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Autore: xBotan    16/10/2013    2 recensioni
Quelli come lui non scelgono mai
Festa. Alcool. Pensieri. Quattro ragazze e una scelta da compiere - essere se stessi o ciò che si dovrebbe essere?
Il primo bicchiere è per Callisto
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il primo bicchiere  è per Callisto – Callisto labbra lingua biondo caldo ritmo sangue.
Lo butta giù in un sorso, bollicine nella gola, bruciore nel petto, residui di schiuma che scivolano verso il fondo del calice. Callisto spicchio di faccia bocca socchiusa nella penombra odore di cipria e sudore I love you silenzio rimbomba.
Stringe le dita intorno al collo del bicchiere – fracassarlo lì, per terra, a ritmo di musica, mentre tutti gli altri ballano? Quella ragazzina senza scarpe e probabilmente senza mutande potrebbe pestare una scheggia mentre si contorce di fronte alla schiera dei ragazzi semidistesi sui divanetti. Patetica. Patetici tutti.
Una mano dalle nocche scure copre le sue nocche bianche. Il bicchiere vuoto cambia improvvisamente possessore. “Quanto ne hai bevuto?” Penelope. Ciuffo corto borotalco sguardo liquido giù le armi denti bianchi.
“Non rompere, è il primo.”
“Buon per te. Non voglio ubriachi al mio compleanno.” Le luci le saettano intorno alla testa scura. Fucsia, verde, giallo, blu, di nuovo fucsia. Le afferra un polso liscio e morbido  e la trascina più vicino, schiena appoggiata al cuscino del divanetto. Borotalco e un profumo troppo da grandi, annusa.
“Allora potevi non metterci l’alcool.”
“Ma senza neanche lo spumante sarebbe stato triste.” Penelope aggrotta le sopracciglia. Resta lì vicino. Occhi scuri che escludono le luci. È il suo compleanno, e nella stanza ci sono almeno dieci ragazze più belle di lei.
È il suo compleanno, e lui preferirebbe di gran lunga non esserci venuto.
È il suo compleanno, e lei si aspetta qualcosa da lui.
È il suo compleanno, e almeno altre dieci ragazze in quella stanza vorrebbero stare tanto vicine a lui quanto lo è lei in questo istante.
“Giusto, quindi vai a prendermene un altro, Penny” canticchia le prime note di Penny Lane, e lei ritrae il polso – le labbra arricciate, guance scurite.
“Prenditelo da solo, scusa”
Scivola via. Lui si sporge, sfiora un lembo di velo del suo vestito – borotalco che si allontana. Lo sfiora appena e sbatte la schiena contro lo schienale del divanetto. Penelope.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere baciata in quel momento, e lui lo sapeva.

Il cameriere al banco degli alcolici ha probabilmente la loro stessa età e un po’ più bisogno di soldi.
Se lui avesse avuto bisogno di soldi, la sua vita sarebbe stata molto più semplice. Avrebbe dovuto fare qualcosa. Ci sarebbe stato molto meno tempo per gingillarsi con l’idea di un possibile futuro, a quel punto.
Si alza lentamente. Gli gira la testa. Non è colpa dello spumante, sono anni che gli gira la testa.
Callisto. Callisto era in un posto del genere. Americana bionda e sudata in un paio di folli settimane di una folle estate passata. Primo bacio, prima sbronza, primo addio.
Ora gli fa tutto un po’ schifo.
Barcolla verso il banco degli alcolici. Penelope ride al centro di un cerchio di ragazze sconosciute che le si stringono intorno – qualcuno ha fatto una battuta sul suo culo, poi l’ha trascinata da parte e ora balla con lei. È Mattia, forse. Lo fulmina, lui si gira,  individua il suo sguardo offuscato oltre una marea di corpi sudati, i suoi occhi chiari che sanno sempre cos’è giusto fare gli dicono che ‘qualcuno doveva pur farlo’.
Penelope continua a ridere. La sua risata a diecimila hertz metterebbe allegria anche in un funerale.
Lui scansa una coppietta avvinghiata alla sua sinistra – ondeggiano allacciati ignorando il ritmo. Irresistibile perdizione.
Afferra il secondo bicchiere di spumante senza guardare negli occhi il cameriere. Berlo sul suo divanetto lo farà sentire sporco. È pronto.
La ragazzina scalza gli crolla sulla spalla – avrà quattordici anni al massimo. Il tubino di maglina le è scivolato di dosso e le scopre le coppe del reggiseno. Lei non sembra curarsene – puzza di alcool e sudore misto ad un bagnoschiuma commerciale. Ride per scusarsi, ed è una risata volgare.
Lui torna sul suo divanetto. Quattordici anni al massimo, scalza, si contorce di fronte al divanetto dove i suoi compagni di classe semidistesi le guardano le mutande, le mutande da ragazzina di una sconosciuta, le guardano e magari tra qualche bicchiere di spumante qualcuno riuscirà a portarsela in bagno.

Nausicaa. Il secondo bicchiere è per Nausicaa.
Nausicaa con le labbra gonfie di rossetto rosso sgraziata sui tacchi a spillo gonne storte color evidenziatore ricci scarmigliati occhi gonfi di eyeliner, Nausicaa una guardia del corpo troppo più grande di lei con una mano perennemente nel suo reggiseno, Nausicaa che gli si spalma addosso appena lo vede, Nausicaa che dice cose così stupide che vorrebbe prenderla a ceffoni e sbattersela contro il muro contemporaneamente.
Vicina e irraggiungibile per decenza. Non la vuole, non la vuole, non la vuole, butta giù il bicchiere, quella ragazzina potrebbe essere lei, gli fa schifo, guance che colano di trucco, piedi tozzi fuori dalle scarpe, testa vuota, vuota, vuoto allucinante, il vuoto la inghiottirà se non la tira fuori, nessuno può tirarla fuori.
Continueranno a contorcersi tutte e due finché qualcuno non le porterà in bagno  - lui ha altro da fare. E vorrebbe. E quegli occhi insipidi che lo invitano ad infilarle la lingua in gola ad ogni sguardo.
Si alza. Sgomita nella folla – sconosciuti, compagni di classe, ragazzette, tutti poco vestiti, tutti troppo sudati. Penelope è dall’altro lato, balla con Minerva, Minerva capirà se lui la spingerà via e si stringerà Penelope addosso.
Lo fa. Musica che fa tremare il sangue, puzza di sudore, sentore di corpi che si muovono ininterrotti, e il corpo morbido di Penelope premuto contro il suo. Penelope piccola scura e morbida. Le affonda la faccia sul suo petto – il seno di lei sulla sua pancia, gli sbuffi di quel vestito troppo da Barbie – e lei non è una Barbie, proprio no, è morbida, e lo spumante gli risale in gola, vuole vomitare e vuole le dita fresche di Penelope tra i suoi capelli e poggiarle la testa in grembo sul pavimento lurido del bagno di quella discoteca pacchiana.
Si allontana da lei di colpo. Lo guarda, occhi scuri limpidi limpidi limpidi c’è scritta dentro tutta la storia dell’arte e il latino e le risate del mondo e lei vuole che lui la baci, adesso, in questo istante, e lui lo sa e le chiede chi è quella ragazzina che va in giro con mezzo reggiseno di fuori.
“La migliore amica di mia sorella” lei storce la bocca “È una troia, lo so, ma dovevo invitarla per forza. Spero che gli altri si tengano le mani a posto.”
“Tranquilla. Si accontentano di guardare”
La pianta in asso. Si allontana – non può sostenerla altri cinque secondi.

Il terzo bicchiere è per Circe.
Circe sarebbe adeguata. Sorriso tirato dalle millemila implicazioni. Intuito. Ciocche di capelli scuri su un collo perfetto – lungo bianco arcuato.
Osservare il suo collo durante le lezioni, da dietro. Lei che ha sempre un commento su tutto e appartiene sempre a qualcun altro.
Essere l’amante di Circe è quello che gli si addice più al mondo, probabilmente.
Circe non è venuta a contorcersi fra miriadi di corpi sudati stasera – è una delle poche persone al mondo immuni all’irresistibile fascino ingenuo di Penelope.
Dovrebbe chiamarla. Se la chiamerà resterà cristallizzato nel suo ruolo – un bel ragazzo di diciotto anni, intelligente-ma-non-si-applica, una relazione complicata con una ragazza fuori dagli schemi col collo più bello dalla storia, un futuro tutto da distruggere, nessun ideale, nessun sogno, nessuna speranza – è il copione.
Butta giù il bicchiere.
Deve chiamare Circe. Arriverà se la chiama – o al massimo gli ordinerà di andare a prenderla. Gli orari non sono mai un problema per lei.
Andrà a prenderla in macchina e lei scenderà con un vestito corto che riuscirà a non far sembrare volgare e lui le guarderà le gambe e affonderà la faccia nel suo collo e…
Penelope. Si alza di scatto – gli gira un po’ troppo la testa, ora. Sgomita di nuovo, più violento, non sente più nulla, la musica. Balla forse  - fuori di testa, di fronte alle balze del vestito di Penelope, lei balla con lui, ride, lui la prende per mano, sta per implorarla di uscire con lui da quella stanza qui e ora immediatamente – Mattia lo porta di peso in bagno.
“Adesso mi dici cosa cazzo ti prende. È tutta la serata che ti comporti come uno zombie, e ti sei scolato almeno un litro di spumante”
Mattia, sguardo di ghiaccio di chi sa cosa fare, lui è seduto per terra fra le croste di sporco e vuole una spalla morbida che dia di borotalco su cui appoggiarsi.
“Erano solo tre bicchieri”
“Tre?” Mattia sgrana gli occhi “Saranno stati almeno tredici. Marco, che diavolo hai?”
Marco vomita.
Non ha le dita di Penelope tra i capelli. Non ha Nausicaa spalmata addosso. Non ha il collo di Circe in cui affondare. Non ha il fiato di Callisto sulla sua faccia.
Ora va meglio.
“Cosa vuoi da lei?”
“Da chi?” Marco guarda il suo vomito nella tazza del water mentre la musica echeggia dalla sala. Lo perseguita.
Mattia non risponde. Non gli va di girarci intorno.
“Voglio abbracciarla e sapere che esiste e sentire il suo corpo contro il mio” continua a fissare il suo vomito mentre parla.
“Non ci puoi girare intorno all’infinito.”
“Posso.”
Mattia lo afferra per un braccio e lo aiuta a rialzarsi.
“Prendi tutto o non prendere niente.”
Tutto o niente. Marco sa già cosa sceglierà.
 
Tutto niente tutto niente tutto niente tutto niente.
Torta – pasta di zucchero verdastra, luci spende, candeline che illuminano un ciuffo bruno. Sorriso smagliante – da quanto diavolo lo aspettava, il suo compleanno?
Tanti auguri. Tanti auguri. Tutto o niente. Tutto o niente.
Luci che si riaccendono – foto, mamma papà sorella amica troia di mia sorella Minerva Andromaca ragazze ragazze le conosce compagne di classe in collant traslucidi e chili di rossetto e risate troppo poco squillanti – sconosciuti, sconosciuti, alzati, foto con la classe.
Mattia lo trascina in piedi. Marco sgomita tra i compagni che conosce e che ora sono estranei. Appoggia un braccio sulla spalla di Penelope – conquistato il posto accanto a lei, missione compiuta, ora sorridi e guarda l’obiettivo.
Non mangia la torta, ma beve lo spumante. Il quarto (o quarantesimo?) bicchiere è per Penelope.
Non si avvicina a lei fino alla fine della festa. Le scompiglia un po’ i capelli a mo’ di saluto quando arriva il momento di andar via – Mattia ha deciso che non può tornare in macchina da solo in queste condizioni e gli darà un passaggio.
“Hai scelto nulla” commenta mentre mette in moto.
Buio. Abitacolo pulito e silenzioso. Marco poggia la fronte al finestrino di vetro ghiacciato – socchiude gli occhi, le ragazze si riversano fuori dal locale, non vuole vederle.
“Non ho scelto” replica.
Quelli come lui non scelgono mai.
Respira profondamente, il motore romba.
Non scelgono mai se essere come qualcun altro o essere se stessi.
Penelope caldo morbida piccola cuore palpiti risate limpido sempre.
Poi aggiunge con voce strascicata, un istante prima di addormentarsi – “Sceglierò.” 






NOTE: So di non essere l'autrice più presente al mondo, ma mi piace pubblicare su efp i miei piccoli 'deliri senza futuro'. Sono frammenti diversi dal mio genere abituale, scriti di getto e non troppo curati. In ogni caso, spero che qualcuno possa apprezzare questa piccola one-shot tratta da un momento di vita vera (sì, osservare la gente alle feste e ricamarci su storie probabilmente insensate o prive di fondamento reale è una delle mie attività preferite). Se passerete cinque minuti piacevoli grazie a queste righe, mi piacerebbe che me lo facciate sapere :) Stessa cosa nel caso in cui vi faccia schifo, ovviamente xD grazie per aver letto fin qui **                                      
Botan
  
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