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Autore: HellWill    17/10/2013    0 recensioni
"«...inoltre gli adulti hanno una carne meno tenera. Quando vai dal macellaio tu ordini il vitello, non il bue affaticato dal lavoro.. la sua carne risulterebbe immangiabile».
Alexandra chiude gli occhi e percepisco il suo respiro calmarsi contro la mia pelle: mi scendono piccoli brividi lungo la colonna vertebrale. Amo essere qui, amo essere vivo, amo lei.
«Lo capisco» sussurra. «Ma se tu avessi un bambino qui, ora, con te.. lo mangeresti?».
«Non sono così disumano, Alex» mormoro, quasi con tono di rimprovero, e lei apre gli occhi per guardarmi.
«Davvero?».
Sorrido.
«Sì».
«Però sei un mostro».
«Non l’ho mai negato» dico con dolcezza, e lei mi passa un dito sulle labbra.
«Un bellissimo mostro» mormora incantata, e io sorrido di più, con ancora più dolcezza."
{Il titolo di questa one-shot e alcune frasi ("Beautiful Monster", "Un bellissimo mostro/ma non importa/Ho bisogno di te") sono ispirati alla canzone "Beautiful Monster" di Ne-Yo, che mi fa spesso pensare a pairing fra i miei OC. Ciò nonostante, la presenza di frasi ispirate alla canzone non fa di questa one-shot una song-fic. Grazie per l'attenzione :3}
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando ritorno a casa so già cosa – o meglio, chi – mi attende, dunque non metto fretta nel mio salire le scale, nell’aprire la porta, nel togliermi la giacca. Ho ancora dello sporco sotto le unghie, so che Alexandra mi controllerà, e so anche che i suoi occhi verdi rifuggiranno i miei e nonostante questo io non mi vergognerò minimamente di ciò che sono.
Nel momento stesso in cui poso la giacca sull’attaccapanni sento la sua presenza nella stanza: quando mi volto è lì a fissarmi sospettosa.
«Dove sei stato?» chiede subito.
«A mangiare fuori» rispondo altrettanto in fretta, quasi sfidandola con lo sguardo.
«E non mi hai portata con te?» ironizza, sapendo già di cosa parlo. Mi viene spontaneo farle un sorriso che ha un che crudele.
«Se tu volessi, potrei farlo.. ma dubito che il tuo stomaco reggerebbe».
Alex, mia moglie, è una donna che ho sempre trovato bellissima, persino quando la conoscevo appena: ha vaporosi ricci rossi e gli occhi verdi, un viso cosparso di efelidi e una corporatura esile ma morbida. Ci conosciamo da almeno cinque anni ma abitiamo insieme e ci amiamo solo da tre... e ci va bene così. Non mi sono mai aperto così con qualcuno, non ho mai trovato nessuno che fosse disposto ad accogliermi con così poche riserve, non ho mai vissuto un’esperienza simile.. devo ammettere che la amo da impazzire, perché senza di lei con tutta probabilità non sopravvivrei a lungo.
«Bè.. magari potrei stupirti, terribile presuntuoso» dice lei, avvicinandosi a me e mettendomi le braccia attorno al collo; istintivamente la stringo a me e chiudo gli occhi, inspirando il suo profumo di miele e fiori.
«Mh.. preferisco comunque andare da solo» mormoro, rifiutandomi di aprire gli occhi e interrompere quel contatto che, dopo tutta la morte che ho provocato meno di due ore fa, sa così tanto di vita.
«Sei irrequieto, però» sussurra lei, rompendo l’abbraccio mio malgrado e prendendomi la mano. Questo gesto mi provoca una reazione strana, come di smarrimento: qual è l’ultima persona che ho preso per mano prima di Alexandra? Mi sembra di avere come un vuoto di memoria, e la cosa mi confonde. Forse lei nota il mio disorientamento e si volta verso di me, mi guarda con i suoi occhi verdi, mi chiama.
«Aidan? Aidan.. tutto bene?» mi prende il viso fra le mani perché io la guardi negli occhi.. che sciocca, non ne ha mica bisogno: i miei occhi sono incatenati ai suoi, le mie labbra vogliono le sue, ogni atomo del mio corpo cerca disperatamente l’atomo corrispondente nel corpo di Alexandra.
«Se ci sei tu, sì» rispondo con voce roca, attirandola a me e baciandola: il mondo esplode intorno a me, questa donna non può farmi quest’effetto.. la amo così tanto, non può essere vero, devo stare per forza sognando.
Eppure quando riapro gli occhi lei è lì fra le mie braccia, che mi morde piano il labbro inferiore, come un gattino che gioca a fare la tigre; mi viene istintivo sorridere e lei molla il labbro.
«Cosa c’è?» chiede, contrariata, quasi sul punto di imbronciarsi, e io sorrido di più.
«Niente..».
«Hai ancora il sapore in bocca» mormora, senza smettere di fissarmi, come studiando le mie reazioni. Non capisco la frase, quindi inclino il capo di lato mentre il mio cervello cerca di venirne a capo.
«...quindi?».
«Mi piace. Sai che mi piace» dice, a fior di labbra appena prima di baciarmi. Quella frase mi provoca una reazione estrema: spingo la mia eccitazione contro il suo corpo e lei sussulta, ridendo.
«Ma dai! Sei impossibile!» mi prende in giro, mentre le mordo dolcemente il collo e lei mi infila le mani fra i capelli, gettando la testa all’indietro: una cascata di capelli rossi mi investe mentre sollevo lo sguardo sul suo viso.
«E tu sei bellissima» sorrido, mentre le tolgo lentamente gli indumenti lì, nell’ingresso di casa nostra, e lei si morde le labbra ridendo.
«Certo.. come un muflone» ribatte, mentre anche le sue mani si infilano sotto la mia camicia, a contatto con la mia pelle che, in confronto alla sua, è appena tiepida. La sua carne mi trasmette un calore di cui ho disperatamente bisogno, mi tuffo fra le sue braccia e ci cerchiamo, ci amiamo, ci completiamo. Ogni volta che faccio l’amore con lei è così: un bisogno disperato di sentirci completi, uniti, ogni volta di più, e anche stavolta non è diverso, anzi, questa volta lei mi lecca le mani e le unghie, lavando il sangue sotto di esse con la saliva.. e questo mi fa sentire bene. Alexandra mi comprende, Alexandra sa di cosa ho bisogno, io so renderla felice, so starle accanto, noi sappiamo stare insieme, noi lo vogliamo.
Quando l’amplesso è finito entrambi sentiamo ancora dell’energia pervaderci, e restiamo a guardarci: i nostri corpi sono stanchi, mentre le nostre anime non si stancherebbero mai di amarsi.
«Davvero ti piacerebbe?» e quando lo chiedo so già la risposta: no, non le piacerebbe. Non le piacerebbe vedere ragazzini sventrati e io che ripulisco le loro ossa con i denti in modo ossessivo, fino a renderle praticamente bianche. Non le piacerebbe vedere il suo amato Aykir diventare un mostro orrendo che ha solo sete di sangue e fame di carne umana. Non le piacerebbe fuggire via da me e sentirsi ferita da ciò che faccio.
«Forse non troppo» ammette lei, carezzandomi il viso e guardandomi negli occhi.
«Forse non troppo» concordo, muovendo appena le labbra, e lei intreccia le dita nei miei capelli.
«Troveremo un modo per condividere anche quello» propone, e io sorride scettico.
«Ne dubito. Per me è nutrimento, lo sai.. per te sarebbe solo sofferenza» rispondo serio, baciandole la fronte. Il pavimento è freddo e succhia via anche quei residui di calore restati dopo l’amore, quindi a fatica mi alzo e le porgo una mano perché venga con me, dopodiché la prendo in braccio e lei mi bacia il collo e le spalle mentre mi dirigo in salotto: ci stendiamo nudi sul divano e lei ci avvolge in una enorme coperta di pile.
«Non mi hai mai detto chi è di solito.. la tua vittima tipo» mormora, e sento il suo disagio nel pormi quella domanda.
«Sicura di volerlo sapere?» le chiedo paziente, come se stessi parlando ad una bambina. Lei non si offende e capisce che è necessario che io glielo chieda, così arrischia un altro tipo di domanda.
«Potrebbe non piacermi?» sussurra, guardandomi attentamente.
«Non mi guarderesti più con questi occhi adoranti» sorrido, pur sapendo che è vero. Lei sorride in risposta, timidamente, e mi bacia il petto.
«Non c’è nulla che potrebbe farmi ricredere sul mio amore per te, Aidan».
Resto in silenzio a guardarla negli occhi, quasi come se mi stessi godendo gli ultimi istanti di amore imperituro, poi chiudo i miei e getto la testa all’indietro sul cuscino.
«Ragazzini, perlopiù. Dai dieci ai quindici anni al massimo. Quelli che sono soli, che nessuno vuole, a cui nessuno pensa. Impiegati nel lavoro nero o peggio. Così nessuno nota se spariscono».
La sento ancora respirare tranquilla su di me, ma le sue braccia si stringono di più attorno al mio petto. Mi viene naturale accarezzarle i capelli, ad occhi chiusi, e lei non si scosta.. a quel punto sono troppo curioso e la guardo con le palpebre socchiuse. Mi sta osservando attentamente, come un gatto che ha visto qualcosa muoversi fra l’erba, pronto a scattare.
«Dici sul serio o mi stavi prendendo in giro?» chiede incerta. Io apro completamente gli occhi e la fisso con le sopracciglia aggrottate, così lei intuisce la mia risposta.
«..perché proprio loro?» ansima, e comprendo che l’impatto emotivo sta avvenendo un poco in ritardo. La stringo a me non per impedirle di scappare, ma per impedirle di cadere dal divano, e lei affonda le unghie nelle mie braccia, senza fiato.
«Gli adulti sono più facili da prendere, ma è più difficile che siano sani e che nessuno noti la loro sparizione. Se un senzatetto finisce nel nulla gli altri senzatetto si chiedono che fine abbia fatto quella vecchia spugna.. se sparisce un bambino quasi nessuno lo nota: avrà trovato fortuna, se lo sarà preso qualcuno, l’avranno tolto dalla strada, sarà finito in orfanotrofio.. e così via. I bambini sono tutti uguali» mormoro, socchiudendo gli occhi, e lei stringe i denti: la sento tendersi su di me.
«E se tu avessi un figlio?».
«Ne ho avuti, in passato».
La cosa non la stupisce, lo sa già, ma evidentemente intende dire qualcos’altro.
«Intendo.. ora».
Mi fermo a guardarla, pacato.
«Non cambierebbe nulla, lo sai. Sarei un padre e un marito modello che fa il sicario e ogni tanto divora qualche bimbo. Sono io, questo. Lo sai».
Lei si sofferma un attimo sul pensiero e rabbrividisce.
«Ehy.. me l’hai chiesto tu» mormoro, infastidito, e distolgo lo sguardo da lei: mi sto arrabbiando, e non va bene. Lei scuote il capo.
«È colpa mia».
«Che?» mi volto nuovamente verso di lei, colpito.
«Prima di tutto non dovevo chiedertelo» rabbrividisce ancora, senza controllo, e io mi avvolgo una sua ciocca di capelli rossi attorno alle dita, nervosamente. «E ancora prima di questo, non dovevo costruirmi una risposta perfetta in testa» conclude, guardando la tv spenta di fronte al divano.
«Risposta perfetta?» chiedo, senza capire. Si volta verso di me: anche lei è arrabbiata, gli occhi verdi le scintillano pericolosamente, sull’orlo delle lacrime.
«Sì!» esplode, rabbiosa, mentre le lacrime le rigano le guance. «Mi sono detta che sicuramente uccidevi criminali, che andavi a caccia della feccia umana e la toglievi di mezzo, che..» si interrompe in singhiozzi, e in me la tristezza prevale sulla rabbia. La abbraccio stretta e lei affonda il viso nel mio petto, stringendomi altrettanto forte, singhiozzando. Le carezzo i capelli senza sapere cosa dirle, le parole mi si sono seccate sulla lingua, vorrei solo che non dovesse mai piangere per colpa mia, tutto qui... ma forse chiedo troppo a me stesso, sono una persona troppo orribile perché ciò possa avvenire.
«Piccola...».
«Aidan..».
Decido di spiegarle, con calma e pazienza, le mie ragioni: lei mi comprende, io mi fido di lei, non mi viene nemmeno per un attimo il dubbio che lei potrebbe non capire, abbandonarmi, andarsene, guardarmi con odio.
«..sono io stesso un criminale, io stesso uccido persone per denaro e non... come potrei uccidere criminali? Sarebbe un modo meschino per rimettermi in pari con i litri di sangue che ho versato» mormoro, tentando di farle capire. «Inoltre i criminali che intendi tu spesso sono drogati, fumatori, alcolizzati e solo gli déi sanno cos’altro.. non ti piacerebbe vedermi intossicato da nicotina, alcol e sostanze stupefacenti varie».
«No, infatti..» mormora lei, tirando su col naso. Incoraggiato, proseguo:
«...inoltre gli adulti hanno una carne meno tenera. Quando vai dal macellaio tu ordini il vitello, non il bue affaticato dal lavoro.. la sua carne risulterebbe immangiabile».
Alexandra chiude gli occhi e percepisco il suo respiro calmarsi contro la mia pelle: mi scendono piccoli brividi lungo la colonna vertebrale. Amo essere qui, amo essere vivo, amo lei.
«Lo capisco» sussurra. «Ma se tu avessi un bambino qui, ora, con te.. lo mangeresti?».
«Non sono così disumano, Alex» mormoro, quasi con tono di rimprovero, e lei apre gli occhi per guardarmi.
«Davvero?».
Sorrido.
«Sì».
«Però sei un mostro».
«Non l’ho mai negato» dico con dolcezza, e lei mi passa un dito sulle labbra.
«Un bellissimo mostro» mormora incantata, e io sorrido di più, con ancora più dolcezza.
«Un bellissimo mostro» mormoro, ripetendo quello che mi dice, come se non potessi credere che quelle parole possano essere combinate proprio in quel modo solamente per me.
«Sì» dice, più decisa, passandomi le dita fra i capelli neri. «Sei un mostro, un bellissimo mostro».
«E...?» la incito a continuare. Lei mi guarda negli occhi, come se mi stesse sondando l’anima, e io mi sento quasi intimidito da lei, seppure solo per un istante.
«...ma non mi importa» conclude, facendomi un piccolo sorriso timido. E l’amore che vedo nei suoi occhi è sincero, puro, come prima di iniziare quel discorso. Non c’è dubbio nel suo sguardo, nessuna incertezza agita il suo animo.. e io mi sento compreso, ancora. Vorrei solo scomparire fra le sue braccia.
«Ti amo» mormoro, e sento il suo cuore sul mio petto accelerare.
«Anche io ti amo» risponde con un soffio, prima di baciarmi sorridendo.
   
 
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