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Autore: AshHurricane    18/10/2013    4 recensioni
Ai piedi del letto, lo sguardo fiero, gli occhi da puma, stava un ragazzo. La divisa arancione a lui calzava a pennello, seppur stonasse con i capelli blu elettrico e la pelle scura. Non che fosse di colore, o mulatto. Solo, abbronzato, o almeno così pareva. Taiga lo guardò qualche secondo, gli occhi di fiamme che ardevano di irritazione.
-Quella è la mia brandina, finocchietto-
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Daiki Aomine, Taiga Kagami
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo decimo / Those dead eyes
 
 
 
 
 
Tutti dobbiamo morire, non ci sono eccezioni, lo so, ma certe volte, oddio, il Miglio Verde è così lungo.
Stephen King, Il Miglio Verde
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Kagami l’aveva seguito dieci minuti dopo, l’avevano scortato a braccetto lungo il corridoio verdino spento, uno strano grigiore del cielo che incupiva ancora di più quel colore che già di per sé poteva essere definito di merda. Era calato un silenzio quasi solenne tra le celle, sembrava quasi una marcia funebre silenziosa, che svuotava i corridoi, che svuotava la mente e le bocche di parole. Solo silenzio. A Kagami piaceva quella marcia funebre invisibile, si sentiva meno solo a camminare verso il destino di Aomine, che era un po’ anche il suo, chissà perché, lo sentiva condiviso.
Si lascio quasi trascinare, mentre una porta forse fin troppo piccola per la sua statura veniva aperta alla sua destra. Chinò leggermente il capo, come la guardia alla sua sinistra, quella che sulla giacca aveva una piccola macchia di caffè nemmeno troppo vecchia e che sicuramente in ufficio teneva le foto della moglie e dei figli. Sempre se ce l’aveva un ufficio, si disse.
La stanza in cui era appena entrato sembrava più un corridoio, una specie di anticamera stretta dalle pareti grigie in cemento, un vetro spesso, probabilmente resistente a urti e spallate che Taiga immaginò fossero frequenti, subito a sinistra della porta. Non c’era nulla in quell’anticamera grigia, sembrava un luogo di passaggio, una specie di purgatorio vuoto, il passaggio all’inferno stava oltre quel vetro lucido. Taiga sperò davvero, in quel momento, che un inferno non ci fosse. Per Daiki.
In un angolo, in alto, affianco a una macchia di muffa causata dall’umidità, e a una ragnatela, stava un altoparlante, uno di quelli vecchi, che fischia periodicamente, ricordandoti che sarebbe da buttare, che dovresti prenderlo e gettarlo nel cestino, cavi consunti compresi. Probabilmente un tempo era servito per comunicare con la sala dell’esecuzione, oltre il vetro, ma Kagami era certo che ormai non funzionava più. Le due guardie lo mollarono lì dentro ed uscirono dalla stanza, quasi quello fosse uno spettacolo abituale e non volessero assistervi una sola volta di più. Probabilmente era davvero così.
L’aveva chiesto Taiga di esserci, l’aveva chiesto lui di poter assistere, quasi questo potesse essere di alcun conforto a se stesso e a Daiki. Daiki, il quale stava entrando in quel momento, dall’altra parte, da una porta ugualmente piccola, forse di più, quasi stesse chinando il capo all’evidenza, all’orrore della morte. I pochi presenti all’esecuzione, principalmente alcuni parenti di Aomine, i nonni forse, si voltarono a guardarlo, le mani strette sul grembo e lo sguardo cupo.
Kagami si spinse al vetro, ci stampò il naso, puntò gli occhi ad Aomine, oltre il vetro, oltre il purgatorio, già con un passo nell’inferno, e lo sguardo proteso a lui, a Kagami, ai suoi occhi di fuoco in cui lui per paradosso vedeva il mare, ora calmo, ora in burrasca, non si capiva, le onde arrivavano d’improvviso, così forte da sbatterlo alle rocce, e sanguinava, faceva male. Cristo, faceva male. Quasi poteva già sentire il culo poggiato su quella cazzo di sedia, che ora stava li, a un metro da lui.
Gli prese il panico. Scosse le braccia, un paio di volte, quasi per accertarsi di essere ancora vivo, che ancora la morte non se lo fosse portato via, e fu quasi un tentativo di entrambi, uno già coi piedi nella fossa, entrambi, l’altro solo con uno, che cercava di tirare su tutti e due, ma mica ci riusciva, la morte pesa troppo.
Kagami rimase immobile, guardò il terrore negli occhi di Aomine, guardò il sudore imperlargli la fronte e la nuca, asciugò il proprio e lasciò che gli occhi si inumidissero, strinse i pugni quando li strinse Aomine, chiuse gli occhi quando li sbatté l’altro, respirò addirittura con lui. Kagami Taiga, immobile oltre il vetro, nessun laccio a legarlo fisicamente, ma con la mente stretta nella morsa delle braccia di Aomine, quelle braccia forti, legate, bloccate, alla sedia, il petto pure, le gambe, i piedi, tutto. Lui, libero a metà, l’orizzonte a lui visibile era limitato, ora si fermava agli occhi di Daiki, che c’aveva addirittura trovato l’infinito dentro, che quando hai trovato il tuo, di orizzonte, mica ti serve quello degli altri.
Taiga ci si perse dentro per l’ennesima volta; non badò alle guardie che controllavano le cinghie che  stringevano Aomine, non badò ai macchinari a qualche metro di distanza da lui, ignorò completamente gli sguardi dei presenti. I suoi occhi lo presero, lo strapparono dalla realtà, come sempre, pretendevano tutto, prendevano tutto.
Si presero anche quell’ultimo respiro sano che rimaneva a Taiga, si presero anche quell’oceano che aveva dentro gli occhi, si presero tutto, decisi a portarselo dietro, ovunque sarebbero andati, sempre se un oltre c’era.
E Taiga glielo lasciò fare, chiuse gli occhi, e quando li riaprì, il suo sguardo, rifletteva quello di Aomine. Oceano in tempesta e un incendio rovente. Stavolta, per la prima volta, per l’ultima volta, domati.
 
 
 
 
 
 
 
 
Pochi secondi prima che il cappuccio nero venisse calato sul viso di Aomine, prima che la calotta di metallo fosse messa sulla sua testa, poco prima, le sue labbra si mossero per l’ultima volta, prima che la scarica elettrica attraversasse il suo corpo mozzandogli il fiato, togliendogli il respiro, togliendogli tutto. Una volta era Taiga a farlo, una volta si rubavano il respiro e lottavano sino all’asfissia. Kagami ebbe un sussulto, e quando arrivò il momento, gli parve l’aria fosse stata tolta anche ai suoi, di polmoni.
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
“non guardare, finocchietto”. 











 
n.d.a. 
Buongiooorno! Eccomi, sono tornata. E voi direte anche "era ora!". 
Beh, effettivamente si D: Mi scuso come sempre per l'enorme ritardo, purtroppo da quando è ricominciata la scuola non ho avuto molto tempo, così ne ho approfittato stamattina che sono rimasta a casa, per ultimare il capitolo che avevo già iniziato. 
Siamo giunti alla fine, già. A questo punto manca solo l'epilogo, ma non credo ci vorrà molto tempo per averlo, almeno spero haha 
Mi sono sentita ispirata, come presumo si sia capito, dal Miglio Verde di Stephen King, che ho finito di leggere qualche ora fa, e che mi ha fatta piangere. as always <3 
Che dire, spero vi piaccia, ci ho messo del tempo a scriverlo, e penso che in fondo sia venuto bene. 
Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo :3 
Grazie a tutti, come sempre, 
Miki! 
All'epilogo!
  
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