La mia persona preferita
Valerie
è, in assoluto, la mia persona preferita. E credo che anche
per lei sia lo stesso, cioè, anch'io sono la sua persona
preferita. Forse dopo i suoi genitori, il suo fidanzato e sua sorella
Janice; ma occupo comunque un'ottima posizione nella classifica.
Lei
ed io ci siamo incontrati per la prima volta probabilmente
più
di dieci anni fa, in uno squallido ristorante nella periferia di San
Francisco, dove lei lavorava come cameriera per pagarsi le lezioni
all'università.
Alla fine del suo turno la invitai in un
bar a bere qualcosa, senza sapere che non aveva la minima resistenza
verso l'alcol e che alla seconda birra l'avrei già trovata
ubriaca fradicia.
Mi sono innamorato all'istante della sua
parlantina sagace e ironica. Non avrei mai immaginato che una ragazza
così giovane (e così ubriaca) potesse essere in
grado
di dire cose tanto intelligenti, seppur un po' sconnesse. Per tutta
la serata non fece altro che parlare, parlare e parlare ma,
stranamente, il suo chiacchiericcio continuo non mi annoiava
né
mi infastidiva. Mi piaceva. Avrei dato qualsiasi cosa per farla
andare avanti, ma ad una certa ora era così ubriaca che non
riusciva più ad articolare una frase sensata. Io, al
contrario, ero perfettamente lucido. Quasi.
Barcollando
l'accompagnai a prendere un taxi, completamente stordito forse
dall'alcol, o dalle sue chiacchiere continue o magari dal jet lag
(ero appena tornato da Singapore) e la salutai con un sorriso veloce,
contento di potermene andare finalmente a fare una buona dormita.
Lei, prima di partire, scrisse il suo numero di telefono su un
tovagliolino di un hotel di Los Angeles e me l'infilò nella
tasca dei pantaloni.
Nonostante la serata fosse stata piacevole
non la richiamai, ovviamente. Non sono il tipo che richiama il giorno
dopo per chiedere di uscire di nuovo (magari per un appuntamento
sobrio), non penso che sarei in grado di stare con la stessa persona
per più di una serata. Non sono abituato a relazioni
durature
e sincere, ma ad incontri fugaci e alle volte interessanti, destinati
comunque ad essere dimenticati.
Valerie, però, mi aveva
colpito più di altre persone.
Tre mesi più tardi
tornai a San Francisco e la trovai a servire ai tavoli allo stesso
ristorante. Lei non aveva la minima idea di chi io fossi,
così,
quando le sorrisi (lo ammetto: era un sorriso particolarmente
derisorio, ma che poteva anche sembrare quello di un vecchio balordo
pervertito) lei fuggì in cucina e mandò un altro
cameriere a servire il mio tavolo.
Forse l'avevo un po'
spaventata.
Aspettai fuori dal ristorante la fine del suo turno,
per domandarle scusa e per spiegarle come l'avessi già
incontrata qualche mese prima.
Alla fine del mio racconto lei era
arrossita terribilmente e mi guardava con aria imbarazzata.
Ricordo
che le proposi di andare a mangiarci qualcosa, le dissi anche che
avrei offerto io, e lei accettò. Ordinò
un'aranciata.
Immaginavo che la sua evidente logorrea si
presentasse solamente in stato di ebbrezza, ma non era così:
anche quella sera parlò all'infinito e io la stetti ad
ascoltare, meravigliato e divertito.
Mi raccontò del suo
trasferimento là, in California, dell'università,
di
quello che avrebbe voluto fare, di una lunga serie di ex-fidanzati
stronzi e di sua nonna che, a settantaquattro anni, era fuggita con
un portoricano che aveva la faccia da attore di telenovelas.
Io le
parlai poco di me. Primo, perché penetrare nella sua fitta
rete di chiacchiere era quasi impossibile; secondo, perché
è
una cosa che non amo particolarmente fare.
Ci lasciammo ancora una
volta con un sorriso, a notte fonda, immaginando che non ci saremmo
più incontrati.
Tuttavia, i miei viaggi a San Francisco
divennero sempre più frequenti.
Dopo anni passati a girare
per il mondo senza una meta precisa, senza amicizie fisse e senza un
posto preciso dove tornare, gli incontri con Valerie mi facevano
sentire quasi a casa.
Con gli anni imparai a conoscerla meglio,
diventammo amici.
Valerie è una persona spontanea e
allegra, simpatica ma quando vuole anche pungente, intelligente e
interessante. Al contrario di me, che sono sempre stato un vecchio
scansafatiche pieno di brutte abitudini.
Ho sempre avuto una cotta
per lei, come un adolescente sfigato con la ragazza più
bella
della scuola.
Valerie ora è fidanzata (con Alan, un cazzone
assurdo) e presto si sposerà.
Fa un lavoro che le piace, ha
già una casa e un mutuo che lei e il suo futuro marito forse
non estingueranno mai, è bella e innamorata e non ha perso
quel suo senso dell'umorismo pungente e sarcastico.
Ieri, in piena
notte, mi ha telefonato per dirmi che era appena atterrata a New
York, la mia città, e che aveva una disperata voglia di
uscire
con me, dopo quasi un anno dal nostro ultimo incontro.
Ora mi sta
camminando accanto e, come al solito, mi sta stordendo con le sue
chiacchiere entusiastiche, gesticolando come una pazza.
«Vedrai, ti piacerà. Sarà
divertente!» mi
sta dicendo, con un sorriso diabolico sul viso
rotondo.
«Mi chiedo come tu abbia fatto
a
convincermi.» ribatto, sospirando rassegnato.
Valerie mi
vuole portare da una sorta di indovino, un santone indiano che
analizzerà la nostra mappa astrale e che ci
predirà il
futuro.
Cazzate New Age, come i vegetariani e gli Wiccan.
***
Rideva.
Rideva
ininterrottamente da quasi dieci minuti, da quando erano usciti dallo
studio di un indovino, una sorta di eclettico veggente esperto in
analisi di mappe astrali e in lettura della mano.
Guardava l'uomo
che le passeggiava accanto (uno stangone dall'aria accigliata, sulla
cinquantina, con i capelli ingrigiti e l'aspetto di una rock star in
pensione) e rideva.
«Potresti smetterla,
per favore?» la pregò questi, mentre si accendeva
una
sigaretta e tirava la prima boccata.
«Non
ci riesco, è troppo... Divertente!» si difese
Valerie,
riprendendo a ridacchiare.
«Non ci trovo
niente di divertente, io. E poi, dai, siamo in mezzo alla strada! Non
puoi deridermi così spudoratamente mentre ci guardano
tutti!»
continuò, irritato, mentre alzava gli occhi scuri al
cielo.
«In realtà, niente
e
nessuno può vietarmi di farlo. Anzi, se raccontassi quello
che
è successo tutti ne riderebbero assieme a me.»
disse,
guardando l'amico, con una strana luce negli occhi che lo fece
spaventare. «Ma tranquillo, rimarrà un segreto tra
me e
te. E comunque, non vedo perché tu te la debba prendere
tanto.
Cosa avevi detto, eh? “Io non mi faccio certo influenzare da
certe
stupidaggini!”» disse, imitando la sua voce
profonda e un po'
arrochita in maniera pessima.
«A dire il
vero, ho detto “cazzate”, non
“stupidaggini”. Non parlo certo
come una ragazza pon-pon.» precisò, serio.
«Sei incorreggibile! Il solito vecchio balordo sboccato,
volgare e violento.» si lamentò la giovane,
lanciandogli
uno sguardo di rimprovero. Scherzare con lui l'aveva sempre divertita
tantissimo, soprattutto perché sapeva che non se la sarebbe
mai presa. Anche perché, nella maggior parte dei casi, le
sue
frecciatine erano pur sempre veritiere.
«Cristo
Santissimo, Val! Dovresti smetterla di insultarmi così, dico
davvero, fa male al mio ego. Dopotutto, non sono così
vecchio.
Quanti anni ho in più di te? Tre, quattro... Al massimo
sei!»
esclamò con una scrollata di spalle, mentre spegneva la
sigaretta per terra e si affrettava ad accendersene un'altra.
«Diciotto.» precisò Valerie, criptica.
«È più o meno ciò che ho
detto io.»
replicò, sulla difensiva.
«Che ne
diresti di tornare a parlare di ciò che ha detto l'indovino,
invece?» propose Valerie, tornando a ridacchiare.
«E darti la possibilità di prenderti ancora gioco
di me?
Mai!» esclamò, tra l'irritato e il divertito.
«E
comunque, tu parli così solamente perché quel
fottutissimo indovino ti ha predetto solamente gioia,
serenità
e tanto amore nel rapporto coniugale. A proposito, come sta
Alan?»
le domandò, velenoso.
«Sta
benissimo, grazie.» gli rispose la giovane donna, con una
smorfia infastidita.
«Ti ho mai detto che
odio il tuo fidanzato?» chiese ancora, con un'aria
incredibilmente innocente.
«Lo dici ogni volta che ci vediamo.» si
lamentò
lei «Persino in sua presenza.» concluse, roteando
gli
occhi e poggiandosi una mano sulla fronte, in una posa di forzata
disperazione.
«Non è certo colpa
mia se Alan è un cazzone, lo sai.»
replicò,
tirando qualche boccata dalla sua sigaretta, e voltandosi verso
l'amica per poter osservare meglio la sua reazione. Aveva sempre
pensato che certe sue espressioni fossero impagabili.
«Alan non è un cazzone!»
esclamò Valerie,
alzando un po' troppo la voce, tanto che alcuni passanti si girano a
guardarla. Lei arrossì, prima di ripetere, a bassa voce:
«Alan
non è affatto un cazzone!»
«No,
certo che no. Dopotutto va in giro conciato come un dandy, con i
vestiti tutti firmati comprati con i soldi di suo padre e un taglio
di capelli degno del front man gay di una boy band degli anni
novanta! Ma, giustamente, cosa vuoi che sia?» disse,
sforzandosi di dare poco peso alle sue parole.
«Solo perché non va in giro indossando una giacca
di
pelle nera vecchia di vent'anni e un paio di occhiali da sole scuri
anche se probabilmente sta per piovere e non cammina impettito e
ciondolante, fiero del suo aspetto da depravato tabagista...»
disse lei, senza nemmeno concludere la frase.
«Alludi forse a qualcuno?» le chiese lui, alzando
un
sopracciglio, mortalmente divertito. Tuttavia, si affrettò a
buttare a terra la sigaretta, fumata solamente a metà.
Valerie
lo ignorò per un paio di minuti buoni, chiusa in un furioso
silenzio, prima di riprendere a parlare: «Parli
così di
Alan solamente perché sei invidioso e perché sai
bene
cosa ti aspetta: l'indovino ha detto che se non cambi un po' le tue
abitudini ti avvierai verso una morte precoce.»
«Io non ho alcuna cattiva abitudine.»
replicò,
convinto.
«Dave, hai cinquant'anni
e...»
iniziò Valerie, ma venne bruscamente interrotta da Dave che
sibilò un:
«Quarantotto»
«E va bene! Hai quarantotto anni e dormi due ore per notte,
bevi come una spugna, ininterrottamente a partire dalle sei di
mattina, e probabilmente fumi più di due pacchetti di
sigarette al giorno, non hai una casa, né un'auto,
né
un lavoro fisso e... Quand'è stata l'ultima volta che hai
mangiato della verdura?» concluse, infervorata.
«Prima di tutto io un lavoro ce l'ho.» si difese,
con
aria fiera.
«Viaggiare per il mondo e
scrivere qualche libro non è un lavoro.» ci tenne
a
precisare Valerie.
«Come vuoi tu, ma
almeno mi godo la vita. Inoltre, una casa io ce l'ho. Possedere una
macchina sarebbe solo una cazzo di perdita di tempo: quando non
viaggio sto a New York e pensare di andare in giro per questa
città
in auto è un suicidio. È per questo che hanno
inventato
i taxi. Tanti simpatici taxi gialli.» disse, con tono che non
ammetteva repliche, anche se sapeva benissimo che Valerie l'avrebbe
contestato per principio.
Avevano sempre fatto delle meravigliose
chiacchierate e il loro rapporto, seppur un po' saltuario, era
davvero qualcosa che Dave considerava fondamentale. Adorava Valerie
in tutto, ma non la sopportava quando criticava la sua scelta di
vita, forse un po' insolita.
«L'indovino
aveva perfettamente ragione: finirai povero, solo e...»
riprese
la donna, ma venne interrotta nuovamente: «Ti scongiuro, non
andare avanti.»
«Non puoi certo
dargli torto, lo sai vero? Non vorrai considerare la catapecchia un
cui vivi una casa!» esclamò Valerie, schifata.
Dave
viveva in un minuscolo appartamento in un quartiere della
città
piuttosto sporco e mal frequentato, una specie di triste monolocale
disordinato, privo di logica e gusto.
«Non
hai nemmeno la cucina!» gli ricordò.
«Non mi occorre una cucina. Passo in quella dannatissima casa
meno di due mesi all'anno. Mi accontento di avere un divano e una
televisione!» si giustificò lui, convinto di
essere nel
giusto.
Continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto.
Dave, questa volta seriamente innervosito, si era acceso la terza
sigaretta.
«Non ti sarai arrabbiato sul
serio, vero?» gli domandò timidamente Valerie, un
po'
timorosa.
«No, lo sai, io non mi
arrabbio
mai.» la tranquillizzò l'uomo, sorridendole freddo.
«Dai, è una cosa da prendere sul ridere! Dopotutto
l'indovino non si è scostato troppo dalla realtà
attuale: ha detto che finirai povero, solo e impotente e ci sei
vicinissimo!» riprese Valerie, con una risatina molto
più
discreta di quelle precedenti.
«Ti avevo
pregato di non continuare, cazzo, Val!» bofonchiò
Dave,
scuotendo la testa, amareggiato.
«Soprattutto per quanto riguarda quella stronzata... Quella
sull'impotenza.»
«Beh, non ha detto
proprio impotente. Ha detto che non riuscirai ad avere una relazione
seria perché, in parole molto povere, non sei bravo a letto.
Ma non è il caso di farne un dramma, no?»
proseguì,
senza rendersi minimamente conto di stare infierendo in una maniera
assurda.
«No, certo che no.»
acconsentì l'uomo, visibilmente sarcastico.
«Ecco, vedi: non l'hai presa male. È esattamente
questo
lo spirito giusto. Dopotutto, che altro ha detto? Che non saresti in
grado di soddisfare la tua partner perché ti mancano un po'
di
aggressività, di fantasia e di impulsività.
Dovresti
solamente imparare a fare del buon sesso, ha detto così,
vero?
Aggressività e fantasia: sono queste le doti che ti mancano.
Ma non dovresti essere poi così irrecuperabile.»
concluse, facendo cenno di sì con la testa, come per
avvalorare le sue ultime parole.
Dave si fermò di colpo, in
mezzo alla strada, si tolse gli occhiali da sole e prese a guardare
Valerie con gli occhi sbarrati.
Stentava a crederci: l'aveva
detto, nonostante lui l'avesse pregata di non farne più
parola. Mai più.
A volte si stupiva della totale mancanza
di tatto di Valerie, o del fatto che lo criticasse in continuazione e
non ascoltasse nemmeno una parola di quello che le diceva.
L'aveva
colpito nel suo punto più debole: l'orgoglio maschile, forse
unica sua certezza.
Rimase ancora qualche secondo completamente
immobile, con uno sguardo meditabondo, prima di posare delicatamente
le mani sul viso stupito di Valerie.
Si abbassò un poco,
con calcolata lentezza, per portare il viso allo stesso livello di
quello della donna e, colto da un improvviso attacco di quella famosa
impulsività che gli mancava, avvicinò le labbra a
quelle di Valerie e le diede il bacio che avrebbe voluto darle da
anni. Un lungo, appassionato e disperato bacio.
Si allontanò
da lei, sorpresa come non mai, e finì di fumare la sigaretta
che teneva ancora tra il dito indice e il medio.
«Ecco. Vaffanculo, Val.»
Spero
abbiate apprezzato!^^
Sì, mi rendo perfettamente conto che
si tratta di un dialogo non troppo divertente senza descrizioni,
introspezioni o una trama particolare; perciò, per favore,
non
prendetelo troppo seriamente.^^"