le tue ferite?” continua.
“Bene, vanno bene”.
“Fammi vedere”.
Il moro gli si avvicina ispezionando velocemente il suo viso e alzando il lembo della maglietta per controllare la ferita sul fianco, la quale in realtà sta veramente bene.
“Ehi! Smettila, Derek!” esclama scostandolo e coprendosi la pelle nuda. “Spazi personali! Devi rispettare gli spazi personali, cristo santo! E lavorare anche sulle interazioni sociali”.
Il licantropo indietreggia ancora di un altro passo e Stiles lo vede stringere i pugni e tendere la braccia lungo i fianchi. Finalmente lo guarda negli occhi e gli basta questo per capire.
Derek non è arrabbiato. E’ tormentato.
Lo ha sorpreso alle spalle perché non sapeva come salutarlo con naturalezza, fingendo che la notte precedente non fosse successo nulla. Vi è sempre in lui il desiderio di stargli vicino, di volergli bene come ha sempre fatto, ma continua a chiedersi quanto si possa avvicinare senza ferirlo o turbarlo; per questo gli improvvisi cambiamenti di distanza, l’ invadere i suoi spazi. Nel gesto di controllare le sue ferite non c’ era altro che premura, non insolenza, non mancanza di rispetto.
Improvvisamente Stiles non si sente più così arrabbiato, almeno non con Derek. E davvero non gli importa più tanto della notte di luna piena, è ben disposto a dimenticarsene.
 
‘Seguimi lungo il sentiero, io camminerò accanto a te. Ti aiuterò e ti mostrerò la strada. Io non ti lascerò’.
 
“Scusami, sono un idiota” inizia Stiles accennando un sorriso. “Sono solo - ”.
“Arrabbiato” lo interrompe Derek. “Sei arrabbiato”.
“Sì, hai ragione” continua Stiles avvicinandosi al moro e circondandogli i fianchi con le braccia. “Ma non con te”.
Derek sembra rilassarsi un po’ contro il tepore di Stiles, ma sicuramente ci vorrà molto più di questo per liberarlo dai suoi demoni. Così quello che viene dopo sembra così ovvio, così naturale, che Stiles non ricorda neanche di averlo pianificato.
Preme le sue labbra contro quelle di Derek, separandole poi con uno schiocco. Il licantropo abbozza un sorriso e finalmente si decide ad attirarlo verso di sé, accarezzandogli la nuca e posandogli un bacio sulla tempia.
“Ci sono delle cose di cui ti devo parare” mormora Stiles contro il suo collo.
La pelle nuda di Derek è calda e profumata, deliziosa sotto le labbra e inebriante come incenso.
Stiles si scosta quanto basta per guardarlo negli occhi e ritrova quell’ espressione grave e distante di prima, come se Derek fosse invecchiato improvvisamente di 10 anni.
Risalgono il sottobosco e raggiungono la cima di una collina abbastanza alta da offrire un panorama mozzafiato. Si vede persino il lago scintillare in lontananza e la vegetazione che si estende per kilometri come una coperta variopinta.
Si siedono sull’ erba umida e Stiles raccoglie le gambe contro il petto, rabbrividendo appena per un’ improvvisa folata di vento. Gli ci vuole un po’ per prendere coraggio e iniziare a parlare.
Le parole iniziano a scorrere fuori dalle sue labbra come un torrente e decide che è inutile celare i dettagli a Derek, anche i più insignificanti. Così gli racconta tutto, ogni singola e assurda informazione acquisita in quegli ultimi giorni: la storia di Kaya e della sua famiglia, il diario di Ayasha, la protezione del Lupo Grigio, lo strano atteggiamento di Niabi nei suoi confronti. Tutto, ogni cosa.
Il licantropo lo ascolta con pazienza, come sempre, e si riesce ad intuire dalle rughe sulla sua fronte che non ha mai sentito parlare di cose del genere.
“Non so, non mi sembrano proprio le persone che vanno a raccontare cazzate così grandi. E’ vero che ci sono tante cose strane e inquietanti e poi strane di nuovo, ma ci sono anche così tante cose che combaciano - cioè tipo, whoa, è proprio quello che mi sta succedendo! - partendo dalla faccenda dei sogni fino a quello che racconta Ayasha. Anche lei come me era in una brutta situazione quando il Lupo Grigio le è apparso in sogno per la prima volta e credo fosse come se la stesse affidando a qualcuno che la potesse guarire, dandole lui stesso anche quest’ abilità di tessere sogni. Anche se io penso che lei l’ abbia sempre avuta”.
Stiles parla velocissimo, così tanto che Derek si chiede più volte se stia respirando correttamente.
“Sai cosa proprio non riesco a togliermi dalla testa? Uno: perché Niabi ha avuto questa sorta di premonizione su di me, sul mio arrivo nella loro vita e tutto il resto. Due: perché è così irremovibile sul fatto che un lupo abbia ucciso Hannah. Insomma, andiamo, un lupo? Lo stesso animale che guida i tessitori di sogni? Dai, una coincidenza un po’ troppo evidente!”.
“Se stiamo ancora parlando di lupi, perché ti sembra così strano? Poteva essere un lupo magari reso aggressivo dalla fame che ha attaccato Hannah”.
“Non ci sono lupi in California”.
Derek si sfrega le dita sulle labbra, pensieroso.
“Che cosa c’è?” sbuffa Stiles.
“Niente, non ha importanza”.
Stiles sbuffa e si mette a gambe incrociate, fissando Derek e tamburellando con le dita sul ginocchio. “Sto aspettando”.
Il licantropo sospira, mettendosi nella stessa posizione di Stiles. “Tu sembri molto importante per questa gente. Come se fossi la risposta a chissà quale domanda. E questo mi preoccupa perché potrebbero coinvolgerti in situazioni spiacevoli, addirittura pericolose, o magari potrebbero riempirti la testa di bugie, e io non potrei proteggerti da qui”.
Stiles vorrebbe ridere, perché davvero Derek non capisce come riesca ad essere sempre la sua ancora anche quando è sveglio, anche quando non lo ha con sé.
“Non devi preoccuparti” gli risponde con un sorriso. “Non penso che ci sia chissà quale pericolo in questa storia”.
Derek gli rivolse uno sguardo severo. “Promettimi che starai attento, che non cercherai di andare più a fondo in questa faccenda”.
Stiles è proprio sul punto di controbattere quando qualcosa nell’ espressione del licantropo lo ferma. Rifiutarsi di assecondare le sue preoccupazioni significherebbe non solo turbarlo in modo eccessivo, ma anche compromettere il loro rapporto. E Stiles non vuole rompere quella sintonia tra di loro; ha bisogno di Derek ed ha bisogno di un Derek sereno, che gli voglia bene e che lo tratti con serenità. Non di un Derek rigido, schivo e freddo come una pietra.
“D’ accordo, starò attento”.
A quelle parole è come se Derek avesse ripreso a respirare. Si sistema meglio sdraiandosi per metà ed appoggiando il peso del corpo sugli avambracci.
“Come mai sei arrabbiato oggi?”.
Stiles si mordicchia l’ interno della guancia. Non ha senso mentire, in ogni caso, non con Derek.
“Mio padre. Ha avuto di nuovo un crollo, ha bevuto. Sono tornato a casa che era ubriaco da far schifo. Mi fa star male vederlo così perché non so mai come aiutarlo a stare meglio. Mi fa arrabbiare, a dire la verità. E poi si è aggiunta tutta questa faccenda dei tessitori di sogni, dei lupi, di Niabi che sta diventando praticamente il mio Yoda… uno schifo, insomma”.
Un’ altra folata di vento freddo smuove le piante con un fruscio.
Derek annuisce e mormora qualcosa che Stiles non coglie. Poi è come se fosse stato invaso da una scossa elettrica, perché balza subito in piedi, tirando Stiles su con sé.
“Che cos’ hai adesso?” chiede Stiles ridacchiando.
La luce grigiastra di quel giorno dona alla sua pelle un’ ombreggiatura tetra e sensuale ed i suoi occhi sono del colore della terra rossa dei deserti messicani. La bellezza così insolita di quel ragazzo meraviglia Derek ogni volta.
“Hai detto che eri arrabbiato, no?” inizia il moro per poi allargare le braccia. “Sfogati pure”.
Segue qualche secondo di silenzio in cui Stiles si convince che davvero nel mondo c’è gente più fuori di testa di lui. “Come prego?”.
“Sì, insomma, prendimi a pugni, scarica la tua rabbia su di me” ribatte, come se fosse la cosa più normale del mondo. “Se ci riesci, ovviamente”.
Stiles incrocia le braccia sul petto. “Sai, il nostro dev’ essere un rapporto davvero malsano se ti viene voglia di farti picchiare da me”.
Derek si stringe nelle spalle, aprendosi in uno dei sorrisi più belli di sempre.
Il figlio dello sceriffo studia il suo avversario per qualche secondo, constatando che ovviamente non ha nessuna possibilità contro di lui.
Il licantropo inizia a saltellare sul posto scrollandosi le braccia, facendo scappare a Stiles una risata.
“Questa è una cosa davvero stupida”.
“Dai, Stiles! Non c’è nessuno qui, non hai niente di perdere”.
Piano piano Stiles scioglie l’ intreccio delle sue braccia sul petto e si avvicina a Derek. “Ti farò perdere la dignità, lupo” sibila.
Decide di partire dalle basi, provando a colpire Derek con un gancio sullo stomaco, che il moro evita senza sforzo. Il ragazzo tenta di nuovo con altri colpi lanciati a casaccio, dei quali nessuno va a segno, finché non si ritrova a rincorrere il licantropo intorno alla radura come un bambino al parco giochi.
“Questa cosa non è solo stupida… è anche molto gay! Vuoi anche un po’ di spazio nella tenda, Ennis del Mar?”.
“Sei sprechi fiato non mi prenderai mai!”.
A dir la verità, anche se non sta sfogando la rabbia direttamente su Derek come fosse un sacco da box, quella terapia improvvisata sta davvero funzionando. La sensazione opprimente d’ odio e rancore sta scivolando via ad ogni movimento.
“Quindi sei così quando ti arrabbi? Un cerbiattino appena svezzato?” lo punzecchia Derek piazzandosi dietro a un piccolo cespuglio.
“E tu che razza di lupo sei se ti fai ricorrere dal cerbiatto?” ribatte l’ altro, beccandosi un lungo sguardo truce. “Ah no, scusa, devo averto confuso con uno dei tre porcellini”.
Derek scavalca la pianta con un balzo, atterrando Stiles sul prato e intrappolandolo piantando le mani ai lati delle sue spalle.
Il respiro affannato per la fatica gonfia il petto di entrambi e Stiles può vedere l’ esatto punto del collo di Derek in cui si sono formate delle goccioline di sudore, i muscoli che si contraggono per deglutire, lo sterno scoperto dalla scollatura della maglietta…
“Devi smetterla… di fare riferimenti… a cose che non conosco” lo rimprovera Derek, la voce spezzata dal fiatone.
Stiles sente improvvisamente la gola arida e un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Prende un lungo respiro dal naso, cercando di placare il battito impazzito del suo cuore, causato probabilmente dalla corsa. O dalla vicinanza di Derek. O da entrambi.
“E’ u- una fiaba, i tre porcellini e il lupo” mormora Stiles.
“Di fiabe conosco solo quella di Cappuccetto Rosso”.
Gli occhi di Derek percorrono il viso di Stiles, divorandolo, indugiando sulle labbra e sui piccoli nei che punteggiano la pelle bianca.
C’è un momento in cui Stiles non è più Stiles. Improvvisamente non riesce più a sentire sé stesso, come se tutto il suo essere fosse stato annullato, azzerato, ridotto in un vuoto che ha come unica luce gli occhi di Derek. E da quella luce inizia a palpitare di nuovo, ritrasformandosi da nulla a tutto, in un unico caos che divampa come fuoco e li avvolge entrambi, unendoli su un nuovo orizzonte che non ha senso se si è da soli.
La mano di Stiles scivola sul bicipite di Derek, premendo contro la carne con insistenza, ricercando sé stesso nel suo calore. E le dita di Derek scivolano sui capelli di Stiles, scoprendo la fronte e tastando delicatamente la cute.
“Che occhi grandi che hai…”.
Le parole escono da sole, con un tremore febbrile che sa di desiderio e passione.
Derek curva le labbra in un leggero sorriso. “Sono per guardarti meglio, al buio e alla luce”.
“Che mani grandi che hai”.
“Sono per accarezzarti e proteggerti in ogni momento”.
“E… che bocca grande che hai”.
Le narici di Derek si dilatano in due buchi neri. “E’ per baciarti meglio quando ti sembra che ti manchi il respiro”.
Stiles bacia Derek, Derek bacia Stiles, e così di nuovo per un'altra lunga serie di volte finché non finiscono per perdersi l’ uno nell’ altro, travolti dall’ urgenza di un desiderio che li sconvolge come dinamite nelle ossa.
Il calore della bocca di Derek è dolce e ammaliante e Stiles si ritrova ad affondare le unghie contro la stoffa della sua maglietta. Lascia che la sua mente si smarrisca in quel caos di emozioni e che ogni parte di sé stesso si consumi lentamente ad ogni tocco e ad ogni bacio.
Con Derek, non sono mai arrivati ad un livello simile di intimità e lui mai si era sentito così preso dal desiderio di avere quel tipo di intimità. Dovrebbe far paura, dovrebbe essere più concentrato e lucido, sentirsi nervoso e  incerto. Dovrebbe sentirsi in tutt’ altro modo.
Ma ha davvero importanza? Hanno davvero importanza le convenzioni, gli step da seguire, le regole? La cosa che gli ha permesso di legarsi così tanto a quel lupo scorbutico è proprio l’ assenza di regole, il capovolgimento totale del suo mondo e del suo modo di essere, la scoperta di qualcosa di nuovo.
Con uno scatto improvviso fa rotolare Derek su un fianco, invertendo le posizioni. I tessuti dei loro jeans sfregano l’ uno contro l’ altro , all’ altezza del cavallo, sprigionando ondate di piacere in tutto il corpo. Pian piano le labbra di Stiles iniziano a scendere sul collo di Derek, succhiando delicatamente la pelle. Quando viene ripreso dall’ urgenza di baciarlo sulle labbra, sorride sentendo il respiro accelerato di Derek infrangersi contro la sua bocca.
Si lascia guidare dall’ istinto e le dita corrono sotto la sua maglia, tastando i muscoli tesi e la pelle incandescente.
“Stiles…”.
Sentire il suo nome pronunciato dalla voce di Derek non fa che aumentare il suo desiderio e le sue mani scendono ad armeggiare goffamente con il bottone dei jeans del ragazzo sotto su lui.
“Stiles… fermati”.
Il figlio dello sceriffo si blocca, le pupille dilatate, il respiro affannato. Una mano calda gli fa allentare dolcemente la presa sui jeans.
“Tu… è meglio che ti fermi. Sei arrabbiato, non lo devi fare da arrabbiato” sussurra Derek.
Per un attimo Stiles si sente ferito, rifiutato. Il classico due di picche che fa pungere gli occhi e il naso. “Derek, io ti voglio”.
“Anche io, Stiles! Dio solo lo sa come ho avuto la forza di fermarti” risponde posando una mano sulla guancia del ragazzo. “Ma voglio anche che tu sia lucido quando mi tocchi in questo modo, che tu mi voglia e basta e non perché ti senti arrabbiato, triste o oppresso da qualunque cosa brutta ti sia successa”.
Stiles si allontana, mettendosi dritto, con le ginocchia che toccano ancora i fianchi di Derek. Il lupo si alza a metà, appoggiandosi sui gomiti e guardandolo  quasi senza respirare.
Una sensazione di nausea invade lo stomaco di Stiles. E’ così forte che quasi sembra che da un momento all’ altro possa iniziare a vomitare tutto: polponi, intestino, fegato, cuore, in un conato continuo e senza fine; fino a quando anche le ossa non gli spuntino fuori dalla pelle, trasformandolo in un disgustoso cumulo sanguinolento. Di nuovo un niente senza inizio e fine, ma senza scopo, senza una forza di rinascere, senza un fulcro caldo e palpitante.
Sente gli occhi pungere ma non esce nessuna lacrima. Fa per prendere fiato ma è come se avesse un tappo sulla bocca dello stomaco e il respiro gli si blocca in gola con un singulto. Il tempo si dilata, la vista gli si appanna e per quei due secondi quasi pensa di morire. Stringe gli occhi, arrendendosi all’ apnea, mentre si porta le mani sul viso.
Derek lo avvolge immediatamente, tentando di attutire i singhiozzi che gli scuotono il corpo e respirando rumorosamente sperando che il ragazzo tra le sue braccia lo imiti. Stiles e di nuovo piccolo e fragile, un giovane uomo spezzato come una vaso di porcellana.
“Sshh… va tutto bene”.
“Quante volte dovrò ancora perdere me stesso prima di scomparire del tutto, Derek? Quanto ancora?!”.
Il moro gli scosta dolcemente le mani dal viso, stringendole tra le sue. Stiles non piange, ma nei suoi occhi c’è qualcosa che sta morendo.
“Combattilo, Stiles! Devi combattere o non ne uscirai mai! Io sarò sempre al tuo fianco ma solo tu ti conosci meglio di tutti e solo tu puoi metter fine a tutto questo! Devi tenerti stretto ciò che sei, la parte bella e forte di te, quella che illumina la stanza quando entri, quella che mi ha salvato dal lago, quella che si è presa cura di tuo padre quando nessuno sapeva che fare”.
Il tremore si attenua lentamente e Stiles si stente così esausto che quasi si appoggia alla mano di Derek che ora gli accarezza dolcemente i capelli.
“Io non so come -”.
“Troveremo un modo. Tu non sei senza speranza, Stiles, non lo sei mai stato, mi hai capito?”.
Stiles annuisce e prende un lungo respiro. Derek continua ad accarezzargli i capelli e poi la nuca e le guance arrossate, anche quando il ragazzo si china per baciarlo a fior di labbra.
“Mi dispiace“.
“Non dispiacerti mai, non chiedermi mai scusa per una cosa del genere” lo rimprovera bruscamente. “Chiedimi scusa quando fai battute che non capisco”.
 
 
Stiles sente che sta per svegliarsi quando ormai sta facendo buio. Arriccia il naso con disappunto dato che aveva appena trovato una posizione comoda, accoccolato contro Derek che se ne sta appoggiato al tronco di un albero. In più dopo la storia dei tre porcellini, Derek ne voleva sentire altre.
“Me le racconterai la prossima volta” dice sospirando. “Non che mi interessi granché, ovviamente”.
Stiles rotea gli occhi dando un buffetto sul petto di Derek. “Ovviamente”.












Author's Corner:
Un mese? E' passato un mese, vero? Forse più, forse meno.
E' stato un lungo e terribile mese, comunque.
Spero che le mie parole vi piacciano sempre allo stesso modo.
Consiglio vivamente di ascoltare la canzone nell' introduzione (Slipped) e anche Graceless, sempre dei The National :)
xxx

J.

 
  
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