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Autore: Unintended    07/04/2008    2 recensioni
[...] Mi sono innamorato all'istante della sua parlantina sagace e ironica. Non avrei mai immaginato che una ragazza così giovane (e così ubriaca) potesse essere in grado di dire cose tanto intelligenti, seppur un po' sconnesse.
Per tutta la serata non fece altro che parlare, parlare e parlare ma, stranamente, il suo chiacchiericcio continuo non mi annoiava né mi infastidiva. Mi piaceva. Avrei dato qualsiasi cosa per farla andare avanti, ma ad una certa ora era così ubriaca che non riusciva più ad articolare una frase sensata. Io, al contrario, ero perfettamente lucido. Quasi.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La mia persona preferita

Valerie è, in assoluto, la mia persona preferita. E credo che anche per lei sia lo stesso, cioè, anch'io sono la sua persona preferita. Forse dopo i suoi genitori, il suo fidanzato e sua sorella Janice; ma occupo comunque un'ottima posizione nella classifica.
Lei ed io ci siamo incontrati per la prima volta probabilmente più di dieci anni fa, in uno squallido ristorante nella periferia di San Francisco, dove lei lavorava come cameriera per pagarsi le lezioni all'università.
Alla fine del suo turno la invitai in un bar a bere qualcosa, senza sapere che non aveva la minima resistenza verso l'alcol e che alla seconda birra l'avrei già trovata ubriaca fradicia.
Mi sono innamorato all'istante della sua parlantina sagace e ironica. Non avrei mai immaginato che una ragazza così giovane (e così ubriaca) potesse essere in grado di dire cose tanto intelligenti, seppur un po' sconnesse. Per tutta la serata non fece altro che parlare, parlare e parlare ma, stranamente, il suo chiacchiericcio continuo non mi annoiava né mi infastidiva. Mi piaceva. Avrei dato qualsiasi cosa per farla andare avanti, ma ad una certa ora era così ubriaca che non riusciva più ad articolare una frase sensata. Io, al contrario, ero perfettamente lucido. Quasi.
Barcollando l'accompagnai a prendere un taxi, completamente stordito forse dall'alcol, o dalle sue chiacchiere continue o magari dal jet lag (ero appena tornato da Singapore) e la salutai con un sorriso veloce, contento di potermene andare finalmente a fare una buona dormita. Lei, prima di partire, scrisse il suo numero di telefono su un tovagliolino di un hotel di Los Angeles e me l'infilò nella tasca dei pantaloni.
Nonostante la serata fosse stata piacevole non la richiamai, ovviamente. Non sono il tipo che richiama il giorno dopo per chiedere di uscire di nuovo (magari per un appuntamento sobrio), non penso che sarei in grado di stare con la stessa persona per più di una serata. Non sono abituato a relazioni durature e sincere, ma ad incontri fugaci e alle volte interessanti, destinati comunque ad essere dimenticati.
Valerie, però, mi aveva colpito più di altre persone.
Tre mesi più tardi tornai a San Francisco e la trovai a servire ai tavoli allo stesso ristorante. Lei non aveva la minima idea di chi io fossi, così, quando le sorrisi (lo ammetto: era un sorriso particolarmente derisorio, ma che poteva anche sembrare quello di un vecchio balordo pervertito) lei fuggì in cucina e mandò un altro cameriere a servire il mio tavolo.
Forse l'avevo un po' spaventata.
Aspettai fuori dal ristorante la fine del suo turno, per domandarle scusa e per spiegarle come l'avessi già incontrata qualche mese prima.
Alla fine del mio racconto lei era arrossita terribilmente e mi guardava con aria imbarazzata.
Ricordo che le proposi di andare a mangiarci qualcosa, le dissi anche che avrei offerto io, e lei accettò. Ordinò un'aranciata.
Immaginavo che la sua evidente logorrea si presentasse solamente in stato di ebbrezza, ma non era così: anche quella sera parlò all'infinito e io la stetti ad ascoltare, meravigliato e divertito.
Mi raccontò del suo trasferimento là, in California, dell'università, di quello che avrebbe voluto fare, di una lunga serie di ex-fidanzati stronzi e di sua nonna che, a settantaquattro anni, era fuggita con un portoricano che aveva la faccia da attore di telenovelas.
Io le parlai poco di me. Primo, perché penetrare nella sua fitta rete di chiacchiere era quasi impossibile; secondo, perché è una cosa che non amo particolarmente fare.
Ci lasciammo ancora una volta con un sorriso, a notte fonda, immaginando che non ci saremmo più incontrati.
Tuttavia, i miei viaggi a San Francisco divennero sempre più frequenti.
Dopo anni passati a girare per il mondo senza una meta precisa, senza amicizie fisse e senza un posto preciso dove tornare, gli incontri con Valerie mi facevano sentire quasi a casa.
Con gli anni imparai a conoscerla meglio, diventammo amici.
Valerie è una persona spontanea e allegra, simpatica ma quando vuole anche pungente, intelligente e interessante. Al contrario di me, che sono sempre stato un vecchio scansafatiche pieno di brutte abitudini.
Ho sempre avuto una cotta per lei, come un adolescente sfigato con la ragazza più bella della scuola.
Valerie ora è fidanzata (con Alan, un cazzone assurdo) e presto si sposerà.
Fa un lavoro che le piace, ha già una casa e un mutuo che lei e il suo futuro marito forse non estingueranno mai, è bella e innamorata e non ha perso quel suo senso dell'umorismo pungente e sarcastico.
Ieri, in piena notte, mi ha telefonato per dirmi che era appena atterrata a New York, la mia città, e che aveva una disperata voglia di uscire con me, dopo quasi un anno dal nostro ultimo incontro.
Ora mi sta camminando accanto e, come al solito, mi sta stordendo con le sue chiacchiere entusiastiche, gesticolando come una pazza.
«Vedrai, ti piacerà. Sarà divertente!» mi sta dicendo, con un sorriso diabolico sul viso rotondo.
«Mi chiedo come tu abbia fatto a convincermi.» ribatto, sospirando rassegnato.
Valerie mi vuole portare da una sorta di indovino, un santone indiano che analizzerà la nostra mappa astrale e che ci predirà il futuro.
Cazzate New Age, come i vegetariani e gli Wiccan.

***

Rideva. Rideva ininterrottamente da quasi dieci minuti, da quando erano usciti dallo studio di un indovino, una sorta di eclettico veggente esperto in analisi di mappe astrali e in lettura della mano.
Guardava l'uomo che le passeggiava accanto (uno stangone dall'aria accigliata, sulla cinquantina, con i capelli ingrigiti e l'aspetto di una rock star in pensione) e rideva.
«Potresti smetterla, per favore?» la pregò questi, mentre si accendeva una sigaretta e tirava la prima boccata.
«Non ci riesco, è troppo... Divertente!» si difese Valerie, riprendendo a ridacchiare.
«Non ci trovo niente di divertente, io. E poi, dai, siamo in mezzo alla strada! Non puoi deridermi così spudoratamente mentre ci guardano tutti!» continuò, irritato, mentre alzava gli occhi scuri al cielo.
«In realtà, niente e nessuno può vietarmi di farlo. Anzi, se raccontassi quello che è successo tutti ne riderebbero assieme a me.» disse, guardando l'amico, con una strana luce negli occhi che lo fece spaventare. «Ma tranquillo, rimarrà un segreto tra me e te. E comunque, non vedo perché tu te la debba prendere tanto. Cosa avevi detto, eh? “Io non mi faccio certo influenzare da certe stupidaggini!”» disse, imitando la sua voce profonda e un po' arrochita in maniera pessima.
«A dire il vero, ho detto “cazzate”, non “stupidaggini”. Non parlo certo come una ragazza pon-pon.» precisò, serio.
«Sei incorreggibile! Il solito vecchio balordo sboccato, volgare e violento.» si lamentò la giovane, lanciandogli uno sguardo di rimprovero. Scherzare con lui l'aveva sempre divertita tantissimo, soprattutto perché sapeva che non se la sarebbe mai presa. Anche perché, nella maggior parte dei casi, le sue frecciatine erano pur sempre veritiere.
«Cristo Santissimo, Val! Dovresti smetterla di insultarmi così, dico davvero, fa male al mio ego. Dopotutto, non sono così vecchio. Quanti anni ho in più di te? Tre, quattro... Al massimo sei!» esclamò con una scrollata di spalle, mentre spegneva la sigaretta per terra e si affrettava ad accendersene un'altra.
«Diciotto.» precisò Valerie, criptica.
«È più o meno ciò che ho detto io.» replicò, sulla difensiva.
«Che ne diresti di tornare a parlare di ciò che ha detto l'indovino, invece?» propose Valerie, tornando a ridacchiare.
«E darti la possibilità di prenderti ancora gioco di me? Mai!» esclamò, tra l'irritato e il divertito. «E comunque, tu parli così solamente perché quel fottutissimo indovino ti ha predetto solamente gioia, serenità e tanto amore nel rapporto coniugale. A proposito, come sta Alan?» le domandò, velenoso.
«Sta benissimo, grazie.» gli rispose la giovane donna, con una smorfia infastidita.
«Ti ho mai detto che odio il tuo fidanzato?» chiese ancora, con un'aria incredibilmente innocente.
«Lo dici ogni volta che ci vediamo.» si lamentò lei «Persino in sua presenza.» concluse, roteando gli occhi e poggiandosi una mano sulla fronte, in una posa di forzata disperazione.
«Non è certo colpa mia se Alan è un cazzone, lo sai.» replicò, tirando qualche boccata dalla sua sigaretta, e voltandosi verso l'amica per poter osservare meglio la sua reazione. Aveva sempre pensato che certe sue espressioni fossero impagabili.
«Alan non è un cazzone!» esclamò Valerie, alzando un po' troppo la voce, tanto che alcuni passanti si girano a guardarla. Lei arrossì, prima di ripetere, a bassa voce: «Alan non è affatto un cazzone!»
«No, certo che no. Dopotutto va in giro conciato come un dandy, con i vestiti tutti firmati comprati con i soldi di suo padre e un taglio di capelli degno del front man gay di una boy band degli anni novanta! Ma, giustamente, cosa vuoi che sia?» disse, sforzandosi di dare poco peso alle sue parole.
«Solo perché non va in giro indossando una giacca di pelle nera vecchia di vent'anni e un paio di occhiali da sole scuri anche se probabilmente sta per piovere e non cammina impettito e ciondolante, fiero del suo aspetto da depravato tabagista...» disse lei, senza nemmeno concludere la frase.
«Alludi forse a qualcuno?» le chiese lui, alzando un sopracciglio, mortalmente divertito. Tuttavia, si affrettò a buttare a terra la sigaretta, fumata solamente a metà.
Valerie lo ignorò per un paio di minuti buoni, chiusa in un furioso silenzio, prima di riprendere a parlare: «Parli così di Alan solamente perché sei invidioso e perché sai bene cosa ti aspetta: l'indovino ha detto che se non cambi un po' le tue abitudini ti avvierai verso una morte precoce.»
«Io non ho alcuna cattiva abitudine.» replicò, convinto.
«Dave, hai cinquant'anni e...» iniziò Valerie, ma venne bruscamente interrotta da Dave che sibilò un: «Quarantotto»
«E va bene! Hai quarantotto anni e dormi due ore per notte, bevi come una spugna, ininterrottamente a partire dalle sei di mattina, e probabilmente fumi più di due pacchetti di sigarette al giorno, non hai una casa, né un'auto, né un lavoro fisso e... Quand'è stata l'ultima volta che hai mangiato della verdura?» concluse, infervorata.
«Prima di tutto io un lavoro ce l'ho.» si difese, con aria fiera.
«Viaggiare per il mondo e scrivere qualche libro non è un lavoro.» ci tenne a precisare Valerie.
«Come vuoi tu, ma almeno mi godo la vita. Inoltre, una casa io ce l'ho. Possedere una macchina sarebbe solo una cazzo di perdita di tempo: quando non viaggio sto a New York e pensare di andare in giro per questa città in auto è un suicidio. È per questo che hanno inventato i taxi. Tanti simpatici taxi gialli.» disse, con tono che non ammetteva repliche, anche se sapeva benissimo che Valerie l'avrebbe contestato per principio.
Avevano sempre fatto delle meravigliose chiacchierate e il loro rapporto, seppur un po' saltuario, era davvero qualcosa che Dave considerava fondamentale. Adorava Valerie in tutto, ma non la sopportava quando criticava la sua scelta di vita, forse un po' insolita.
«L'indovino aveva perfettamente ragione: finirai povero, solo e...» riprese la donna, ma venne interrotta nuovamente: «Ti scongiuro, non andare avanti.»
«Non puoi certo dargli torto, lo sai vero? Non vorrai considerare la catapecchia un cui vivi una casa!» esclamò Valerie, schifata.
Dave viveva in un minuscolo appartamento in un quartiere della città piuttosto sporco e mal frequentato, una specie di triste monolocale disordinato, privo di logica e gusto.
«Non hai nemmeno la cucina!» gli ricordò.
«Non mi occorre una cucina. Passo in quella dannatissima casa meno di due mesi all'anno. Mi accontento di avere un divano e una televisione!» si giustificò lui, convinto di essere nel giusto.
Continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto. Dave, questa volta seriamente innervosito, si era acceso la terza sigaretta.
«Non ti sarai arrabbiato sul serio, vero?» gli domandò timidamente Valerie, un po' timorosa.
«No, lo sai, io non mi arrabbio mai.» la tranquillizzò l'uomo, sorridendole freddo.
«Dai, è una cosa da prendere sul ridere! Dopotutto l'indovino non si è scostato troppo dalla realtà attuale: ha detto che finirai povero, solo e impotente e ci sei vicinissimo!» riprese Valerie, con una risatina molto più discreta di quelle precedenti.
«Ti avevo pregato di non continuare, cazzo, Val!» bofonchiò Dave, scuotendo la testa, amareggiato. «Soprattutto per quanto riguarda quella stronzata... Quella sull'impotenza.»
«Beh, non ha detto proprio impotente. Ha detto che non riuscirai ad avere una relazione seria perché, in parole molto povere, non sei bravo a letto. Ma non è il caso di farne un dramma, no?» proseguì, senza rendersi minimamente conto di stare infierendo in una maniera assurda.
«No, certo che no.» acconsentì l'uomo, visibilmente sarcastico.
«Ecco, vedi: non l'hai presa male. È esattamente questo lo spirito giusto. Dopotutto, che altro ha detto? Che non saresti in grado di soddisfare la tua partner perché ti mancano un po' di aggressività, di fantasia e di impulsività. Dovresti solamente imparare a fare del buon sesso, ha detto così, vero? Aggressività e fantasia: sono queste le doti che ti mancano. Ma non dovresti essere poi così irrecuperabile.» concluse, facendo cenno di sì con la testa, come per avvalorare le sue ultime parole.
Dave si fermò di colpo, in mezzo alla strada, si tolse gli occhiali da sole e prese a guardare Valerie con gli occhi sbarrati.
Stentava a crederci: l'aveva detto, nonostante lui l'avesse pregata di non farne più parola. Mai più.
A volte si stupiva della totale mancanza di tatto di Valerie, o del fatto che lo criticasse in continuazione e non ascoltasse nemmeno una parola di quello che le diceva.
L'aveva colpito nel suo punto più debole: l'orgoglio maschile, forse unica sua certezza.
Rimase ancora qualche secondo completamente immobile, con uno sguardo meditabondo, prima di posare delicatamente le mani sul viso stupito di Valerie.
Si abbassò un poco, con calcolata lentezza, per portare il viso allo stesso livello di quello della donna e, colto da un improvviso attacco di quella famosa impulsività che gli mancava, avvicinò le labbra a quelle di Valerie e le diede il bacio che avrebbe voluto darle da anni. Un lungo, appassionato e disperato bacio.
Si allontanò da lei, sorpresa come non mai, e finì di fumare la sigaretta che teneva ancora tra il dito indice e il medio.
«Ecco. Vaffanculo, Val.»

Spero abbiate apprezzato!^^
Sì, mi rendo perfettamente conto che si tratta di un dialogo non troppo divertente senza descrizioni, introspezioni o una trama particolare; perciò, per favore, non prendetelo troppo seriamente.^^"

  
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